Più prefette, magistrate e direttrici di carcere: nella P.A. le donne sono più degli uomini
Dove si entra per concorso arrivano anche ai posti apicali perché hanno più titoli. Le direttrici di carcere sono il 69%, le prefette il 58%
Fonte: http://www.milleunadonna.it
Possiamo porre fine al classico piagnisteo dell’otto marzo: le donne sono le discriminate calimere, brutte piccole e nere. La discriminazione è sempre viva in molti settori ma almeno nella Pubblica Amministrazione l'avanzata rosa prosegue. Senza colpi di scena, ma inesorabilmente, va oltre l'immaginario comune che porta già a pensare a una P.A al femminile per numero di insegnanti e infermiere. Dal conto annuale della Ragioneria generale, aggiornato al 2016, appare infatti evidente come le donne che lavorano nel pubblico non siano più confinate ai settori tradizionali della scuola e della sanità. Lì continuano a dominare ma sono maggioranza anche alla presidenza del Consiglio dei ministri, nelle authority e nelle posizioni dirigenziali della carriera prefettizia e penitenziaria.
Poche nelle forze dell’ordine
Non hanno ancora il 50% +1 ma lo sfiorano e continuano a crescere nella magistratura e sono stabilmente alla pari nelle agenzie fiscali, come le Entrate. Non c'è poi così da stupirsi visto che la componente femminile è rappresentata da quasi 1,8 milioni di “teste” su 3,2 milioni di dipendenti complessivi (il 56,6%). Tuttavia restano un'esigua minoranza nelle forze armate e nei vigili del fuoco (5%) così come nei corpi di polizia (8%). In questi comparti non riescono a superare ancora la doppia cifra.
Più prefette e direttrici di carceri
Fanno fatica anche nella carriera diplomatica, anche se da un anno all'altro sono passate dal 21% al 22%. Per il resto dove non prevalgono siamo vicini al testa a testa: è così nelle accademie musicali e d'arte (41%) negli enti di ricerca (45%) e nelle università (48%). La novità insomma alla vigilia di questo 8 marzo sembra un avanzare di qualità e non solo di quantità. Le donne sono azioniste di maggioranza oltre che nella scuola, otto contro due, e nella sanità, quasi sette contro tre, anche nella gestione delle carceri (69%) e nelle prefetture, è in mano femminili al 58%. Questo a riprova di come siano 'rosa' anche ruoli di livello. Ecco che anche amministrazioni particolarmente prestigiose come le autorità indipendenti vedono il 54% delle posizioni occupate da donne. E ancora, sono sopra il 50% nei ministeri, incluso palazzo Chigi, e negli enti pubblici come Inps e Inail.
Il concorso garanzia di meritocrazia
Non sembrano poi esserci divari tra Nord e Sud a riguardo, dato che nel territorio, nelle Regioni e nei comuni, le donne sono il 52%. Insomma la P.A è il fiore all'occhiello dell'occupazione femminile, che per altro ha raggiunto il suo record storico, come certificato dall'Istat (anche se c'è lo zampino delle pensioni ritardate). Il solo fatto che si entra, almeno di regola, per concorso garantisce una certa "neutralità" di genere. Ed il numero delle lavoratrici cresce di anno in anno (quasi sei mila in più nel 2016), conquistando sempre più quote anche tra le toghe e nella dirigenza dei penitenziari.
Pensioni, novità dalle elezioni allegato
Fonte: legge per tutti
Che cosa potrebbe cambiare in tema di previdenza con il nuovo governo: pensione quota 100 e quota 41, proroga opzione donna, abolizione legge Fornero.
I risultati delle elezioni (ancora parziali nel momento in cui si scrive) vedono la prevalenza del Movimento 5 Stelle e della coalizione del centrodestra, guidata dalla Lega.
Tra i punti principali in materia di previdenza, sia del programma del Movimento che del programma della Lega, sono presenti il superamento della Legge Fornero e la previsione di nuove tipologie di pensione agevolate.
Vediamo allora nel dettaglio, in materia di pensioni, quali potrebbero essere le novità dalle elezioni e quale nuovo scenario potrebbe presentarsi per chi desidera uscire prima dal lavoro.
Indice
· 3 Abolizione della legge Fornero
Pensione quota 100
La cosiddetta pensione quota 100 consiste nella possibilità di uscire dal lavoro quando la quota, cioè la somma dell’età e degli anni di contributi del lavoratore, è almeno pari a 100.
La quota 100 risulta notevolmente più vantaggiosa dell’attuale pensione anticipata, che ad oggi si può ottenere con 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne e con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini: ad esempio, se il lavoratore ha 60 anni di età, con la quota 100 può pensionarsi con soli 40 anni di contributi..
La quota, cioè il risultato della somma dell’età pensionabile dell’interessato e degli anni di contributi posseduti, non è una novità assoluta, in quanto, prima che entrasse in vigore la legge Fornero, era possibile ottenere la pensione di anzianità (ora abolita e sostituita dalla pensione anticipata) con le quote.
Ad oggi sopravvivono alcune tipologie residuali di pensione di anzianità con le quote: si tratta delle pensioni degli addetti ai lavori usuranti, delle pensioni dei beneficiari delle salvaguardie e del cosiddetto salvacondotto per i nati sino al 1952.
Quando l’età o le annualità di contribuzione non corrispondono a una cifra esatta, per calcolare la quota i mesi devono essere trasformati in decimi:
· ad esempio, se Tizio ha raggiunto 63 anni e 6 mesi di età, ai fini del calcolo della quota dovrà indicare 63,5;
· potrà ottenere la pensione quota 100 se possiede almeno 36 anni e 6 mesi di contributi (perché 100-63,5= 36,5, ossia 36 anni e 6 mesi).
Pensione quota 41
La pensione quota 41 consiste nella possibilità di pensionarsi con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età (il termine quota in questo caso è usato impropriamente, perché 41 sono i soli anni di contributi necessari per ottenere il trattamento, non la somma di contributi ed età).
Ad oggi questa possibilità esiste già, ma soltanto per i lavoratori precoci, cioè per coloro che possiedono almeno 12 mesi di contributi da effettivo lavoro accreditati prima del 19° anno di età. Non basta, poi, essere lavoratori precoci, ma si deve risultare iscritti alla previdenza obbligatoria prima del 1996 e appartenere a una delle seguenti categorie: disoccupati (che abbiano cessato di percepire da almeno 3 mesi il trattamento di disoccupazione), caregiver (che assistono da almeno 6 mesi un familiare convivente entro il 2°grado con handicap grave), invalidi dal 74%, addetti ai lavori usuranti o gravosi.
Abolizione della legge Fornero
In campagna elettorale è stata più volte proposta l’abolizione della legge Fornero, anche se quest’ipotesi è stata di fatto accantonata in favore della quota 100 e della quota 41 per tutti, perché reputata poco sostenibile.
Ma che cosa succederebbe nel caso in cui venga abolita la legge Fornero?
In questo caso, cambierebbe l’età per la pensione di vecchiaia e sarebbero ripristinate le vecchie quote, assieme alle differenze nei requisiti per la pensione tra lavoratori dipendenti e autonomi, tra dipendenti pubblici e del settore privato.
In particolare i lavoratori dipendenti potrebbero ottenere, sino al 2018:
· la pensione di anzianità con quota 97,6, con un minimo di 35 anni di contributi e 61 anni e 7 mesi di età; per la liquidazione della pensione si dovrebbe attendere un periodo di finestra pari a 12 mesi dalla maturazione dell’ultimo requisito;
· la pensione di anzianità con 40 anni di contributi ed una finestra di attesa di 15 mesi:
· la pensione di vecchiaia con 65 anni e 7 mesi di età e 20 anni di contributi, per gli uomini e le dipendenti pubbliche; con 61 anni e 10 mesi di contributi per le lavoratrici del settore privato; sarebbe necessaria una finestra di attesa di 12 mesi.
I lavoratori autonomi potrebbero invece ottenere, sino al 2018:
· la pensione di anzianità con quota 98,6, con un minimo di 35 anni di contributi e 62 anni e 7 mesi di età; per la liquidazione della pensione si dovrebbe attendere un periodo di finestra pari a 18 mesi dalla maturazione dell’ultimo requisito;
· la pensione di anzianità con 40 anni di contributi ed una finestra di attesa di 21 mesi:
· la pensione di vecchiaia con 65 anni e 7 mesi di età e 20 anni di contributi, per gli uomini, e con 61 anni e 10 mesi di contributi per le lavoratrici del settore privato; sarebbe necessaria una finestra di attesa di 18 mesi.
Questi requisiti, ad oggi, sono comunque validi per i lavoratori beneficiari delle salvaguardie, ossia per gli esodati.
Proroga opzione donna
Un altro punto più volte affrontato in campagna elettorale è la proroga dell’opzione donna, una pensione agevolata dedicata alle sole lavoratrici, che possono anticipare notevolmente l’uscita dal lavoro in cambio del ricalcolo contributivo della prestazione.
Ad oggi, per potersi pensionare con opzione Donna devono essere rispettati precisi requisiti di età:
· per le lavoratrici dipendenti, è necessario aver raggiunto 57 anni e 7 mesi di età entro il 31 luglio 2016, e 35 anni di contributi al 31 dicembre 2015; dalla data di maturazione dell’ultimo requisito alla liquidazione della pensione è prevista l’attesa di un periodo, detto finestra, pari a 12 mesi;
· per le lavoratrici autonome, è necessario aver raggiunto 58 anni e 7 mesi di età entro il 31 luglio 2016, e 35 anni di contributi al 31 dicembre 2015; dalla data di maturazione dell’ultimo requisito alla liquidazione della pensione è prevista l’attesa di un periodo di finestra pari a 18 mesi.
In pratica, possono ottenere la pensione le dipendenti che hanno compiuto 57 anni e le autonome che hanno compiuto 58 anni entro il 31 dicembre 2015, se possiedono 35 anni di contributi entro la stessa data.
Con la proroga dell’opzione donna si vorrebbe rendere strutturale questo trattamento, rendendo così possibile ottenere la pensione per tutte le lavoratrici con un minimo di 57 anni e 7 mesi (o 58 anni e 7 mesi) di età, eventualmente adeguabili all’aspettativa di vita, e 35 anni di contributi.
Pensione, requisiti precedenti alla legge Fornero allegato
Fonte:legge per tutti
Che cosa potrebbe cambiare in tema di previdenza se si decidesse di abolire la Legge Fornero?
I risultati delle elezioni (ancora parziali nel momento in cui si scrive) vedono la prevalenza dei partiti più critici nei confronti della Legge Fornero di riforma delle pensioni, la cui abolizione è stata più volte ipotizzata in campagna elettorale. Peraltro, ad oggi è ancora possibile pensionarsi, per alcune categorie di lavoratori, con i requisiti precedenti alla legge Fornero [D.L. 201/2011.], ad esempio per gli addetti ai lavori usuranti, per i beneficiari delle salvaguardie, ossia per gli esodati e peri beneficiari del cosiddetto salvacondotto per i nati sino al 1952.
Ma quali sono i requisiti per la pensione precedenti alla legge Fornero, e che cosa succederebbe se questa norma fosse abolita?
Indice
· 2 Finestra per la decorrenza della pensione
· 3 Requisiti precedenti alla legge Fornero
Pensione con le quote
La normativa anteriore alla legge Fornero, assieme alla pensione di vecchiaia, che poteva essere ottenuta con una determinata età pensionabile (meno elevata di quella attualmente prevista per la pensione di vecchiaia) ed un minimo di 20 anni di contributi, prevedeva anche la possibilità di ottenere la pensione di anzianità con 40 anni di contributi, a prescindere dall’età, oppure con le quote.
La quota è il risultato della somma dell’età e degli anni di contributi del lavoratore: se, ad esempio, per ottenere la pensione è richiesta la quota 98, e il cliente ha 62 anni di età, sono sufficienti 36 anni di contributi per uscire dal lavoro.
Quando l’età o le annualità di contribuzione non corrispondono a una cifra esatta, per calcolare la quota i mesi devono essere trasformati in decimi:
· ad esempio, se Tizio ha raggiunto 63 anni e 6 mesi di età, ai fini del calcolo della quota dovrà indicare 63,5;
· può ottenere la pensione quota 98 se possiede almeno 34 anni e 6 mesi di contributi (perché 98-63,5= 34,5, ossia 34 anni e 6 mesi).
Ad oggi, come abbiamo anticipato, sopravvivono alcune tipologie residuali di pensione di anzianità con le quote, ossia le pensioni degli addetti ai lavori usuranti, le pensioni dei salvaguardati e la pensione anticipata agevolata per i nati sino al 1952.
Finestra per la decorrenza della pensione
La normativa precedente alla legge Fornero prevedeva anche le cosiddette finestre: la finestra è un periodo di attesa che va dalla maturazione dell’ultimo requisito utile alla pensione sino alla liquidazione della stessa.
Nella generalità dei casi, la finestra è pari a 12 mesi per i lavoratori dipendenti ed a 18 mesi per gli autonomi.
Requisiti precedenti alla legge Fornero
Con i requisiti precedenti alla legge Fornero i lavoratori dipendenti potrebbero ottenere, sino al 2018:
· la pensione di anzianità con quota 97,6, con un minimo di 35 anni di contributi e 61 anni e 7 mesi di età; per la liquidazione della pensione si dovrebbe attendere un periodo di finestra pari a 12 mesi dalla maturazione dell’ultimo requisito;
· la pensione di anzianità con 40 anni di contributi ed una finestra di attesa di 15 mesi:
· la pensione di vecchiaia con 65 anni e 7 mesi di età e 20 anni di contributi, per gli uomini e le dipendenti pubbliche; con 61 anni e 10 mesi di contributi per le lavoratrici del settore privato; sarebbe necessaria una finestra di attesa di 12 mesi.
I lavoratori autonomi potrebbero invece ottenere, sino al 2018:
· la pensione di anzianità con quota 98,6, con un minimo di 35 anni di contributi e 62 anni e 7 mesi di età; per la liquidazione della pensione si dovrebbe attendere un periodo di finestra pari a 18 mesi dalla maturazione dell’ultimo requisito;
· la pensione di anzianità con 40 anni di contributi ed una finestra di attesa di 21 mesi:
· la pensione di vecchiaia con 65 anni e 7 mesi di età e 20 anni di contributi, per gli uomini, e con 61 anni e 10 mesi di contributi per le lavoratrici del settore privato; sarebbe necessaria una finestra di attesa di 18 mesi.
Requisiti precedenti alla legge Fornero dal 2019
Con i requisiti precedenti alla legge Fornero i lavoratori dipendenti potrebbero ottenere, dal 2019:
· la pensione di anzianità con quota 98, con un minimo di 35 anni di contributi e 62 anni di età; per la liquidazione della pensione si dovrebbe attendere un periodo di finestra pari a 12 mesi dalla maturazione dell’ultimo requisito;
· la pensione di anzianità con 40 anni di contributi ed una finestra di attesa di 15 mesi:
· la pensione di vecchiaia con 66 anni di età e 20 anni di contributi, per gli uomini e le dipendenti pubbliche; con 62 anni e 9 mesi di contributi per le lavoratrici del settore privato; sarebbe necessaria una finestra di attesa di 12 mesi.
I lavoratori autonomi potrebbero invece ottenere, dal 2019:
· la pensione di anzianità con quota 99, con un minimo di 35 anni di contributi e 63 anni di età; per la liquidazione della pensione si dovrebbe attendere un periodo di finestra pari a 18 mesi dalla maturazione dell’ultimo requisito;
· la pensione di anzianità con 40 anni di contributi ed una finestra di attesa di 21 mesi:
· la pensione di vecchiaia con 65 anni e 7 mesi di età e 20 anni di contributi, per gli uomini, e con 61 anni e 10 mesi di contributi per le lavoratrici del settore privato; sarebbe necessaria una finestra di attesa di 18 mesi.
Questi requisiti, ad oggi, sono comunque validi per i lavoratori beneficiari delle salvaguardie, ossia per gli esodati: non sono più possibili nuove domande di salvaguardia, in quanto il termine ultimo per presentare la domanda (di adesione all’ottava salvaguardia) scadeva il 1° marzo 2017.
Per gli ultimi salvaguardati la decorrenza della pensione deve collocarsi entro il 6 gennaio 2018, oppure entro il 6 gennaio 2019, a seconda della categoria di appartenenza.
Stress lavoro-correlato, straordinari e risarcimento danni allegato
Fonte:legge per tutti
Lavoro stressante: l’ansia maturata dal dipendente messo sotto torchio dà diritto a ottenere il risarcimento del danno anche se non è un malattia tabellare Inps.
Si chiama «rischio stess lavoro-correlato» ed è quella situazione di tensione cui sono spesso soggetti molti dipendenti perché non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro. Per dirla con parole comuni, è una sorta di “ansia da prestazione” che può sfociare anche in disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale. Non si tratta di una vera e propria malattia, per cui non la troverai in nessun elenco delle patologie ufficiali che danno diritto al risarcimento, ma resta comunque una situazione nociva per il dipendente in quanto lo espone a una prolungata tensione [1]. Detto stato può ridurre l’efficienza del dipendente sul lavoro e determinare un cattivo stato di salute. Ecco perché ci si è chiesto se lo stress lavoro correlato può dar luogo al risarcimento del danno. Bisogna però distinguere lo stress lavoro-correlato dallo “stress” obiettivo vero e proprio (stress da superlavoro) che dipende invece da un eccessivo numero di ore di straordinario. A riguardo è di oggi una ordinanza della Cassazione [2] che riconosce l’indennizzo al dipendente sottoposto a usura psicofisica eccessiva. Ma procediamo con ordine e vediamo cosa può fare il dipendente per ottenere il giusto rispetto del proprio stato di salute.
Rischio stress lavoro-correlato
Il rischio stress lavoro-correlato può colpire chiunque, in qualsiasi luogo di lavoro a prescindere dalla dimensione dell’azienda, dal campo di attività, dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro. Poiché la legge impone al datore di «…garantire la salute e sicurezza dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi alla loro vita professionale, inclusi i fattori psicosociali e di organizzazione del lavoro…», questi dovrà anche considerare i rischi psicosociali, in modo da tutelare i lavoratori più vulnerabili. Proprio in questo senso si inserisce la tutela del dipendente dal rischio stress lavoro-correlato.
La normativa impone al datore, nell’ottica della valutazione e prevenzione dei rischi sul luogo di lavoro, di individuare in anticipo tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato. A imporlo è il testo unico sulla sicurezza sul lavoro [3] che individua proprio lo stress lavoro-correlato come una possibile causa di danno per il dipendente. Il datore è quinti obbligato a gestire ed evitare il rischio stress lavoro-correlato al pari di qualsiasi altro rischio sul lavoro, come una macchina pericolosa, l’alta tensione, il mobbing, l’usura per eccessivi straordinari.
La valutazione dello stress lavoro-correlato è articolata in varie fasi.
Si parte da una valutazione preliminare che consiste nella rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili.
Nel caso in cui dovessero emergere criticità, il datore di lavoro deve adottare interventi correttivi e valutare l’efficacia di tali interventi. Gli intervenuti possono essere tecnici, organizzativi, procedurali, comunicativi, formativi. Se tali interventi dovessero risultare inefficaci, bisognerà fare una valutazione più approfondita della percezione dei lavoratori.
Se invece non emergono elementi di rischio tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, il datore di lavoro è unicamente tenuto a darne conto nel DVR e a prevedere un piano di monitoraggio.
Stress da superlavoro
Diverso è il caso del dipendente che è davvero soggetto a stress lavorativo per via di un’eccessiva usura, causata dal ricorso continuo agli straordinari. Nella ordinanza odierna, la Cassazione ha ritenuto indennizzabile il dipendente sottoposto a troppe ore di straordinario anche se la malattia professionale non rientra nelle tabelle dell’Inail. Starà al lavoratore comunque dimostrare di aver subito un danno alla salute. Ma attenzione: chi è stakanovista per propria vocazione o, per sua particolare indole, si preoccupa per nulla e, a causa di ciò, si ammala non può chiedere risarcimenti all’azienda che, in questo, non ha alcuna colpa e si è sempre comportata bene.
Nel caso di specie la Cassazione ha riconosciuto il risarcimento e la rendita Inail alla lavoratrice affetta da crisi di depressione e attacchi di panico determinati dall’eccessivo lavoro. Un numero alto di ore di straordinari aveva causato alla ricorrente un forte stress, accompagnato da stati depressivi e attacchi di panico. Nel giudizio, l’interessata è riuscita a dimostrare che la malattia era stata determinata proprio dall’ambiente lavorativo e non da altre cause.
Esistono a riguardo delle malattie cosiddette tabellari, riportate in un elenco per le quali spetta in automatico l’indennizzo dell’Inail [4]. Questo non significa però che eventuali ulteriori patologie non siano indennizzabili; l’unica differenza sta nel fatto che per le malattie professionali non indicate nelle tabelle spetta al dipendente dimostrare il danno e la lesione alla salute.
Secondo la Corte, anche se non è tabellata, va comunque indennizzata la malattia professionale che causa ansia e stress al dipendente sottoposto a molte ore di lavoro straordinario. Il lavoratore, in questi casi, dovrà soltanto dimostrare la consequenzialità l’ambiente di lavoro e la malattia diagnosticata. Sono infatti indennizzabili – continua la Cassazione – «tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione». È illegittima qualsiasi distinzione in tal senso, «posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica».
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale – evidenziano infatti i giudici – a rilevare non è solo il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il cosiddetto rischio specifico improprio «non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa»: un principio, questo, applicabile anche quando si parla di malattie professionali. In questo contesto, per la Cassazione nel momento in cui il lavoratore è stato ammesso a provare l’origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale inteso come rischio specificatamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge. Un’interpretazione, quest’ultima, confermata dall’articolo 10, comma 4, della legge 38/2000.
In definitiva, quindi, secondo la Corte «ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’Inail, anche se non compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tal caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata».
note
[1] Lett. Circ. Min. Lav. 18 novembre 2010 n. 23692.
[2] Cass. ord. n. 5066/18 del 5.03.2018.
[3] D.lgs. n. 81/2008.
[4] Art. 3, Tu 1124/65.
[5] Tale interpretazione è confermata dall’articolo 10 comma 4 l. n. 38/00 da cui risulta che sono malattie professionali «anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale».
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Funzione Pubblica: visite mediche di controllo nei confronti dei lavoratori assenti per infortunio sul lavoro allegato
Fonte:DPL
L’Ufficio Legislativo del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, in risposta al quesito della Fondazione IRCCS Policlinico “San Matteo” ha fornito, con la nota n. 322 del 20 febbraio 2018, alcuni chiarimenti in merito alla modalità di svolgimento delle visite mediche di controllo nei confronti dei lavoratori delle Pubbliche amministrazioni assenti per infortunio sul lavoro
ARAN: misurazione della rappresentatività sindacale – dati al 31 dicembre 2017
FONTE:ARAN
L’Aran (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) e Organizzazioni sindacali hanno firmato l’ipotesi di contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale del comportato Sanità – triennio 2016-2018, che comprende Aziende sanitarie e ospedaliere del SSN, policlinici universitari, ARPA, istituti zooprofilattici sperimentali e altri istituti di cura.
Si tratta del quarto contratto firmato in circa due mesi – dopo i contratti di Funzioni centrali, Istruzione e ricerca, Funzioni locali – a seguito dell’accordo del novembre 2016 tra il Ministro Madia e le organizzazione sindacali, che ha fissato le coordinate generali dei rinnovi contrattuali nel settore pubblico.
Con l’accordo i circa 2.400.000 dipendenti pubblici, che applicano contratti stipulati dall’Aran, hanno visto rinnovato il loro contratto collettivo nazionale, per il triennio 2016-2018, dopo un lungo periodo di blocco della contrattazione nazionale.
Il contratto riconosce aumenti economici, pari a circa 86 Euro medi, con una forbice che va da circa 80 Euro poco meno di 95 al mese ed incrementi percentuali a regime del 3,48%. Tali valori sono raggiunti anche attraverso un elemento perequativo della retribuzione, che presenta valori più elevati per le categorie e posizioni economiche collocate nelle fasce più basse della scala parametrale. Per il periodo 2016-2017, sono riconosciuti anche gli arretrati contrattuali. Dalla fine del 2018, con decorrenza 2019, è previsto, infine, un incremento dei Fondi destinati alla contrattazione integrativa.
L’accordo interviene su molti aspetti normativi quali le assenze, i permessi e congedi, le ferie, i rapporti di lavoro flessibile, l’ampliamento di alcune tutele (malattie gravi, permessi per visite).
In materia di orario di lavoro, l’accordo raggiunge un buon equilibrio tra tutele e garanzie per i lavoratori ed esigenze organizzative delle aziende sanitarie.
E’ stato ridefinito un quadro organico di regole sulle relazioni sindacali presso le aziende, valorizzando gli istituti della partecipazione e la contrattazione integrativa.
Il nuovo contratto collettivo, in attuazione della Riforma Madia, ha operato anche una revisione del codice disciplinare dei dipendenti pubblici, prevedendo anche specifiche sanzioni in caso di assenze ingiustificate in prossimità dei giorni festivi o per assenze collettive.
Il contratto diventerà efficace, a seguito della sottoscrizione definitiva, una volta concluso l’iter di verifica e controllo della sua compatibilità economica, come previsto dalle norme vigenti.
Legge 104, no al riproporzionamento dei permessi in caso di part time
FONTE:SOLE24ORE di Carmelo Battaglia e Domenico D'Agostino
La sezione Lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza n. 4069/2018, ha affermato che anche per i dipendenti part time non si applica il riprorzionamento dei tre giorni di permesso, ex legge n. 104/1992, in caso di prestazione per un numero di giornate superiore al 50%, confermando l’orientamento già espresso con la precedente sentenza n. 22925/2017.
Tutela dei partecipanti, ammissione in soprannumero dei vincitori di ricorso
FONTE:SOLE24ORE di Giovanni La Banca
Pur in assenza di soluzioni prive di controindicazioni, la riammissione in soprannumero dei candidati non idonei, che hanno ottenuto tutela giurisdizionale, è la più idonea a contemperare i diversi interessi in gioco e ad evitare, nella logica della massima riduzione del danno, il rischio di provocare ingiusti pregiudizi ai candidati meritoriamente vincitori. Così ha affermato il Tar Lazio con la sentenza n. 1989/2018.
Da PensioniOggi:
Visite Fiscali, Niente accertamento Inps in caso di infortunio sul lavoro
· FONTE:PENSIONIOGGI Scritto da Davide Grasso
Lo precisa una nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La presenza di una istruttoria per il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro/malattia professionale ferma gli accertamenti domiciliari da parte dell'Inps.
L'Inps non può condurre le visite fiscali per i dipendenti pubblici per i quali sia in corso l’istruttoria per il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro/malattia professionale. La competenza sulla valutazione medico-giuridica di tali eventi è esclusivamente dell'Inail. Lo precisa la nota numero 246 della Presidenza del Consiglio dei Ministri dello scorso 8 Febbraio 2018 in risposta alla richiesta di chiarimenti avanzata dalla Fondazione IRCCS, in ordine alle cause di esclusione, per i dipendenti pubblici assenti dal servizio per malattia, dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità previste per le visite fiscali dal D.M. 17 ottobre 2017. n. 206.
In particolare, l'Istituto chiedeva indicazioni in merito alla eliminazione, tra le predette cause, dell'infortunio sul lavoro. Al riguardo, la nota della Presidenza del Consiglio osserva come il predetto decreto ministeriale regolamenta le modalità per lo svolgimento delle visite fiscali e per l'accertamento delle assenze dal servizio per malattia, ai sensi dell'articolo 55-septies del decreto legislativo n. 165 del 2001, ovvero gli accertamenti medico-legali che rientrano nella competenza esclusiva dell'lNPS. Nei casi, invece, di infortunio sul lavoro, l'articolo 12 della legge 11 marzo 1988, n. 67 attribuisce all’Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) la competenza relativa "agli accertamenti, alle certificazioni e ad ogni altra prestazione medico-legale sui lavoratori infortunati". Quindi, come precisato anche nella relazione illustrativa al decreto n. 206 del 2017. l'assenza per infortunio sul lavoro è stata eliminata come causa di esclusione dall'obbligo di reperibilità, ''poiché tale circostanza non è direttamente riscontrabile dall’INPS, rientrando piuttosto tra le competenze dell’INAIL", analogamente, peraltro, a quanto già previsto per i lavoratori privati dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali dell'11 gennaio 2016.
L'Inps già con il messaggio numero 3265 del 9 agosto 2017 aveva rigettato la sua competenza nell'effettuare le visite fiscali richiesti dai datori di lavoro per i casi di infortunio e malattia professionale, in quanto — alla luce del disposto di cui all'articolo 12 della legge n. 67/1988 in tema di competenze esclusive dell'Inail non può interferire con il procedimento di valutazione medico-giuridica di tali tipologie di "eventi". Nel caso in cui la sussistenza di un’istruttoria per il riconoscimento di infortunio sul lavoro/malattia professionale dovesse emergere in sede di accesso del medico di controllo al domicilio del lavoratore, il medico non dovrà procedere alla visita di controllo, ma redigere verbale ove venga evidenziata tale circostanza. Nei casi di infortunio sul lavoro, quindi, ribadisce la nota della Presidenza del Consiglio gli accertamenti medico-legali rimangono in capo all'lNAIL, secondo le modalità già vigenti prima del D.M. n. 206 del 2017.
Le nuove fasce di reperibilità nelle PA
Com'è noto il recente DM 206/2017 adottato a seguito del decreto legislativo 75/2017 (riforma del pubblico impiego) le fasce di reperibilità per i dipendenti pubblici sono rimaste diversificate rispetto al settore privato. In particolare il dipendente pubblico assente per malattia mantiene l'obbligo di farsi trovare al proprio domicilio per almeno sette ore al giorno: dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 (anche nei giorni non lavorativi e festivi). Sono esclusi dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilita' i dipendenti per i quali l'assenza e' riconducibile ad una delle seguenti circostanze: a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita; b) causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all'ascrivibilita' della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata del Testo unico in materia di pensioni di guerra (DPR 834/1981), ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto; c) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidita' riconosciuta, pari o superiore al 67%.
Riforma Pensioni, I risultati delle elezioni avvicinano la Quota 100 e la Quota 41
· Fonte:pensionioggi Scritto da Bernardo Diaz
I programmi elettorali del M5S e della Lega intendono riportare al centro della discussione politica il superamento della Legge Fornero del 2011. Ma aldilà delle promesse resta il problema delle coperture.
L'exploit del M5S e della Lega alle elezioni aumenta le possibilità di una revisione della Legge Fornero sulle pensioni nella nuova legislatura. Fermo restando che i numeri dovranno ora tradursi in una maggioranza di governo, un nodo che dovrà essere sciolto nelle prossime settimane, il voto degli italiani ha bocciato sonoramente il Pd e l'attuale maggioranza di governo. E ha visto un forte irrobustimento delle Forze Politiche che chiedono, all'interno del programma elettorale, una revisione (o meglio una vera e propria abrogazione) della Riforma del 2011 sulle pensioni.
E' uscito sconfitto, quindi, l'accordo sindacale dello scorso settembre 2016 con il quale il Governo Renzi ha realizzato l'Ape sociale e la quota 41 per i lavoratori precoci e l'ape volontario, cioè il prestito pensionistico per gli ultra 63enni. Gli enormi ritardi e i tantissimi paletti e condizioni imposte, accompagnato dal pasticcio sui vitalizi, hanno segnato anche la sorte dei sostenitori di tale accordo.
La vittoria del M5S apre, dunque, nuovi scenari sulle pensioni nel prossimo biennio. Il Movimento di Beppe Grillo propone il superamento della cosiddetta "riforma Fornero" attraverso la messa a regime dei parametri di "quota 41" e "quota 100" per l'accesso alle pensioni, l'introduzione della staffetta generazionale nelle aziende, un ampliamento delle categorie di lavori da considerare usuranti ed un allargamento della possibilità di usufruire della cosiddetta "opzione donna", nonché il blocco dell’adeguamento all’età pensionabile all’aspettativa di vita. Elementi comuni anche alla Lega, l'altra forza politiche uscita vincitrice dal confronto elettorale.
Attualmente la cd. quota 41 è stata riconosciuta con la legge 232/2016 dal 1° maggio 2017 - dopo lunghi anni di trattative e discussioni - solo in favore di alcune categorie di lavoratori in difficoltà (disoccupati, invalidi, addetti a mansioni usuranti e gravose, o soggetti che assistono disabili) e a condizione che possano vantare almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del 19° anno di età (lavoratori cioè precoci). Una serie di vincoli che consentono il pensionamento solo a poche categorie di soggetti e, peraltro, in esito ad una complessa procedura di monitoraggio e di verifica delle condizioni. Per Di Maio l'obiettivo del M5S è quello di estendere il pensionamento con 41 anni di contributi a tutti, uomini e donne, anche non precoci come accadeva, in sostanza, prima della Legge Fornero. E di introdurre la quota 100 come somma di età anagrafica e contributiva per guadagnare l'accesso alla pensione (es. 60 anni e 40 anni di contributi).
Il programma del M5S prevede poi anche l'abolizione dei vitalizi dei parlamentari, la soppressione del minimale inps per artigiani e commercianti, la riorganizzazione della gestione separata dell'Inps oltre naturalmente al reddito di cittadinanza: una prestazione di importo pari a 780 euro al mese per persona singola che cresce per le famiglie numerose. Insomma queste istanze nella prossima legislatura avranno sicuramente maggiori chance di essere affrontate rispetto al passato. Perchè i partiti che le sostengono avranno una maggiore rappresentatività nel Parlamento (lega e M5S hanno, infatti, totalizzato insieme circa il 50% dei voti). Resterà da comprendere come saranno declinate, una sfida difficile per via della loro onerosità.
Il riscatto rende utili i periodi di aspettativa per la pensione
· Fonte:pensionioggi Scritto da Franco Rossini
I lavoratori dipendenti che hanno fruito dell'aspettativa per gravi motivi familiari, ad esempio per assistere parenti con gravi disabilità al di fuori di permessi mensili riconosciuti dalla legge 104, possono riscattare ai fini pensionistici il relativo periodo.
Come noto i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali alcune specifiche patologie, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni ai sensi dell'articolo 4, co. 2 della legge 53/2000. Si tratta di un periodo neutro durante il quale il lavoratore conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa nè il periodo gli viene computato nell'anzianità di servizio utile per la progressione di carriera.
Il congedo può essere chiesto dal lavoratore per gravi motivi relativi a necessità familiari del lavoratore stesso e della sua famiglia anagrafica (come in particolare il coniuge, figli o in loro mancanza i nipoti, genitori, generi, nuore o suoceri) anche se non conviventi e dei soggetti portatori di handicap, parenti o affini entro il terzo grado del lavoratore, anche se non conviventi.
Il D.M. 21 luglio 2000, n.278, ha definito i gravi motivi nelle necessità familiari derivanti dal: a) decesso di una delle persone sopra indicate; b) le situazioni che comportano un impegno particolare del dipendente o della propria famiglia nella cura o nell’assistenza di una delle persone sopra indicate; c) le situazioni di grave disagio personale, ad esclusione della malattia, nelle quali incorra il dipendente medesimo; d) le situazioni, riferite ai soggetti di cui sopra a esclusione del richiedente, derivanti da alcune patologie: 1) patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione dell’autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post – traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche; 2) patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali; 3) patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario; 4) patologie dell’infanzia e dell’età evolutiva aventi le caratteristiche di cui ai precedenti numeri 1, 2, e 3 o per le quali il programma terapeutico e riabilitativo richiede il coinvolgimento dei genitori o del soggetto che esercita la potestà.
I periodi di aspettativa in questione non sono utili a fini pensionistici se ricadono al di fuori degli eventi di malattia, di assistenza ai disabili ai sensi dell'articolo 33, co. 4 della legge 104/1992 o del congedo straordinario di cui all'articolo 42, co. 5 del Dlgs 151/2001, eventi per i quali è riconosciuta la copertura figurativa a carico dello Stato. La legge 53/2000 e l'articolo 5 del Dlgs 564/1996, tuttavia, vengono incontro al lavoratore consentendone il loro riscatto, in qualsiasi momento, a condizione che il lavoratore ne sostenga il relativo onere economico. In questo modo il periodo di aspettativa fruito non viene perso ai fini della maturazione della pensione nè ai fini della determinazione della sua misura (cfr: Circolare Inps 15/2001).
Per l'esercizio del riscatto il lavoratore deve produrre idonea documentazione avente data certa, come prevista dall'articolo 3 del Dm 21 Luglio 278/2000, da cui risulti la certificazione medica delle patologie sopra individuate, la documentazione comprovante il decesso o una dichiarazione circa i gravosi impegni per la cura ai disabili o della situazione di grave disagio personale. La facoltà di riscatto è disponibile per tutti i i lavoratori dipendenti, anche del pubblico impiego, ed è esercitabile nel limite massimo di due anni nell'arco della vita lavorativa del richiedente.
Riscatto ammesso anche per aspettive fruite prima del 1996
Sul punto va segnalato che l’art.1, comma 789, della legge n.296 del 27 dicembre 2006 (finanziaria 2007) ha esteso l'indicata facoltà di riscatto anche ai periodi di aspettativa antecedenti al 31 dicembre 1996 in deroga a quanto previsto in linea generale dall'articolo 5 del Dlgs 564/1996, fermo restando che il periodo massimo riscattabile è sempre pari ad un massimo di due anni. In tal caso, la fruizione del periodo di aspettativa deve risultare da registrazioni ufficiali quali libro paga, libro matricola, libretto di lavoro, dichiarazioni /autorizzazioni dell’epoca, rilasciate dal datore di lavoro. Per i medesimi periodi, i lavoratori devono comprovare la ricorrenza dei gravi motivi come sopra definiti. A tal fine, all’atto della presentazione della domanda di riscatto, gli stessi devono produrre, con riferimento a ciascuno dei casi indicati, la documentazione di data certa prevista dall’art.3, commi 1, 2, e 3, del decreto 21 luglio 2000, n.278, citato (Dm 31 Agosto 2007; Circolare Inps 26/2008).
Militari, Ecco l'ipotesi del nuovo contratto per il triennio 2016-2018
· FONTE:PENSIONIOGGI Scritto da Dario Canova
L'intesa raggiunta lo scorso 26 Gennaio 2018 riguarderà il rinnovo del contratto per più di 450mila lavoratori, tra Forze Armate, Arma dei Carabinieri, Guarda di Finanza, Polizia di Stato e Polizia Penitenziaria.
Il comparto difesa e sicurezza ha il suo schema sui rinnovi contrattuali per il triennio 2016-2018. Lo scorso 26 Gennaio 2018 Governo e parti sindacali hanno raggiunto l'accordo sul nuovo contratto di riferimento che coinvolgerà un totale di oltre 450mila lavoratori tra Polizia, Polizia Penitenziaria, Carabinieri, Gdf e Forze Armate (Marina, Aeronautica ed Esercito). L'ipotesi di contratto dovrà ora essere recepita in due appositi Decreti del presidente della Repubblica e prendere la via della Gazzetta Ufficiale per divenire definitivi. L'ipotesi di accordo riguarda, dopo un'attesa di quasi dieci anni, sia la parte economica che quella normativa con alcuni adeguamenti ai nuovi principi introdotti dalla Riforma Madia del 2015 (Legge 124/2015).
La parte economica
Complessivamente i nuovi contratti portano in dote un aumento del tabellare a regime che oscilla tra i 70 ed i 100 euro al mese scaglionati in quattro livelli temporali (1° gennaio 2016, 1° gennaio 2017, 1° Ottobre 2017 e 1° gennaio 2018). Cifra che viene raggiunta in parte con i rinnovi annuali ed in parte con l'incremento dal 1° ottobre 2017 dei parametri stipendiali previsti con il decreto legislativo sul riordino delle carriere militari (art 45 Dlgs 95/2017). Cresce anche l'indennità pensionabile per le forze di polizia in una forchetta compresa tra i 45 e i 50 euro al mese (per le forze armate cresce l'importo aggiuntivo pensionabile in misura compresa tra i 41 e i 46 euro al mese). A questo si aggiungono gli arretrati maturati nel biennio 2016-2017 corrisposti una tantum in occasione della prima scadenza utile: circa 556 euro per le forze di polizia e 517 euro per le forze armate. Sempre sulla parte economica il nuovo contratto prevede il riconoscimento delle indennità di impiego operativo al personale assente per infermità o in licenza straordinaria, un aumento dell'assegno funzionale del personale con almeno 17 anni di servizio di 10 euro al mese e la rivalutazione dei compensi per il lavoro straordinario.
I nuovi trattamenti stipendiali avranno effetto, come già disposto per gli altri comparti del pubblico impiego, anche sulle pensioni del personale cessato tra il 2016 ed il 2018 a cui dovrà essere, pertanto, ricalcolato l'assegno sulla base degli intero aumento a regime riconosciuto dal contratto 2016-2018 (qui ulteriori dettagli). Mentre ai fini dell'indennità di buonuscita saranno considerati solo gli scaglionamenti maturati al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
La parte normativa
Riguardo alla parte normativa il nuovo contratto recepisce diversi istituti di flessibilità introdotti con la Legge Madia e del Jobs Act. I permessi brevi (concessi ad esempio per espletare visite specialistiche, terapie o esami diagnostici) salgono ad un massimo di 54 ore annue dalle 36 ore attuali. Il dipendente che avrà usufruito delle ore di permesso dovrà recuperarle nel mese successivo. Il congedo parentale retribuito (45 giorni) sarà frazionabile entro il compimento del 6° anno del bambino, mentre il congedo ordinario non goduto nel corso dell'anno sarà fruibile nei 18 mesi successivi. Rideterminata l'indennità di compensazione in 8 euro (dai 5 euro previsti attualmente) mentre l'anticipo delle spese legali cresce a 5mila euro raddoppiando rispetto ai 2.500 euro attualmente previsti.
Gli impegni del Governo
Il governo, inoltre, si impegnerà a proseguire i lavori per la “coda contrattuale”, che interesserà numerose materie e istituti tra cui il trattamento di missione, con particolare riferimento a spese di pernottamento, diaria giornaliera, rimborso forfettario; la disciplina del recupero psico-fisico del personale impegnato in specifici servizi; l'introduzione di una disposizione che consenta, in caso di trasferimento con alloggio di servizio non disponibile, la possibilità di depositare le masserizie a spese dell’Amministrazione; il riassetto della disciplina dell’indennità per i servizi esterni, anche al fine di valorizzare le peculiarità di ogni singola Amministrazione previsione di nuove indennità connesse a particolari istituti e servizi peculiari delle Forze di polizia, nonché eventuale rivisitazione di quelle già esistenti; la previsione dell’istituzione di fondi per il sostegno del personale in relazione alle spese mediche.
Tra gli impegni assunti dal Governo c'è anche la rivalutazione di istituti retributivi per le forze speciali e per le forze di supporto alle operazioni speciali; introduzione di istituti retributivi nei confronti di “sensor operator”; rivalutazione delle indennità connesse al rischio (esempio: rischio radiologico; disattivazione degli ordigni esplosivi, operatori subacquei).
- by Alex