In tal caso, per la Cassazione, si rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori
Fonte:studio cataldi di Valeria Zeppilli –
Se il badge non si limita a rilevare l'orario di ingresso e di uscita del lavoratore, ma raccoglie una serie di altri dati inerenti alla prestazione lavorativa, può divenire uno strumento di controllo, sottoposto alle cautele di cui all'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.
La Corte di cassazione lo ha chiarito con la sentenza numero 17531/2017 (allegata), con la quale ha confermato l'illegittimità del licenziamento disciplinare inflitto a un lavoratore proprio avvalendosi delle risultanze dei dati acquisiti per il tramite del badge.
Illegittimo il badge che controlla permessi e pause
I giudici, in particolare, hanno avuto modo di precisare che la rilevazione delle entrate e delle uscite mediante un'apparecchiatura predisposta dal datore di lavoro e utilizzabile anche qualestrumento di controllo del rispetto del dovere di diligenza gravante sul lavoratore, che non è né concordata con le rappresentanze sindacali né autorizzata dall'ispettorato del lavoro rientra nella fattispecie di cui al secondo comma dell'articolo 4, risolvendosi in un controllo sull'orario di lavoro e in un accertamento sul quantum della prestazione.
Nel caso di specie, il rilevatore della presenza trasmetteva alla centrale operativa dati riguardanti non solo l'orario di ingresso e di uscita, ma anche le sospensioni, i permessi e le pause e, così facendo, consentiva di fatto un controllo costante e a distanza del rispetto dell'obbligo di da parte dei lavoratori, senza alcuna garanzia procedurale. Il suo utilizzo, quindi, non può che essere dichiarato illegittimo.
Fonte: legge per tutti
Non si può misurare il rendimento di un dipendente misurandolo con un collega di pari livello e funzioni normodotato.
La giurisprudenza sta gradatamente aprendo le porte alla possibilità del licenziamento per scarso rendimento, ossia del dipendente che produce meno e più a rilento degli altri. Anche se ciò richiede l’invio di previa lettera di diffida e un rendimento inferiore alla media delle prestazioni dei colleghi addetti al medesimo settore, la Cassazione ritiene che il datore possa sbarazzarsi dei lavoratori fannulloni. Ma attenzione: la valutazione del merito del dipendente può farsi solo tenendo conto delle sue specifiche capacità fisiche. In altri termini, in presenza di un lavoratore con una ridotta capacità lavorativa, dovuta a una situazione di invalidità, non si può procedere al licenziamento solo in presenza di una forte sproporzione di risultato rispetto ai colleghi normodotati. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [Cass. sent. n. 17526/17 del 17.07.2017.].
È responsabile l’azienda che prima assume un lavoratore con delle minorazioni fisiche (ad esempio la cecità a un occhio) e poi lo licenzia con la scusa dello scarso rendimento. La colpa del datore sta nell’aver adibito il dipendente a mansioni incompatibili con le sue ridotte capacità lavorative.
Lo scarso rendimento può dipendente solo dalla malafede (la volontà del dipendente di non lavorare e di perdere tempo in comportamenti ostruzionistici o di parassitaria pigrizia) o da una grave colpa (il lavoratore che si stanca facilmente sul lavoro perché la notte fa tardi in discoteca). Viceversa, non si può licenziare per scarso rendimento quando il parametro di riferimento sono dei colleghi di lavoro che non presentano minorazioni di qualsiasi tipo. Fa del resto parte del principio di uguaglianza quello di valutare situazioni uguali in modo uguale e situazioni diverse in modo tra loro diverso. Come appunto i dipendenti normodotati e quelli con invalidità.
Legittimo il pedinamento durato molti giorni ed effettuato da un investigatore privato assoldato dal datore di lavoro.
La Cassazione sdogana i pedinamenti prolungati, anche per diverse settimane, nei confronti dei lavoratori. Con una sentenza di poche ore fa [Cass. sent. n. 17723/17 del 18.07.2017.], la Suprema Corte ha detto che il capo può far pedinare i dipendenti anche in spregio delle più elementari regole di privacy che, altrimenti, sarebbero invocabili da chiunque si trovi addosso uno sconosciuto a controllarne giorno e notte i movimenti. Così anche per 20 giorni è legittimo che un investigatore privato si metta alle calcagna del lavoratore per coglierlo in fallo e fornire su un piatto d’argento, al datore di lavoro, le prove fotografiche della sua infedeltà. Il tutto – neanche a dirlo – ai fini di un licenziamento incontestabile.
Legittimo il pedinamento prolungato del dipendente
Fino a quando il datore di lavoro può controllare i dipendenti? Di certo sappiamo che i controlli all’interno dell’azienda sono vietati dallo Statuto dei lavoratori. Ma ciò che non può avvenire dentro il luogo di lavoro può ben accadere al di fuori. Così il capo può far pedinare i dipendenti a lungo con un investigatore privato che ne controlli gli spostamenti. E – qui la novità – non deve trattarsi necessariamente di un giorno o due, ma anche di più settimane. Possibile? Non è contrario alla privacy un pedinamento ripetuto e continuato al fine esclusivo di trovare le prove per il licenziamento? Si può ledere la riservatezza di una persona così indisturbatamente? La risposta affermativa della Cassazione potrà lasciare interdetti. C’è solo un modo per contestare il licenziamento: se il fatto appurato dall’investigatore non è talmente grave da comportare la sanzione espulsiva. In questo caso, però, è dovuto solo un risarcimento del danno e non la reintegra.
Nessuna sanzione è dunque possibile nei confronti del capo che si affida a un’agenzia investigativa per monitorare costantemente per 3 settimane il dipendente fuori dai luoghi di lavoro. Secondo i magistrati della Cassazione ci si trova di fronte a «un’attività investigativa svolta da un’agenzia privata e connessa ad una specifica indagine su pretese violazioni del dipendente in relazione a compiti esterni fuori sede, indagine che ricade nella figura del controllo difensivo da parte del datore di lavoro in una sfera eccedente i luoghi di lavoro». Ciò significa che non si può parlare di «violazione della privacy» del lavoratore o di eccessiva «invasività dei controlli dal punto di vista meramente quantitativo (i giorni del pedinamento)», poiché la durata (20 giorni) non eccede i principi di adeguatezza e di proporzionalità.
Fonte: legge per tutti
Datore di lavoro, dirigente, preposto: le posizioni di garanzia nei luoghi di lavoro.
Occorre comprendere come si articoli, nel sistema della sicurezza del lavoro, la posizione di garanzia, come essa debba essere definita in linea di principio e come debba essere riconosciuta in concreto nell’organizzazione aziendale.
La materia è disciplinata dal D.Lgs. 81/2008, che ha recepito la sistemazione dell’istituto che si era formata nel corso di una lunga giurisprudenza.
Raccogliendo le indicazioni che in modo sostanzialmente coerente provengono da queste fonti, occorre preliminarmente rammentare che il sistema prevenzionistico, come è noto, è tradizionalmente fondato su diverse figure di garanti che incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzativa e gestionale.
Indice
La prima figura è quella del datore di lavoro. Si tratta del soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione dell’azienda o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. La definizione contenuta nel D.Lgs. 81/2008 è simile a quella contenuta nella normativa degli anni ‘90 e a quella fatta propria dalla giurisprudenza, e sottolinea il ruolo di dominus di fatto dell’organizzazione e il concreto esercizio di poteri decisionali e di spesa. L’ampiezza e la natura dei poteri è ora anche indirettamente definita dall’art. 16 che, con riferimento alla delega di funzioni, si occupa del potere di organizzazione, gestione, controllo e spesa.
Il dirigente costituisce il livello di responsabilità intermedio: è colui che attua le direttive del datore di lavoro, organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa, in virtù di competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli.
Infine, il preposto è colui che sovraintende alle attività, attua le direttive ricevute controllandone l’esecuzione, sulla base e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico.
Per ambedue le ultime figure occorre tenere conto, da un lato, dei poteri gerarchici e funzionali che costituiscono la base e il limite della responsabilità e, dall’altro, del ruolo di vigilanza e controllo. Si può dire, in breve, che si tratta di soggetti la cui sfera di responsabilità è conformata sui poteri di gestione e controllo di cui concretamente dispongono.
Queste definizioni tratteggiano grandi contenitori concettuali che subiscono specificazioni in relazione a diversi fattori, quali il settore di attività, la conformazione giuridica dell’azienda, la sua concreta organizzazione e le sue dimensioni, ed è possibile che in un’organizzazione di qualche complessità vi siano diverse persone, con diverse competenze, chiamate a ricoprire i suindicati ruoli.
Queste considerazioni indicano che l’individuazione della responsabilità penale passa, non di rado, attraverso un’accurata analisi delle diverse sfere di responsabilità gestionale e organizzativa all’interno di ciascuna istituzione. Dunque, rilevano da un lato le categorie giuridiche, i modelli di agente, e dall’altro i concreti ruoli esercitati da ciascuno. Si tratta, in breve, di una ricognizione essenziale per un’imputazione che voglia essere personalizzata, in conformità ai principi che governano l’ordinamento penale, per evitare l’indiscriminata, quasi automatica attribuzione dell’illecito a diversi soggetti.
L’analisi dei ruoli e delle responsabilità di cui si parla viene tematizzata tradizionalmente entro la categoria giuridica della posizione di garanzia, espressione che esprime in modo condensato l’obbligo giuridico di impedire l’evento che fonda la responsabilità in ordine ai reati commissivi mediante omissione, ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p.
Questo classico inquadramento deve essere arricchito con alcune considerazioni aggiuntive.
Noi siamo abituati a pensare ai reati colposi come a illeciti omissivi. Questa visione è alimentata soprattutto dal fatto, oggetto di immediata e forte percezione intuitiva, che in tale categoria di reati si individua sempre qualcosa che è mancato, che è stato omesso.
Tale modo di vedere le cose non sempre corrisponde alla realtà. È sufficiente pensare, ad esempio, al preposto che consegni una scala rotta al lavoratore che conseguentemente cada, oppure al dirigente che invii un dipendente in un ambiente saturo di sostanze venefiche. In tali situazioni è difficile negare la presenza di condotte attive rilevanti. Tuttavia, anche in tali contingenze, chiaramente riconducibili alla causalità commissiva e, quindi, estranee alla disciplina di cui all’art. 40 cpv. c.p. e alla strumentale categoria giuridica del garante, si è soliti parlare ugualmente di posizione di garanzia. Tale contingenza rende chiaro che quando nell’ambito di reati colposi commissivi si parla di «garante» per definire la sfera di responsabilità di un soggetto si usa il termine in un significato più ampio e diverso rispetto a quello connesso all’art. 40 cpv. c.p.
A tale riguardo, occorre considerare che la causalità condizionalistica (o dell’equivalenza causale) è caratterizzata dalla costi tutiva, ontologica indifferenza per il ruolo qualitativo delle singole condizioni, che sono tutte equivalenti. Ne discende l’esigenza di arginare l’eccessiva forza espan siva dell’imputazione del fatto determinata dal condizionalismo. Tale esigenza è alla base della causalità giuridica e si manifesta lungo il corso della plurisecolare storia del diritto penale moderno.
La necessità di limitare l’eccessiva ampiezza dell’imputazione oggettiva generata dal condizionalismo è alla base di note elaborazioni teoriche: la causalità adeguata, la causa efficiente, la causalità umana e la teoria del rischio. Tale istanza si rinviene altresì nel controverso art. 41 cpv. c.p.
L’esigenza cui tali teorie tentano di corrispondere è però sempre la stessa: tentare di limitare, separare le sfere di responsabilità, in modo tale da esprimere un ponderato giudizio sulla paternità dell’evento illecito.
Il contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con particolare chiarezza la centralità dell’idea di rischio: tutto il sistema è conformato per governare l’immane rischio, gli indicibili pericoli, connessi al fatto che l’uomo si fa ingranaggio fragile di un apparato gravido di pericoli. Il rischio è una categoria unitaria che si declina concretamente in diverse forme, in relazione alla diverse situazioni lavorative. Pertanto, esistono diverse aree di rischio e distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare. Soprattutto nei contesti lavorativi più complessi si è frequentemente in presenza di differenziate figure di soggetti investiti di ruoli gestionali autonomi. Ciò suggerisce che in molti casi occorre configurare, già sul piano dell’imputazione oggettiva, distinte sfere di responsabilità gestionale, separando le une dalle altre. Esse conformano e limitano l’imputazione penale dell’evento al soggetto che viene ritenuto «gestore» del rischio. Allora, si può dire in breve, garante è il soggetto che gestisce il rischio.
L’acquisizione della veste di garante può aver luogo per effetto di una formale investitura, oppure a seguito dell’esercizio in concreto di poteri giuridici riferiti alle diverse figure.
Un’ulteriore indicazione normativa per individuare in concreto i diversi ruoli deriva dall’art. 28 D.Lgs. 81/2008, relativo alla valutazione dei rischi e al documento sulla sicurezza, che costituisce una sorta di statuto della sicurezza aziendale. La valutazione riguarda solo «tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori». Dunque, non è possibile ricavare dal sistema prevenzionistico delineato dal Testo unico indicazioni direttamente vincolanti per ciò che riguarda l’obbligo di governare altri rischi presenti nell’organizzazione.
Il documento deve contenere la valutazione dei rischi per i lavoratori, l’individuazione di misure di prevenzione e protezione, l’individuazione delle procedure, nonché dei ruoli che vi devono provvedere, affidati a soggetti muniti di adeguate competenze e poteri. Si tratta quindi di una sorta di mappa dei poteri e delle responsabilità cui ognuno dovrebbe poter accedere per acquisire le informazioni pertinenti.
La sfera di responsabilità organizzativa e giuridica così delineata è, per così dire, originaria. Essa è generata dall’investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garanti.
Nell’individuazione del garante, soprattutto nelle istituzioni complesse, occorre partire dall’identificazione del rischio che si è concretizzato, del settore e del livello in cui si colloca il soggetto deputato al governo del rischio stesso, in relazione al ruolo che questi riveste. Ad esempio, semplificando nel modo più banale, potrà accadere che rientri nella sfera di responsabilità del preposto l’incidente occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa; in quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa; in quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo. Naturalmente, il quadro proposto è molto semplificato e diviene non di rado assai più complesso nella realtà.
L’investitura del garante può essere anche derivata, in presenza di una delega specifica, che attribuisca poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa ben definiti a un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza (art. 16 D.Lgs. 81/2008). La delega comporta il trasferimento dal delegante al delegato di poteri e responsabilità del delegante. Questi, per così dire, si libera di poteri e responsabilità che vengono assunti a titolo derivativo dal delegato. La delega, quindi, determina la riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilità. Residua, in ogni caso, tra l’altro, come chiarisce l’art. 16 D.Lgs. 81/2008, un obbligo di vigilanza «alta», che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato.
Fonte:legge per tutti
La sicurezza sul luogo di lavoro e la posizione di garanzia del responsabile del servizio di prevenzione che, insieme al medico, collabora col datore per evitare gli infortuni.
Il servizio di prevenzione e protezione, insieme al medico competente, svolge un ruolo di collaborazione con il datore di lavoro. Il servizio, previsto dall’art. 33 D.Lgs. 81/2008, deve essere composto da persone munite di specifiche capacità e requisiti professionali, adeguati ai bisogni dell’organizzazione, e ha importanti compiti, che consistono nell’individuazione e valutazione dei rischi, nonché nel proporre le misure preventive e protettive di cui all’art. 28 D.Lgs. 81/2008.
Questa figura svolge una delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico ma è priva di autonomia decisionale: essa, tuttavia, coopera in un contesto che vede coinvolti diversi soggetti, con distinti ruoli e competenze, un lavoro in equipe.
Alla luce di tali considerazioni si è affermato che i componenti del servizio di prevenzione e sicurezza non possono assumere la veste di garante poiché non sono destinatari in prima persona di obblighi sanzionati penalmente e svolgono un ruolo non operativo ma di mera consulenza.
L’assenza di sanzioni penali, tuttavia, non costituisce un argomento risolutivo per escludere il ruolo di garante. Ciò che importa è che i componenti del servizio di prevenzione e protezione siano destinatari di obblighi giuridici, e non può esservi dubbio che, con l’assunzione dell’incarico, essi assumano l’obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni che si sono viste.
D’altra parte, il ruolo svolto da costoro è parte inscindibile di una procedura complessa che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro. La loro attività può rilevare ai fini della spiegazione causale dell’evento illecito: si pensi al caso del servizio di prevenzione e protezione che manchi di informare il datore di lavoro di un rischio la cui conoscenza derivi da competenze specialistiche.
In situazioni del genere è ragionevole attribuire, in presenza di tutti i presupposti di legge e, in particolare, di una condotta colposa, la responsabilità dell’evento ai soggetti di cui parliamo. Una diversa soluzione rischierebbe di far gravare sul datore di lavoro una responsabilità che esula dalla sfera della sua competenza tecnico-scientifica [Cass. pen., IV, 23-11-2012, n. 49821.].
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, sebbene privo di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale, collabora con il datore di lavoro nell’individuazione e nella segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nell’elaborazione delle procedure di sicurezza, di informazione e formazione dei lavoratori, come disposto dall’art. 33 D.Lgs. 81/2008. Da ciò consegue che:
Deve dunque ritenersi corretta la funzione consultiva attribuita al «medico competente» nell’ambito del rapporto di collaborazione che la legge gli attribuisce, ma un’eccessiva delimitazione di tale ruolo sarebbe sbagliata.
È evidente, avuto riguardo all’oggetto della valutazione dei rischi, che il datore di lavoro debba essere necessariamente coadiuvato da soggetti, come il medico competente, portatori di speciftche conoscenze professionali, per cui lo svolgimento di tali compiti da parte del medico competente comporta un’effettiva integrazione nel contesto aziendale [Cass. pen. 15-1-2013, n. 1856.]
Per lo svolgimento delle funzioni di medico competente è necessario partecipare al programma di educazione continua in medicina.
Fonte: legge per tutti
Secondo la definizione fornita dall’art. 2, lett. h), D.Lgs. 81/2008, il medico competente è il medico che collabora con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi, effettua la sorveglianza sanitaria e svolge tutti gli altri compiti previsti dal D.Lgs. 81/2008.
L’attività di collaborazione del medico competente, già prevista dall’abrogato art. 17 D.Lgs. 626/1994, ma limitata alla predisposizione dell’attuazione delle misure per la tutela della salute e dell’integrità psicofisica dei lavoratori sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva e delle si tuazioni di rischio, è stata ampliata dal D.Lgs. 81/2008 che, nell’art. 25, la estende anche alla programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, all’attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza e alla organizzazione del servizio di primo soccorso, considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro.
Ai sensi dell’art. 38, co. 1, D.Lgs. 81/2008, il medico competente deve possedere uno dei seguenti titoli:
Per lo svolgimento delle funzioni di medico competente è necessario partecipare al programma di educazione continua in medicina ai sensi del D.Lgs. 229/1999, a partire dal programma triennale successivo all’entrata in vigore del D.Lgs. 81/2008 e quindi a partire dal triennio 20112014.
I crediti previsti dal programma triennale dovranno essere conseguiti nella misura non inferiore al 70% del totale nella disciplina «medicina del lavoro e sicurezza degli ambienti di lavoro».
Come precisato dal decreto del Ministero del lavoro del 4 marzo 2009, il conseguimento dei crediti formativi del programma triennale di educazione continua in medicina, ovvero il completo recupero dei crediti mancanti entro l’anno successivo alla scadenza del medesimo programma triennale di educazio ne continua in medicina, quale requisito necessario per poter svolgere le funzioni di medico competente, comporta, per l’interessato, l’obbligo di comunicare il possesso del necessario requisito formativo mediante l’invio all’Ufficio indicato all’art. 1, co. 1, della certificazione dell’Ordine di appartenenza o di apposita autocertificazione.
Inoltre, il medesimo decreto, all’art. 3 precisa che il Ministero del lavoro effettua con cadenza annuale verifiche, anche a campione, dei requisiti e dei titoli auto certificati e che l’esito negativo della verifica comporta la cancellazione d’uf ftcio dall’elenco dei medici competenti. Tale obbligo è un unicum, poiché per nessun’altra specializzazione medica è richiesto un adempimento così speci fico. Tutti i medici devono partecipare al programma di aggiornamento continuo in medicina, ma per nessun’altra specializzazione è previsto l’obbligo che tale aggiornamento venga eseguito nella percentuale del 70% nel settore specifico e, soprattutto, in nessun caso è prevista la cancellazione d’ufficio da un qualsi voglia elenco Come accennato, i medici in possesso dei titoli e dei requisiti di medico compe tente sono iscritti nell’elenco dei medici competenti istituito presso il Mi nistero della salute; infatti, il comma 4 dell’art. 38 D.Lgs. 81/2008 prevede che i medici in possesso dei titoli e dei requisiti idonei e previsti dal comma 1 del lo stesso articolo, sono iscritti nell’elenco dei medici competenti istituito presso il Ministero della salute [Campurra, Le modifiche all’attività del medico competente nel «correttivo» al TU, in Igiene & sicurezza lav., n. 9/2009, 495 s].
Inabilità alle mansioni, a proficuo lavoro o a qualsiasi attività, Ape sociale, maggiorazione dei contributi: quando può pensionarsi il lavoratore pubblico invalido.
Fonte:legge per tutti
Lavoratore pubblico, invalido al 75% in aggravamento, 66 anni, in aspettativa non retribuita per malattia: quando posso pensionarmi? Posso versare i contributi volontari?
Per quanto riguarda le assenze per malattia nel pubblico impiego, i contratti collettivi, per la generalità dei comparti, prevedono che il dipendente pubblico abbia diritto alla conservazione del posto (periodo di comporto) per un totale di 18 mesi: i 18 mesi sono contati cumulando le assenze degli ultimi 3 anni.
Indice
In casi particolarmente gravi il periodo di comporto si raddoppia, ma senza retribuzione (si veda, ad esempio, il contratto collettivo Enti locali [Art.21 CCNL Enti Locali.] e quanto confermato dagli orientamenti applicativi Aran [Orientamenti Applicativi Aran, RAL 8 e RAL 531.]), previo accertamento da parte della commissione medica competente, finalizzato a stabilire l’esistenza di eventuali cause di assoluta e permanente inidoneità fisica a svolgere qualsiasi proficuo lavoro.
Terminato il periodo di comporto, o accertata l’inidoneità assoluta all’impiego, l’amministrazione può risolvere il rapporto di lavoro con il dipendente: questo non vuol dire, però, che il dipendente resti sprovvisto di tutela, perché può aver diritto a una pensione non solo in caso di riconoscimento d’inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa, ma anche d’inabilità a una specifica mansione o a proficuo lavoro.
A seguito della presentazione di domanda per il riconoscimento dell’inabilità, difatti, è possibile che sia accertata:
Bisogna sottolineare che quest’ultima pensione di inabilità è incompatibile con l’attività da lavoro dipendente, con l’iscrizione negli elenchi degli operai agricoli e dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, mezzadri e coloni) e con l’iscrizione agli albi professionali; le altre due tipologie di pensione di inabilità, invece, non presentano incompatibilità con ulteriori attività lavorative.
Nel caso del lettore, quindi, considerato l’aggravamento delle sue condizioni di salute, è molto probabile che, dietro accertamento dell’apposita commissione medica di verifica, sia riconosciuta immediatamente una di queste tre tipologie di pensione d’inabilità.
Il lettore potrebbe, se in possesso di almeno 30 anni di contributi, usufruire, in alternativa, dell’Ape sociale, in quanto in possesso di invalidità superiore al 74%: l’Ape sociale è un sostegno al reddito pari alla futura pensione, erogato dall’Inps sino alla data di maturazione della pensione di vecchiaia.
Per la domanda di riconoscimento dei requisiti occorre affrettarsi, in quanto la prima “finestra” si chiude il 15 luglio 2017: la domanda può essere inviata direttamente dal sito dell’Inps, se si possiedono le credenziali (pin dispositivo, carta nazionale dei servizi o identità spid di secondo livello) o tramite patronato.
Nel caso in cui il lettore non abbia la possibilità di avvalersi delle alternative elencate, potrebbe semplicemente attendere il compimento di 66 anni e 7 mesi di età per percepire la pensione di vecchiaia: per questo trattamento bastano 20 anni di contributi, quindi il versamento dei contributi volontari servirebbe ad aumentare (e di poco, a fronte di un esborso non indifferente, pari al 33% dello stipendio) unicamente la misura della pensione.
Se, però, l’interessato non arriva alrequisito minimo di 20 anni previsto per la pensione di vecchiaia, a causa dei periodi non retribuiti, deve sapere che ha la possibilità di richiedere l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari all’Inps: i contributi volontari servono proprio a coprire i periodi durante i quali la contribuzione obbligatoria o figurativa o da riscatto non è accreditata. È possibile, dunque, coprire i periodi di aspettativa non retribuita per malattia, in quanto non danno luogo all’accredito di contributi figurativi.
Per ottenere l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari si devono possedere nella gestione prescelta:
Una volta ottenuta l’autorizzazione, è possibile coprire non solo i periodi successivi alla domanda, ma anche i 6 mesi pregressi.
Bisogna infine sapere, al fine di stabilire a quanto ammontino le settimane di contributi mancanti per la pensione, che, a partire dalla data in cui è riconosciuta l’invalidità in misura superiore al 74%, si ha diritto a due mesi di contributi figurativi per ogni anno di lavoro.
La riforma del processo penale introduce l'estinzione del reato per condotte riparatorie in caso di procedibilità a querela revocabile
Fonte:studiocataldi di Valeria Zeppilli –
La riforma del processo penale recentemente approvata (allegato) ha introdotto nel codice penale un nuovo articolo, il numero 162-ter, rubricato "Estinzione del reato per condotte riparatorie".
Con esso, in sostanza, si prevede che se l'imputato hariparato interamente il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ne ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose, il giudice dichiara l'estinzione del reato. A tal fine, non è richiesto che l'offerta sia accettata dalla vittima, ma è sufficiente che la somma sia reputata congrua dal giudice.
La riparazione, tuttavia, deve avvenire integralmente entroil termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, salvo l'ulteriore termine di massimo sei mesi accordabile dal giudice all'imputato che dimostri di non aver potuto adempiere nel termine ordinario per fatto a lui non addebitabile.
La nuova causa di estinzione del reato per condotte riparatorie, in ogni caso, non si applica a tutti i reati ma, per espressa previsione dell'articolo 162-ter c.p., solo aireati perseguibili a querela soggetta a remissione.
Potranno essere estinti con la riparazione, quindi, i seguenti reati:
- mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 c.p.)
- violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo (art. 388-bis c.p.)
- esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (art. 392 c.p.)
- esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (art. 393 c.p.)
- soppressione, distruzione e occultamento di atti veri se il fatto concerne una cambiale o un titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore (art. 490 c.p.)
-falsità in cambiale o titoli di credito, ma non in testamento olografo (art. 491 c.p.)
-turbata libertà dell'industria o del commercio (art. 513 c.p.)
-violazione degli obblighi di assistenza familiare, salvo limitate eccezioni (art. 570 c.p.)
-sottrazione consensuale di minorenni (art. 573 c.p.)
-sottrazione di persone incapaci (art. 574 c.p.)
-percosse (art. 581 c.p.)
-lesioni personali lievissime (art. 582 c.p.)
-lesioni personali colpose, tranne determinate eccezioni (art. 590 c.p.)
-diffamazione (art. 595 c.p.)
-minaccia (art. 612 c.p.)
-stalking non realizzato con minacce gravi (art. 612-bis c.p.)
-violazione di domicilio (art. 614 c.p.)
-interferenze illecite nella vita privata, purché non commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato (art. 615-bis c.p.)
-accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico non aggravato (art. 615-ter c.p.)
-violazione sottrazione e soppressione di corrispondenza (art. 616 c.p.)
-cognizione interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche, purché non commesso in danno di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio nell'esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.(art. 617 c.p.)
-intercettazione impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche, purché non commesso in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità; da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato. (art. 617-quater c.p.)
-rivelazione del contenuto di corrispondenza (art. 618 c.p.)
-rivelazione del contenuto di documenti segreti (art. 621 c.p.)
-rivelazione di segreto professionale (art. 622 c.p.)
-rivelazione di segreti scientifici o industriali (art. 623 c.p.)
-furto semplice (art. 624 c.p.)
-furto commesso dal colpevole al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa sottratta, quando questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita (art. 626 c.p.)
-furto commesso su cose di tenue valore, per provvedere a un grave ed urgente bisogno (art. 626 c.p.)
-furto commesso spigolando, rastrellando o raspollando nei fondi altrui, non ancora spogliati interamente del raccolto (art. 626 c.p.)
-usurpazione – rimozione o alterazione dei termini di un immobile (art. 631 c.p.)
-deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi (art. 632 c.p.)
-invasione di terreni o edifici (art. 633 c.p.)
-danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici (art. 635-bis c.p.)
-introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo (art. 636 c.p.)
-ingresso abusivo nel fondo altrui (art. 637 c.p.)
-uccisione o danneggiamento di animali altrui (art. 638 c.p.)
-deturpazione e imbrattamento di cose altrui, salvo che il fatto sia commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati o su cose di interesse storico o artistico (art. 639 c.p.)
-truffa non aggravata (art. 640 c.p.)
-frode informatica non aggravata (art. 640-ter c.p.)
-insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.)
-fraudolento danneggiamento di beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona (art. 642 c.p.)
-appropriazione indebita, salvo che il fatto sia commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario o che ricorra taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell'articolo 61 c.p. (art. 646 c.p.)
-delitti contro il patrimonio di alcuni determinati congiunti, commessi senza violenza alle persone (art. 649 c.p.)
Pensioni, Poletti: Il prestito pensionistico partirà dopo l'estate
Fonte:pensionioggi Scritto da Valerio Damiani
Governo verso il via libera all'anticipo pensionistico volontario. L'approvazione è in essere, ma penso che partirà a inizio settembre" lo ha detto in un videoforum con 'Repubblica' il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. . La misura, prevista nella Legge di Bilancio per il 2017, consentirà ai soggetti con un minimo di 63 anni di età e 20 anni di contributi che si trovino a non più di 3 anni e 7 mesi dal pensionamento di vecchiaia nel regime obbligatorio di ritirarsi in anticipo sfruttando un prestito erogato dal settore bancario e garantito da una polizza assicurativa. Prestito che sarà restituito con un prelievo ventennale sulla pensione.
Anche se in ritardo di diversi mesi rispetto alla tabella di marcia la novità è attesa soprattutto dalle platee di soggetti non destinatari dell'APe sociale e della Quota 41 (le categorie più disagiate il cui anticipo è stato coperto dallo Stato) che dovranno, quindi, accettare una penalità sull'assegno finale come contropartita dell'uscita anticipata. L'entità della rata di ammortamento sarà influenzata da diversi fattori: prima di tutto la durata del prestito (più si anticipa l'uscita maggiore sarà il costo da sostenere); l'entità dell'anticipo richiesto (maggiore sarà l'importo mensile richiesto più alta sarà la rata di ammortamento); i tassi di interesse applicati dal settore bancario e il costo della polizza assicurativa (che saranno fissati in apposite convenzioni con il settore bancario e saranno variabili nel tempo).
Il lavoratore potrà anticipare la data di pensionamento da un minimo di sei mesi ad un massimo di 43 mesi dalla pensione di vecchiaia; mentre l'importo finanziabile oscillerà tra un minimo di 150 euro mensili ad un massimo pari ad una percentuale della pensione netta maturata al momento della richiesta di APE (e certificata dal'Inps). La percentuale massima erogabile sarà legata ai mesi di anticipo richiesti: per anticipi inferiori a 12 mesi si potrà riscuotere il 90% della pensione netta; per anticipi da 12 a 23 mesi si scende al 85%; dai 24 ai 35 mesi l'80% e per anticipi superiori a 35 mesi si potrà conseguire sino al 75% della pensione netta. Ad esempio un lavoratore con una pensione netta di 2.000 euro potrà chiedere una APE del valore massimo di 1.500 euro mensili per anticipi superiori a 35 mesi; mentre l'importo massimo ottenibile sale a 1.700 euro in caso di un anticipo di soli 12 mesi. Il lavoratore avrà però una ampia scelta su come definire l'anticipo a seconda delle proprie necessità. Ad esempio sarà possibile ridurre l'importo mensile richiesto nel caso in cui si decida di non lasciare completamente il lavoro (passando ad un'attività lavorativa part-time) o in caso si combini l'anticipo con la RITA (la rendita integrativa temporanea anticipata). Anche chi gode dell'APE sociale potrà chiedere l'APE volontario per assicurasi l'erogazione della quota di pensione eccedente il valore di 1.500 euro lordi. Nel decreto di prossima approvazione dovrebbe anche esserci una garanzia contro il rischio slittamento dell'età pensionabile al pari di quanto è stato previsto per l'APe sociale.
Rispetto alle ipotesi circolate alla fine dello scorso anno il costo sarà più leggermente sostenuto perchè il piano di ammortamento dovrà tenere conto anche dei mesi di anticipo in cui è erogato il prestito (fase di accumulo). Inoltre i tassi di interesse (sia nel piano di accumulo che nel piano di ammortamento) ventennale saranno superiori al 2,5% ipotizzato a Novembre da Nannicini. Complessivamente, quindi, la misura dovrà essere valutata attentamente dal lavoratore per comprenderne costi e benefici. La tavola sottostante, elaborata da PensioniOggi.it, riepiloga i costi a cui andrà incontro il lavoratore nell'ipotesi di un TAN del 3% e di un premio assicurativo pari al 32% del capitale assicurato.
La restituzione del prestito inizierà dal primo pagamento della futura pensione e si completerà dopo venti anni dal pensionamento. Chi avrà, quindi, la fortuna di campare sino almeno a 87 anni completerà il pagamento e a quel punto la pensione sarà corrisposta per intero, senza riduzioni. Mentre in caso di decesso anticipato (cioè prima della scadenza del piano di ammortamento) gli eredi non subiranno alcun nocumento (dato che sarà la polizza assicurativa ad estinguere il prestito): la rata di ammortamento cioè non si trasferirà sulla pensione di reversibilità del coniuge. Particolare attenzione dovrà essere riposta alla possibilità di estinzione anticipata del prestito, secondo criteri che saranno fissati dal predetto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Lo sblocco dell'APE volontario consentirà il decollo anche dell'APe aziendale, cioè quello finanziato anche tramite un contributo delle imprese esodanti, e la RITA, la rendita integrativa temporanea anticipata.
Riforma Pensioni, Poletti Apre alla Pensione di Garanzia. Ecco le ipotesi
Fonte:pensionioggi
Un assegno di garanzia per i giovani, flessibilità in uscita e meccanismi che non penalizzino le donne. Sono solo alcune delle ipotesi esaminate ieri durante il seminario del Pd 'Non è una pensione per giovani - Rapporti tra generazioni e riforma del sistema previdenziale', andato in scena al Nazareno, e al quale hanno preso parte, tra gli altri, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il vicesegretario del Pd Maurizio Martina, Tommaso Nannicini e i leader sindacali di Cgil, Cisl e Uil.
Tra le proposte emerse spicca quella avanzata da Stefano Patriarca, consigliere economico della presidenza del Consiglio, che ha illustrato l'ipotesi di una pensione contributiva minima di 650 euro mensili per chi ha 20 anni di contributi. Secondo il consigliere di Palazzo Chigi si potrebbe "introdurre anche nel sistema contributivo l'integrazione ad un minimo presidenziale come c'è attualmente nel sistema retributivo". Per Patriarca, la struttura "potrebbe essere pari all'attuale minimo complessivo dell'assegno sociale, pari a 650 euro mensili per 20 anni di contributi e potrebbe essere legata in modo parziale alla presenza sul mercato del lavoro. "I 650 euro mensili possono aumentare di 30 euro al mese per ogni anno di contribuzione superiore al 20esimo anno - ha rimarcato Patriarca - fino a un massimo di mille euro" e l'assegno potrebbe valere anche per gli anticipi. L'introduzione dell'integrazione a un minimo previdenziale come nel retributivo, inoltre, determinerebbe un tasso di sostituzione per una carriera piena (40 anni di contributi) pari al 65% della retribuzione media netta. Nel convegno è emersa anche la necessità di introdurre misure previdenziali in favore di donne e lavoratori che assistono disabili (i cd. lavori di cura) che più degli altri hanno pagato il prezzo delle ultime riforme previdenziali.
Anche Poletti è sulla stessa lunghezza d'onda: "Chi come i giovani ha una condizione di lavoro discontinua, ha un grado di penalizzazione piuttosto alto" nella definizione della propria condizione previdenziale: per questo "anche se abbiamo del tempo davanti, è un tema che non possiamo rinviare" per trovare uno strumento "che si può chiamare pensione di garanzia o come vogliamo". Poletti ha poi evidenziato la necessità di ridurre le penalizzazioni di cui sono vittime anche le donne come mostrano le difficoltà emerse sull'Ape social a "raggiungere 30 o 36 anni di contributi". Resta invece ancora da sciogliere il nodo sulla speranza di vita che dal 2019 porterebbe a 67 anni l'età di uscita di vecchiaia. Il clima che si è avvertito all'interno del Convegno è che si debba in qualche modo intervenire spalmando l'adeguamento su un periodo temporale più lungo per dare respiro soprattutto alle lavoratrici. In solo otto anni l'età pensionabile per le donne salirebbe di ben 7 anni (dai 60 del 2011 a 67 anni del 2019), un incremento insostenibile da un punto di vista sociale. Possibile anche uno stop agli adeguamenti per gli addetti alle undici mansioni gravose (infermieri, edili, insegnanti della scuola dell'infanzia, eccetera). Ma la questione sarà discussa ad Ottobre quando saranno confermati i dati Istat.
Pensioni, Entro il 15 Ottobre il responso su Ape sociale e Precoci
Fonte:pensionioggi Scritto da Valerio Damiani
Al via da parte dell'Inps la fase di monitoraggio delle istanze di riconoscimento dei benefici previsti per Ape sociale e lavoratori precoci. Il 15 luglio scorso è terminata la prima fase per la presentazione delle domande e l'Istituto di previdenza ha comunicato ufficialmente che, nelle quattro settimane intercorrenti dal 17 giugno, giorno del rilascio della procedura online, al 15 luglio, termine di chiusura della prima fase, le domande complessivamente presentate risultano essere 66.409, di cui 39.777 per Ape sociale e 26.632 per la pensione anticipata dei lavoratori precoci (qui l'articolazione per sesso, età e regione). Un numero molto elevato che fa sorgere qualche apprensione circa la possibilità che tutte le istanze vengano accolte senza alcuno slittamento della decorrenza all'anno successivo.
Il Ministero del Lavoro ha calibrato l'intervento, infatti, su un totale di circa 60mila domande per il 2017 destinando per 300 milioni di euro per l'ape sociale e 370 milioni di euro per la pensione anticipata per i cd. lavoratori precoci. In realtà dal numero delle domande pervenute occorrerà sottrarre quelle che saranno rigettate per carenza dei requisiti o della documentazione. Basta, quindi, che il 10% di esse risultino prive dei requisiti che il numero reale delle domande di prestazione da liquidare risulterà in linea con quello preventivato dal Governo. E il rischio di uno slittamento della decorrenza si potrebbe affievolire.
In caso di insufficienza delle risorse nell'elaborazione della graduatoria (che si concluderà entro il 15 Ottobre) l’Inps provvederà all’individuazione dei soggetti esclusi dal beneficio nell’anno di riferimento e al conseguente posticipo della decorrenza dell’indennità loro dovuta sulla base della maggiore prossimità di raggiungimento del requisito anagrafico per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia (o della maturazione del requisito dei 41 anni di contributi per i precoci) e, a parità di requisito, dalla data (e ora) di presentazione della domanda di riconoscimento delle condizioni. Come dire che se le risorse saranno insufficienti a garantire a tutti gli aventi diritto l'accesso sin dal 2017 alle prestazioni verrà individuatauna platea di esclusi (saranno penalizzati i più distanti dalla pensione e coloro che hanno presentato in ritardo la domanda di verifica) ai quali sarà comunicato il posticipo della decorrenza della prestazione (APe Social o pensionamento precoci) all'anno successivo.
In questi giorni si apre anche una seconda fase per la presentazione delle domande che durerà fino al 30 novembre prossimo; richieste che saranno prese in considerazione solo se rimarranno risorse economiche da spendere al termine della procedura di monitoraggio appena citata. Si pensi, ad esempio, a coloro che non sono riusciti a produrre la documentazione entro la data del 15 luglio 2017. La loro istanza avrà una qualche chance di essere accolta nel 2017 solo ove tutti i lavoratori che hanno rispettato la scadenza del 15 luglio abbiano avuto comunicazione di accesso alla prestazione senza alcuno slittamento dovuto all'esaurimento prematuro dei fondi a disposizione.
In tal caso l’INPS provvederà ad effettuare nell’anno un ulteriore monitoraggio sulle domande presentate successivamente al 15 luglio 2017 e con riferimento alle quali siano riconosciute le condizioni di accesso al beneficio. L'esito del monitoraggio sarà comunicato entro il 31 dicembre 2017. Anche il predetto monitoraggio sarà svolto in base alla data di raggiungimento del requisito anagrafico per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia (o dei 41 anni di contributi per i precoci) e, a parità di requisito, alla data di presentazione della domanda di riconoscimento delle condizioni. Ove le risorse non siano sufficienti, in quanto già esaurite con riguardo alle istanze prodotte entro il 15 luglio, la finestra temporale del 30 novembre resterà sostanzialmente priva di effetti.
- by Alex