Il Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione ha inviato all’Aran l’atto di indirizzo che indica, alla parte pubblica, le linee ed i criteri direttivi per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e, in particolare, del comparto delle Funzioni centrali.
In un articolo di stampa viene riportato che l'atto di indirizzo conterrebbe una riduzione delle tutele per chi è affetto da “gravi patologie che richiedono terapie salvavita”.
Vista la delicatezza del tema e la sua rilevanza sociale, il Ministero desidera chiarire quali siano, al riguardo, i reali contenuti dell’atto di indirizzo.
Attualmente, le disposizioni contrattuali prevedono una speciale tutela per chi, affetto da gravi patologie, deve sottoporsi a terapie salvavita (ad esempio, chemioterapia ed emodialisi). Grazie a questa tutela, i giorni nei quali sono effettuate le terapie sono esclusi dal conteggio del cosiddetto “comporto”. In pratica, non sono contati ai fini del raggiungimento del periodo di malattia (18 mesi prorogabili di ulteriori 18) che determina una riduzione della retribuzione e, allo spirare del termine, la risoluzione del contratto.
Questa tutela (l'esclusione dal "comporto") attualmente non si applica anche ai giorni nei quali il dipendente debba assentarsi a causa degli effetti collaterali delle citate terapie: ad esempio, ai giorni di assenza dovuti agli effetti della chemioterapia.
L’atto di indirizzo del Ministro intende risolvere proprio questo problema. Intende cioè ampliare la tutela già prevista ricomprendendovi anche i giorni di assenza dovuti agli effetti collaterali delle terapie.
Naturalmente, al fine di evitare una estensione temporale illimitata di tale ulteriore garanzia, lo stesso atto di indirizzo chiede all’Aran di stabilire negozialmente, esclusivamente con riferimento ai giorni di assenza dovuti agli effetti collaterali delle terapie, un tetto massimo di giornate oltre le quali la speciale tutela e garanzia non è più applicata e tornano ad applicarsi le garanzie normali previste per le “ordinarie” giornate di assenza per malattia.
Per tutto quanto sopra chiarito, deve quindi concludersi che:
- la garanzia viene quindi ampliata rispetto al regime attuale delle assenze per terapie salvavita;
- il limite dei giorni di assenza, che effettivamente l’atto di indirizzo prevede, riguarda solo ed esclusivamente la nuova garanzia (prima non prevista) per i giorni di assenza dovuti agli effetti collaterali delle terapie (e non i giorni di terapia).
ANSA- Nel pubblico impiego gli aumenti contrattuali, 85euro mensili in media, saranno più 'generosi' con chi guadagna meno attraverso quello che potrebbe essere un meccanismo, per cui spinge il ministero della P.A, alla 'Robin Hood'. Ma il tutto sarebbe calibrato all'interno delle fasce retributive di ogni comparto, in modo da garantire incrementi per tutti, seppure graduati (di più a chi ha meno), in base a parametri certi. E' quanto emerge dopo la messa a punto della versione finale della direttiva sui rinnovi, già annunciata dalla ministra Marianna Madia.
Come già stabilito nell'intesa del 30 novembre, tra ministero della P.A e sindacati, il sistema per la ripartizione degli 85euro medi di aumento è rimesso ai tavoli. Un primo incontro per tracciare la roadmap dei negoziati già c'è stato, entro luglio dovrebbe invece partire la trattativa vera e propria all'Aran, l'Agenzia che rappresenta il governo. E a fare da apripista dovrebbe essere il settore della Pubblica Amministrazione centrale (tra cui ministeri e agenzie fiscali). Tuttavia una strategia per consentire incrementi di stipendio inversamente proporzionali all'ammontare della busta paga, a piramide rovesciata, potrebbe essere ripresa da quanto già sperimentato con il bonus Irpef, che infatti decresce per i redditi più alti. Ciò permetterebbe anche di salvaguardare gli 80 euro per quella platea di dipendenti che sono a rischio di scavalcare il tetto (25mila euro) proprio a causa dei rinnovi. Insomma alle fasce basse andrebbero destinate risorse maggiori, magari anche doppie. Ma per evitare sproporzioni tra i 3 milioni di dipendenti pubblici, la distribuzione potrebbe essere modulata su fasce retributive (5 o 6).
Contratti Pa: verso aumenti per fasce, più alti per chi guadagna meno
Fonte:sole24ore
Nel pubblico impiego gli aumenti contrattuali, 85euro mensili in media, saranno più “generosi” con chi guadagna meno. Ma il tutto sarebbe calibrato all'interno delle fasce retributive di ogni comparto, in modo da garantire incrementi per tutti, seppure graduati (di più a chi ha meno), in base a parametri certi. È quanto emerge dopo la messa a punto della versione finale della direttiva sui rinnovi, già annunciata dalla ministra Marianna Madia. Come già stabilito nell'intesa del 30 novembre, tra ministero della Pa e sindacati, il sistema per la ripartizione degli 85euro medi di aumento è rimesso ai tavoli.
Entro luglio la trattativa vera e propria
Un primo incontro per tracciare la roadmap dei negoziati già c'è stato, entro luglio dovrebbe invece partire la trattativa vera e propria all'Aran, l'Agenzia che rappresenta il governo. E a fare da apripista dovrebbe essere il settore della Pubblica Amministrazione centrale (tra cui ministeri e agenzie fiscali). Tuttavia una strategia per consentire incrementi di stipendio inversamente proporzionali all'ammontare della busta paga, a piramide rovesciata, potrebbe essere ripresa da quanto già sperimentato con il bonus Irpef, che infatti decresce per i redditi più alti. Ciò permetterebbe anche di salvaguardare gli 80 euro per
quella platea di dipendenti che sono a rischio di scavalcare il tetto (25mila euro) proprio a causa dei rinnovi. Insomma alle fasce basse andrebbero destinate risorse maggiori, magari anche doppie.
Ipotesi fasce retributive
Ma per evitare sproporzioni tra i 3 milioni di dipendenti pubblici, la distribuzione potrebbe essere modulata su fasce retributive (5 o 6). Nel testo finale della direttiva madre il ministero lascia comunque ampio mandato alle parti, posto che i fondi sono quelli a disposizione, anche per la tutela degli 80
euro: niente aggiunte. Nella direttiva infatti viene scritto che nei tavoli si rifletterà se inserire «misure correttive» qualora «necessario e nei limiti delle risorse destinate all'obiettivo di incremento contrattuale».
Libertà di manovra alle parti
L'attenzione «ai livelli retributivi più bassi» destinatari di «provvedimenti di giustizia sociale» però resta, anche se rispetto alla bozza della direttiva circolata nei giorni scorsi saltano riferimenti precisi sia ai meccanismi sia al bonus
80euro, anche per dare più spazio di manovra alle parti.
Pa, arriva il decreto che blinda i licenziamenti degli assenteisti
fonte:sole24ore di Gianni Trovati
È attesa per lunedì in Consiglio dei ministri l’approvazione definitiva del decreto correttivo sui licenziamenti in 30 giorni per i dipendenti pubblici che vengono colti sul fatto a timbrare l’entrata senza andare in ufficio. Il nuovo provvedimento non cambia praticamente nulla nell’impianto delle uscite sprint per gli illeciti disciplinari individuati in flagranza, ma è stato reso necessario dalla sentenza 251/2016 della Corte costituzionale che ha imposto l’intesa con Regioni ed enti locali per le parti della riforma della Pa relative alle loro competenze. L’ultimo via libera, quindi, serve a blindare le nuove regole, che prevedono la sospensione in 48 ore e il licenziamento in 30 giorni e che senza il correttivo sarebbero state esposte al rischio continuo di ricorsi.
Il provvedimento va letto insieme al decreto con la riforma del pubblico impiego, che estende il calendario ultra-rapido a tutti i casi di flagranza degli illeciti punibili con il licenziamento, compresa l’assenza ingiustificata dall’ufficio per più di tre giorni nell’arco di due anni o la mancata ripresa del servizio nel giorno fissato dall’amministrazione.
Tutta la riforma del pubblico impiego, del resto, è percorsa dalla linea rossa di misure ulteriori anti-assenteismo, compresa quella che chiede ai nuovi contratti di fissare sanzioni aggiuntive per le assenze strategiche, in particolare quelle che allungano le festività e i ponti, e di bloccare gli incrementi dei fondi per le risorse accessorie negli uffici in cui gli uffici sono più vuoti in questi giorni critici.
Su questo fronte, l’attuazione della riforma Madia è in perfetta continuità con i suoi predecessori, a partire dal decreto Brunetta del 2009, che impone la radiazione dall’albo per il medico che certifica una falsa malattia quando si arriva alla condanna definitiva per il dipendente pubblico interessato; se il medico è dipendente del servizio sanitario, il licenziato è previsto anche per lui.
La lotta a colpi di sanzioni sempre più dure, finora, ha prodotto risultati quantomeno alterni, ma ha moltiplicato responsabilità e “minacce” a carico dei medici. Anche da qui viene la spinta alla base del disegno di legge che propone l’autocertificazione per i primi tre giorni di malattia.
Nel pubblico impiego, del resto, il tema è carsico, e conosce fortune alterne anche sul piano della comunicazione. Lo dimostra per esempio la vicenda dei censimenti mensili sull’assenteismo nella Pa: in voga negli anni immediatamente successivi alla riforma Brunetta, hanno avuto poi un seguito declinante fino a uscire definitivamente dal web. Per conoscere lo stato dell’arte, quindi, occorre ora attendere il monitoraggio annuale, in arrivo.
I principi fissati dal ministro Madia
Pubblico impiego: contratto, fissate le linee guida del ministero per l’applicazione
Fonte: https://www.firenzepost.it
Escono nuove anticipazioni sulle direttive del Ministero delle funzione pubblica in merito all’applicazione del contratto degli statali. Principi che erano già ben conosciuti, ma che adesso vengono meglio esplicitati. Intanto, a inizio settimana, il decreto bis sui ‘furbetti del cartellino dovrebbe ricevere il sì finale dal Consiglio dei ministri. Il testo passerà senza modifiche di sostanza: chi viene colto a strisciare il badge per poi andarsene verrà licenziato entro 30 giorni.
Nel pubblico impiego gli aumenti contrattuali, 85 euro mensili in media, saranno più generosi con chi guadagna meno attraverso quello che potrebbe essere un meccanismo, per cui spinge il ministero della Pubblica amministrazione, alla Robin Hood. Ma il tutto sarebbe calibrato all’interno delle fasce retributive di ogni comparto, in modo da garantire incrementi per tutti, seppure graduati (di più a chi ha meno), in base a parametri certi.
È quanto emerge dopo la messa a punto della versione finale della direttiva sui rinnovi, già annunciata dalla ministra Marianna Madia. Come già stabilito nell’intesa del 30 novembre, tra ministero e sindacati, il sistema per la ripartizione degli 85 euro medi di aumento è rimesso ai tavoli. Un primo incontro per tracciare la roadmap dei negoziati già c’è stato, entro luglio dovrebbe invece partire la trattativa vera e propria all’Aran, l’Agenzia che rappresenta il governo. E a fare da apripista dovrebbe essere il settore della Pubblica Amministrazione centrale (tra cui ministeri e agenzie fiscali).
Tuttavia una strategia per consentire incrementi di stipendio inversamente proporzionali all’ammontare della busta paga, a piramide rovesciata, potrebbe essere ripresa da quanto già sperimentato con il bonus Irpef, che infatti decresce per i redditi più alti. Ciò permetterebbe anche di salvaguardare gli 80 euro per quella platea di dipendenti che sono a rischio di scavalcare il tetto (25mila euro) proprio a causa dei rinnovi. Insomma alle fasce basse andrebbero destinate risorse maggiori, magari anche doppie. Ma per evitare sproporzioni tra i 3 milioni di dipendenti pubblici, la distribuzione potrebbe essere modulata su fasce retributive (5 o 6). L’indicazione infatti è chiara: «le parti valuteranno – si legge nella direttiva – gli effetti che l’aumento retributivo potrà produrre in relazione agli incrementi stipendiali del personale collocato nei livelli retributivi più bassi e destinatario di recenti provvedimenti di giustizia sociale». Il riferimento è agli 80 euro e al pericolo di scavalcare il tetto previsto per il riconoscimento dello sgravio.
Nel testo finale della direttiva dunque il ministero lascia ampio mandato alle parti, posto che i fondi sono quelli a disposizione, anche per la tutela degli 80 euro: niente aggiunte. Nella direttiva infatti viene scritto che nei tavoli si rifletterà se inserire «misure correttive» qualora «necessario e nei limiti delle risorse destinate all’obiettivo di incremento contrattuale». L’attenzione «ai livelli retributivi più bassi» destinatari di «provvedimenti di giustizia sociale» però resta, anche se rispetto alla bozza della direttiva circolata nei giorni scorsi saltano riferimenti precisi sia ai meccanismi sia al bonus 80 euro, anche per dare più spazio di manovra alle parti.
Il tutto però, avverte il ministero, nei limiti delle risorse destinate (5 miliardi in tutto, con una parte da stanziare nella prossima manovra). Un vincolo quello delle risorse che vede i sindacati contrari. La leader della Cgil, Susanna Camusso, sin dall’inizio insiste per una soluzione sugli 80euro, che altrimenti diventerebbero un premio contro la contrattazione. Per il segretario della Confsal Unsa, Massimo Battaglia, la questione diventa difficile: il Governo rimanda alla trattativa il problema del bonus. Il punto sarà sicuramente al centro del primo vero tavolo, quello sulla P.A. centrale, che partirà entro luglio. Intanto l’Aran cercherà in settimana, il 13 c’è un appuntamento, di chiudere l’accordo su permessi e distacchi sindacali.
Pensioni: "Riscatto della laurea gratis per i nati tra il 1980 e il 2000"
AGI - Si tratta di una proposta, ma ha ricevuto un’apertura importante da parte del sottosegretario dell’Economia Pierpaolo Barretta. Come riporta il quotidiano Il Messaggero oggi in edicola, che mette la notizia in prima pagina, se ne parlerà oggi all’iniziativa "Facciamolo sapere", l’assemblea della rappresentanza studentesca dei Giovani democratici, dove Barretta spiegherà la sua idea.
“Si tratta di una contribuzione gratuita fissa per gli studenti universitari che completano, entro la durata legale, il proprio percorso di studi”, scrive Andrea Bassi sul quotidiano romano. I pilastri sarebbero due:
Non si sa ancora quanto questo costerà alle casse dello Stato. Ma la proposta è sul tavolo e al Tesoro stanno già facendo i conti. La proposta, lascia trapelare il Messaggero, potrebbe essere “meno onerosa degli altri progetti che sono sul tavolo”.
"Riscatto della laurea gratis per chi si iscrive all'università nel 2018"
AGI - Riscatto gratuito della laurea per chi si iscrive all'Università nel 2018. E' la proposta del sottosegretario Paolo Baretta, anticipata dall'edizione cartacea del quotidiano 'Il Messaggero' per permettere ai 'Millenials' di ricevere contributi per il periodo passato a studiare. Dopo l'ipotesi di riscatto gratuito per i nati tra il 1980 e il 2000, Baretta ha proposto di aprire un tavolo perché agli immatricolati del prossimo anno siano versati i primi contributi "già tra tre anni".
Quanto costa allo Stato
Il sottosegretario all'Economia ha chiesto all'Inps di quantificare le risorse necessarie. E' già ipotizzabile che i costi siano bassi se l'iniziativa viene applicata solo a chi si laurea entro i tempo previsti dal piano di studi. L'idea, però, è di rendere la proposta retroattiva e applicarla a chi, nato dopo il 1980, si sia laureato senza andare fuori corso. In questo caso, però, l'onere per lo Stato sarebbe molto più gravoso e per questo la strada ipotizzata è quella di una partecipazione ai contribuiti. In sostanza una parte sarebbe a carico dello Stato e il resto del laureato.
E chi ha già riscattato la laurea?
Resta un nodo non indifferente da sciogliere: che ne sarà di chi - spesso pagando cifre esorbitanti - hanno già provveduto da solo a riscattarsi la laurea? Per Baretta si tratta di una questione di "solidarietà intergenerazionale" e la proposta ha un "significato culturale". Il messaggio che si vuole mandare, insomma, è che la vita lavorativa comincia ben prima del primo giorno di lavoro: con la scelta degli studi.
La popolazione studentesca (dati 2016)
La proposta di Baretta nasce dalla constatazione che chi ha cominciato a lavorare dopo la metà degli anni '90 si è trovato davanti a un mercato del lavoro senza regole certe e preda della crisi economica, con buchi contributivi che mettono a repentaglio la possibilità di arrivare alla pensione con un assegno sufficiente a garantire una vecchiaia dignitosa.
A che punto è la proposta
Dell'idea si parlerà al tavolo aperto da sindacati e governo sulla seconda fase della riforma del sistema pensionistico. Quello stesso tavolo al quale i sindacati chiedono di bloccare lo spostamento dell'età pensionabile a 67 anni nel 2019 e che il presidente dell'Inps Tito Boeri ha già bocciato.
Mansioni superiori da riconoscere con incarico formale e solo se il posto in organico è vacante
Fonte:sole24ore di Giovanni La Banca
L’assenza di un provvedimento formale di conferimento delle mansioni, adottato dal Sindaco o dal dirigente della struttura presso la quale il dipendente presta servizio, e della vacanza del posto in organico non fanno sorgere il diritto al riconoscimento alla mansione superiore.
Così ha affermato la sentenza 3431/2017 del Tar Campania, sezione V.
Il fatto
Un dipendente comunale, inquadrato nel 6° livello, agiva innanzi al Tar per il riconoscimento del diritto a conseguire le differenze retributive tra quanto percepito e la retribuzione spettante al personale inquadrato nel 7° livello, con qualifica immediatamente superiore.
Il bilanciamento dei valori costituzionali
La domanda finalizzata ad ottenere una retribuzione aggiuntiva in virtù dello svolgimento di mansioni superiori, non può fondarsi sull'art. 36 Costituzione: il principio della corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e alla quantità del lavoro prestato non trova incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego.
Accanto ad esso, infatti, concorrono altri principi di pari rilievo costituzionali, quali il buon andamento e l’imparzialità della Pa.
Allo stesso tempo, la domanda non può trovare fondamento né sull’articolo 2126 (retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato) né sull’articolo 2041 Cc, stante, per un verso, la natura sussidiaria dell'azione di arricchimento senza causa e, per altro verso, la circostanza che l'ingiustificato arricchimento postula un correlativo depauperamento del dipendente, non riscontrabile e non dimostrabile nel caso del pubblico dipendente che ha comunque percepito legittimamente la retribuzione prevista per la qualifica.
Il riconoscimento delle differenze retributive
Il diritto alla retribuzione corrispondente alle mansioni superiori effettivamente svolte è stato introdotto, con carattere di generalità, dall’articolo 15, Dlgs. n. 387/1998, con norma avente natura innovativa, non ricognitiva o retroattiva, e ferma restando la necessità di una determinazione formale dell'Amministrazione e della vacanza del posto in organico.
Prima della sua entrata in vigore, quando non vi fosse una specifica normativa speciale che disponesse altrimenti, lo svolgimento da parte del pubblico dipendente di mansioni superiori rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, costituiva circostanza irrilevante, sia ai fini della progressione in carriera, che a quelli economici.
Posto vacante e atto formale di incarico
Presupposto necessario per la configurabilità stessa dell'esercizio di mansioni superiori è l'esistenza di un posto vacante in pianta organica, al quale corrispondano le mansioni effettivamente svolte, oltre che un atto formale di incarico o investimento di dette funzioni, proveniente dall'organo amministrativo legittimato.
L'attribuzione delle mansioni e il relativo trattamento economico non possono essere oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi, con la conseguenza che l'assenza anche di una sola di dette condizioni non consente di riconoscere alcuna differenza stipendiale in capo a chi aveva svolto l'attività in questione.
La differenza di livello non può considerarsi unicamente sotto l’aspetto quantitativo: il mero espletamento di funzioni aggiuntive a quelle astrattamente proprie della qualifica dirigenziale già posseduta, non può legittimare il riconoscimento di mansioni superiori.
A ciò si oppongono, sul piano giuridico sistematico, i principi di legalità, buon andamento ed imparzialità cui deve ispirarsi anche l’organizzazione degli uffici di una pubblica amministrazione, per effetto dei quali la differenza tra le qualifiche deve ricollegarsi all’importanza rivestita dall’ufficio nella organizzazione degli uffici, alla delicatezza e alla qualità delle funzioni.
Non sono sufficienti, in tal senso, né i meri ordini di servizio né gli atti comunali di natura generale aventi valore propedeutico ed endoprocedimentale.
Raffaele Cantone presenta la relazione annuale Anac: "Serve un intervento sul conflitto di interessi"
"Nella Pubblica amministrazione si fatica ancora ad accettare la trasparenza"
Fonte:Huffington Post
La "rivolta" di una parte della dirigenza contro la norma che prevede la pubblicazione dei compensi per i funzionari pubblici e che "seppur forse eccessiva, intendeva promuovere forme diffuse di accountability, dimostra purtroppo come la trasparenza, al di là delle proclamazioni di principio, fatichi a essere realmente accettata". Così il presidente Raffaele Cantone, nel presentare alla Camera la relazione annuale dell'Autorità Nazionale Anticorruzione.
Su questo fronte, sottolinea Cantone, "non meno intensa di quella regolatoria è stata l'attività di controllo, che ha visto nel 2016 l'apertura di 193 procedimenti di vigilanza, a cui si aggiungono 59 procedimenti sanzionatori sulla mancata pubblicazione dei dati concernenti i titolari di incarichi politici. In linea con gli anni precedenti, si conferma l'efficacia dell'azione dell'Autorità, che vede in oltre il 60% dei casi esaminati un successivo adeguamento totale dell'amministrazione. Il residuo 40%, che non si adegua del tutto o solo in parte, testimonia tuttavia che il percorso verso la costruzione di quella casa 'di vetro' è tutt'altro che agevole, soprattutto nelle realtà di ridotte dimensioni".
"Problemi però si sono riscontrati anche in comuni più grandi, come Roma Capitale e Milano - prosegue - In particolare, sono emerse carenze nel primo caso sui dati patrimoniali dei consiglieri dell'Assemblea capitolina cessati dall'incarico a seguito del commissariamento del Comune; nel secondo, nelle indicazioni delle situazioni patrimoniali di un esponente dell'Amministrazione e di alcuni consiglieri municipali".
Quanto al capitolo appalti, l'Anac "non è un organismo che può occuparsi di ogni forma di illegalità" e non bisogna "assecondare l'idea che gli appalti si possano fare solo con il 'bollino' dell'Anac", ha detto Ca Cantone sottolineando che si sono ingenerate "aspettative forse eccessive nell'opinione pubblica e negli operatori e anche qualche equivoco sui reali ambiti di intervento".
Per l'Autorità, ha detto Cantone, si è chiusa col primo triennio di attività "la fase 'costituente'" ed essa "è oggi un'istituzione che, dismessi gli abiti della novità, è riconoscibile non solo alle amministrazioni pubbliche e agli operatori economici, ma anche a gran parte dei cittadini". Una "fiducia" che "è indispensabile preservare" senza "ingenerare inutili e ingiustificate aspettative", ha detto Cantone. Per questo anche attraverso specifici atti, Anac ha recentemente scelto di "precisare ulteriormente e pubblicamente compiti e poteri dell'Autorità sia nei confronti degli istanti privati che nei confronti delle amministrazioni pubbliche". In particolare sulle richieste di chiarimento o collaborazione in materia dei contratti pubblici da parte delle amministrazioni, Anac ha precisato "in un regolamento apposito, che le risposte saranno fornite solo se la questione posta è nuova e di rilevanza generale, con la chiara volontà di non assecondare l'idea che gli appalti si possano fare solo con il 'bollino' dell'Anac, e al contrario rimarcando che l'Autorità non è un consulente e che non si può sostituire alle scelte discrezionali dell'amministrazione".
Nell'ambito del conflitto di interessi, e in particolare della disciplina delle situazioni di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi contenuta nel decreto legislativo 39 del 2013, "sono ben 149 i procedimenti avviati nel 2016; un lavoro ponderoso che, però, ha prodotto risultati deludenti, a causa del testo normativo poco efficace e non sempre chiaro", ha aggiunto il presidente Anac.
"Di esso abbiamo chiesto modifiche mediante due segnalazioni a Governo e Parlamento - aggiunge - con una del 2015, si era formulata una proposta di revisione organica del dettato normativo, con un'altra del 2016 si è chiesto almeno di eliminare il riferimento alle deleghe gestionali dirette per il presidente del consiglio di amministrazione ed estendere la disciplina agli organi collegiali (consigli di amministrazione o equivalenti) e al direttore generale. Negli ultimi due anni oltre il 38% dei casi scrutinati ha riguardato, infatti, proprio la verifica della sussistenza di deleghe gestionali e ben il 77% è stato archiviato perché si è diffusa la pratica elusiva della modifica degli statuti con l'espunzione delle deleghe gestionali al presidente. E' indifferibile, quindi, una rivisitazione complessiva della materia".
Mobbing: quando il datore deve risarcire il dipendente
Fonte:legge per tutti L’AUTORE: Maria Monteleone
Danno da mobbing: il dipendente deve provare l’intento persecutorio del capo.
Condotte vessatorie e ostili del datore di lavoro, prolungate nel tempo e tali da provocare un vero e proprio danno morale al dipendente: l’onere della prova è carico del lavoratore ed è anche molto complesso dato che occorre dimostrare al giudice i comportamenti persecutori, l’intento vessatorio, i pregiudizi subiti e il nesso causale tra gli uni e gli altri.
È quanto ribadito da una recente sentenza della Cassazione [Cass. sent. n. 16335 del 03.07.2017.].
Secondo la giurisprudenza, per “mobbing” si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro. Essa consiste insistematici ereiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire lamortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
Requisiti del mobbing
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti:
Secondo una nota pronuncia della Cassazione [Cass. sent. n. n. 18836/2013.], costituiscemobbing la condotta datoriale, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni – di vario tipo ed entità – al dipendente medesimo.
Come provare il mobbing
Di conseguenza, il lavoratore che agisca per ottenere il risarcimento del danno da mobbing, deve provare la volontà del datore di lavoro di emarginarlo, in vista di una sua espulsione dal contesto lavorativo o, comunque, di un intento persecutorio.
Non è sufficiente la prova di comportamenti ostili e neppure laperizia medico legale che attesti la depressione o i turbamenti psicologici del dipendente: se manca la dimostrazione dell’intento persecutorio e del nesso causale tra gli atti persecutori e i danni alla salute/personalità, il giudice non può accogliere la richiesta di risarcimento.
Lavoro: obbligo di firma in questura per il furbetto del cartellino
La misura di sicurezza si applica anche al complice, che utilizza i badge dei colleghi per coprirli
Fonte:studiocataldi di Valeria Zeppilli
Chi aiuta il collega a truffare il datore di lavoro, strisciando il badge al posto suo, può essere a ragione sottoposto all'obbligo di firma presso la polizia giudiziaria: il reato integrato è quello della truffa in concorso con altri e la misura cautelare è giustificata.
Con la sentenza numero 32942/2017 laCorte di cassazione ha infatti confermato la misura cautelare in danno di un uomo che era indagato per aver falsamente timbrato il cartellino di altri colleghi al fine camuffare le loro assenze ingiustificate dal lavoro.
Nell'applicare la misura, il giudice del merito aveva fornito un'ampia e persuasiva motivazione delle ragioni a sostegno della sua decisione: l'uomo aveva per oltre tre mesi strisciato il badge dei colleghi, più precisamente per 34 volte nell'arco temporale in contestazione.
Coincidenze temporali
Ad incastrare l'imputato, in particolare, è stata la coincidenza temporale tra la propria obliterazione e quella dei colleghi assenti: un elemento che, per i giudici, deve essere ritenuto fortemente indiziario della condotta contestata, specie in assenza di "elementi perturbatori della sequenza causale ricostruita".
Con l'occasione la Corte ha anche precisato che il giudice, di fronte a posizioni analoghe o a impostazioni che descrivano fatti commessi in maniera seriale, puòricorrere a una valutazione cumulativa per decidere se applicare la misura cautelare, senza dover ribadire volta per volta le regole di giudizio che lo hanno ispirato.
Fonte:legge per tutti
La giustificazione per i primi tre giorni di malattia sarà firmata dallo stesso dipendente che non dovrà ricorrere così al certificato medico.
Il dipendente che non si sente bene e vuol prendersi qualche giorno di malattia non dovrà più ricorrere al certificato del medico di famiglia potrà firmarsi da solo la giustificazione: una forma di autocertificazione della malattia valida per gli stati di malessere generale come mal di testa, mal di denti e mal di pancia e sempre che non comportino un’assenza dal lavoro per più di tre giorni lavorativi. È questa la grossa novità portata dal ddl che è stato appena assegnato alla commissione Affari Costituzionali del senato e che verrebbe applicata, inizialmente, al pubblico impiego.
Lo scopo è quello di sottrarre l’Inps alla marea di certificati medici che oggi la inondano, paralizzandone a volte l’attività. Invece, con la riforma, sarà il lavoratore stesso ad essere «medico di se stesso» e ad analizzare i propri sintomi, decidendo da solo se stare a casa o andare al lavoro. Insomma, viene sdoganata una nuovissima forma di autocertificazione che sostituisce il documento del medico curante.
La norma è già stata fortemente criticata. È privo di senso – si legge in una nota di Confindustria – punire prima i furbetti del cartellino e poi fornirgli un’arma così forte come quella di firmarsi da soli le giustificazioni. «È l’ennesimo provvedimento che va nella direzione contraria di quanto sarebbe necessario per aumentare il livello della produttività del lavoro», mette in guardia Maurizio Stirpe, vice presidente di Confindustria per il lavoro e le relazioni industriali. «Sembra una misura destinata ad accrescere il livello di assenteismo – continua ancora Stirpe – alimentando la cultura della furbizia del paese».
Attualmente la legge prevede che anche per le assenze di un giorno il lavoratore, dopo aver prontamente informato l’azienda dell’impossibilità a recarsi sul lavoro, si faccia visitare dal medico curante il quale, dopo aver compilato il certificato, lo invia in forma telematica all’Inps. L’Inps, a sua volta, lo mette a disposizione dell’azienda affinché questa possa verificare la causa di assenza del lavoratore ed, eventualmente, chiedere l’invio della visita fiscale.
La certificazione deve attestare dati clinici direttamente constatati e oggettivamente documentati. Infatti, in mancanza di queste caratteristiche, si applicano al medico le stesse sanzioni previste in casi di certificazione medica falsa. Con sanzioni per medico e lavoratore: multa da 400 a 1.600 euro e reclusione da uno a cinque anni, come si legge nella relazione al testo del disegno di legge.
Malattia: assenze dal lavoro per malessere diffuso
Fonte:legge per tutti
Chi si sente male ma non ha una malattia specifica può comunque chiedere il certificato del medico curante per giustificare l’assenza dal lavoro.
Non ci sono solo le malattie tradizionali a tenere lontano dal lavoro il dipendente. Anche gli stati di malessere diffuso e generale (ad esempio: spossatezza e stanchezza) o i semplici dolori non correlati a una patologia specifica (come mal di pancia o mal di testa) possono essere oggetto di un certificato medico che giustifichi l’assenza dal lavoro. Ma come fa il medico di famiglia a certificare la malattia del paziente e la sua impossibilità a lavorare? Come si fanno ad accertare le assenze dal lavoro per malessere diffuso?
Prima però di spiegare come e quando è possibile avere un certificato medico che autorizzi l’assenza dal lavoro per malessere diffuso ricordiamo come avviene la trafila della comunicazione della malattia nel triangolazione “dipendente-medico di famiglia-azienda”. Il lavoratore che non si sente bene e vuol prendere uno o più giorni di malattia deve comunicare subito al datore l’assenza dal lavoro. Lo può fare in qualsiasi modo, purché tempestivamente. La giurisprudenza ha ritenuto valida anche la telefonata o l’sms inviato al capo dell’ufficio personale. L’assenza non comunicata può essere valutata come una violazione disciplinare. Nello stesso tempo, il dipendente in malattia deve sottoporsi, già dal primo giorno, alla visita del proprio medico di base. A riguardo il medico non può fidarsi di un contatto telefonico col paziente per emettere il certificato, ma deve sempre sottoporlo a visita. Solo nei casi di urgenza e di impossibilità di trasporto il medico può essere tenuto alla visita domiciliare nello stesso giorno (sempre se richiesta entro le ore 10; diversamente slitta al giorno successivo); in tutte le altre ipotesi è il lavoratore a doversi recare presso lo studio del sanitario.
Dopo aver visitato il lavoratore, il medico redige il certificato che comunica in via telematica all’Inps. L’Inps, a sua volta, lo mette a disposizione dell’azienda che (sempre in via telematica) può prenderne visione ed, eventualmente, chiedere l’invio del medico fiscale per la visita di controllo.
Veniamo ora al caso assenze dal lavoro per malessere diffuso: una dei casi di malattia più ricorrente tanto è vero che è stato lanciato un allarme dall’Inps, ormai ricoperta da certificati. Si vorrebbe infatti tentare la strada dell’autocertificazione (leggi Malattia: via libera all’autocertificazione del lavoratore).
Il problema di certificare gli stati di malessere diffuso deriva dal fatto che questi non sono spesso verificabili sul piano clinico, né a volte lo sono neanche a seguito di un esame obiettivo del medico. In sintesi, i sintomi di malessere generale sono difficilmente diagnosticabili e, pertanto, tutto si basa sulla fiducia tra medico e paziente. Il medico di base conosce il malato per essere suo “cliente” abituale; essendo quindi al corrente delle sue eventuali problematiche e della capacità dello stesso di reagire – o meno – ai sintomi più diffusi e meno gravi è in grado di stabilire se le sue condizioni sono tali da giustificare l’assenza dal lavoro. Ecco quindi che il medico, pur in presenza di un lamento dell’assistito, è libero di rilasciare o negare il certificato.
Malattie brevi, arriva l’autocertificazione
Il lavoratore potrà firmarsi da solo la giustificazione. Sarà presto possibile autocertificare all’Inps le malattie di durata sino a 3 giorni.
Fonte:legge per tutti
Mal di testa, influenza, mal di pancia? Queste fastidiose patologie, che spesso costringono i lavoratori ad assentarsi per un paio di giorni, presto potrebbero essere autocertificate dal dipendente stesso. È stato, difatti, presentato un disegno di legge firmato dal senatore Maurizio Romani (Gruppo Misto), vice presidente della commissione Igiene e Sanità, che è stato assegnato alla commissione Affari Costituzionali del Senato, da applicarsi al settore del Pubblico impiego.
Autocertificazione malattia: come funziona
Secondo la proposta di legge, nel dettaglio, malattie brevi, che comportino l’assenza dal lavoro per non più di 3 giorni, potrebbero essere autocertificate dal paziente, e non più attestate col certificato medico: il medico farebbe soltanto da tramite per trasmettere l’autocertificazione all’Inps, quindi si limiterebbe a prendere atto di quanto comunicato dal paziente.
Mal di testa e patologie brevi: difficili da diagnosticare
La motivazione alla base della proposta di legge sarebbe il ridimensionamento delle sanzioni ai medici: per questi, difatti, è quasi impossibile verificare oggettivamente, relativamente a patologie quali mal di testa, mal di pancia e simili, se effettivamente il paziente ne stia soffrendo. Tuttavia, considerando che il certificato medico deve attestare dati clinici direttamente constatati e oggettivamente documentati, il rischio, in caso di malattie non documentabili in modo obiettivo, è quello di pesanti sanzioni per il medico certificatore.
Con l’auto-attestazione, invece, la responsabilità cadrebbe esclusivamente sul paziente-lavoratore.
Il Disegno di Legge, peraltro, ridimensiona le pene ai medici, anche per porre rimedio ad alcune contraddizioni ed eccezioni di incostituzionalità rilevate nella Legge Brunetta.
Malattia: gli altri adempimenti
Gli altri adempimenti normalmente previsti relativamente alle assenze per malattia, invece, resterebbero identici: quindi, vi sarà sempre l’obbligo di avvisare l’azienda e trasmettere il protocollo del certificato medico (in questo caso dell’autocertificazione), così come l’obbligo di reperibilità nelle fasce orarie per la visita fiscale. Fasce orarie che, a breve, dovrebbero cambiare ed essere unificate per il settore pubblico e privato. Peraltro, la visita fiscale, secondo la riforma attualmente allo studio, dovrebbe poter essere richiesta più volte nell’arco della stessa malattia.
La parola, ora spetta a Palazzo Madama, che deciderà se mandare avanti, o meno, la nuova proposta di autocertificazione della malattia.
Fonte: http://gds.it di Toti Cottone
PALERMO. La terminologia inglese di Split Payment non è altro che la traduzione italiana della «divisione dei pagamenti» di una fattura/parcella, che solitamente esprime imponibile ed I.V.A. Per legge le Pubbliche Amministrazioni ricevono il documento contabile e provvedono a liquidare al fornitore la sorte, trattenendo l'Iva che sarà versata all'Erario nei termini e modi previsti.
Tradotto in termini concreti possiamo definire lo Split Payment un provvedimento «anti evasione» che sicuramente colpisce chi ha rapporti di fornitura e prestazione di servizi con la P.A. ed ancor più coloro i quali, come i liberi professionisti, che saranno penalizzati, sotto l'aspetto della loro liquidità e che vedranno sottratti dai loro compensi oltre la prevista ritenuta d'acconto, anche l' I.V.A., quindi un totale del 42%. Nei giorni scorsi, con decreto legislativo n.50 del 24/4/17 convertito in Legge n.96 del 21/6/17 e con effetto 1 luglio, si sono ampliati i soggetti destinatari del provvedimento, sia come soggetti fruitori, che dante causa, creando non indifferenti problematiche sia per gli Enti della P.A. fruitori, che per i Loro fornitori.
Chi sono gli enti interessati. Facevano parte della prima destinazione, oggetto dello Split Payment: Stato, Organi e Amministrazione dello Stato, I.N.P.S., Regioni, Province, Comuni, A.S.P., A.S.L. , Università, Camera di Commercio. A seguito del D.Lgs n.50 del 24/4/17 si è ampliata la sfera dei destinatari tra cui vengono inseriti: Inail, Società controllate dalla P.A., Regioni , Provincie , Comuni, Unione dei Comuni, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministeri, Società quotate, Enti di ricerca, Enti Ospedalieri, Enti per il diritto allo studio, Agenzia fiscali, Agcom, Arpa, Aci, Aran, Ispo.
Isoggetti dello Split Payment. Nella categoria ampliata dalla riforma: Professionisti iscritti negli appositi Albi, artisti, autori, titolari di brevetti, agenti di commercio ed in genere tutti i fornitori di beni e servizi.
Come paga lo Stato. Per le fatture/parcelle ricevute con data di emissione entro il 30/6/17, la procedura rimane quella ante il decreto 50/2017, per quelle ricevute con data di emissione 1/7/17 anche per fornitura o prestazioni fino al 30/6/17, queste rientrano in pieno nello Split Payment, quindi, liquideranno il prestatore per la parte imponibile e riverseranno all'Erario l' I.V.A. L'I.V.A. diventa esigibile dall'Erario dal momento del pagamento della fattura/parcella, che dovrà essere versata entro il 16 del mese successivo al pagamento stesso. Il Decreto Ministeriale del 27/6/17 ha inteso «congelare» l'IVA da versare relativa alle fatture emesse con decorrenza 1/7/17. Ciò al fine di consentire agli Enti della P.A. ed alle Società obbligate ad effettuare il versamento di adeguare i processi , i sistemi informativi e contabili. Per quanto riguarda le P.A. il differimento dei termini di versamento riguarda le fatture emesse dal 1/7/17, ma non oltre il 31/10/17. In questo caso il versamento potrà essere effettuato tempestivamente non mensilmente, ma entro il 16/11/17. Ferma restando la possibilità di fruire di questo termine « lungo» durante la fase transitoria sarà opportuno suddividere comunque i versamenti per ogni singolo periodo di liquidazione.
Comportamento dei fornitori. Per questi soggetti il meccanismo dell'emissione del documento contabile non cambia rispetto a quanto previsto dall'art.21 D.P.R. 633/72, per cui si continuerà ad esporre la quantità, la qualità dei beni ceduti ovvero dei servizi prestati o dell'attività svolta, aggiungendo come prima l'aliquota dell' I.V.A. ed il relativo valore, ma con l'annotazione evidenziata che il documento deve contenere la seguente dicitura : «Fattura emessa in regime di scissione dei pagamenti (split payment) ai sensi dell'art.1 del D.L. 24 aprile 2017 n.50». Il fornitore in quanto debitore dell'imposta dovrà annotare le fatture emesse nel registro delle fatture emesse (art.23 D.P.R. 633/72) ovvero nel registro dei corrispettivi (art.24 D.P.R. 633/72).
Per questi soggetti si hanno ulteriori complicazioni in quanto dovranno gestire contestualmente fatture in regimi diversi, con la necessità di provvedere e separare l'annotazione e la gestione delle singole tipologie di fatture, per cui le fatture emesse con lo Split payment saranno annotate nel registro vendite in una colonna a parte, ma senza che questi rientrino agli effetti dell'I.V.A. nella liquidazione periodica. Mentre, per le fatture emesse non soggette allo Split payment dovranno rispettare il precedente comportamento. Una problematica esiste per le fatture/parcelle emesse ad esigibilità differita ante 1 luglio nei confronti di un soggetto che già applica lo split payment ed in questo caso il fornitore, non avendo ancora versata l'I.V.A. , in quanto non ha avuta liquidata la fattura/parcella riceverà dalla P.A. l'importo totale I.V.A. inclusa e conguaglierà al momento della liquidazione periodica l'I.V.A. applicata ( vecchio sistema). Venendo meno al principio della Legge istitutiva dell' I.V.A. dove si diceva che l' I.V.A. non era ne un costo nè un ricavo, ma solo una partita di giro!
Da PensioniOggi:
FONTE:PENSIONIOGGI
In arrivo anche un meccanismo di salvaguardia, in occasione del rinnovo, a favore dei dipendenti pubblici che percepiscono il bonus Renzi da 80 euro.
Il rinnovo della parte economica dei contratti dei dipendenti pubblici tratterà con favore chi ha redditi bassi. Lo sottolinea la titolare della Funzione Pubblica, Marianna Madia, spiegando che è stata avviata la procedura all'Aran dopo oltre otto anni di attesa. La titolare di Palazzo Vidoni spinge per scatti più generosi per i dipendenti che hanno guadagni più bassi e viceversa, con l'obiettivo di ridurre la forbice tra le retribuzioni. Lo scarto oggi sfiora, infatti, i 200mila euro (dai 20mila euro lordi per le qualifiche più basse ai 200-240 mila euro per i dirigenti e alte qualifiche professionali).
Complessivamente l'incremento medio economico sarà di 85 euro ma sarà quindi articolato in misura differente a seconda della classe di stipendio percepito. Un meccanismo, ha detto la Madia, alla 'Robin Hood', calibrato all'interno delle fasce retributive, cinque o sei, di ogni comparto, in modo da garantire incrementi per tutti, seppure graduati (di più a chi ha meno), in base a parametri certi. Per salvaguardare i redditi che beneficiano del bonus Irpef (80 euro), a rischio di perderlo a seguito degli incrementi, ci sarà, poi, una formula ad hoc. Se non ci fosse un meccanismo di salvaguardia l'incremento contrattuale verrebbe, infatti, eroso dalla perdita del bonus Renzi. Per quanto riguarda la tempistica del rinnovo la titolare di Palazzo Vidoni ha fatto sapere che la procedura dovrebbe concludersi entro Ottobre.
Inoltre, con i nuovi contratti arriveranno alcune novità per tutelare i dipendenti con gravi malattie: «Devono esserci dei giorni nei quali è possibile assentarsi a causa degli effetti collaterali di alcune terapie - ha scritto la ministra Madia su Facebook - senza che queste assenze vengano conteggiate nel monte di assenze massimo consentito dai contratti, come invece accade oggi».
La platea e le risorse a disposizione
Ad essere interessati nello sblocco dei contratti saranno circa 3,3 milioni di dipendenti impiegati nelle Pubbliche Amministrazioni con un costo stimato nell'ultimo Documento di economia e finanza, di 2,8 miliardi di euro. Lo stanziamento dovrebbe essere sufficiente a dare piena attuazione all'intesa raggiunta lo scorso dicembre con la parte sindacale che prevedeva l'erogazione di un aumento contrattuale medio di 85 euro con i rinnovi 2016-2018. Al momento, le risorse disponibili, dopo l’iniezione di fondi messa a punto con la legge di Bilancio 2017, consentono di attribuire un beneficio medio di circa 35,9 euro mensili più altri 10 euro già acquisiti nel 2016. Per centrare gli 85 euro di incremento a partire dal 2018 stabiliti nell’intesa preliminare tra Governo e sindacati occorrono quindi, si calcola, 1,6 miliardi di euro per il pubblico impiego del settore “Stato”, una posta da inserire nella prossima legge di Bilancio.
In arrivo il decreto bis sui licenziamenti disciplinari
Intanto, a inizio settimana, il decreto bis sui 'furbetti del cartellino' dovrebbe ricevere il sì finale dal Consiglio dei ministri. Il testo passerà senza modifiche di sostanza. Il nuovo provvedimento non cambia praticamente nulla rispetto al testo adottato nel 2015 sull’impianto dei licenziamenti immediati per gli illeciti disciplinari individuati in flagranza, ma è stato reso necessario dalla sentenza 251/2016 della Corte costituzionale che ha imposto l’intesa con Regioni ed enti locali per le parti della riforma della Pa relative alle loro competenze. L’ultimo via libera, quindi, serve a blindare le nuove regole, che prevedono la sospensione in 48 ore e il licenziamento in 30 giorni e che senza il correttivo sarebbero state esposte al rischio continuo di ricorsi.
Pensioni, Doppia Strada per il Cumulo Contributivo
Fonte:pensionioggiScritto da Bernardo Diaz
Le differenze tra le due forme di cumulo dei periodi assicurativi a seguito delle modifiche apportate dalla legge di bilancio dal 1° gennaio 2017.
Cumulo contributivo con perimetro diverso a seconda della presenza o meno di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995. La recente Circolare Inps 103/2017, che ha dettato le disposizioni attuative del cumulo di cui al Dlgs 184/1997 rende necessarie alcune precisazioni rispetto ai due istituti onde evitare confusione. I lavoratori privi di anzianità contributiva alla data 31 dicembre 1995 (cioè i lavoratori più giovani) oppure coloro che hanno esercitato l'opzione per il sistema contributivo possono, infatti, cumulare la contribuzione non coincidente temporalmente presente in più casse previdenziali al fine di acquisire un diritto a pensione sin dal 1997 grazie al cumulo previsto dal Dlgs 184/1997 secondo le regole di calcolo del sistema contributivo; mentre i lavoratori più anziani, cioè coloro che sono in possesso di anzianità contributiva al 31.12.1995 possono utilizzare il cumulo di cui alla legge 228/2012 in vigore dal 1° gennaio 2013 come recentemente modificato dalla legge 232/2016 dal 1° gennaio 2017.
Due istituti per due situazioni diverse, da non confondere tra loro. La differenza principale sta nel sistema di calcolo dell'assegno: nel cumulo più antico, quello risalente alla norma del 1997, è esclusivamente contributivo secondo le regole di calcolo della legge Dini (legge 335/1995) mentre quello più recente, introdotto dal 2013, consente di mantenere le regole di calcolo di ciascuna gestione previdenziale, cioè consente di liquidare una prestazione con le regole del sistema retributivo sino al 2011 o sino al 1995 se il lavoratore ha raggiunto o meno i 18 anni di contributi al 1995. Una differenza sostanziale perchè impatta sulla misura dell'assegno pensionistico.
L'età per la pensione è quella Fornero
La maggior parte dei lavoratori che cerca una via per uscire in via anticipata è interessata a tale ultima forma di cumulo in quanto in possesso di anzianità contributiva al 31.12.1995 e dunque non si è mai potuto avvalere dalla norma risalente al 1997. Per il resto i due istituti hanno diversi punti di contatto. Entrambi si rivolgono a soggetti che hanno contribuzione sparsa tra le gestioni della previdenza pubblica obbligatoria (tutte le gestioni Inps, settore privato, autonomo e pubblico impiego) e le casse professionali e possono essere utilizzati per guadagnare la pensione di vecchiaia (a 66 anni e 7 mesi e 20 di contributi) o la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi o quella con il requisito ridotto a 41 anni per i precoci). Chi utilizza il cumulo ex lege 184/1997 (e quindi non è in possesso di contribuzione al 1995) può avvalersi anche del pensionamento a 70 anni e 7 mesi unitamente a 5 anni di contribuzione oppure dell'uscita a 63 anni e 7 mesi e 20 anni di contributi stabilite dalla Legge fornero in favore dei contributivi.
In tutte e due gli istituti il lavoratore non deve essere titolare di un trattamento pensionistico diretto in una delle gestioni coinvolte nel cumulo e, in caso, di suo esercizio bisogna liquidare tutti e per intero i periodi contributivi presenti in tutte le gestioni in questione (non è possibile, in altri termini, un cumulo parziale). C'è anche una ulteriore differenza: con il cumulo contributivo la contribuzione presente nelle casse professionali è utile solo ai fini del diritto alla pensione e non ai fini della misura (art. 1, co. 5 del del Dlgs 184/97). Vale a dire che le casse professionali non erogano alla maturazione dei requisiti, in virtu' della propria autonomia statutaria, la propria quota pensionistica. Ad esempio un lavoratore con 35 anni di contributi nell'Inps e 10 nella Cassa Professionale potrà uscire con la pensione anticipata in quanto ha totalizzato una cifra superiore ai 42 anni e 10 mesi ma la misura del trattamento sarà erogato sulla base dei soli contributi presenti nell'Inps (35); quelli maturati nella Cassa (10) saranno pagati al perfezionamento dei requisiti previsti dalla Cassa. Tale norma, invero, non è stata prevista per il cumulo retributivo di cui alla legge 228/2012 e successive modifiche. L'estensione di tale regola anche a quest'ultima forma di cumulo potrebbe essere un escamotage per sbloccare il braccio di ferro tra le Casse Professionali ed il Ministero del Lavoro di questi ultimi giorni ma che, comunque, richiederebbe una qualche forma di copertura legislativa.
Il Presidente dell'Inps ha presentato il Rapporto Annuale delle Attività dell'Istituto. Quasi sei milioni i pensionati che non raggiungono i mille euro al mese.
Sono circa 5,8 milioni i pensionati che non arrivano a 1000 euro al mese. Lo certifica l'Inps nel Rapporto annuale, presentato oggi dal presidente Tito Boeri. Nel dettaglio, al 31 dicembre 2016, sono 1,68 milioni quelli che percepiscono un assegno sotto i 500 euro al mese, il 10,8% del totale, e 4,15 milioni quelli che si fermano a 999 euro mese, il 26,7%. Il 21,8% invece, circa 3,38 milioni di pensionati, non supera quota 1.500 mentre il 17,9%, circa 2,78 milioni, percepisce assegni fino a 1999 euro al mese. Sono invece il 10,6%, circa 1,6 milioni, quelli che possono godere di una pensione poco sotto i 2.500 euro mentre a percepire assegni di poco meno di 3000 euro è il 5,4% del totale dei pensionati, 845mila persone. Il 6,8% infine, poco più di 1 milione di pensionati, riceve una pensione oltre i 3mila euro al mese.
Scontro sulla speranza di vita
Per Boeri l'unica strada possibile per mettere i giovani in condizione di poter accedere a una pensione dignitosa è "fiscalizzare una componente dei contributi previdenziali all’inizio della carriera lavorativa per chi viene assunto con un contratto a tempo indeterminato". Ed è certamente migliore "di molte di quelle proposte nella cosiddetta fase due del confronto governo-sindacati sulla previdenza". Ma in ogni caso per Boeri non è possibile bloccare gli automatismi per l'accesso all'età pensionabile legati alle aspettative di vita, ipotesi circolata nelle ultime ore a seguito delle pressioni dei sindacati. "Bloccare l'adeguamento dell'età pensionabile agli andamenti demografici non è affatto una misura a favore dei giovani - rimarca - scarica sui nostri figli e sui figli dei nostri figli i costi di questo mancato adeguamento".
Boeri: bene abolizione articolo 18, possibile un salario minimo
Lo stop all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del contratto a tutele crescenti "ha rimosso il tappo alla crescita delle imprese sopra la soglia dei 15 dipendenti" afferma Boeri che plaude così all'effetto prodotto dal Jobs act. "C'è stata un'impennata nel numero di imprese over 15: dalle 8mila al mese di fine 2014 alle 12mila con il contratto a tutele crescenti", dice annotando come "questa crescita porta vantaggi sul piano della formazione permanente". Secondo il Presidente dell'Inps è possibile anche dire si ad un salario minimo in Italia per garantire "il duplice vantaggio di un decentramento della contrattazione e di uno zoccolo retributivo minimo per quel crescente numero di lavoratori che sfugge alle maglie della contrattazione". Tra le altre modifiche suggerite c'è la necessità diestendere ulteriormente il Rei, il Reddito di Inserimento che prenderà forma nel 2018 in quanto non è sufficiente a coprire l'intera platea degli indigenti in Italia. "E' un primo passo ma va modificato per garantire in Italia uno strumento universalistico a sostegno della disoccupazione e della indigenza. Due le modifiche da apportare: ai criteri di accesso al beneficio e all'importo corrisposto.
Boeri: Inps cambi nome
"Chiediamo al Parlamento di cambiare la denominazione del nostro Istituto perché corrisponda maggiormente a ciò che effettivamente facciamo ogni giorno", ha detto Boeri, presentando la Relazione annuale dell'ente. Una modifica a costo zero, nessun "onere aggiuntivo per la finanza pubblica" neppure la modifica dell'acronimo sulle sedi Inps, evidenzia ancora Boeri che sottolinea come ormai siano complessivamente "440 le prestazioni erogate dall’Istituto, di cui solo 150 di natura pensionistica". Ed elenca: il Bonus mamma domani, l’Ape sociale e l’Ape volontaria. A questi si aggiungerà fra qualche giorno la gestione in via telematica anche dei nuovi contratti di prestazione occasionale varati al posto dei voucher, dal nome Presto. Da settembre l'Inps attuerà le visite fiscali anche nel pubblico impiego e nel 2018 sarà l’ente concessorio del Reddito di Inclusione, la prima misura di assistenza sociale estesa su tutto il territorio nazionale.
Sindacati: Parole di Boeri lontano dalla realtà
Critiche al presidente dell'Inps arrivano dalla parte sindacale che stigmatizza soprattutto la questione della speranza di vita. Non stanno nella percezione di questa presidenza - sostiene Ghiselli - i notevoli problemi organizzativi, le gravi criticità nel rapporto con cittadini, patronati e CAF che determinano inefficienze e ritardi nelle prestazioni, e una situazione del personale a dir poco sofferente, per non parlare delle difficoltà legate alla gestione finanziaria e del patrimonio, che per la prima volta nella storia dell’Istituto hanno portato alla bocciatura del bilancio da parte del Civ”.
“Questa sfasatura fra la realtà e la sua rappresentazione - prosegue il dirigente sindacale - rende sempre più urgente una riforma della governance dell'Inps, necessaria per favorire una maggiore partecipazione e una più incisiva vigilanza sull'attività dell'Istituto”.
Infine, il segretario confederale sottolinea che “le considerazioni sull'articolo 18, sulla contrattazione e sulla rappresentanza e quelle sugli esiti del Jobs act, oltre ad essere formulate sulla manomissione strumentale di alcuni dati, non dovrebbero attenere al Presidente dell'Inps nell'esercizio della sua funzione”.
- by Alex