Lo studio presentato alla Nuvola di Roma: 5,5 dipendenti della Pa ogni cento residenti. Ce ne sono meno che in Germania, Spagna e Uk. Poca formazione ed età media in costante aumento
Fonte:sole24ore di FILIPPO SANTELLI
Poco formati, solo il 40% è laureato. Sempre più anziani, nel 2020 la loro età media sarà di quasi 54 anni. E perfino sottodimensionati nel confronto con i nostri vicini europei, visto che l'organico è sceso di 237mila unità negli ultimi dieci anni. È una fotografia preoccupante quella sul pubblico impiego italiano, scattata da un'indagine diffusa durante l'inaugurazione a Roma del Forum Pa, convegno annuale dedicato al futuro della macchina dello Stato. "Il reclutamento nella Pa in passato è stato pessimo, fatto per risparmiare e assumendo con contratti precari", ha detto la ministra della Pubblica amministrazione Marianna Madia, intervenendo al dibattito di apertura. "Abbiamo sanato questa situazione stabilizzando i vincitori di concorso, da ora in poi le assunzioni saranno fatte in modo regolare sulla base dei fabbisogni effettivi".
"Già adesso la Pa non è più sostenibile", avverte Gianni Dominici, direttore generale del Forum. Il dato più eclatante è quello anagrafico, con il lungo blocco del turnover di epoca Brunetta che sta provocando un rapidissimo invecchiamento dell'organico. Oggi solo il 6,8% dei dipendenti pubblici ha meno di 35 anni, mentre il 33% ne ha più di 55: l'età media dei dipendenti è di 50 anni e cresce di sei mesi ogni anno. Di questo passo nel 2020 negli uffici pubblici la media sarà di 53,6 anni, con 830mila persone, un terzo della forza lavoro complessiva, a un passo dalla pensione.
L'altro effetto del congelamento delle assunzioni è stata la significativa riduzione del personale. Tra il 2007 e il 2015 il numero di dipendenti della Pa è diminuito del 5%, cioè oltre 237 mila persone, nonostante il piccolo recupero degli ultimi due anni. Oggi i lavoratori del pubblico impiego sono 3 milioni e 257 mila, ormai in linea, se non sotto a quelli dei principali Paesi europei. L'incidenza del "pubblico" sul mondo del lavoro in Italia è del 14%, inferiore a Spagna (16%) e Regno Unito (17%) e superiore alla Germania (11%). Ma il rapporto con i residenti, 5,5 ogni 100 cittadini, è tra i più bassi d'Europa, visto che la Germania è a 5,7 e il Regno Unito a 7,9. Anche la spesa per i salari è abbastanza linea: l'Italia versa ogni anno il 10,4% del Pil, 161 miliardi, contro l'8,2% tedesco e il 10% inglese. Lo stipendio medio lordo è di 48 mila euro.
Ma dove l'Italia è clamorosamente in ritardo è nel livello di competenze della sua Pa. Quasi due dipendenti su dieci hanno solo un diploma di scuola media, quattro su dieci hanno un diploma di scuola superiore, appena quattro su dieci sono laureati. Il risultato è che nel 19% dei casi il lavoratore non è adeguatamente qualificato per la mansione che svolge, metà delle posizioni che prevedono la laura sono ricoperte da persone che non la possiedono. A fronte di questo ritardo le ore di formazione erogate sono state meno di una per dipendente.
La ministra Madia ha indicato in "opacità, incertezza e mancanza di tecnologia" i ritardi principali della Pa, ritardi che la sua riforma, ora approvata per intero e in corso di attuazione, sta cercando di superare: "Abbiamo fatto una attenta manutenzione, ma senza discontinuità profonde per non creare incertezza. Siamo in un percorso virtuoso, novità come il silenzio assenso tra le amministrazioni stanno funzionando e aiutano i privati che vogliono investire in Italia". Quanto alla valutazione (e agli incentivi) dei dipendenti, terreno di contrasto con le sigle sindacali, Madia ha spiegato che si devono definire obiettivi comuni a tutto il territorio nazionale e legati ai servizi erogati ai cittadini. Intanto, ha detto il ministro, la stretta contro i furbetti del cartellino "sta funzionando, grazie alla procedura di licenziamento accelerata per chi è colto in fragranza".
L'inaugurazione del Forum Pa è stata interrotta da una dimostrazione, con cori e cartelli, dei dipendenti di Aci Informatica, società partecipata al 100% da Aci. I lavoratori protestano contro il decreto sulla riforma del settore delle pratiche automobilistiche in discussione in Parlamento che accorperebbe il Pubblico registro automobilistico e la Motorizzazione, mettendo a rischio il loro posto di lavoro. "Nessuno di voi verrà licenziato", ha assicurato la ministra Madia.
Fonte:Adnkronos
Anziani, sottodimensionati e, in molti casi, non adeguatamente qualificati rispetto alla mansione da svolgere. Sono i dipendenti pubblici italiani secondo un'indagine svolta da Fpa, società del gruppo Digital360, e presentata al convegno di apertura del Forum Pa 2017. Soltanto il 27,7% dei dipendenti pubblici, infatti, ha meno di 45 anni, mentre l'età media dei lavoratori è di 50,02 anni (dati del conto annuale 2015 della Ragioneria di Stato) e cresce con una media di sei mesi ogni anno. Mentre già adesso il 49% delle mansioni che richiedono una laurea è svolta da personale che non è laureato.
Andando avanti con questa tendenza, dunque, nel 2020 l'età media sarà salita a 53,6 anni, con ben 232mila persone che avranno tra i 65 e i 67 anni e oltre 603mila tra i 60 e i 64 anni; circa un terzo dei lavoratori pubblici italiani fra soli tre anni sarà in uscita dal mercato del lavoro.
Al progressivo invecchiamento dei dipendenti della Pa e alla conseguente riduzione del loro numero nei prossimi anni si aggiungono i tagli al personale, che dal 2007 a oggi hanno riguardato il 5% dei lavoratori, vale a dire 237.220 persone. Oggi i dipendenti pubblici italiani sono 3.257.014 (dati 2015).
Dal confronto con gli altri paesi europei però emerge che il numero dei lavoratori del pubblico impiego in Italia non si distanzia molto dal numero dei loro omologhi europei.
I dipendenti pubblici in Italia addirittura sono circa 2/3 di quelli inglesi e 1,3 milioni in meno rispetto a quelli tedeschi. Ma per comprendere quanto siano proporzionati il numero degli occupati ai servizi da erogare è importante il rapporto fra il numero di dipendenti pubblici e il totale dei cittadini residenti: In Italia ci sono 5,5 impiegati pubblici ogni 100 residenti, una cifra leggermente inferiore che in Germania (5,7), ancora meno che in Spagna (6,4) e molto più distante dal Regno Unito, dove ci sono 7,9 impiegati pubblici ogni 100 cittadini.
Fonte: sivempveneto.
Saranno le singole amministrazioni a definire quali settori possono applicare il «lavoro agile», che non potrà comunque coinvolgere più del 10% dei dipendenti. Sono questi i contenuti chiave della direttiva che arriverà giovedì al confronto con Regioni ed enti locali in Conferenza Unificata, come annunciato ieri a Milano dalla ministra per la Pa Marianna Madia.
La direttiva, accompagnata da un centinaio di pagine di linee guida in cui si dettagliano gli aspetti operativi e assicurativi, attua una doppia regola: quella dell’articolo 14 della legge Madia (la 124/2015), che chiede a Palazzo Chigi di emanare appunto direttive per «conciliare i tempi di vita e di lavoro», e l’articolo 15 del «Jobs act degli autonomi», che detta una disciplina del lavoro agile senza dividere settore pubblico e privato.
Sul piano operativo, sono tre i punti fondamentali delle nuove istruzioni che dopo il confronto con gli enti territoriali diventeranno operative: tocca ai vertici di ogni amministrazione individuare quali settori possono applicare lo smart working, perché ovviamente non è pensabile far lavorare da casa un infermiere o un poliziotto, e tracciare il livello di adesioni sostenibile per gli uffici, all’interno del tetto generale del 10 per cento. Chi aderisce allo smart working, e questo è il terzo passaggio chiave, non potrà essere penalizzato né in termini economici (lo vieta il «Jobs Act degli autonomi»), né in fatto di prospettive di carriera.
Nelle intenzioni del governo espresse dalla ministra Madia la direttiva punta a produrre «un grande esempio di cambiamento» all’interno di una pubblica amministrazione che dopo l’approvazione della riforma del pubblico impiego aspetta il rinnovo dei contratti. Sul punto la “direttiva madre”, che potrebbe arrivare la prossima settimana, spiegherà ai quattro comitati di settore che gli aumenti (85 euro medi secondo l’intesa del 30 novembre, in parte ancora da finanziare) vanno “sterilizzati” nel calcolo del reddito per gli 80 euro; e all’interno del salario accessorio traccerà nuovi confini puntuali fra le voci “fisse”, che finanziano indennità come i turni e il «disagio», e quelle variabili, da collegare in maggioranza alla performance degli uffici.
Fonte:sole24ore di Aldo Monea
L’Anac interviene, nuovamente, sull’articolo 14 del Dlgs n. 33 del 2013 (comma 1-ter) per promuovere la «trasparenza» in materia, ponendo alcuni chiarimenti riferiti alla pubblicazione degli emolumenti complessivi a carico della finanza pubblica percepiti dai dirigenti (comunicato del Presidente Anac del 17 maggio 2017, pubblicato sul sito il 19 maggio).
È bene ricordare, prima, cosa dice quel comma. Esso prevede due distinti obblighi di cui il primo funzionale al secondo. In particolare, la prima parte della disposizione impone a ciascun dirigente di comunicare, all'Amministrazione presso la quale presta servizio, gli emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica. Lo stesso comma fa riferimento all'articolo 13, comma 1, del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, (convertito nella legge 23 giugno 2014, n. 89), disposizione che prevedeva limiti massimi retributivi riferito al primo Presidente della Corte di cassazione.
La seconda parte del comma 1-ter, invece, è rivolta all'Amministrazione pubblica presso cui il dirigente lavora, affinché essa provveda a pubblicare l'ammontare complessivo dei suddetti emolumenti per ciascun dirigente.
Su questa disposizione, l’Anac ha, ora, fissato un ulteriore «paletto» d’interpretazione.
Infatti, nella seduta del 17 maggio 2017, il Consiglio dell’Autorità ha ribadito che l’obbligo di pubblicazione degli emolumenti complessivi a carico della finanza pubblica percepiti dai dirigenti, disposto dall’articolo 14, comma 1-ter, debba ritenersi non sospeso e, dunque, da rispettare.
Le precedenti interpretazioni
La recente comunicazione Anac s’inserisce in un’intricata querelle giuridica che sta interessando Autorità giurisdizionale, Garante Privacy e, appunto, Anac. La tematica ha avuto origine dagli obblighi di trasparenza di cui al comma 1 dell’articolo 14 del Dlgs n. 33 del 2013, riguardanti i dati patrimoniali e reddituali dei dirigenti.
Tali obblighi però, sono stati contestati da taluni dirigenti (nello specifico, da alcuni dirigenti operanti presso il Garante Privacy), che si sono rivolti al Giudice amministrativo (Tar del Lazio) per contestarne la costituzionalità e la compatibilità rispetto al diritto comunitario.
I Giudici amministrativi, prima in forma cautelare (Tar Lazio, sez. I-quater, ordinanza n. 1030 del 2 marzo 2017), e dopo in forma definitiva (il 2 aprile 2017), hanno bloccato la pubblicazione di quei dati.
Proprio in riferimento a tale interpretazione giurisdizionale, l’Anac, nel comunicato qui in esame, sottolinea come l’ordinanza non richiami il comma 1–ter dell’articolo 14 che, peraltro, non era stato oggetto di censura davanti al Tar.
Le Linee guida di Anac
In quella situazione di incertezza l’Anac era intervenuta con la propria determinazione dell’8 marzo 2017, n. 241, per ribadire la vigenza dell’obbligo di pubblicazione predetto. Tuttavia, anche tale interpretazione di Anac veniva contestata da taluni dirigenti (con ricorso del 7 aprile scorso), anche in relazione alle specifiche interpretazioni che ne avevano dato, con propri documenti, la Presidenza del Consiglio di Ministri, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, il Ministero della Salute e il Ministero della Giustizia, relative alla richiesta di adempimento degli obblighi in parola.
Il Consiglio dell’Anac, successivamente, con la delibera del 12 aprile 2017, n. 382, anche tenendo presenti i profili di responsabilità che la diffusione di dati, eventualmente illegittima, potesse produrre, è nuovamente intervenuta sulla questione dell'applicazione dell'articolo 14 del Dlgs n. 33 del 2013, sospendendo l’efficacia della delibera n. 241/2017, limitatamente alle indicazioni relative all’applicazione dell’articolo 14. Precisava tuttavia, come tale interpretazione riguardasse, specificatamente, il solo comma 1, lett. c) ed f) del Dlgs n. 33/2013.
La decisione citata ha prodotto la sospensione delle Linee guida sugli obblighi di pubblicazione dei dirigenti pubblici (relativamente a compensi, spese per viaggi di servizio, situazione patrimoniale e reddituale) in modo esteso a tutte le Pubbliche amministrazioni.
In sostanza, la Comunicazione recente riafferma l’obbligo «parziale» di pubblicità.
Il comunicato Anac
Ora, con il comunicato pubblicato sul sito il 19 maggio, l’Anac ha cercato di riaffermare almeno una parte dell'obbligo di pubblicazione. In particolare, l’Autorità ha voluto riaffermare che la questione sui dubbi di pubblicabilità non riguarda l'intero articolo 14, ma solo il comma 1 e, unicamente, quanto disposto nelle lett. c) ed f).
Di conseguenza, non sussistono profili di cautela giuridica in ordine a quanto previsto dal comma 1, ter, per cui la doverosità della pubblicità degli emolumenti complessivi a carico della finanza pubblica percepiti dai dirigenti continua, secondo Anac, a sussistere.
Una problematica giuridica risolta solo provvisoriamente?
Vi è da dire, a commento della vicenda, che la tematica giuridica qui in esame risulta, francamente, piuttosto capziosa sul piano giuridico, non essendo chiaro, rispetto a gran parte degli oggetti di pubblicità riguardanti i dirigenti, quali siano le ragioni che facciano prevalere una privacy assoluta rispetto ai loro dati che sono, essenzialmente, di tipo ordinario e strettamente collegati alla funzione pubblica che essi svolgono.
È anche evidente che, nella gestione della faccenda e nel procedere dei vari titolari di trattamento di trattamento, stia prevalendo, (a forte somiglianza della cosiddetta «Medicina difensiva») un eccesso di logica di «Amministrazione difensiva», pur comprensibile dati taluni dettami del decreto legislativo sulla Privacy (Dlgs n. 196 del 2003).
Non è, inoltre, chiaro, allo stato attuale e dato il tenore estremamente univoco delle norme contestate, in cosa possa consistere un ulteriore intervento normativo del Legislatore, evocato e talora auspicato. Un ragionamento diverso potrebbe attenere in ordine ad un eventuale intervento della Corte costituzionale o, ancor più, della Corte di giustizia europea, soggetti che effettivamente possono mettere fine alla querelle in corso.
L'accesso alla Rete, e anche ai social network, deve essere garantito a tutti i dipendenti della pubblica amministrazione, senza limiti di tempo o orari. E' una delle novità contenute dal Piano triennale per l'informatica nella Pubblica Amministrazione 2017-2019, realizzato dall'Agenzia per l'Italia digitale e anticipato da Public Policy (a breve approderà in Consiglio dei Ministri). Tra le novità del Piano, anche la disponibilità sugli smartphone di tutti i servizi della pubblica amministrazione grazie all'installazione di nuove app da parte anche di società private, la messa a bando di nuovi data center che comporterebbe economie di spesa e l'esclusione delle spese contenute per la connessione ad Internet dalla spending review. Questi i principali punti.
Scarica qui il documento integrale pubblicato da Public Policy
1. INTERNET E SOCIAL ILLIMITATI PER I DIPENDENTI. Si parte dal presupposto che Internet "oggi deve essere considerato a tutti gli effetti uno strumento di lavoro indispensabile ed efficace per svolgere ogni tipo di attività: dal trovare numeri di telefono, all'identificare persone e relazioni tra queste persone, riferimenti di un concorso o normativi, documentazione tecnica, strumenti di produttività (traduzioni, orari nel mondo, ecc.), servizi di emergenza o notizie di ogni tipo. Siti di condivisione file, social network, chat o altro, non dovrebbero quindi essere filtrati di principio, per quello che sono, ma solo ed esclusivamente in funzione della tipologia di contenuti normalmente scambiati". Per questo motivo, l'accesso alla rete deve essere garantita a tutti i dipendenti della pubblica amministrazione, indipendentemente dal ruolo o dai compiti assegnati.
2. MATERIALE RISERVATO. Solo per esigenze di sicurezza, e in caso appunto di materiale riservato, si può utilizzare un filtro per bloccare l'utilizzo. "Nel caso la pubblica amministrazione abbia chiare e documentate esigenze di sicurezza superiori alla norma (materiale riservato, servizi critici e sicurezza nazionale) è raccomandato l’utilizzo di filtri stringenti che blocchino l’utilizzo di strumenti di comune utilizzo", ma "solo ed esclusivamente a quei dipendenti e quei sistemi che hanno accesso a questo tipo di informazioni". Ed infatti, il Piano suggerisce forti politiche di sicurezza per trattare informazioni riservate, sui pericoli del phishing (una truffa informatica che si contrae via mail e parte dall'uso di un logo ufficiale, contraffatto) , utilizzo di chiavette Usb.
3. SERVIZI SU SMARTPHONE. Il Piano punta a rendere più fruibili i servizi della pubblica amministrazioneanche attraverso l'accesso per gli utenti tramite dispositivi mobili. Per far questo, si suggerisce di "favorire" l'ingresso di aziende private che possano garantire tali servizi. "Tali servizi dovranno rispettare le linee guida del Piano triennale, (essere sempre disponibili su dispositivi mobili (approccio mobile first) e essere costruiti con architetture sicure, scalabili, altamente affidabili e basate su interfacce applicative (API) chiaramente definite".
4. SPESE PER INTERNET. Le spese sostenute dalle pubbliche amministrazioni per i canoni dei servizi di connettività, come ad esempio Internet, devono essere tenute fuori dal piano di spending review. Non rientrano cioè "nell'obiettivo di contenimento della spesa per il triennio 2016-2018".
5.OBIETTIVO DI RISPARMIO. Il Piano stima che ai fini sempre di spending review la spesa 'aggredibilè nel comparto ICT ammonta a circa 1,7 miliardi. L'obiettivo di risparmio è quantificabile in circa 800 milioni da ottenere attraverso misure di riqualificazione della spesa.
6. "PAGOPA" ENTRO 2017. Entro la fine dell'anno le amministrazioni dovranno completare l'adesione al sistema PagoPA per tutti i servizi che prevedono il pagamento dei dovuti da parte dei cittadini e delle imprese. Ad esempio, tramite PagoPa, si pagano in tabaccheria multe, ticket sanitari, bollo auto, etc., in contanti o con carte di credito dei principali circuiti di pagamento (qui una guida completa). "Le amministrazioni che entro giugno non hanno ancora completato l’adesione al sistema PagoPa - si legge ancora - dovranno adottare, in logica di sussidiarietà, le soluzioni già disponibili attuate dalle altre amministrazioni (ad esempio piattaforme di regioni o di altre amministrazioni), che si propongono con il ruolo di intermediario previsto" dal sistema nazionale.
7. SPID OBBLIGATORIA. Il Sistema Pubblico di Identità Ditigale è il sistema di accesso che consente di utilizzare, con un'ìidentità digitale unica, i servizi online della pubblica amministrazione. Nel Piano si prevede l'obbligo per le amministrazioni di assicurare la copertura di tutti i servizi digitali esistenti, utilizzando esclusivamente il sistema Spid sui nuovi servizi.
8. MULTE TRAMITE DOMICILIO ONLINE. Avvisi, solleciti e notifiche di bollette, multe e cartelle esattoriali potranno essere inviati tramite il domicilio on line del cittadino. "Le amministrazioni diffondono l’utilizzo della infrastruttura nazionale per l’emissione di avvisi e notifiche di cortesia", si legge nel testo. Come multe, bollette e cartelle esattoriali, "da inviare ai cittadini per un pieno utilizzo del domicilio digitale".
9. INVESTIMENTI. Il Piano ipotizza che "l'effetto combinato di azioni di contenimento e di trasformazione della spesa ICT di parte corrente", cioè le spese in innovazione, possa generare per la fine del 2018 prossimo un incremento degli investimenti di circa il 15%, ossia circa 200 milioni.
10. STOP A NUOVI DATA CENTER. Il Piano incentiva a fare economie di spesa con servizi su data center di altre pubblica amministrazione, per sostituirle gradualmente con il cloud.
Legge 104 e invalidità, come chiedo l’assegno?
Fonte:legge per tutti
Pensione d’invalidità, assegno di accompagnamento e altre indennità collegate alla disabilità: come si chiedono le prestazioni economiche?
Mi è stata riconosciuta l’invalidità del 100% con impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita: ora che ho il verbale, come chiedo l’assegno di accompagnamento?
Non è facile, ma richiede diversi passaggi ottenere il riconoscimento del proprio stato d’invalidità: la procedura è stata, è vero, recentemente semplificata e unificata, in quanto con un’unica domanda è possibile ottenere il riconoscimento dell’invalidità, dell’handicap, della non autosufficienza, cecità e sordità. Tuttavia, il procedimento è piuttosto articolato e termina in modo poco chiaro: in pochi, difatti, sanno che cosa si deve fare per ricevere le prestazioni economiche spettanti, una volta ricevuto il verbale della commissione medica che attesta la condizione di disabilità.
L’adempimento da effettuare, in realtà, è abbastanza semplice: terminato l’iter per il riconoscimento dell’invalidità e ricevuto il verbale, bisogna soltanto accedere, nel sito dell’Inps, alla prestazione “Verifica dati socio-economici e reddituali per la concessione delle prestazioni economiche”.
Per accedere alla prestazione esposta, bisogna innanzitutto entrare nel sito dell’Inps col proprio pin personale, o con identità digitale spid. Una volta nel sito, si può cercare la voce direttamente dalla maschera di ricerca, oppure ricercarla scorrendo tra tutte le prestazioni e i servizi.
Il servizio è indispensabile per richiedere le prestazioni assistenziali previste dalla legge in caso di riconoscimento dell’invalidità civile, sordità e cecità.
Completata la fase dell’accertamento dei requisiti sanitari e ottenuto il verbale di invalidità civile da parte della commissione medica, che dà diritto ai benefici previsti per legge (accessibile anche tramite il servizio Cassetta postale online), l’utente, accedendo al servizio “Verifica dati socio-economici e reddituali per la concessione delle prestazioni economiche” deve trasmettere online i dati socio-economici e reddituali necessari all’Inps per valutare la sua richiesta di concessione dei benefici assistenziali dell’invalidità civile (assegno di invalidità, accompagno etc.).
In pratica, se il cittadino non si attiva e non inserisce i dati online nel sito Inps, l’istituto non può concedere le prestazioni spettanti. Si tratta dunque di un passaggio cruciale, anche se in pochi ne parlano e conoscono questa “fase avanzata” delle pratiche d’invalidità.
Ad ogni modo, è sempre possibile farsi assistere da un patronato, anche per quest’ultimo adempimento.
Certamente, gli adempimenti più lunghi e complessi sono quelli relativi al riconoscimento vero e proprio dello stato di disabilità.
Vediamo di sintetizzare i passaggi necessari:
Una volta ricevuto il verbale, dunque, si deve accedere nuovamente al sito Inps per l’inserimento dei dati necessari al pagamento della prestazione.
Se il verbale ha esito negativo, invece, si può ricorrere solo dopo essersi sottoposti a un accertamento tecnico preventivo.
Per approfondimenti, si veda Domanda d’invalidità e Legge 104.
Da PensioniOggi:
FONTE:PENSIONIOGGI Scritto da Eleonora Accorsi
Agevolazioni pensionistiche solo per i lavoratori precoci in condizione disagiate. L'approvazione ieri da parte del Governo del decreto attuativo sulle uscite anticipate conferma le doppie condizioni che i lavoratori dovranno rispettare per uscire in via anticipata con 41 anni di contributi con 41 anni di contribuzione (2132 settimane contributive). Ne potranno fare parte i lavoratori dipendenti, anche del pubblico impiego, nonchè i lavoratori iscritti alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti e coltivatori diretti) in possesso di contribuzione al 31 dicembre 1995, che hanno almeno12 mesi di contribuzione per periodi dilavoro effettivo precedenti il raggiungimento del diciannovesimo anno di età e che si riconoscono in una delle situazioni più in basso evidenziate.
Il richiamo da parte del legislatore al lavoro effettivo dovrebbe comportare che questo periodo possa essere coperto da contributi obbligatori versati, o anche riscattati purché corrispondenti a lavoro effettivo (periodi non coperti per omissioni contributive o lavorati all’estero ad esempio). Mentre tale requisito non potrebbe essere integrato da contribuzione derivante dal riscatto di periodi diversi da quelli lavorativi (es. un periodo di studio). I 12 mesi (o 52 settimane) di lavoro effettivo dovranno essere "ricercati" nel periodo precedente il raggiungimento del 19° anno di età: ad esempio per un lavoratore nato il 5 giugno 1960 bisognerà verificare tutta la contribuzione derivante da lavoro presente sul proprio conto assicurativo sino al 4 giugno 1979.
C'è da dire che il requisito contributivo agevolato di 41 anni di contributi verrà adeguato ai futuri adeguamenti alla speranza di vita Istat. Ciò significa che dal 1° gennaio 2019 l'uscita si sposterà in avanti di 4 o 5 mesi (il dato sarà confermato entro fine anno) e successivamente seguirà gli adeguamenti biennali della speranza di vita. Per il raggiungimento del predetto requisito contributivo le uniche maggiorazioni all’anzianità contributiva applicabili saranno quelle stabilite in favore degli invalidi e dei sordomuti (cioè i 2 mesi per ogni anno di lavoro svolto in condizione di invalidità superiore al 74%). Oltre a raggiungere il requisito dell'anzianità contributiva i lavoratori dovranno identificarsi in uno dei seguenti profili di tutela:
a) siano lavoratori dipendenti in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell'ambito della procedura di conciliazione obbligatoria (ex art. 7, della legge 604/1966), hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi;
b) siano lavoratori dipendenti o autonomi che assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità ai sensi dell'art. 3, co. 3 della legge 104/1992.
c) siano lavoratori dipendenti o autonomi con una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile, superiore o uguale al 74 per cento;
d) siano lavoratori dipendenti compresi nelle undici professioni sotto indicate che svolgono, al momento del pensionamento, da almeno sei anni in via continuativa (negli ultimi sette anni) attività lavorative per le quali è richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltoso e rischioso il loro svolgimento in modo continuativo oppure siano lavoratori dipendenti addetti a mansioni usuranti o a lavoratori notturni come già individuati dal Dlgs 67/2011 (si veda: lavori usuranti).
Le condizioni devono essere rispettate entrambe e quindi, ciò significa che chi è stato impiegato in attività gravosa, usurante, risulta disoccupato, invalido o assista il familiare disabile ma non ha svolto almeno 12 mesi di attività lavorativa prima del 19° anno di età resta tagliato fuori da beneficio, così come lo sarà pure chi ha svolto lavoro prima del 19° anno ma non rientra in uno dei quattro appena menzionati profili di tutela. Chi rispetta i requisiti suddetti potrà invece accedere alla pensione con un anticipo di un anno e 10 mesi gli uomini o di dieci mesi le donne rispetto agli attuali requisiti previsti per la pensione anticipata (che chiedono, come noto, 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).
Attenzione anche ad una ulteriore condizione occulta. Il beneficio suddetto viene riconosciuto nell'ambito di programmate risorse di bilancio: 360 milioni di euro per l'anno 2017, di 550 milioni di euro per l'anno 2018, di 570 milioni di euro per l'anno anno 2019 e di 590 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020. Vale la pena ricordare che chi non rispetta le citate condizioni potrà conseguire la pensione con i requisiti generali previsti dalla legge Fornero: cioè dovrà raggiungere i 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi le donne) oppure l'età di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi.
Buono Nido, Domande al via dal 17 luglio per il bonus da mille euro
Fonte:pensionioggi Scritto da Alberto Brambilla
I genitori potranno presentare le domande per fruire del buono nido pari a mille euro annui a partire dal 17 luglio 2017 esclusivamente per via telematica. Lo stabilisce l'Inps nella Circolare 88/2017 con la quale l'istituto di previdenza fornisce le indicazioni per l'accesso al buono per frequentare gli asili nido previsto nell'ultima legge di bilancio (art. 1, co 355 della legge 232/2016).
La misura consiste in un buono di mille euro su base annua, erogato direttamente al genitore richiedente con cadenza mensile per undici mensilità (cioè 90,91€ al mese), per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati di ciascun bimbo nato o adottato dal 1° gennaio 2016 in poi. L'Inps precisa che l'importo non potrà comunque eccedere la spesa sostenuta per il pagamento della singola retta. Pertanto nel caso in cui la retta mensile sia inferiore a 90,91 euro il richiedente avrà diritto ad un contributo pari alla spesa sostenuta (ad esempio: una retta mensile di 80 euro darà diritto ad un contributo mensile di 80 euro).
Il buono potrà essere percepito per un massimo di un triennio (visto che si riferisce alla platea dei bimbi tra gli 0 e 3 anni) e sarà corrisposto dall'INPS al genitore richiedente, previa presentazione di idonea documentazione attestante l'iscrizione a strutture pubbliche o private ed il relativo pagamento della retta per l'asilo nido. Quanto al perimetro soggettivo ne potranno fare richiesta i genitori residenti in Italia con cittadinanza italiana, oppure di uno Stato membro dell'Unione europea oppure, in caso di cittadino di Stato extracomunitario, che risultino in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ovvero una delle carte di soggiorno per familiari extracomunitari di cittadini dell’Unione Europea previste dagli artt. 10 e 17 del D.Lgs. n.30/2007. La fruizione del bonus è sganciata dall'accertamento dell'Isee o dei redditi Irpef del genitore ma dovrà riguardare bimbi nati o adottati a partire dal 1° gennaio 2016.
Gli interessati potranno presentare le domande a partire dal 17 luglio 2017 sino al 31 dicembre 2017 (per il prossimo anno l'Inps si riserva ulteriori istruzioni) indicando le mensilità per le quali si intende chiedere l'erogazione del bonus.
A tal riguardo l'Inps spiega che ove si tratti di frequenza scolastica del minore nel periodo gennaio–luglio 2017 (anno scolastico 2016/2017) il genitore richiedente dovrà indicare gli estremi della documentazione attestante l’avvenuto pagamento delle rette per la fruizione dell’asilo nido pubblico o privato autorizzato prescelto, che dovrà essere allegata in un momento successivo a quello di presentazione della domanda. Le ricevute corrispondenti ai pagamenti delle rette relative ai mesi settembre–dicembre 2017 dovranno essere allegate entro la fine di ciascun mese di riferimento e comunque non oltre il 31 dicembre 2017. Per l’anno 2017, trattandosi di norma di prima applicazione, il primo pagamento comprenderà l’importo delle mensilità sino a quel momento maturate. A partire dal mese successivo a quello di rilascio della procedura il pagamento avrà cadenza mensile.
Nel caso in cui il minore risulti iscritto per la prima volta all’asilo nidoa decorrere dal mese di settembre 2017 (anno scolastico 2017/2018) la presentazione della domanda, spiega l'Inps, sarà possibile solo nel caso in cui sia fornita prova dell’avvenuta iscrizione e del pagamento almeno di una retta di frequenza. Le ricevute corrispondenti ai pagamenti delle rette relative ai mesi successivi dovranno essere allegate entro la fine del mese di riferimento e comunque non oltre il 31 dicembre 2017. In ogni caso, la prova dell’avvenuto pagamento potrà essere fornita tramite ricevuta o quietanza di pagamento, fattura quietanzata, bollettino bancario o postale, e per i nidi aziendali tramite attestazione del datore di lavoro o dell’asilo nido dell’avvenuto pagamento della retta o trattenuta in busta paga.
Bimbi affetti da gravi patologie croniche
Per i bimbi che non possono frequentare l'asilo in quanto affetti da gravi patologie croniche il bonus sarà erogato in misura piena, pari a mille euro, ed un'unica soluzione per assicurare forme di supporto presso la propria abitazione. In tal caso l'importo verrà corrisposto direttamente al genitore richiedente dietro presentazione da parte di quest'ultimo di un'attestazione rilasciata dal pediatra di libera scelta, sulla scorta di idonea documentazione, che attesti, per l'intero anno di riferimento, l'impossibilita' del bambino di frequentare gli asili nido in ragione di una grave patologia cronica.
No al cumulo contestuale con i buoni per il baby sitting
Confermata la non cumulabilità del buono nido contestualmente con mensilità coincidenti con l'erogazione del voucher baby-sitting, misura anch'essa prorogata sino al 2018 con la recente legge di bilancio, nè con la detrazione fiscale del 19% sul totale delle spese annue documentate di iscrizione in asili nido sostenute dai genitori. L'Inps tuttavia spiega che il cumulo con i voucher per il baby-sitting è ammesso ove il buono nido sia erogato nella forma per il supporto al domicilio del bimbo affetto da gravi patologie croniche.
Alla corresponsione del bonus l'Inps provvederà nelle modalità indicate dal richiedente nella domanda (bonifico domiciliato, accredito su conto corrente bancario o postale, libretto postale o carta prepagata con IBAN). Si rammenta che è previsto un vincolo di bilancio annuale: ove il numero delle domande superasse le risorse messe a disposizione l'Inps non potrà accettare più domande di ammissione al bonus.
- by Alex