A.D.M. :Malattia insorta in orario di lavoro - C.C.N.L. Art.35 - C.C.N.L. Art.32
Malattia insorta in orario di lavoro
· Nota n. 59487 RU del 18 giugno 2018
C.C.N.L. ART.35
· CCNL comparto funzioni centrali per il triennio 2016-2018. Articolo 35
C.C.N.L. ART.32
· CCNL comparto funzioni centrali per il triennio 2016-2018. Articolo 32
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Assegno per assistere il familiare disabile con legge 104, in fase di arrivo, tutte le novità
Assegno per assistere un disabile (caregiver) con legge 104 di 1.900 euro, tutte le novità sui benefici fiscali e il bonus erogato dall'Inps.
Fonte:investire oggi di Angelina Tortora,
Assegno per assistere un disabile con legge 104 (caregiver) è attualmente all’esame del Senato il nuovo Testo Unico in materia di assistenza familiare disabile (caregivers familiari), con benefici fiscali e bonus erogato dall’Inps di 1.900 euro.
Analizziamo nel dettaglio chi può chiedere l’assegno per assistere un familiare disabile con legge 104 con tutte le novità e le Faq dei nostri lettori.
Sommario
1. Assegno per assistere il disabile con legge 104, le novità nel dettaglio
4. Assegno disabile e limite di età
6. Assegno disabile e limite reddito ISEE
7. Assegno disabile non per tutti
Assegno per assistere il disabile con legge 104, le novità nel dettaglio
Il bonus disabili 2018 di euro 1.900, dovrà essere erogato sotto forma di:
· contributo economico di 1.900 euro a titolo di rimborso spese per chi assiste un familiare over 80;
· detrazione fiscale di 1900 euro, per chi assiste un familiare disabile di età pari o superiore a 80 anni, entro il terzo grado di parentela. Questa forma di detrazione si va a sommare alle altre agevolazioni e benefici in vigore per l’assistenza ai disabili e non autosufficienti. Per ottenere la detrazione il caregiver deve presentare lo stato di famiglia contenente il suo nome, quello del soggetto assistito e l’I.S.E.E. inferiore a 25.000 euro.
Chi può farne richiesta
Dalla lettura della norma che verranno messe in atto con decreto del Ministro del Lavoro e finanziate dal fondo caregiver familiare, emerge che possono partecipare:
· coniuge;
· parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso;
· convivente di fatto ai sensi della legge n. 76 del 20 maggio 2016;
· familiare o affine entro il secondo grado;
· familiare entro il terzo grado che, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé; sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18.”
Al momento non si sa di più, si attende la circolare dell’INPS con tutte le istruzioni operative.
Le FAQ dei nostri lettori
1) Salve Sig.ra Angelina le scrivo per conto di mia madre che vorrebbe capire meglio la questione del bonus assistenza disabili. Si chiede se è necessaria la coabitazione, visto che mia madre assiste la madre quasi 90enne in casa sua (di mia nonna, ha un diritto di abitazione presso casa del fratello di mia madre). Le due abitazioni sono praticamente attaccate e mia madre svolge l’assistenza quotidiana e continuativa. Grazie mille se vorrà delucidarmi. Saluti.
Il testo definitivo non è ancora uscito, ma da quanto si evince, sarà un requisito richiesto la convivenza con il disabile. La coabitazione come nel caso del congedo straordinario legge 151, dovrebbe essere valida.
Le novità del testo definiscono il “caregiver familiare, come la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18”.
2)Salve, sono una moglie di 52 anni, di un grave disabile con legge 104. Sapevo che doveva uscire, un aiuto economico per chi assiste un disabile grave in famiglia. Vorrei precisare che per farlo mi sono dovuta licenziare dal mio posto di lavoro.
Quindi vorrei sapere cortesemente, c’è questo fondo? Aspettando una vostra collaborazione cordialmente saluto.
Come sopra specificato l’assegno per assistere il familiare è al vaglio al Senato, si spera che presto venga approvato e vengano definite nel breve tempo tutte le modalità tecniche operative per poter fare richiesta.
Assegno disabile e limite di età
3) Buongiorno, un disabile con sclerosi multipla al 100% con accompagnamento in virtù della mia purtroppo disabilità è impedimento nello svolgere le più semplici cose quotidiane tipo vestirmi mangiare o tanto altro c’è mia sorella che mi assiste in questo ma spesso visto che lei viene apposta per me lasciando la sua famiglia con tre figli Io spesso gli do circa 150/200 euro per poter lei sopperire a benzina e quant’altro, il responsabile del Patronato mi ha suggerito che avrei diritto ad un bonus di €1900 visto che mi assiste quotidianamente.
Le chiedo gentilmente se posso fare domanda per usufruire di questo bonus che andrebbe a mia sorella avendo anche zero reddito lavorando solo il marito, sarebbe sicuramente un aiuto fondamentale per mia sorella che deve sopperire a spese di vario genere sapendo che io non riesco con i soldi che prendo dall’INPS tra accompagnamento invalidità totale €800 perché a parte mia sorella pago una persona che mi viene a prendere e mi porta un po’ in giro per effettuare delle commissioni e lui mi costa circa €400 al mese. Nell’attesa di un suo riscontro e valutazione le porgo i miei più distinti saluti.
Il bonus disabili 2018 di euro 1.900, dovrà essere erogato sotto forma di:
· contributo economico di 1.900 euro a titolo di rimborso spese per chi assiste un familiare over 80;
· detrazione fiscale di 1900 euro, per chi assiste un familiare disabile di età pari o superiore a 80 anni, entro il terzo grado di parentela.
Quindi l’età richiesta per il familiare d’assistere è di 80 anni.
4) Buonasera, io sono disoccupata da più di 2 anni, ho percepito la disoccupazione e adesso assisto mia mamma di 78 anni la quale ha la legge 104 . Vive in casa con me e vorrei sapere se posso fare domanda per percepire il bonus disabili 2018. La ringrazio e le porgo cordiali saluti.
Il limite di età richiesto, nella misura attualmente in approvazione al Senato, è che il familiare d’assistere debba avere 80 anni.
Iter per farne richiesta
5) Salve, mia madre ha 80 anni ed ha 2 figli di 48 e 56 anni disabili gravi. Io lavoro in Asl, mio fratello non lavora. Chi può percepire il bonus di 1900 mensili? Io, mio fratello o mia madre per i figli? Come si fa ad averlo? Quale è l’iter?
Bisogna ancora attendere, dev’essere prima approvato e poi si conosceranno le disposizione tecniche operative.
Assegno disabile e limite reddito ISEE
6) Le scrivo dopo alcuni mesi di attesa per avere notizie sui decreti attuativi da parte dell’Inps per quanto riguarda la legge sui caregiver. Mia madre ha 83 anni è disabile totalmente con accompagno e percepisce una pensione di reversibilità di 750euro; è accudita da mia sorella che vive con lei. Quest’ultima ha una pensione di reversibilità di 500 euro, hanno diritto all’assegno previsto dalla norma di legge approvata con la legge di bilancio 2018?
Se le modalità rimangono quelle sopra evidenziate, sua sorella può farne richiesta, il limite di reddito richiesto è determinato da un ISEE inferiore a 25.000 euro.
Assegno disabile non per tutti
7) Vorremmo gentilmente sapere quanto segue: convivo da molti anni con disabile con accompagnamento non autosufficiente con isee a 6380 rientriamo nel bonus caregiver quando possiamo fare domanda e quanto spetta al mese. Ringraziandola cordialmente attendiamo sua cortese risposta.
Si attendono le disposizioni attuative, le consiglio di leggere i requisiti richiesti, sopra menzionati e verificare se lei rientra.
Ape sociale: come e quando presentare la domanda
Fonte:legge per tutti
Domanda di anticipo pensionistico a carico dello Stato: come si compila, dove si presenta, entro quando inviarla.
Il tempo stringe per i lavoratori appartenenti alle categorie tutelate che vogliono beneficiare dell’Ape sociale entro il 2018: scade infatti il 15 luglio 2018 il termine per presentare le domande di certificazione dei requisiti per l’anticipo pensionistico. L’Ape sociale, lo ricordiamo, offre la possibilità di uscire dal lavoro con 3 anni e 7 mesi di anticipo grazie a un assegno pagato dallo Stato, pari alla futura pensione (ma con un tetto massimo di 1500 euro mensili). Sarà comunque possibile, dopo il 15 luglio, presentare altre domande di certificazione dei requisiti, purché entro il 30 novembre 2018: in quest’ultimo caso, però, l’accesso all’anticipo pensionistico potrà essere accolto solo se risulteranno risorse residue. Per poter presentare la domanda nel 2018, ad ogni modo, è necessario che il requisito contributivo (30 anni o 36 anni di contributi, a seconda della categoria di appartenenza, con un massimo di 2 anni di sconto per le donne), assieme agli altri requisiti richiesti per le specifiche categorie di beneficiari dell’Ape sociale siano maturati entro il 31 dicembre 2018. Non si sa ancora, invece, se l’Ape sociale sarà prorogata al 2019: probabilmente questo strumento sarà sostituito dalla pensione anticipata quota 100 e quota 41. Ma procediamo per ordine e vediamo, dopo aver ricordato quali sono i requisiti per l’Ape sociale, come e quando presentare la domanda.
Indice
Chi ha diritto all’Ape sociale
L’Ape sociale è un assegno mensile, a carico dello Stato, che può essere richiesto a partire dai 63 anni di età e sostiene il lavoratore fino al perfezionamento del requisito d’età per la pensione di vecchiaia (dal 2018 pari a 66 anni e 7 mesi per tutti, dal 2019 pari a 67 anni), sino a un massimo di 3 anni e 7 mesi. L’assegno è uguale alla futura pensione, ma non può superare 1.500 euro mensili.
Possono accedere all’Ape sociale, nello specifico, i lavoratori che, al momento della domanda, abbiano già compiuto 63 anni di età e che siano, o siano stati, iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (Ago, che comprende gli iscritti al fondo pensione lavoratori dipendenti e alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi), alle forme sostitutive ed esclusive della stessa, o alla gestione separata Inps, purché cessino l’attività lavorativa e non siano già titolari di una pensione diretta (possono invece essere titolari di una pensione di reversibilità).
I lavoratori devono appartenere a particolari categorie tutelate: disoccupati di lungo corso, caregiver, invalidi dal 74% in su e addetti ai lavori gravosi.
Lavoratori tutelati dall’Ape sociale: chi sono
Nel dettaglio, i beneficiari dell’Ape sociale devono possedere almeno 30 anni di contributi (contando tutti i periodi non coincidenti maturati presso le gestioni Inps) se appartengono a una delle seguenti categorie:
Sono invece necessari 36 anni di contributi per un’ulteriore categoria beneficiaria dell’Ape sociale, gli addetti ai lavori gravosi: si tratta di coloro che hanno prestato per almeno 6 anni negli ultimi 7 anni, o per 7 anni nell’ultimo decennio, un’attività lavorativa particolarmente rischiosa o faticosa, che deve far parte dell’elenco di professioni di seguito indicato:
Come si presenta la domanda di certificazione del diritto all’Ape sociale
Per ottenere l’anticipo pensionistico a carico dello Stato bisogna innanzitutto inviare all’Inps domanda di certificazione del diritto all’Ape sociale. Questa domanda può essere inoltrata tramite patronato, o direttamente dall’interessato attraverso il portale web dell’Inps, se in possesso delle credenziali di accesso (codice Pin dispositivo, carta nazionale dei servizi o identità unica digitale Spid di secondo livello).
Eseguito l’accesso al portale, bisogna seguire il percorso: “Domanda di prestazione pensionistica: pensione, ricostituzione, ratei maturati e non riscossi, certificazione del diritto a pensione”; bisogna poi cliccare su “Nuova domanda” nella colonna di sinistra.
La domanda di certificazione dei requisiti, per chi matura i requisiti richiesti entro il 31 dicembre 2018, può essere inviata entro il 15 luglio 2018. Come abbiamo anticipato, possono essere prese in considerazione anche le domande pervenute dopo questa data, purché entro il 30 novembre 2018, ma solo se risulteranno risorse residue.
Certificazione dell’Inps del diritto a pensione
Una volta ricevute le domande di certificazione dei requisiti, l’Inps deve verificare, in base al numero dei richiedenti e dal perfezionamento o meno delle condizioni richieste, quali sono i beneficiari dell’anticipo pensionistico. Non tutti i requisiti, comunque, devono essere perfezionati alla data di invio della domanda di certificazione, in quanto alcuni possono essere certificati dall’Inps in prospettiva, come il possesso degli anni di contributi richiesti per la categoria di appartenenza.
Verificata la sussistenza dei requisiti, ai beneficiari è inviata una comunicazione dall’istituto in cui sono certificati i requisiti per l’Ape sociale. Per le domande di certificazione dei requisiti inviate entro il 15 luglio 2018, si stima che la risposta dell’Inps arriverà entro ottobre 2018.
Le comunicazioni degli esiti delle domande di riconoscimento delle condizioni di accesso al beneficio, in particolare, dovrebbero pervenire entro:
Come presentare la domanda di Ape sociale
Una volta certificati i requisiti, gli interessati possono inviare la domanda di Ape sociale tramite il sito web dell’Inps (come abbiamo osservato, accessibile con apposite credenziali) o attraverso un patronato. Nello specifico, per presentare la domanda di anticipo pensionistico, bisogna accedere al sito dell’Inps con le proprie credenziali (codice fiscale e Pin, oppure carta nazionale dei servizi, o identità digitale Spid) e seguire il percorso: “Altre prestazioni/Anticipo pensione/Ape sociale”.
Esiste anche la possibilità, per chi possiede già tutti i requisiti per l’Ape sociale, di inviare la domanda di certificazione del diritto all’anticipo assieme alla domanda di pensione vera e propria. Per la conferma del diritto al trattamento e la sua liquidazione, però, si deve sempre aspettare la risposta dell’Inps.
Fonte: studiocataldi di Valeria Zeppilli
Permesso per lutto: durata, retribuzioni e per quali familiari spetta
Fonte: https://www.money.it/Simone Micocci
In caso di decesso di un familiare (entro il II grado di parentela) la legge riconosce al dipendente un permesso retribuito di 3 giorni. Ecco come e quando farne richiesta.
Quando muore un familiare il lavoratore dipendente ha diritto a dei giorni di permesso per il lutto subito, così per organizzare e prendere parte al funerale ed avere tempo per metabolizzare il dolore per la scomparsa.
È importante sottolineare che non si tratta di un congedo obbligatorio bensì facoltativo e che ai dipendenti che ne fanno ricorso viene comunque riconosciuta la retribuzione.
Questo quindi fa parte dei permessi retribuiti per motivi personali. Nel dettaglio è l’articolo 4 della legge dell’8 marzo 2000 a stabilire il diritto del dipendente ad assentarsi dal lavoro nel caso di decesso di un familiare; tuttavia, non tutti i decessi rientrano nel permesso per lutto, ma solo quelli dei familiari di un grado di parentela definito dalla legge.
Uno dei dubbi maggiori quando muore un familiare è se per questo si ha o meno diritto al permesso per lutto. Ad esempio, molti lavoratori si chiedono se possono farne domanda al datore di lavoro in caso di morte della suocera, oppure del nipote.
A tal proposito di seguito trovate una tabella dove per ogni parente e familiare viene specificato se - in caso di decesso dello stesso - si ha diritto o meno al permesso retribuito. Prima però vediamo quanti giorni di permesso spettano e in che modo questo viene retribuito.
PERMESSO PER LUTTO
Per fare chiarezza su quando si può richiedere il permesso per lutto e su quanti giorni spettano abbiamo scelto di scrivere una guida con tutto quello che c’è da sapere sulle regole e sui casi particolari.
Quanti giorni spettano
L’articolo 4 della Legge n°53 del 2000 prevede che il lavoratore dipendente, sia pubblico che privato, in caso di decesso di un familiare ha diritto ad un permesso retribuito pari a tre giorni l’anno.
Il permesso riguarda esclusivamente i giorni lavorativi, quindi nel calcolo non rientrano i festivi e i giorni di riposo.
Il permesso per lutto va utilizzato entro 7 giorni dal decesso del familiare.
Questo tipo di permesso scatta al verificarsi del primo evento, ma non è cumulativo; infatti, se nel corso dell’anno al lavoratore viene a mancare un altro familiare ma ha già utilizzato i 3 giorni di permesso per lutto, non ne può richiedere altri.
Quando spetta
La legge stabilisce che il permesso retribuito per lutto si applica nei casi di decesso di un parente, di un coniuge o di un convivente. Nel dettaglio, mentre per il coniuge non sono richieste particolari documentazioni, per la convivenza è necessario che questa risulti dalla certificazione anagrafica.
Per i parenti, invece, si intendono quello entro il secondo grado di parentela, mentre non può essere richiesto per gli affini, neppure se di I grado. Capire quali parenti e familiari rientrano nella categoria per la quale è possibile beneficiare del permesso per lutto, quindi, non è semplice ecco perché abbiamo deciso di ricapitolare il tutto nella tabella che trovate di seguito.
Familiare |
Spetta il permesso per lutto? |
---|---|
Genitore (madre o padre) |
Sì |
Figlio/a |
Sì |
Fratello/Sorella |
Sì |
Nonno/a |
Sì |
Nipote (figlio dei figli) |
Sì |
Zio/a |
No |
Cugini |
No |
Nipote (Figlio del fratello/sorella) |
No |
Bisnonno/a |
No |
Suocero/a |
No |
Genero/Nuora |
No |
Queste sono le regole generali sui permessi per lutto, ma non sono valide per tutti i lavoratori. Ci sono dei contratti collettivi, infatti, che prevedono delle norme più vantaggiose per i lavoratori; ad esempio, ad alcuni dipendenti è possibile assentarsi anche in caso di morte di affini entro il I° grado - quindi per suocero, suocera, genero e nuora - mentre alcuni contratti estendono i giorni di permesso da 3 a 5.
Per i lavoratori di tipo “parasubordinato” (ad esempio per chi ha sottoscritto un contratto a progetto co.co.co) non sono previsti permessi retribuiti; è totale discrezione del datore di lavoro, quindi, decidere se concederlo o no.
Come viene retribuito?
È l’articolo 4 della legge 53/2000 a stabilire che per il decesso o di documentata grave infermità del coniuge (o del convivente) o di un parente entro il II grado di parentela il lavoratore ha diritto a tre giorni di permesso retribuito.
In questi tre giorni di assenza quindi il dipendente continua a percepire la normale retribuzione.
Il dubbio è: da chi viene pagato il permesso per lutto, dall’INPS o dall’azienda? La risposta è semplice; la retribuzione in busta paga è a carico del datore di lavoro, il quale ha il dovere di corrispondere al dipendente colpito dal lutto di un familiare la normale retribuzione percepita anche nei giorni di assenza.
Come richiederlo
Il lavoratore che è costretto ad assentarsi a causa del decesso di un familiare ha l’obbligo di avvertire tempestivamente il datore di lavoro. Nella comunicazione vanno indicati i giorni di permesso che si vogliono utilizzare.
Una volta rientrato a lavoro, il dipendente deve consegnare al datore di lavoro la documentazione relativa al decesso del parente, la quale deve essere corredata da un’autocertificazione o dalla certificazione rilasciata dal Comune.
Cosa fare quando non spetta?
Abbiamo appena visto che il permesso per lutto non si può richiedere né se il decesso riguarda un parente di grado superiore al II, né se il lavoratore ne ha già usufruito durante l’anno.
In questo caso il lavoratore può comunque approfittare di un permesso non retribuito, qualora questi siano previsti dal proprio CCNL.
La richiesta dei permessi non retribuiti va comunque motivata e deve essere compatibile con le esigenze di servizio. Il datore di lavoro quindi può opporsi alla richiesta presentata senza un valido motivo.
Permesso per grave infermità del coniuge o del parente
Lo stesso articolo che prevede per il lavoratore il diritto di assentarsi in seguito al decesso di un familiare, estende i tre giorni di permesso l’anno anche nei casi di documentata grave infermità del coniuge, di un parente entro il II° grado o di un convivente riconosciuto.
In questo caso per utilizzare il permesso il lavoratore deve presentare, entro il 5° giorno dal rientro, una certificazione del medico specialista o da qualsiasi altra figura autorizzata dal Servizio Sanitario Nazionale.
È bene precisare che i permessi per grave infermità del coniuge sono cumulabili con quelli previsti dalla legge 104 per l’assistenza del coniuge o dei parenti con handicap.
*Guida completa al congedo parentale, chi ne ha diritto, quando è possibile goderne, com'è pagato e come fare domanda per ottenerlo
Il congedo parentale ALLEGATO*
Congedo parentale INPS: giorni di permesso, indennità e obblighi del dipendente
Fonte: https://www.money.it/di Simone Micocci
Chi diventa genitore ha diritto al congedo parentale INPS, i giorni di permesso (dai 3 agli 11 mesi a seconda della categoria) per soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del bambino.
Quanti giorni di congedo parentale spettano a chi diventa genitore? Questa è una domanda particolarmente diffusa tra quei lavoratori che dopo essere diventati genitori vogliono sapere quali diritti riconosce loro la legge. Una domanda alla quale daremo una risposta completa in questa guida, dove trovate tutte le informazioni sul congedo parentale.
Il congedo parentale è lo strumento con cui il nostro ordinamento permette ad un genitore di soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del bambino quando queste esigenze sono impedite dallo svolgimento di un’attività lavorativa.
Quindi il congedo parentale - conosciuto anche come “permesso parentale” - riconosce al lavoratore il diritto ad assentarsi dal lavoro in determinati giorni per stare vicino al figlio nei primi anni della sua vita. L’importante è che - come ricordato dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza - il lavoratore non si approfitti del congedo per svolgere altre mansioni; in presenza di un abuso del diritto, infatti, il dipendente potrebbe andare incontro al licenziamento.
Il congedo parentale si somma a quelli di maternità e paternità, che invece permettono ai genitori di assistere il figlio nei primi mesi, o giorni nel caso del padre, dalla nascita. Terminati i giorni di questi due congedi, quindi, è possibile beneficiare di altri permessi per assistere il figlio.
Tuttavia per la richiesta del congedo parentale è necessario che il dipendente dia un preavviso al proprio datore di lavoro di almeno 15 giorni, salvo casi di impossibilità oggettiva.
Come potete vedere la normativa riguardante il congedo parentale è molto ampia e per questo può risultare complessa. Grazie alla guida INPS, però, possiamo fare chiarezza su tutti gli aspetti legati al permesso parentale; qui trovate tutte le informazioni di cui avete bisogno.
Giorni di permesso
Il congedo parentale spetta ad entrambi i genitori per ogni bambino fino al compimento dell’8° anno. La somma dei giorni di permesso usufruiti dal padre e dalla madre, però, non può essere superiore a 10 mesi, che possono salire ad 11 qualora il padre usufruisca di almeno 3 mesi di permesso.
I giorni di permesso spettanti variano sia in base al tipo della propria occupazione che da quella dell’altro genitore.
Ecco nel dettaglio quanto spetta per legge:
Possono usufruire del congedo parentale anche i lavoratori dipendenti che adottano un bambino. I giorni di permesso spettano nella stessa misura prevista per i genitori naturali, quindi ne possono usufruire entro i primi 12 anni dall’ingresso del minore nella famiglia. Bisogna specificare però che il congedo parentale decade al compimento della maggiore età del figlio adottivo.
Indennità
I giorni del permesso parentale sono retribuiti? In alcuni casi, e in determinate fasce d’età del bambino, al genitore che usufruisce del permesso parentale spetta una percentuale della retribuzione prevista. Ecco una tabella con la quale fare chiarezza:
Primi 6 anni |
Dai 6 agli 8 anni |
Dagli 8 ai 12 anni |
|
Lavoratore dipendente |
Importo pari al 30% della retribuzione |
30% solo se il reddito individuale del genitore richiedente risulti inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione |
I giorni di permesso non sono retribuiti |
Iscritti gestione separata INPS |
30% di 1/365 del reddito derivante da attività di lavoro a progetto o assimilata |
(come prima) |
(come prima) |
Lavoratrice autonoma |
30% della retribuzione convenzionale prevista per l’anno di inizio del congedo stesso |
(come prima) |
(come prima) |
Congedo parentale a ore
Dal 2013 è consentita la fruizione oraria dei congedi parentali. Il che significa che, fino al compimento degli otto anni del bambino, invece di perdere un’intera giornata lavorativa, il genitore potrà richiedere di assentarsi per alcune ore per poi ritornare al proprio posto di lavoro.
La novità, introdotta per andare incontro alle famiglie, consente di utilizzare i congedi in modo più flessibile rispetto ai permessi lavorativi ed inoltre permetterà anche di ammortizzare in modo più equilibrato la retribuzione ridotta che si percepisce durante i periodi di congedo parentale.
Per accedervi sarà necessario il solito preavviso di almeno quindici giorni ed esso sarà utilizzabile a seconda delle disposizioni decise dai vari contratti collettivi nazionali.
Licenziamento per chi non rispetta le regole
È molto importante che i genitori durante il periodo di astensione dal lavoro si dedichino per la maggior parte del tempo alla cura del figlio. Chi si approfitta del congedo parentale, infatti, può essere persino licenziato.
Lo sa bene un papà abruzzese per il quale la Corte di Cassazione - con la sentenza n°509 del 2018 - ha confermato il licenziamento predisposto dalla società automobilista dove era impiegato dopo aver rilevato che nei 10 giorni di congedo parentale non aveva svolto alcuna attività in favore del figlio per oltre la metà del tempo.
Secondo la Suprema Corte, infatti, il genitore non può utilizzare i giorni di permesso del congedo parentale per occuparsi di altre mansioni che siano differenti dalla cura del figlio.
È importante che la finalità del congedo venga rispettata dal momento che - sostiene la Corte di Cassazione - “ciò che conta non è tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare al figlio quanto piuttosto quello che invece non fa nel tempo che avrebbe dovuto dedicare al minore”.
Da Pensionioggi:
Decreto Dignità, Governo pronto ad una stretta sui contratti a termine
E sul capitolo pensioni Di Maio prende tempo. "Non posso dire se l'intervento sarà nella prossima legge di bilancio".
Incentivi alle imprese "più adeguati" e legati alle assunzioni a tempo indeterminato. Stretta su contratti a termine e sulla somministrazione, per contrastare la precarietà. Apertura ad un periodo transitorio, per evitare di "stravolgere le attività aziendali e i contratti in essere". Rafforzamento dei centri per l'impiego che dovranno essere "il cardine su cui dovrà girare il reddito di cittadinanza".
Sono questi i punti salienti che saranno all'interno del decreto dignità il primo provvedimento che sarà all'esame di Palazzo Chigi nei prossimi giorni, entro la fine del mese di giugno. Li spiega, Luigi Di Maio, in una intervista da ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico al Sole 24 Ore. Sul capitolo tutele per i lavoratori 4.0 la soluzione è ora affidata a un tavolo negoziale e non più a un decreto legge.
"Non c'è un cambio di rotta sia ben chiaro - spiega il ministro - abbiano rilevato la disponibilità ad aprire un tavolo ma se non sarà produttivo, sarà il Governo a normare il settore. Quindi non è un cambiamento di strategia, semplicemente dopo aver incontrato i rider, abbiamo incontrato le aziende che si occupano di food delivery ed è emersa, sia dai rappresentanti delle aziende nazionali che internazionali, la disponibilità di avviare un percorso condiviso per la creazione di un contratto per chi lavora nel settore".
"I tempi saranno stretti - aggiunge - non è mia intenzione aprire un tavolo che duri all'infinito, se c'è la possibilità di chiudere con soddisfazioni delle parti si crea un percorso e si porta avanti. I tempi saranno chiari appena aziende, riders e organizzazioni sindacali si incontreranno al ministero".
Pronti alla stretta sui contratti a termine
Nel 'decreto dignità' resteranno le modifiche al Jobs acte sui contratti a termine, il governo reintrodurrà le causali e ridurrà le proroghe da 5 a 4. "Non credo ci sarà un incremento dei contenziosi - sostiene Di Maio - l'idea di fondo è quella di favorire il contratto a tempo indeterminato ed evitare che ci sia un ricorso indiscriminato ai rinnovi: non è più ammissibile che ci siano contratti di settimane o un mese che vengono rinnovati senza una causalità, ma a discrezione dell'azienda". Nei rapporti a tempo determinato attualmente in corso, "Stiamo valutando la misura migliore che ci consenta di intervenire in maniera adeguata senza stravolgere le attività aziendali e i contratti in essere".
"Sulla somministrazione - aggiunge - stiamo già lavorando ad alcuni strumenti specifici, dal momento che anche in questo caso lo strumento si e' prestato ad abusi nel corso degli anni". Inoltre "Stiamo già operando per riformare i Centri per l'impiego e per renderli operativi e in grado di realizzare l'incrocio tra domanda e offerta di lavoro. I Centri per l'impiego saranno il cardine su cui dovrà girare il reddito di cittadinanza, devono essere l'hub su cui si dipanano le politiche per il lavoro".
Per l'Ilva "ieri è stato avviato il tavolo con le parti sociali, enti locali e associazioni. Oggi si chiuderanno gli incontri e faremo le opportune valutazioni, rispondere ora sarebbe poco rispettoso per i partecipanti, avendo ben chiara la necessità di salvaguardare contemporaneamente e in pari misura l'ambiente, i lavoratori e la vita dei cittadini di Taranto".
Capitolo "Pensioni". Di Maio prende tempo
Per le pensioni "la volontà di inserire una nuova anzianità è assodata ma sui tempi tecnici ci stiamo lavorando e non posso dire ora a circa due settimane dall'insediamento se entrerà in legge di bilancio o meno. Ma è una priorità ve lo assicuro" conclude Di Maio.
E di fronte alle resistenze del nuovo esecutivo nello svelare il piano ufficiale per rivedere la Riforma Fornero, Cesare Damiano, ex-ministro del lavoro in quota Pd accusa Di Maio. "Per il momento il Governo si limita a mettere sul piatto tutte le operazioni a costo zero e a forte impatto propagandistico”. “La prova del nove – continua – sarà costituita dalla legge di Bilancio quando, oltre a disinnescare le clausole di salvaguardia per evitare l’aumento dell’Iva, si dovranno anche trovare le risorse per la flat tax, il reddito di cittadinanza e il superamento della legge Fornero. Allora saranno dolori perché tutti questi soldi non ci sono. L’importante è che non si facciano pasticci che peggiorano la situazione anziché migliorarla”.
Ad esempio, “mentre si parla continuamente di Quota 100, se non si precisa la formula si corre il rischio di penalizzare alcune categorie di lavoratori, ad esempio quelli che svolgono attività gravose, e di coinvolgerne positivamente pochi altri: mi riferisco al caso di una Quota che parta dai 64 anni di età, come ha fatto trapelare il Governo, che non cambierebbe di molto la situazione”, conclude.
Come e Quando si riscattano i contributi omessi e prescritti [Guida]
Fonte:pensionioggi
Ai lavoratori è concessa la facoltà di coprire retroattivamente i periodi di contribuzione omessa dal datore di lavoro pagando il relativo onere di riscatto.
Il Riscatto della Contribuzione Omessa e Prescritta
Il dizionario di PensioniOggi.it
Accade talvolta che per alcuni periodi lavorati il datore di lavoro si sia "dimenticato" di versare i relativi contributi previdenziali. Si tratta di un fatto abbastanza grave perchè produrrà un danno irreversibile per il lavoratore che spesso si accorge della sorpresa solo una volta raggiunta l'età pensionabilequando controlla il proprio estratto conto previdenziale. Quando ormai l'omissione contributiva risulta prescritta e, quindi, nulla può essere più chiesto al datore di lavoro.
Per arginare gli effetti negativi per il lavoratore, soggetto debole del rapporto, l'ordinamento consente di non subire interamente le conseguenze dell'inadempimento del datore: l'articolo 13 della legge 1338/1962ha introdotto, infatti, la facoltà di riscatto di questi periodi in misura pari alla pensione o alla quota di pensione adeguata che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione contributi omessi. Tale procedura, denominata tecnicamente costituzione della rendita vitalizia consente, in sostanza, di non perdere ai fini pensionistici i periodi per i quali il datore di lavoro non ha adempiuto ai suoi obblighi contributivi.
Si noti che la procedura in questione riguarda solo la contribuzione omessa e prescritta, cioè quella superiore, di regola, a cinque anni a ritroso dall'insorgenza dell'obbligo contributivo per il datore. Nell'ambito, infatti, del termine di prescrizione di cinque anni, i contributi non versati dal datore di lavoro vengono garantiti dalprincipio di automaticità delle prestazioni grazie al quale l'accredito della posizione previdenziale dell'assicurato avviene automaticamente a carico dell'Inps la quale potrà rivalersi sul datore di lavoro che ha effettuato l'omissione contributiva.
Soggetti Legittimati
La facoltà in questione può essere esercitata dal datore di lavoro, se disponibile a sanare l'omissione contributiva posteriori , oppure dal lavoratore, ove il datore medesimo non provveda. In tal caso il lavoratore, una volta ottenuto il riscatto, può fare causa al datore di lavoro per ottenere risarcimento del danno ai sensi dell'articolo 2116 del codice civile. La facoltà di riscatto riguarda generalmente solo i lavoratori dipendenti iscritti presso l'assicurazione generale obbligatoria mentre la facoltà è sempre esclusa per i lavoratori autonomi, in quanto titolari loro stessi dell'obbligo contributivo.
In merito, però, la Corte costituzionale con la Sentenza 568/1989 ha aperto alla tutela dei lavoratori autonomi più deboli il cui rapporto assicurativo dipende comunque da altri: si tratta in particolare dei familiari coadiuvanti e coadiutori dell'imprenditore artigiano o commerciale in grado di provare con documenti dell'epoca (come ad esempio la dichiarazione dei redditi) che nel periodo in cui risulti l'omissione contributiva c'è stata un effettivo svolgimento dell'attività lavorativa (Circolare Inps 31/2002); nonchè dei coltivatori diretti, coloni e mezzadri in relazione a periodi prescritti non coperti da contribuzione oppure a iscrizioni negli elenchi per un numero di giornate inferiori (Circolare inps 32/2002). Parimenti possono essere autorizzati al riscatto i collaboratori iscritti alla gestione spearata Inps che non siano obbligati al versamento diretto della contribuzione (Circolare Inps 101/2010) come ad esempio i collaboratori coordinati, a progetto, occasionali o i lavoratori autonomi occasionali nonchè gli associati in partecipazione. Per i dipendenti pubblici a seguito dei recenti orientamenti dell'Inps e del Ministero del Lavoro le omissioni contributive restano a carico delle stesse amministrazioni: la maggior parte dei dipendenti pubblici, a differenza del settore privato, non dovrà quindi procedere al riscatto oneroso per recuperare ai fini previdenziali il periodo mancante ma sarà l'amministrazione pubblica a farlo con l'Inps.
Per quanto riguarda i termini per la presentazione della domanda non è prevista alcuna forma di decadenza dalla facoltà di riscatto nè è vietata la presentazione di successive domande, anche per lo stesso periodo di lavoro, nei casi in cui quelle precedenti non hanno trovato accoglimento. La domanda, peraltro, può essere presentata da soggetti già titolari di pensione o meno e, in tal caso, non è necessaria neanche la presenza di un requisito contributivo minimo.
La prova del rapporto di lavoro
Questione dibattuta in giurisprudenza è sempre stata quella delle prove da produrre per esercitare l'indicata facoltà. A tal fine l'articolo 13 della legge 1338/1962cita che il rapporto di lavoro deve risultare da documenti di data certa, dai quali possano evincersi l'effettiva esistenza e la durata del rapporto stesso, nonchè la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore. La norma in questione è stata oggetto di censura da parte della Corte Costituzionale la quale, con la sentenza 568/1989, ha indicato che la prova del rapporto di lavoro può essere fornita con ogni mezzo, anche per testimoni (Circolare Inps 183/1990). La necessità della prova scritta deve essere, pertanto, limitata a dimostrare i fatti da cui desumere la quantificazione del rapporto e l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato, mentre la data della formazione della prova scritta così come va il rapporto di lavoro e la retribuzione corrisposta possono essere provati con ogni mezzo.
Effetti sulla pensione
Il versamento delle somme dovute per riscatto contributivo determina che i relativi contributi vanno riferiti, ad ogni effetto, al perito riscattato e, di conseguenza, possono anche incidere sul momento di maturazione dei requisiti per la pensione nonchè sulla sua decorrenza. In particolare se la rendita viene liquidata al soggetto pensionato essa ha l'effetto di immediata integrazione della pensione già in essere oltre a poter comportare una liquidazione anteriore della stessa (Circolare Inps 12/1996). Nei casi in cui il trattamento di quiescenza non è stato ancora attribuito al lavoratore, i contributi versati a titolo di costituzione della rendita vengono valutati a tutti gli effetti sia ai fini della maturazione del diritto che della misura di tutte prestazioni previdenziali erogate dall'assicurazione generale obbligatoria.
Calcolo dell'Onere
Per le anzianità di riscattare che ricadono nel sistema retributivol'onere è quantificato in termini di riserva matematica; per i periodi che ricadono nel sistema contributivol'onere è calcolato in percentuale secondo le modalità indicate dal Dlgs 184/1997applicando l'aliquota contributiva obbligatoria vigente, alla data di presentazione della domanda di riscatto, nella gestione pensionistica in cui opera il riscatto stesso (qui sono disponibili ulteriori indicazionicirca le modalità di calcolo dell'onere).
Regolarizzazioni Contributive
Si rammenta che l'istituto in questione può essere utilizzato per coprire periodi in cui la contribuzione sia stata omessa dal datore di lavoro. Qualora invece il lavoratore abbia ragione di ritenere che la contribuzione sia stata versata ma per qualche ragione essa non risulta accreditata sul conto assicurativo (situazioni possibili in particolare per eventi che si collocano prima degli anni '80 quando il libretto di lavoro non era stato ancora digitalizzato) è possibile chiedere all'Inps la regolarizzazione della posizione contributiva producendo tutta la documentazione in possesso del lavoratore e del datore di lavoro e comunque ogni altro documento utile a certificare l'esistenza del rapporto di lavoro nel periodo in questione. In particolare occorre trasmettere il libretto di lavoro, le buste paga e, ove disponibile, la tessera assicurativa con le relative marche assicurative che attestino il versamento dei relativi contributi da parte del datore di lavoro per il periodo mancante.
Ove tali elementi risultino insufficienti è possibile, infine, produrre una dichiarazione con atto notarile di altri dipendenti che siano stati in servizio in quegli anni ma, soprattutto, di lavoratori i cui contributi risultino versati in quegli anni che attesti la presenza del rapporto di lavoro nel periodo in questione. La regolarizzazione della posizione contributiva è gratuita in quanto la contribuzione è stata versata dal datore di lavoro. E pertanto non deve darsi luogo al riscatto oneroso dei periodi.