PA centrale: aumenti e tutele in Gazzetta
Fonte:PMI di Teresa Barone
Aumenti in busta paga, flessibilità e conciliazione lavoro-famiglia, welfare integrativo: tutte le novità del contratto per il personale delle Funzioni Centrali.
Per i dipendenti dei Ministeri, delle Agenzie, degli Enti pubblici non economici, Agic, Enac e Cnel arriva la conferma del nuovo contratto di lavoro per il triennio 2016-2018 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’accordo siglato tra Aran e sindacati.
Un’intesa che riguarda il rinnovo del contratto per il personale del comparto Funzioni Centrali dello Stato. Sono circa 240mila i dipendenti statali interessati dalla nuova contrattazione che prevede aumenti stipendiali e altre novità.
In particolare, gli incrementi in busta paga variano da un minimo di 63 euro a un massimo di 117 euro mentre gli arretrati relativi al biennio 2016-2017 saranno versati una tantum con importi compresi tra 370 euro e 712 a seconda della classe retributiva.
Secondo quanto previsto dalla Riforma Madia, inoltre, si introducono le ferie solidali per permettere ai dipendenti con figli minori che si trovano in gravi condizioni di salute di beneficiare delle ferie cedute dai colleghi. Maggiori tutele sono promosse, inoltre, per le donne vittime diviolenza beneficiarie di una speciale aspettativa e agevolazioni in caso di richiesta di trasferimento.
Viene introdotta la banca ore e la possibilità di richiedere un orario di lavoro flessibile, nell’ottica di favorire una maggiore conciliazione lavoro-famiglia.
Per quanto riguarda le altre misure di welfare integrativo, la normativa prevede iniziative di sostegno al reddito della famiglia (sussidi e rimborsi), supporto all’istruzione e promozione del merito dei figli, contributi a favore di attività culturali, ricreative e con finalità sociale, prestiti a favore di dipendenti in difficoltà ad accedere ai canali ordinari del credito bancario, polizze sanitarie integrative delle prestazioni erogate dal SSN.
Si ampliano anche le tutele per i dipendenti affetti da patologie gravi che richiedono cure salvavita, con l’esclusione dal computo delle assenze per malattia dei giorni di ricovero o di day-hospital e anche dei giorni successivi. In merito alle forme contrattuali, i contratti a tempo determinato non potranno eccedere i 36 mesi prorogabili di altri 12 in via eccezionale.
Opzione Donna, ultime novità dalla riforma pensioni
Forse arriverà una proroga della cosiddetta opzione donna, ma di cosa si tratta e come funziona? Ecco una guida a questa misura della riforma pensioni
Fonte:lavoro e diritti
Con l’intento dichiarato del nuovo governo di “smontare” la riforma pensioni Fornero, nella bozza di contratto di governo, firmata Lega – M5s, tra le varie proposte in ambito pensionistico figura la proroga o meglio la riproposizione della misura sperimentale opzione donna fino al 31 dicembre 2019.
Ma cos’è e come funziona questa uscita anticipata dal lavoro? Si tratta in pratica di un opzione rivolta alle donne che possono accedere alle pensione in anticipo rispetto ai normali requisiti previsti per la pensione di vecchiaia o anticipata.
Può essere usufruita sia da lavoratrici del settore privato (dipendenti e autonome) che pubblico. Tuttavia, chi decide di collocarsi a riposo con questa modalità ha lo svantaggio di vedersi calcolato l’intero trattamento pensionistico con il metodo contributivo.
Proroga opzione donne news
La proroga opzione donne saltata per l’anno in corso, è sul tavolo del Governo e del Ministro del Lavoro Di Maio insieme alla quota 100. Ma da dove arriva questa misura? L’opzione donne è una misura introdotta per la prima volta dalla L. n. 234/2004, successivamente ripresa e rivista dalla riforma Fornero (L. n. 214/2011) e poi prorogata dalla Legge di Bilancio 2017.
Grazie a tale strumento è possibile per le lavoratrici ritirarsi in anticipo dal lavoro e andare in pensione con requisiti, sia anagrafici che contributivi più favorevoli rispetto a quelli vigenti per la pensione ordinaria.
In sostanza, chi intende avvalersi di tale opportunità le donne possono andare in pensione con soli 35 anni di contributi ed un requisito anagrafico di:
Si tratta di un anticipo di non poco conto, considerato che al momento per le donne:
Unica limitazione sta nel ricalcolo dell’assegno pensionistico: quest’ultimo sarà calcolato interamente con il metodo contributivo.
Opzione donna: soggetti interessati
L’opportunità di poter pensionarsi con l’opzione donna è riconosciuta alle lavoratrici iscritte all’assicurazione generale obbligatoria (Ago), ed ai fondi ad essa sostitutivi od esclusivi (dipendenti del settore privato, pubblico impiego e lavoratrici autonome) in possesso di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995.
Restano invece esclusi dall’opzione donne, le lavoratrici iscritte alla gestione separata o che, comunque, intendano utilizzare la contribuzione presente in tale gestione per perfezionare il requisito contributivo di 35 anni.
Calcolo pensione opzione donna 2019
La limitazione principale per chi opta per tale uscita anticipata dal mondo del lavoro, sta sicuramente nel sistema di calcolo che è quello contributivo.
Ma a quanto ammonta il taglio pensionistico in tali casi? Secondo alcune stime il passaggio dal retributivo al contributivo comporta una riduzione dell’assegno pensionistico, rispetto all’ultima busta paga, del 25-30%.
Pensioni: riconosciuta reversibilità al partner di fatto
La Corte d'Appello di Milano ha accolto la richiesta del compagno di un uomo morto quando non era ancora stata varata la legge sulle unioni civili
Fonte:studiocataldi
Pensione di reversibilità anche al partner di fatto, in assenza di unione civile. Così ha deciso la Corte d'Appello di Milano, sezione lavoro, accogliendo la richiesta del milanese Ettore Zanola, che ha vissuto per oltre 40 anni con Rolando Borsato, morto nel giugno 2015 quando ancora non era stata varata la legge sulle unioni civili.
Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, i giudici hanno imposto alla Cassa di previdenza degli architetti (ordine cu era iscritto Borsato) di pagare gli assegni di reversibilità sinora negati.
Per Maria Grazia Sangalli ed Emiliano Ganzarolli, i legali che hanno assistito Zanola, insieme ai colleghi dell'associazione Rete Lenford Avvocatura per i diritti Lgbti, si tratta della "prima volta che la reversibilità viene riconosciuta al partner di fatto: la Cassazione l'ha più volte negata ai conviventi eterosessuali perché possono scegliere di sposarsi, mentre le coppie dello stesso sesso fino a due anni fa non avevano modo di regolare la loro unione". È possibile, proseguono, "perché esiste il diritto inalienabile delle persone omosessuali alla vita familiare, anche prima della Legge Cirinnà, come sancito dalla sentenza 138/2010 della Corte costituzionale".
Contestazione disciplinare, l’addebito deve essere chiaro e specifico
Quando un licenziamento a seguito di contestazione disciplinare può definirsi valido? Ecco cosa dice la Cassazione in una recente sentenza.
Fonte:lavoro e diritti
Affinché una contestazione disciplinare da parte del datore di lavoro sia valida, è necessario che la stessa sia resa nei confronti del lavoratore in modo specifico e chiaro. Lo scopo della contestazione infatti deve necessariamente essere quella di mettere il lavoratore incolpato nelle condizioni di potersi difendere.
Non è necessario, a tal fine, che il datore di lavoro segua schemi prestabiliti o standardizzati, è possibile infatti utilizzare qualsiasi format purché sia in grado in maniera inequivocabile che di individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 13667/2018, con la quale ribadisce e consolida l’orientamento già espresso in passato in merito alla procedura da seguire quando un’azienda intende effettuare un licenziamento disciplinare, e quindi applicare l’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970).
Contestazione disciplinare, cos’è
Ma che cos’è nello specifico una contestazione disciplinare? Ebbene, quando un lavoratore mette in atto sul luogo di lavoro dei comportamenti scorretti, l’azienda può sanzionare lo stesso mediante un addebito. Questo prende appunto il nome nel caso di specie di contestazione disciplinare per comportamento scorretto.
Tale pratica deve necessariamente essere preventiva rispetto a qualsiasi atto di licenziamento, pena l’illegittimità e soprattutto il datore di lavoro deve assicurarsi che il lavoratore possa difendersi dei fatti contestati; non è quindi valido per esempio una contestazione dalla quale non si è in grado di individuare il fatto materiale addotto a fondamento della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo.
Si ricorda, inoltre, che prima di comminare qualsiasi sanzione è necessario che siano passati almeno 5 giorni dal ricevimento della contestazione, per sentire la difesa del lavoratore. Quest’ultimo può farsi rappresentare e/o assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un legale di sua fiducia.
Licenziamento disciplinare illegittimo: il caso
La vicenda trae origine da un’azienda che aveva licenziato un lavoratore dipendente dopo avergli contestato alcuni comportamenti che avevano leso il vincolo fiduciario tra le parti.
Il lavoratore soccombe nel primo grado di giudizio e ricorre alla Corte d’Appello che gli riconosce l’illegittimità del licenziamento; per i giudici di secondo grado era infatti stato violato l’art. 18 del CCNL applicato al lavoratore, che richiamava interamente la disciplina del potere disciplinare e quindi dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.
Leggi anche: Reintegra sul posto di lavoro: l’indennità sostitutiva ha natura risarcitoria
L’azienda impugna la sentenza e ricorre per Cassazione con quattro motivi che sono stati poi respinti dai massimi giudici.
Nullità contestazione disciplinare senza addebito
Gli ermellini, nel respingere il ricorso proposto dalla società, affermano il già consolidato orientamento giurisprudenziale; l’addebito disciplinare deve contenere in modo chiaro espressioni che facciano comprendere al lavoratore quali siano le intenzioni della parte datoriale. Come detto in premessa questo serve a consentire al presunto colpevole di potersi difendere.
Annuncio: 0:28
Nel caso di specie, infatti, non era stato rilevato nella maniera più assoluta alcun indizio che potesse far presagire l’effettiva sussistenza di addebiti; nella lettera, infatti, non era stato citato nessun aspetto disciplinare o addebiti specifici. Per questo motivo laddove la contestazione non riveste il carattere della specificità, la stessa può considerarsi non valida.
È possibile utilizzare qualsiasi forma per l’addebito, purché sia efficace a consentire al lavoratore di individuare in maniera netta i fatti contestati; in modo tale da dargli la possibilità di fornire una risposta con le giustificazioni al suo comportamento scorretto.
Dipendenti pubblici: pensioni e TFR/TFS in caso di sospensione cautelare
Con il Messaggio n. 2161 del 29 maggio 2018, l’INPS ha fornito interessanti chiarimenti in merito alla valutazione ai fini pensionistici e del calcolo del TFS/TFR del periodo trascorso in sospensione cautelare per i dipendenti pubblici per i quali pende un giudizio innanzi all’autorità giudiziaria.
Fonte:lavoro e diritti
L’assegno alimentare, corrisposto ai dipendenti sospesi in via cautelare dal servizio e per i quali pende giudizio innanzi all’autorità giudiziaria, costituisce reddito di lavoro dipendente. Come tale quindi, è assoggettato alla relativa tassazione. Tale assegno, pertanto, erogato nel caso di sospensione cautelare per procedimento giudiziario in corso, è imponibile ai fini pensionistici.
A chiarirlo è l’INPS con il Messaggio n. 2161/2018, stabilendo che l’assegno alimentare in argomento è imponibile anche ai fini della gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali e dell’assicurazione sociale vita (ex ENPDEP). Non rientrano nell’imponibilità ai fini previdenziali, invece, i dipendenti civili iscritti alle gestioni ex INADEL ed ex ENPAS.
Assegno alimentare dipendenti pubblici, cos’è
Quando un dipendente viene sospeso cautelativamente dal servizio, viene privato dello stipendio. Durante il periodo di sospensione è prevista la corresponsione di un “assegno alimentare”, la cui misura è stabilita da disposizioni legislative ovvero dai CCNL. In linea generale tale assegno non è superiore alla metà dello stipendio stesso, oltre gli assegni per carichi di famiglia, fatte salve specifiche indicazioni.
Ma l’assegno alimentare rientra tra gli emolumenti imponibili ai fini previdenziali? La risposta è positiva per il Ministero dell’economia e delle Finanze, il quale con Circolare. 326/E del 23 dicembre 1997, al punto 1.5, ha ritenuto che tali redditi rientrano costituiscono redditi di lavoro dipendente e, come tale, sono assoggettati alla relativa tassazione.
Sospensione dal lavoro senza retribuzione e licenziamento
Ma cosa succede qualora il datore di lavoro pubblico adotti un provvedimento disciplinare di licenziamento o di destituzione durante i periodi di sospensione cautelare? In tali casi, si potrà richiedere la restituzione dei contributi pagati durante il periodo di sospensione.
Eventuali periodi di servizio resi dal dipendente a seguito della riammissione in servizio, per revoca del provvedimento di sospensione cautelare, sono utili ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza; anche se, per effetto della retroattività del licenziamento o destituzione, si collocano dopo la data di cessazione del rapporto di lavoro. Ciò in quanto si tratta di servizi effettivamente resi dal dipendente.
Sospensione cautelare facoltativa
Ai fini operativi, in presenza di un provvedimento di sospensione cautelare discrezionale, il datore di lavoro dovrà valorizzare le denunce contributive utilizzando, esclusivamente, il Tipo Servizio 83 “Sospensione cautelare dal servizio per procedimento giudiziario in corso”; dovrà quindi indicare negli elementi delle gestioni di riferimento del dipendente il valore corrispondente all’assegno alimentare erogato.
Sospensione cautelare per procedimento giudiziario: regolarizzazione periodi pregressi
Per i periodi di sospensione cautelare, che si collocano nei periodi retributivi dal mese di febbraio 2014 al periodo retributivo del mese di maggio 2018, per i quali non sia stata inviata alcuna denuncia, il datore di lavoro dovrà procedere alla relativa regolarizzazione entro la fine di agosto 2018.
Sospensione cautelare dipendenti pubblici: quando non vanno versati i contributi?
Ad ogni modo, esistono dei cosi nei quali il datore di lavoro non deve inviare le denunce contributive né effettuare versamenti contributivi per le altre ipotesi di sospensione, ossia:
Messaggio INPS n. 2161/2018
Alleghiamo il testo del messaggio INPS in oggetto link:
Messaggio INPS n. 2161/2018
» 169,8 KiB - 97 hits - 31 maggio 2018
Scarso rendimento, no al licenziamento se non vi è superamento del comporto
Fonte: http://www.diritto-lavoro.com/
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 15523 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: “no al recessodel datore per scarso rendimento se le assenze per malattia a macchia di leopardo non hanno complessivamente superato il comporto” (Dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore).
Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 15523/2018.
La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 18.2.2016, respingeva il reclamo avverso la sentenza del locale Tribunale che, in riforma dell’ordinanza opposta, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a …. Il 28.10.2014, condannando la società … s.p.a. alla reintegra del predetto ed a corrispondergli, ex art. 18, 7° e 4° comma dello Statuto dei lavoratori, un’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto di euro 1543,96 lordi alla data del licenziamento all’effettiva reintegrazione, oltre accessori di legge e relativa contribuzione.
Rilevava la Corte che il contratto collettivo applicabile prevedeva espressamente l’ipotesi del comporto per sommatoria anche in ipotesi di frazionamento delle assenze ove contenute entro il limite temporale previsto e che, collegando la regola contrattuale a quella legale dell’art. 2110 c.c., norma speciale, anche alla luce del disposto della l. 92/2012, il cui articolo 1, comma 42, teneva distinta la fattispecie del giustificato motivo oggettivo da quella del comporto (riveniente la sua ratio nella tutela della salute di rango costituzionale ex art. 32 Cost.), era pacifico il diritto alla permanenza nel posto di lavoro che escludeva la legittimità del recesso ove intimato, come nella specie, nell’ambito del comporto (richiamate Cass. 14310/205 e 16582/2015).
Sotto altro profilo, il giudice del gravame osservava come non era stata provata la disorganizzazione che sarebbe derivata dalle assenze dello …, alla luce della consolidata interpretazione e qualificazione giurisprudenziale del giustificato motivo oggettivo come extrema ratio quale conseguenza dello scarso rendimento, nell’ottica seguita dal reclamante. Al riguardo veniva evidenziato come la società avesse più di 1900 dipendenti addetti alla vigilanza e che nulla era stato allegato sull’impostazione della sua organizzazione per far fronte alle assenze del personale e come avesse inciso in concreto su di essa la reiterazione delle assenze per malattia del lavoratore, le quali, per definizione, non potevano che essere comunicate al datore di lavoro quando la malattia si fosse verificata.
Si precisava, poi, che al licenziamento intimato in violazione del comporto per malattia doveva conseguire la tutela reale, nei termini in cui era stata riconosciuta dal Tribunale.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società datrice di lavoro che veniva rigettato dalla Corte Suprema.
Falso ideologico, via libera al licenziamento del dipendente
Fonte: http://www.diritto-lavoro.com/
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 15640 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: “Via libera, per falso ideologico, al licenziamento del dipendente della Asl, che dichiara di aver esaminato dei campioni di molluschi in realtà analizzati dagli stessi allevatori. La Corte d’appello aveva negato la legittimità del licenziamento in assenza di danno all’azienda, la Cassazione ricorda però che il dirigente è tenuto ad adempiere alle funzioni pubbliche con disciplina e onore in nome dell’immagine della Pa” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 15.6.2018).
Vediamo insieme i fatti di causa.
La Corte di Appello di Venezia ha accolto il reclamo proposto, ex art. 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012, da …. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato al ricorrente dall’Azienda Unità Locale Socio Sanitaria n. …. della Regione Veneto in data 23 febbraio 2015.
La Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che il reclamante era stato indagato per il reato di falso ideologico continuato, commesso nella sua qualità di responsabile della Unità Operativa Molluschicoltura, per avere falsamente attestato nei verbali di campionamento redatti di avere proceduto al prelievo quando, in realtà, i campioni analizzati erano stati consegnati dagli stessi titolari degli allevamenti. All’udienza preliminare dell’8 luglio 2014 aveva chiesto l’applicazione della pena ed il processo penale si era concluso con sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.
Il procedimento disciplinare, iniziato e sospeso il 4 febbraio 2014, era stato prontamente riavviato e nella contestazione la condotta era stata riferita ai “gravi fatti illeciti di rilevanza penale” di cui all’art. 8, comma 11, punto 2 lett. b) del CCNL 6 maggio 2010 per la Dirigenza Medico Veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale. Il licenziamento, invece, era stato irrogato con preavviso in relazione all’art. 6, comma 3, lett. a) e f) dello stesso CCNL.
Il Giudice dell’impugnazione ha escluso profili formali di illegittimità del procedimento disciplinare ed ha evidenziato, per quel che qui rileva, che, sebbene la notizia dell’infrazione fosse stata acquisita dalla struttura già in data 11 novembre 2013, tuttavia si ravvisava solo la violazione del termine di cinque giorni imposto per la trasmissione degli atti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari, dalla quale non derivava la decadenza dall’esercizio del potere. Per il resto i termini erano stati rispettati giacché al momento della sospensione non erano ancora spirati i 120 giorni per la conclusione del procedimento.
Premesso che la diversa valutazione della gravità dell’addebito operata al momento della irrogazione della sanzione non costituisce violazione del principio di immutabilità della contestazione, la Corte ha evidenziato che lo stesso datore di lavoro aveva escluso che la condotta integrasse l’ipotesi prevista dall’art. 8, comma 11 n. 2 lett. b) del contratto, e detta valutazione di limitata gravità trovava riscontro anche nel fatto che l’Azienda, nonostante la definizione del processo penale con sentenza di applicazione della pena, non aveva ritenuto di dover sospendere il dirigente.
Ha aggiunto che il licenziamento con preavviso era stato intimato al di fuori delle ipotesi contrattualmente previste, in quanto il comportamento negligente dal quale derivi un grave danno all’azienda consente solo di sanzionare il dipendente con la sospensione dal servizio.
Non a caso agli altri dipendenti coinvolti nella medesima indagine penale era stata irrogata una sanzione conservativa, inflitta anche al responsabile dell’attività di controllo dei prodotti della pesca e derivati, circostanza questa che privava di spessore l’argomento speso dall’amministrazione reclamata, a detta della quale andava apprezzato il ruolo rivestito dal … nell’ambito dell’unità operativa.
La Corte ha anche evidenziato che il reclamante si era difeso sostenendo di essersi attenuto, quanto alle modalità di campionamento, alle direttive impartite dal Direttore del Servizio in un contesto di emergenza, determinato dal venire mendo degli strumenti necessari per procedere direttamente al prelievo.
La condotta, inoltre, non aveva messo in pericolo l’incolumità o la salute pubblica, tanto che in sede penale si era ritenuto di contestare unicamente ai pubblici ufficiali il falso ideologico. Era altresì emerso che la Giunta Regionale del Veneto, sia pure dopo la proposizione del reclamo, aveva consentito il prelievo dei campioni da parte dell’operatore del settore alimentare, confermando che il campionamento diretto non incide sulla sicurezza alimentare.
La sola circostanza della falsità ideologica dei verbali non poteva giustificare il licenziamento, innanzitutto perché la stessa azienda aveva escluso che integrasse un grave fatto illecito di rilevanza penale ed inoltre per la ragione che non si era verificata alcuna induzione in errore del datore di lavoro, ben consapevole di non disporre degli strumenti necessari per il campionamento diretto. In sintesi, ad avviso della Corte territoriale, si poteva addebitare al … solo un comportamento negligente, per non avere colto la necessità di dare atto nel verbale delle effettive modalità di prelievo dei campioni. Doveva, però, considerarsi anche che il reclamante, in servizio dal 1989 aveva sempre ricevuto valutazioni positive ed aveva continuato a svolgere la sua attività in pendenza del processo penale, dimostrando di essere in grado di adempiere correttamente i propri compiti, nonostante le violazioni commesse. Andava infine valorizzata la condotta tenuta dalle parti dopo la contestazione perché il dirigente si era offerto di riparare il danno cagionato all’azienda, che aveva accettato senza riserve la somma di Euro 18.000,00.
Sulla base di dette considerazioni la Corte territoriale, dichiarata l’illegittimità del licenziamento e, ritenuto applicabile l’art. 18 della legge n. 30 del 1970 nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla legge n. 92/2012, ha condannato la reclamata a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro in precedenza occupato ed a corrispondere allo stesso a titolo di risarcimento del danno le retribuzioni maturate dalla data di cessazione del rapporto sino alla effettiva riammissione in servizio, con rivalutazione e interessi legali.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione la società datrice di lavoro che veniva accolto dalla Corte Suprema con il principio di diritto sopra enunciato.
Comporto, il datore è vincolato dalla data indicata nel licenziamento
Fonte: http://www.diritto-lavoro.com/
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 15095 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto in caso di licenziamento per superamento comporto: “Una volta indicato il periodo per il superamento del comporto il datore è vincolato a quella data” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 12.6.2018).
Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 15095/2018.
Con ricorso depositato il 6.3.2013 … ex dipendente della … spa, e da questa licenziata in data 25.5.11 per superamento del periodo di comporto, proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva respinto le sue domande volte ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della società al risarcimento del danno pari alle mensilità di retribuzione maturate dal licenziamento sino alla effettiva riammissione in servizio.
L’appellante censurava la sentenza per avere il giudice di prime cure disatteso il principio secondo il quale nel caso in cui, nella lettera di licenziamento, il datore di lavoro indichi analiticamente i giorni di assenza conteggiati ai fini del calcolo del comporto, nella verifica della legittimità del recesso non può farsi riferimento a giorni di assenza diversi; censurava, inoltre, la sentenza per avere il Tribunale ritenuto conforme a buona fede e correttezza la condotta posta in essere dalla società.
Si costituiva in giudizio la … spa, sostenendo l’infondatezza delle doglianze avversarie e, con appello incidentale, censurava a sua volta la sentenza per avere il Tribunale escluso che l’indicazione, nella lettera di licenziamento, della data del 21.05.11, potesse considerarsi effetto di mero errore.
Con sentenza depositata il 5.10.15, la Corte di appello di Roma dichiarava illegittimo il licenziamento, con ordine di reintegra e pronunce consequenziali ex art. 18 St. lav.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società datrice di lavoro che veniva rigettato dalla Corte Suprema con il principio di diritto sopra indicato.
Legge 104, in arrivo il bonus da 1.900 euro per chi assiste familiari disabili
Novità in arrivo per i caregivers familiari: arriva il bonus di 1.900 erogato dall’Inps per disabili e anziani dagli 80 anni in su
FONTE:TERMOMETROPOLITICO
È attualmente all’esame del Senato il nuovo Testo Unico in materia dicaregivers familiari, connuovi benefici fiscali e detrazioni per i familiari che assistono un disabile, ai quali si aggiunge il bonus di 1.900 erogato dall’Inps.
Si tratta di un testo che non è ancora stato approvato in via definitiva e che nasce dalla fusione di ben tre disegni di legge presentati al fine di introdurre nuove misure a favore di chi assiste un proprio familiare disabile. Quali sono le novità?
BONUS DA 1900 EURO –Nel confermare le agevolazioni fiscali vigenti, il Testo Unico in materia di assistenza disabili ne introduce anche di nuove. Nel dettaglio:
COS’È –Il bonus assistenza familiari rientra nel pacchetto di misure previste in favore di coloro che assistono un proprio familiare con disabilità, più tecnicamente noti come “caregivers”. Il bonus, di importo pari ad euro 1.900 è riservato a chi presta assistenza ad un proprio familiare disabile di età pari o superiore agli 80 anni.
COME VIENE EROGATO –Può essere erogato in due modalità differenti:
A CHI SPETTA –Il bonus viene riconosciuto:
Pensione anticipata contributiva per smettere di lavorare 3 anni prima
Fonte: https://www.money.it/Simone Micocci
Con la pensione anticipata contributiva si può smettere di lavorare con 20 anni di contributi versati (come per la pensione di vecchiaia). In questo caso, però, l’età anagrafica si abbassa di 3 anni.
Cosa si intende per pensione anticipata contributiva e chi può richiederla?
Come noto ci sono diversi strumenti per smettere di lavorare prima del raggiungimento dell’età pensionabile, pari a 66 anni e 7 mesi nel 2018 e 67 anni per il 2018.
Ad esempio, un’opzione alternativa alla pensione di vecchiaia è quella anticipata, con la quale il lavoratore può smettere di lavorare al raggiungimento di una determinata anzianità contributiva, indipendentemente dall’età anagrafica.
Nel dettaglio, sia per chi ha un’anzianità contributiva precedente al 1995 (e quindi rientra nel metodo di calcolo retributivo o misto) che per chi ha cominciato a maturare contributi dopo questa data (rientrando nel sistema contributivo), il diritto alla pensione anticipata si ottiene al raggiungimento dei seguenti requisiti:
Tuttavia c’è un’ulteriore opzione di pensione anticipata che non tutti conoscono, ovvero quella contributiva. Questa permette a coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 di andare in pensione con soli 20 anni di contributi - come avviene per la pensione di vecchiaia - ma con 3 anni di anticipo rispetto a quest’ultima.
In questo caso, infatti, l’età anagrafica è di 63 anni e 7 mesi con il cambiamento dal 1° gennaio 2019 quando, complice l’adeguamento con le aspettative di vita, salirà a 64 anni.
Per aderire a questa opzione, però, ci sono dei requisiti ben precisi da rispettare; vediamo quali sono.
Requisiti pensione anticipata contributiva
Come anticipato la pensione anticipata contributiva prevede sia un requisito anagrafico che contributivo. Nel dettaglio, questa può essere richiesta da coloro che:
A tal proposito è importante specificare che nei 20 anni di contributi si considerano solamente quelli effettivi, versati quindi dal datore di lavoro o dallo stesso lavoratore (se autonomo). Non hanno valore per la pensione, quindi, i contributi figurativiriconosciuti dall’INPS per i periodi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa.
Requisito economico
Ma non è tutto: per aderire alla pensione anticipata contributiva c’è un requisito economico da rispettare. Nel dettaglio, l’ammontare della prima rata della pensione - calcolata quindi con sistema contributivo - deve essere superiore a 2,8 l’importo mensile dell’assegno sociale.
Considerando che questo per il 2018 ha un valore di 453€, l’importo della prima rata della pensione deve essere superiore a 1.268,40€. Dati alla mano, quindi, solo chi ha avuto una carriera lavorativa caratterizzata da una retribuzione medio-alta può accedere a questa opzione.
A tal proposito è importante ricordare come si calcola l’assegno previdenziale per le pensioni che rientrano nel sistema contributivo. Nel dettaglio, il monte contributivo del richiedente va moltiplicato per il coefficiente di trasformazione, variabile a seconda dell’età del lavoratore e della data in cui si va in pensione.
Anche i coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione sono stati aggiornati per il 2019 e visto l’aumento delle aspettative di vita rilevato dall’ISTAT sono stati ridotti.
Per questo motivo per chi andrà in pensione nel 2019 con il sistema contributivo l’assegno della pensione sarà più basso di circa l’1%; di conseguenza maturare il requisito economico per richiedere la pensione anticipata contributiva sarà leggermente più difficile.
Quando la malattia diventa infortunio? ALLEGATA*
FONTE:LEGGE PER TUTTI
*Malattia professionale e infortunio sul lavoro: qual è la differenza? Cos’è l’infortunio in itinere? Quali sono i compiti di Inail e Inps?
Riforma concorsi pubblici al via
Fonte https://www.pmi.it/:di Teresa Barone
Concorsi pubblici: nuove linee guida
9 maggio 2018 Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della direttiva n. 3 del 2018, emanata dall’ex Ministra Marianna Madia, entrano in vigore le nuove linee guida relative alla riforma dei concorsi pubblici.
Le novità introdotte riguardano vari aspetti delle selezioni pubbliche, dai requisiti richiesti alle prove concorsuali compresa l’organizzazione delle graduatorie. In particolare, sono previste alcune tipologie di concorso tra cui quello per esami, quello per titoli o per titoli ed esami così come il corso-concorso e la selezione mediante svolgimento di prove finalizzate all’accertamento della professionalità richiesta.
Sarà possibile scegliere tra queste forme concorsuali tenendo conto di vari aspetti, ad esempio il concorso pubblico unico dovrà essere adottato dalle PA per reclutare dirigenti e funzionari delle amministrazioni statali.
Le linee guida prevedono anche la creazione di un portale web unico per il reclutamento nella Pubblica Amministrazione, un “Portale del reclutamento” accessibile da parte delle PA e dei cittadini in modo tale da favorire l’invio delle candidature e la pubblicazione dei bandi. Una sorta di banca dati che consentirà il monitoraggio delle procedure di concorso promosse dalle singole PA.
La predetta banca dati dovrà, in sintesi, consentire la consultazione in un unico sito delle informazioni relative a tutti i concorsi pubblici. L’adesione e la conseguente trasmissione delle informazioni alla banca dati da parte degli enti territoriali è rimessa alla determinazione degli stessi in merito a modalità e oggetti.
Da PensioniOggi:
Il pensionato statale perde i contributi versati dopo la pensione
La vicenda di una lavoratrice della scuola che dopo 10 anni di servizio si è vista negare la pensione perchè già titolare di pensione Ipost. Impossibile chiedere il supplemento.
Il ginepraio di norme e regole sulla previdenza sono complesse. Questo è noto. Ma la vicenda di una pensionata ex-ipost, l'ex istituto di postelegrafonici di stato, ha quasi dell'incredibile e quindi merita di essere raccontata. Classe 1954 Maura ha lavorato per poco più di 20 anni nell'azienda Poste, all'epoca interamente statale, e nel 1995, appena dopo la nascita del Fondo Ipost, si è dimessa dal servizio per occuparsi delle esigenze del figlio disabile raggranellando l'assegno minimo pari a circa 500 euro al mese. Oggi può suonar strano con le restrizioni attuali ma all'epoca le regole erano diverse e i dipendenti statali potevano agguantare la pensione con pochi anni di servizio a prescindere dall'età anagrafica.
Essendo in un'età ancora attiva Maura nel 2001 ha iniziato a lavorare presso la scuola pubblica, come personale ATA, con contratto a part-time, prima con contratti a tempo determinato e, poi dopo alcuni anni con definitiva immissione in ruolo. Maturando complessivamente ulteriori 10 anni di contributi che immaginava di poter valorizzare in pensione al raggiungimento dell'età di vecchiaia (cioè 66 anni e 7 mesi) e rimpinguare il magro assegno erogato dal fondo Ipost.
Così non è stato. Cessato il rapporto di lavoro con la scuola per raggiungimento del limite ordinamentale l'Inps le ha negato la possibilità di valorizzare tali ulteriori anni di lavoro in pensione. In quanto, è questa la beffa, la signora risultava già titolare di un trattamento pensionistico diretto. "Sono rimasta esterrefatta dinanzi alla risposta dell'Inps, stentavo a crederci, poi ho realizzato che tutto il lavoro svolto nella scuola secondo loro non mi avrebbe dato nulla" ci scrive Maura. "In pratica è come se si fossero incamerati i contributi previdenziali per oltre 10 anni ed ora non posso neanche averli indietro. Quando ho iniziato il rapporto lavorativo con la scuola non potevo di certo immaginare che questo sarebbe stato irrilevante ai fini pensionistici, lo trovo assurdo, probabilmente lo avessi saputo in anticipo mi sarei comportata diversamente" spiega.
Norme discriminatorie
Effettivamente il guazzabuglio di norme fa il gioco dell'Inps. Essendo Maura una dipendente dell'ex istituto postelegrafonici la sua pensione è stata erogata dall'ente Ipost secondo le regole previste dal DPR 1092/1973(testo unico per il trattamento di previdenza dei dipendenti civili e militari dello stato) per i dipendenti pubblici iscritti alla Cassa Stato. Tale ordinamento non contempla, a differenza di quanto previsto nell'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti del settore privato, l'istituto del supplemento di pensionein caso di rioccupazione dopo la pensione.
Così che quando Maura ha riassunto il servizio presso una scuola pubblica continuando, quindi, ad essere soggetta alle regole del DPR 1092 si è trovata respinta la richiesta della quota aggiuntiva di pensione. Difficile percorrere strade alternative. Non avendo raggiunto il minimo di 20 anni di contributi - l'Istituto scolastico ha, infatti, interrotto d'ufficio il rapporto di lavoro all'età ordinamentale di 65 anni avendo Maura già una pensione e dunque non potendone disporre il trattenimento in servizio- non ha potuto chiedere una autonoma pensione di vecchiaia. Nè ha potuto ottenere la pensione di vecchiaia contributivaa 70 anni con 5 anni di contributi essendo Maura stata assicurata prima del 1996.
L'unica alternativa che gli è prospettata per ottenere la (ri)liquidazione dell'assegno sulla base dell'intera contribuzione maturata è la rifusione del trattamento pensionistico ex artt. 117 e 131 del citato DPR 1092/1973 per il periodo di contestuale erogazione della pensione con quello del servizio scolastico; una scelta che non può permettesi perchè troppo costosa. Maura promette, quindi, battaglia. "Intendo adire le vie legali perchè mi sento fortemente discriminata rispetto a qualsiasi altro lavoratore comune". "Come spiegate bene voi sulla vostra rivista un dipendente privato che si rioccupa per alcuni anni dopo la pensione ha diritto ad una ulteriore quota aggiuntiva sulla base della contribuzione versata. Per me, invece, non è così e praticamente i dieci anni di contributi versati andrebbero perduti interamente. E' impensabile che ancora oggi dopo la soppressione dell'Inpdap e dell'ente Ipost continuino ad esistere tutte queste differenze".
Pensioni, Arriva la quattordicesima a Luglio. Le platee beneficiarie
L'Inps illustra l'articolazione delle fasce di reddito dei pensionati che dal prossimo luglio avranno diritto alla corresponsione della cd. quattordicesima.
Aggiornati i redditi per la corresponsione della quattordicesimamensilità sulla pensione con la mensilità di luglio. Lo stabilisce l'Inps con il messaggio inps 2389/2018 pubblicato oggi dall'istituto di previdenza con il quale, come di consueto, vengono comunicate le nuove fasce reddituali annuali.
Come noto dallo scorso anno il bonus riconosciuto con la mensilità di luglio di ogni anno ai pensionati Inps con più di 64 anni è stato incrementato del 30% per i pensionati con redditi inferiori a 1,5 volte l'importo del trattamento minimo vigente nell'assicurazione generale obbligatoria (cioè circa 507 euro al mese) ed è stato esteso, nei confronti dei pensionati con redditi inferiori a 2 volte il predetto trattamento minimo (poco più di 1.010 euro al mese). L'importo della quattordicesimaoscilla così tra i 336 e i 655 euro a seconda del reddito annuo del percettore (non rileva quello del coniuge) e della contribuzione sulla base della quale è stata liquidata la pensione (si veda sotto la tabella con l'articolazione della nuove fasce vigenti nel 2018). Nessun beneficio spetta ai pensionati titolari di una pensione o di redditi superiori a 1.010 euro al mese. Si rammenta che al fine del raggiungimento del reddito conta non solo la pensione di cui il pensionato è titolare ma anche eventuali prestazioni di invalidità civile (fa eccezione però l'indennità di accompagnamento).
L'Inps conferma, inoltre, la presenza di specifiche fasce di garanzia per coloro il cui reddito splafona la prima fascia (1,5 volte il trattamento minimo inps): in tali circostanze il tetto massimo reddituale oltre il quale il beneficio non spetta (o spetta in misura minore) deve essere incrementato dell’importo del beneficio, diverso per ciascuna fascia contributiva. Infatti, la c.d.clausola di salvaguardia prevede che, nel caso in cui il reddito complessivo individuale annuo risulti superiore ad 1,5 volte, ovvero, a 2 volte il trattamento minimo ed inferiore a tale limite incrementato della somma aggiuntivaspettante, l’importo in parola viene corrisposto fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. Ciò comporta, ad esempio, che un lavoratore con un reddito pari a 9.900 euro annui (superiore quindi al limite di 1,5 volte il minimo Inps) avrà diritto ad una somma aggiuntivapari a431,69€ e non all'importo di 336€ stabilito per i lavoratori con redditi compresi nella fascia superiore (qui è possibile determinare la misura spettante).
Pagamento d'ufficio ma è possibile anche la domanda manuale
Il pagamento verrà effettuato d’ufficio per i pensionati di tutte le gestioni unitamente al rateo di pensione di luglio 2018 ovvero di dicembre 2018 per coloro che perfezionano il requisito anagrafico (cioè i 64 anni) nel secondo semestre dell’anno 2018. E sarà erogato in viaprovvisoria sulla base dei redditi presunti e sarà verificato non appena saranno disponibili le informazioni consuntivate dei redditi dell’anno 2017 o, nel caso di prima concessione, dell’anno 2018. Coloro che non ricevano la quattordicesimae ritengano di averne diritto possono, in ogni caso, presentare domanda, on line attraverso il sito internet dell’Istituto se in possesso, delle credenziali di accesso: PIN INPS, SPID (Sistema pubblico Identità Digitale), CNS (Carta Nazionale dei Servizi), ovvero, rivolgersi a un patronato. L'Inps segnala in proposito che è stata predisposta una apposita domanda di ricostituzione on line, da utilizzare per i pensionati di tutte le gestioni.
Non ci sono novità per quanto riguarda la determinazione dei redditi da prendere in considerazione ai fini della concessione della somma aggiuntiva: resteranno rilevanti, pertanto, oltre alla pensione, i redditi di qualsiasi natura, con l'esclusione dei trattamenti di famiglia, le indennità di accompagnamento, il reddito della casa di abitazione, i trattamenti di fine rapporto e competenze arretrate. Sono escluse, inoltre, le pensioni di guerra, le indennità per i ciechi parziali, l'indennità di comunicazione per i sordomuti (cfr: rilevanza 29 delle tavole Inps).
Leggi Tutto: https://www.pensionioggi.it/notizie/previdenza/pensioni-arriva-la-quattordicesima-a-luglio-le-platee-beneficiarie-978979#ixzz5ITyjJHkN
Imu / Tasi 2018, scade il termine per l'acconto. Ecco come si paga
Entro domani, i contribuenti interessati sono tenuti al versamento della prima rata la quale deve essere calcolata applicando le aliquote e le detrazioni deliberate dai Comuni per l'anno precedente, ossia per il 2017.
Scade domani il termine per il pagamento dell'acconto su Imu/Tasi dovuta per l’anno 2018. I contribuenti tenuti al versamento dovranno recarsi alla cassa per il pagamento della prima rata la quale deve essere calcolata applicando le aliquote e le detrazioni deliberate dai Comuni per l’anno precedente pubblicate sul sito del dipartimento delle finanze, ossia per il 2017. La seconda rata (saldo) entra in pagamento il 17 dicembre 2018 e andrà assolta prendendo a riferimento la delibera comunale valida per il 2018 se variata rispetto allo scorso anno. Vediamo le modalità di calcolo e soprattutto i codici tributo.
Per il versamento è possibile utilizzare il modello F24 “ordinario”: i dati relativi al versamento dell’Imu/Tasi devono essere evidenziati nella “Sezione Imu e altri tributi locali”. Il versamento deve essere effettuato con arrotondamento all’unità di euro; non deve essere effettuato se l’importo dovuto non supera i 12 euro (va riferito all’imposta dovuta per l’intera annualità). Tuttavia, i Comuni possono deliberare importi diversi ed è, quindi, possibile che sia richiesto anche il versamento di somme inferiori a detto limite.
I soggetti non titolari di partita Iva possono utilizzare anche il modello F24 “semplificato” ai fini del versamento in esame. Le modalità di compilazione di tale modello sono analoghe a quelle previste per il modello “ordinario”, unica differenza è l’indicazione del codice “EL” che individua l’Ente locale quale destinatario del versamento all’interno della sezione “Motivo del pagamento” (colonna “Sezione”).
Niente Imu e Tasi anche quest'anno per i proprietari di una prima casa che non sia di lusso ossia rientri nelle categorie A/1, A/8 e A/9 nonchè per gli immobili assimilati a norma di legge a prima casa. Del pari sono esentati dalla tasi gli inquilini e i comodatari se hanno adibito l'immobile a prima casa. Per chi deve pagare l'imposta la base imponibile (uguale per Imu e Tasi) si ottiene prendendo larendita catastale dell’immobile (ad esempio 1.000) e rivalutandola del 5% (quindi 1.000 + [1.000 x 0,05] = 1.050); il risultato va moltiplicato per il relativo coefficiente, ad esempio 160 per le abitazioni e le relative pertinenze (perciò 1.050 x 160 = 168.000). La base imponibile va quindi moltiplicata per l’aliquota decisa dal Comune (diversa per Imu e Tasi) per il saldo dell’anno scorso (ad esempio il 2,5 per mille, perciò 168.000 x 0,0025 = 420). Infine, si sottrae l’eventuale detrazione (indicata nella delibera comunale), si divide per due e il risultato così ottenuto corrisponde all’acconto da versare
- by Alex