RSU 2018
Oggi 17, domani 18 e il 19 aprile si vota per eleggere i membri delle Rsu. È un grande momento di democrazia, ed è importante che tutti gli aventi diritto vadano a votare, soprattutto per i nuovi compiti che le future Rappresentanze Sindacali Unitarie dovranno affrontare. Piace ricordare che prima che un diritto la votazione delle RSU è un dovere in particolare oggi che si torna al voto dopo che grazie alla UILPA è stato riconquistato il potere contrattuale sottratto dalla riforma Brunetta. Contrariamente a quanto sbandierato da qualcuno non ritengo che le RSU possa essere uno strumento di protagonismo, ma un importante momento di rappresentatività nel mondo del lavoro. RICORDATI DI ANDARE A VOTARE!!! LEGGI L’ALLEGATO e giralo ai colleghi
Min.Lavoro: attività di vigilanza e incompatibilità con l’attività di medico competente
Fonte:DPL
La Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza del Ministero del Lavoro, con interpello n. 2 del 5 aprile 2018, ha fornito, alla Regione Lazio, un parere in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 39, comma 3, del decreto legislativo n. 81/2008, il quale dispone che: “Il dipendente di una struttura pubblica, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di medico competente”.
In particolare l’Ente chiede di conoscere “se tale disposizione è da intendersi rivolta a tutte le strutture del Dipartimento di prevenzione delle aziende sanitarie locali o solo a quelle che svolgono attività ispettiva e se sia applicabile a tutto il personale con qualifica ispettiva afferente all’azienda sanitaria”.
La risposta del Ministero del Lavoro:
Al riguardo occorre premettere che il citato articolo 39, comma 3, del decreto legislativo n. 81/2008si pone in continuità rispetto all’abrogato articolo 17, comma 7, decreto legislativo n. 626 del 19 settembre 1994secondo cui: “Il dipendente di una struttura pubblica non può svolgere l’attività di medico competente qualora esplichi attività di vigilanza”.
Inoltre, l’articolo 7 del decreto legislativo n. 229 del 19 giugno 1999– che ha introdotto l’articolo 7-bis nel decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992– ha definito il Dipartimento di prevenzione come “una struttura operativa dell’unità sanitaria locale che garantisce la tutela della salute collettiva, perseguendo obiettivi di promozione della salute, prevenzione delle malattie e delle disabilità e il miglioramento della qualità della vita”.
A tal fine “il dipartimento di prevenzione promuove azioni volte a individuare e rimuovere le cause di nocività e malattia di origine ambientale, umana e animale, mediante iniziative coordinate con i distretti, con i dipartimenti dell’azienda sanitaria locale e delle aziende ospedaliere, prevedendo il coinvolgimento di operatori di diverse discipline”.
Nell’intento del legislatore, dunque, il Dipartimento di prevenzione rappresenta un’unica struttura deputata allo svolgimento di attività polifunzionali, volte a garantire un continuo innalzamento del livello di salute e di miglioramento della qualità della vita.
In tale contesto il Dipartimento non esercita solo un’attività di vigilanza, intesa come “mero controllo” di tipo repressivo e sanzionatorio, ma anche funzioni di tipo preventivo e autorizzativo.
L’attività del Dipartimento si concretizza, altresì, nella ricerca attiva di soluzioni condivise con tutti gli attori che sono chiamati a concorrere alla prevenzione e gestione dei rischi.
Emerge dunque una pluralità di funzioni attribuite al Dipartimento, che oltre alla funzione di vigilanza e controllo, è chiamato a garantire l’attuazione di interventi complessi nell’ambito dell’assistenza collettiva, quali la sorveglianza epidemiologica, l’informazione all’utenza, l’assistenza alle imprese, la formazione degli operatori, l’educazione sanitaria della popolazione, l’informazione e la comunicazione del rischio per la salute.
Sulla base di tali elementi la Commissione ritiene che, in considerazione della natura polifunzionale del Dipartimento di prevenzione, il disposto dall’articolo 39, comma 3, del decreto legislativo n. 81/2008, debba ritenersi applicabile a tutte le strutture che compongono il citato Dipartimento ed a tutto il personale ad esso assegnato, indipendentemente dalla qualifica rivestita.
Pensioni: Boeri, abolire Fornero creerebbe debito di 85 miliardi
Ospite a Mezz'ora in più su Rai Tre, il presidente dell'Inps ha detto no anche al reddito di cittadinanza. Avanti invece su vitalizi e privilegi
FONTE:STUDIOCATALDI di Marina Crisafi –
Abolire la Fornero porterebbe a un debito pensionistico di circa 85 miliardi, costando nell'immediato almeno 11 miliardi che potrebbero salire a 15 in breve tempo. Così, il presidente dell'Inps Tito Boeri ospite a 'Mezz'ora in più' condotto da Lucia Annunziata su Rai Tre. Si creerebbe inoltre, ha aggiunto il numero uno dell'istituto, un sistema "doppiamente iniquo" per i giovani e per chi ha pagato il costo della Fornero oltre che problemi di "sostenibilità al paese".
Boeri, reddito di cittadinanza "disincentivo a lavorare"
Parole negative da parte di Boeri anche sulla proposta dell'introduzione del reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del M5S, che costerebbe "fino a 38 miliardi, se vogliamo essere più ottimisti 35 miliardi". Non solo. La misura si estenderebbe ad una platea che va ben oltre i poveri assoluti e lo farebbe, ha spiegato il presidente Inps, "su un piano rischioso" perché si tratterebbe di un "disincentivo a lavorare".
Meglio, invece, potenziare il Rei, con maggiori risorse ha detto Boeri, perché "sarebbe sbagliato introdurre strumenti nuovi". Oggi in Italia "circa 4.700.000 persone sono in povertà assoluta – ha detto - il Rei copre 2,5 mln quindi metà platea, il 50% dei poveri assoluti, se aggiungiamo risorse allora potremo coprirne molti di più".
Boeri: via vitalizi e privilegi
Sul fronte del ricalcolo contributivo dei vitalizi parlamentari Boeri si è espresso a favore, sostenendo che ciò avrebbe portato a "risparmi importanti, non solo simbolici, nell'ordine dei 150 milioni l'anno".
"Trovo scandaloso – ha aggiunto - che la Camera non ci abbia fornito i dati sui contributi versati dai singoli parlamentari, cariche pubbliche", relativamente alla precedente legislatura, augurandosi che "l'impegno della nuova legislatura sia vero, un primo segnale sarebbe darci queste informazioni per poter fare calcoli trasparenti".
Da PensioniOggi:
Ape Volontario, I termini di pagamento della buonuscita per gli statali
I dipendenti pubblici che faranno richiesta di prestito pensionistico non dovranno sottostare ad uno slittamento ulteriore dei termini di pagamento della buonuscita.
L'adesione al prestito pensionisticonon farà slittare i termini di pagamento del trattamento di fine rapportoo di fine servizio per i dipendenti pubblici. A differenza di coloro che fanno domanda di Ape socialeo del pensionamento con 41 anni di contributi per i quali il legislatore ha previsto una sensibile dilatazione nella data di decorrenza dei termini per il pagamento delle indennità. Invece il prestito pensionisticorisulta assolutamente neutro dal punto di vista del pagamento delle indennità di fine rapporto. Alle prestazioni previdenziali dei dipendenti pubblici che cessano dal servizio e che accedono all’APE si applicheranno infatti gli ordinari termini di pagamento previsti dall’articolo 3, comma 2, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito con modificazioni dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni. I termini decorrono dalla data di collocamento a riposo dell’interessato.
I nuovi termini di pagamento
In sostanza ai dipendenti pubblici che aderiranno allo strumento continueranno ad applicarsi i termini di pagamento fissati dal 1° gennaio 2014 dalla legge 147/2013 (legge di bilancio per il 2014). La disposizione da ultimo richiamata, come noto, ha operato una nuova modalità di corresponsione del TFR/TFS in più importi a seconda dell'ammontare della prestazione al lordo delle trattenute fiscali ed ha ulteriormente dilatato il termine ordinario di pagamento a seconda della causa che ha dato origine alla cessazione del rapporto di lavoro. In particolare se il rapporto di lavoro è cessato per dimissioni volontarie la prima rata del TFR/TFS decorre dopo 24 mesi + 90 GG dalla data di cessazione del rapporto di lavoro; negli altri casi il termine di pagamento della prima rata del TFR/TFS sarà di 12 mesi + 90 GG dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Resta salvo il caso di cessazione per inabilità/decesso (il cui termine di pagamento è pari a 15 gg + 90 gg dalla cessazione dal servizio).
Il pagamento dell'indennità resta sempre soggetto ai nuovi termini di rateazione introdotti dalla disposizione citata. In particolare la prima rata è pari all'importo del trattamento maturato entro un massimo di 50mila euro lordi; la seconda è pari all'eccedenza compresa tra i50 e i 100 mila euro del trattamento lordo complessivamente maturato e la terza rata è pari alla parte eccedente la somma di 100mila euro lordi. La seconda e la terza rata vengono poste in pagamento a distanza rispettivamente di dodici e ventiquattro mesi dalla corresponsione della prima rata.
Le scelte dei lavoratori
Fatta questa premessa i dipendenti pubblici che aderiranno all'Ape volontariopotranno concretamente percorrere due strade a seconda se decidono di cessare il servizio oppure se proseguire l'attività lavorativa, magari in regime di part-time (ove possibile), sino al naturale pensionamento di vecchiaia e, quindi, alla cessazione d'ufficio. L'apevolontario è, infatti, compatibile con la prosecuzione dell'attività lavorativa a differenza dell'ape sociale, per cui un lavoratore potrebbe teoricamente decidere di prendere il prestito, in misura chiaramente ridotta, e continuare a lavorare. Ebbene nella prima ipotesi il pagamento della buonuscita avverrà dopo due anni dalle dimissioni; nella seconda ipotesi il pagamento dell'indennità avverrà dopo da 12 mesi dalla cessazione.
Naturalmente la prima ipotesi è più probabile e consente pure di destinare il TFR/TFS per estinguere anticipatamente l'intera o parte del prestito prima ancora dell'andata in pensione. A seconda di come si calibra l'uscita il dipendente pubblico potrebbe chiedere un anticipo di 36 mesi dalla pensione di vecchiaiadestinando le prime due rate di TFR/TFS che verranno poste in pagamento proprio nei successivi 36 mesi per estinguere il prestito prima dell'andata in pensione. Evitando così una decurtazione ventennale della pensione. Si tratta sicuramente di un effetto da tenere in considerazione che può aiutare i lavoratori ad effettuare una valutazione di convenienza o meno dell'operazione "APE".
Pensioni, Aggiornati i tassi per la cessione del quinto nel 2018
I nuovi tassi di riferimento riguardano le operazioni di cessione del quinto della pensione nel secondo trimestre del 2018.
Aggiornati i tassi per le operazioni di cessione del quinto della pensione per il secondo trimestre del 2018. Lo comunica l'Inps nel messaggio numero 1628 del 13 Aprile 2018. I nuovi tassi seguono la pubblicazione del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 28 Marzo 2018 in cui sono stati resi noti i tassi effettivi globali medi (TEGM) ai fini della determinazione dei tassi usurari da applicare, tra l’altro, alle operazioni di cessione del quinto.
I nuovi tassi effettivi globali medi (TEGM), praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari, così determinati ai sensi dell’articolo 2, comma 1, della legge n. 108/1996 - recante disposizioni in materia di usura - come modificato dal decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, rilevati dalla Banca d’Italia trovano applicazione per il periodo dal 1° aprile 2018 al 30 giugno 2018. Ebbene per i prestiti da estinguersi dietro cessione del quinto dello stipendio e della pensione, il valore dei tassi da applicarsi nel periodo suddetto sono i seguenti Il tasso d'interesse applicabile è differente a seconda se l'importo del prestito risulta inferiore o superiore a 15mila euro ed in base all'età del pensionato al momento della scadenza del piano di ammortamento.
La cessione del quinto della pensione.La cessione del quinto della pensione, com'è noto, è un'operazione di credito al consumo largamente diffusa nel panorama attuale che viene rimborsata dal soggetto finanziato mediante la cessione “pro solvendo” agli istituti di credito di una quota (sino ad un massimo di un quinto appunto) del proprio trattamento pensionistico, cui il Cliente abbia diritto in dipendenza del percepimento della pensione. La rata di rimborso è mensile e viene trattenuta su ogni busta paga direttamente dall’Ente Pensionistico che provvede a sua volta a riversarla all'istituto finanziatore. L’importo della rata e la durata del prestito dipendono dalle scelte del pensionato, tuttavia la Rata di rimborso non può essere superiore ad un quinto della pensione mensile netta, non può determinare un importo inferiore al trattamento minimo ed il prestito dovrà avere una durata ricompresa tra un minimo di 24 mesi e un massimo di 120 mesi. Ad esempio, nel caso in cui il cedente disponga di una pensione di 1500 euro al mese la rata massima sarà pari a 300 euro al mese.
Le pensioni cedibili.Possono essere cedute tutte le pensioni, ad eccezione delle pensioni e assegni sociali, le prestazioni di invalidità civile, gli assegni mensili per l'assistenza ai pensionati per inabilità; gli assegni di sostegno al reddito (VOCRED, VOCOOP, VOESO), gli assegni al nucleo familiare, le pensioni con contitolarità per la quota parte non di pertinenza del soggetto richiedente la cessione e le prestazioni di esodo ex art. 4, commi da 1 a 7 – ter, della Legge n. 92/2012.
Ape volontario, Se la pensione mensile è incapiente si rischia anche il TFR
L'Inps chiarisce le modalità attraverso le quali i pensionati saranno tenuti alla restituzione del debito contratto nei successivi 20 anni al pensionamento.
Alla restituzione del prestito pensionisticonon si scappa. E' questo uno dei principali chiarimenti forniti dall'Inps nel messaggio 1604/2018 pubblicato ieri dall'Istituto di Previdenza che fa luce sulle modalità di restituzione del prestito pensionistico.
Come già anticipato da PensioniOggi da diverso tempo i pensionati che hanno aderito al prestito (da ieri i soggetti in possesso della certificazione Inps possono presentare la domanda di accesso tramite il portale Inps o gli intermediari abilitati) dovranno restituire l'importo in 240 rate in tutto (e non in 260 rate come era stato ipotizzato lo scorso anno) cioè con 12 rate annue diimporto fisso senza decurtazione, pertanto, della 13^ mensilità di pensione in occasione della mensilità di dicembre. L'applicazione di una doppia rata a dicembre avrebbe, infatti, fatto sballare il piano di ammortamento e, pertanto, l'Istituto ed il Ministero hanno dovuto fare marcia indietro rispetto alle prime indicazioni fornite lo scorso anno.
Se la pensione mensile è incapiente
L'Istituto fa tuttavia luce sulle modalità di restituzione del prestito nei successivi 20 anni dal conseguimento della pensione. L'Inps informa che nell’applicazione della trattenuta si farà riferimento al soggetto finanziato e, quindi, all’eventuale cumulo delle prestazioni pensionistiche intestate allo stesso ed erogate, a prescindere dalla gestione di riferimento in cui è stato calcolato l'ape volontario, escludendo comunque le prestazioni di natura assistenziale (es. prestazioni di Invciv). Ne consegue quindi che, nel caso di titolarità di più prestazioni pensionistiche, qualora non vi sia capienza sulla pensione diretta, in ragione dei principi di cui alla normativa vigente - limite del quinto dei trattamenti pensionistici e salvaguardia dell’importo del trattamento minimo del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti - la trattenuta prevista dal piano di ammortamento sarà applicata sulle altre pensioni di cui il soggetto risulti titolare.
Diversamente, in assenza di ulteriori provviste sulle quali effettuare il prelievo, qualora i singoli ratei mensili di pensione risultino incapienti, l’importo non recuperato mensilmente sarà trattenuto sui ratei di pensione successivi, contestualmente al recupero della rata corrente, purché nel rispetto dei criteri di salvaguardia sopra citati. In tali fattispecie, in cui vi sia un importo da recuperare a seguito dell’incapienza dei precedenti ratei mensili di pensione, il prelievo verrà effettuato anche sulla tredicesima mensilità. In sostanza ove il lavoratore abbia chiesto un finanziamento elevato determinando una rata di ammortamento del prestito superiore al 20% dell'importo della pensione netta (ai sensi di quanto previsto dal DPR 180/1950) erogata nella gestione in cui è stato calcolato e liquidato l'Apevolontario la parte eccedente della rata di ammortamento sarà decurtata da eventuali altre pensioni erogate dall'Inps al beneficiario (es. pensione ai superstiti) o, in loro assenza, sulla tredicesima mensilità della pensione.
Gli ulteriori recuperi
Non solo. L’Inps, inoltre, in caso di incapienza della pensione mensile potrà procedere a recuperare eventuali importi residui anche sugli arretrati a credito riferiti a tutte le pensioni intestate al soggetto, ad eccezione di quelli relativi a prestazioni di natura assistenziale e pure sul trattamento difine servizio/trattamento di fine rapportoa favore del soggetto finanziato purché il diritto al pagamento dell’importo a credito sia perfezionato. L’importo così recuperato sarà posto in pagamento a favore dell’Istituto finanziatore e portato in detrazione dal debito complessivo del piano di ammortamento.
Qualora l'ammontare totale delle rate di ammortamento dell'APE non corrisposte alla banca risulti superiore a 200 euro e siano trascorsi 180 giorni dalla data di scadenza dell'ultima rata di pensione che ha concorso al superamento di tale importo l'intermediario finanziario potrà chiedere l'attivazione del Fondo di Garanzia che lo ristorerà in misura pari all'80% del debito accumulato. Finchè non sarà attivato il Fondo di Garanzia l'Inps continuerà a prelevare l'importo residuo secondo le indicate modalità.
Fondo Garanzia TFR, Domande solo per via telematica
Entro sei mesi le domande di ammissione da parte delle banche che hanno concesso prestiti con cessione del TFRagli interventi tutelati dal Fondo di Garanzia saranno possibili solo attraverso il canale telematico.
Le aziende operanti nel settore del credito al consumo che hanno concesso ai lavoratori prestiti con cessione del TFR in garanzia dovranno presentare la domanda di intervento del Fondo di garanzia per il TFR direttamente online tramite il portale Inps. Lo precisa l'Inps nel messaggio numero 1627/2018 in cui l'Istituto indica il superamento della presentazione delle domande in formato cartaceo da parte degli istituti finanziari.
Il fondo Garanzia TFR
Come è noto poiché il trattamento di fine rapporto, annualmente maturato, rappresenta un credito per il dipendente, è necessario che questo abbia la certezza di poter recuperare il suo credito, anche in caso di insolvenza del datore di lavoro in caso di fallimento o di avvio delle procedure concorsuali (concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria eccetera). Per far fronte a questa necessità il legislatore con l'articolo 2 della legge 297/1982ha istituito un apposito fondo di garanzia per il pagamento del trattamento di fine rapporto. Tale fondo, che si alimenta con un contributo posto a carico del datore di lavoro, è gestito per la generalità dei lavoratori dipendenti, dall'Inps, con eccezione dei giornalisti per i quali interviene l'Inpgi. Il fondo di garanzia interviene limitatamente al trattamento di fine rapporto e non anche all'indennita' di anzianità maturata prima del 31 maggio 1982. Il pagamento da parte del fondo riguarda pure i crediti di lavoro inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto rientranti nei 12 mesi precedenti la data del provvedimento che determina l'apertura di una delle procedure indicate, oppure la data di inizio dell'esecuzione forzata o del provvedimento di messa in liquidazione ovvero ancora la data di cessazione del rapporto di lavoro, se questa è intervenuta durante la continuazione dell'attività di impresa. In tal caso il pagamento da parte del fondo non può essere superiore ad una somma pari a tre volte la misura massima del trattamento di Cig al netto delle trattenute previdenziali ed assistenziali.
Domanda telematica anche per le aziende del credito
La domanda telematica di ammissione al Fondo di Garanzia è stata sino ad oggi possibile solo nei confronti dei lavoratori e dei loro eredi (che possono peraltro avvalersi anche dei patronati e del contact center multicanale dell'Inps). Mentre le aziende del settore bancario che hanno concesso prestiti con garanzia del TFR possono accedere all'intervento del Fondo di Garanzia presentando la domanda con il modello cartaceo.
A completamento del processo di telematizzazione l’Inps ha realizzato un apposito servizio che consente di presentare la domanda di intervento del Fondo tramite WEB anche alle aziende operanti nel settore del credito al consumo che hanno concesso ai lavoratori prestiti con cessione del TFR in garanzia, nonché ai soggetti che siano ad esse subentrate con diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore. Il servizio è disponibile sul sito dell’Istituto, nella sezione “Utenti” >”Banche ed Istituti finanziari”. L’accesso al servizio è consentitoprevia autenticazione attraverso l’utilizzo delle seguenti credenziali: a) PIN dispositivo dell’INPS; b) CNS (Carta Nazionale dei Servizi) rilasciata da una Pubblica Amministrazione ai sensi del D.P.R. 117/04 o mediante altro dispositivo (smart card, chiavetta USB) contenente “certificato digitale di autenticazione personale” rilasciato da apposito ente certificatore rispondente agli standard definiti per la CNS; c) Credenziali SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) almeno di livello 2, rilasciata da uno dei gestori accreditati da AgID. Per accedere al servizio, i soggetti incaricati dalle aziende tramite specifica procura dovranno richiedere l’abilitazione presentando il mod. MV61 (allegato al messaggio) ad una qualsiasi Struttura territoriale INPS.
Periodo transitorio
Per consentire alle aziende ed ai soggetti aventi titolo di adeguarsi alla nuova modalità operativa, è previsto un periodo transitorio di 6 mesi dalla data di pubblicazione del messaggio citato, nel corso del quale sarà ancora possibile inoltrare la domanda in formato cartaceo. Al termine di detto periodo, l'Inps informa che il canale telematico diventerà l’unica modalità di presentazione della domanda e, pertanto, le richieste trasmesse con modalità differente saranno considerate improcedibili.
Indennità di Accompagnamento, Ecco I requisiti sanitari richiesti
La Corte di Cassazione illustra le condizioni che danno titolo all'erogazione dell'indennità di accompagnamento per gli invalidi civili. Il deficit di deambulazione deve essere assoluto.
Requisiti in chiaro per l'indennità di accompagnamentoper gli invalidi civili. La Corte di Cassazione ha ribadito con l'ordinanza numero 8557 del 6 Aprile 2018 i requisiti concessori per la prestazione a seguito del ricorso di un invalido che si era visto respingere in primo e secondo grado di giudizio la domanda di ammissione al beneficio. Le Corti di merito avevano rigettato le doglianze dell'invalido in base alle valutazioni del CTU che non avevano dimostrato una assoluta impossibilità di deambulare senza l'aiuto di un accompagnatore o una incapacità dello stesso alla autonoma gestione degli atti della vita quotidiana. Il consulente aveva infatti riscontrato solo una grave riduzione della capacità di deambulare e non un assoluto azzeramento della capacità medesima, nè erano state indicate le funzioni del vivere quotidiano precluse all'invalido a causa della patologia.
Avverso la sentenza della Corte d'Appello l'invalido aveva fatto, quindi, ricorso per Cassazione sottoponendo la questione circa i requisiti sanitari richiesti dall' articolo 1 della legge n. 18 del 1980 e dell'art. 1, legge n. 509 del 1988 per conseguire l'indennita' di accompagnamento. Il ricorrente, in particolare, contestava l'interpretazione restrittiva adottata dal giudice d'appello che aveva preteso la prova di un deficit assoluto di deambulazione, ritenuto non integrato dalla condizione del ricorrente che, con l'aiuto di bastoni canadesi, era unicamente in grado di mantenere la posizione eretta e di muoversi, con impulsi ripetitivi e meccanici, limitatamente all'ambiente domestico e che, senza l'aiuto di un familiare, non avrebbe potuto svolgere gli atti quotidiani della vita.
Il requisito sanitario
La Corte di Cassazione ha, tuttavia, respinto le censure dell'invalido. I giudici spiegano, infatti, che l'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore oppure l'incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita con la conseguente necessità di assistenza continua, richiesti,alternativamente, ai fini della concessione dell' indennità di accompagnamentoai mutilati ed invalidi civilitotalmente inabili, sono requisiti diversi e più rigorosi della semplice difficoltà di deambulazione o di compimento di atti della vita quotidiana con difficoltà, (cfr. Cass. n. 6091 del 2014; Cass. n. 26092 del 2010; Cass. n. 12521 del 2009; Cass. n. 7558 del 1998; Cass. n. 636 del 1998). Tale impossibilità, anche in ragione della peculiare funzione dell' indennità di accompagnamento, che è quella di sostegno alla famiglia così da agevolare la permanenza in essa di soggetti bisognevoli di continuo controllo, evitandone il ricovero in istituti pubblici di assistenza, con conseguente diminuzione della spesa sociale (cfr. Cass. n. 28705 del 2011),deve essere peraltro attuale e non meramente ipotetica. "Nel caso di specie - spiegano i giudici - la sentenza d'appello si è attenuta ai principi appena richiamati e, con motivazione congrua, ha escluso che il requisito della impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore potesse dirsi integrato in base alle conclusioni della ctu svolta in appello, attestanti un grave deficit della deambulazione, ossia una grave riduzione della capacità di deambulare ("ridotta ad una semplice estrinsecazione meccanica e ripetitiva al posto della più complessa funzione neuromotoria tesa alla soddisfazione di bisogni bio-psico-sociali) e non un assoluto azzeramento della capacità medesima".
Secondo i giudici inoltre il requisito sanitario non risultava soddisfatto neanche con riferimento all'incapacità dello svolgimento degli atti quotidiani della vita posto che la relazione peritale non aveva descritto le abilità e le azioni precluse specificamente al ricorrente. Pertanto, posto che non si è "potuto accertare la totale incapacità del paziente di svolgere autonomamente gli atti quotidiani della vita e/o di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore" il ricorso è stato respinto.
Bonus Baby-Sitting, Come si ottiene il contributo di 600 euro per le lavoratrici madri [Guida]
Il bonus, previsto in via sperimentale per il triennio 2015-2018, è stato prorogato sino al 31 dicembre 2018. E' fruibile in alternativa al congedo parentale entro un vincolo annuo di risorse.
Il Voucher per i Servizi di Baby Sitting
Il dizionario di Pensioni Oggi
Tra le misure di sostegno alla genitorialità la Riforma del Mercato del Lavoro (articolo 4, comma 24, lettera b), della legge 92/2012) ha introdotto in via sperimentale, per il triennio 2013-2015, la possibilità per la madre lavoratrice di richiedere, al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, un voucher per l'acquisto di servizi di babysitting, ovvero un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, da utilizzare negli undici mesi successivi al congedo obbligatorio, per un massimo di sei mesi. La sperimentazione è stata rinnovata nell'anno 2016 dalla legge 208/2015ed ulteriormente prorogata per un ulteriore biennio, sino al 31 dicembre 2018, dalla legge di bilancio per il 2017 (legge 232/2016).
La misura si rivolge alle generalità delle lavoratrici dipendenti, sia del settore privato che del pubblico impiego nonchè alle lavoratrici iscritte presso la gestione separatadell'Inps (sia collaboratrici che professioniste con partita Iva) a condizione che non risultino iscritte presso altre gestioni previdenziali obbligatorie. Dal 2016 la misura è stata estesa anche alle altre lavoratrici autonome ed imprenditrici iscritte ad altra gestione previdenziale dell'Inps (coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali di cui alle leggi 26 ottobre 1957, n. 1047, 4 luglio 1959, n. 463, e 22 luglio 1966, n. 613, imprenditrici agricole a titolo principale, pescatrici autonome della piccola pesca marittima e delle acque interne, disciplinate dalla legge 13 marzo 1958, n. 250). Dal beneficio continuano attualmente a rimanere escluse le professioniste iscritte presso altre gestioni previdenziali obbligatorie diverse dall'Inps.
È bene specificare che il legislatore ha posto la misura come alternativa al congedo parentale, motivo per cui la lavoratrice che decida di avvalersene dovrà espressamente rinunciare ai corrispondenti mesi di congedo. Del pari restano escluse dal beneficio le lavoratrici che non abbiano diritto al congedo parentale (ad esempio, le lavoratrici domestiche, le disoccupate, le autonome che non siano in regola con il versamento dei contributi), nonché quelle già esentate totalmente dal pagamento dei servizi pubblici o privati per l'infanzia o che già usufruiscano del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità. Il periodo in cui si può utilizzare lo strumento coincide con gli 11 mesi successivi al termine del congedo di maternità per le lavoratrici dipendenti mentre risulta individuato nel primo anno di vita del bambino per le lavoratrici autonome.
Le modalità di erogazione del contributo
Il contributo è strutturato in modo tale da non prevedere l'erogazione di somme monetarie dirette in favore della madre. Per evitare abusi. Può essere alternativamente utilizzato in due modi: a) per acquistare servizi di baby-sitting attraverso l'attribuzione di un voucher alla madre, oppure; b) per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati. Nel caso di fruizione dei servizi pubblici per l'infanzia o privati, l'Inps riconoscerà il contributo a condizione che la struttura ospitante rientri tra quelle accreditate presso l'istituto, presenti in un apposito elenco consultabile on line. Il pagamento non sarà corrisposto alla richiedente ma direttamente alla struttura scelta su presentazione di documentazione che attesti il servizio.
Per il baby sitting, l'ente corrisponderà alla madre l'equivalente del contributo in voucher da utilizzare per il pagamento della lavoratrice che si occupa dell'erogazione del servizio di baby-sitting. Dal 2016 la procedura di erogazione dei voucher non avviene più in modalità cartacea come in passato ma tramite il canale telematico dell'Inps (Circ. Inps 75/2016) con le medesime regole per il pagamento dei voucher per il lavoro accessorio. A partire dal1° gennaio 2018 il pagamento della prestazione lavorativa avverrà tramite il cd. Libretto Famiglia. In particolare sia la madre che la prestatrice dei servizi di baby-sitting dovranno registrarsi telematicamente al portale delle Prestazioni Occasionali dell'Inps; la madre una volta riconosciuto il diritto al contributo, dovrà caricare sulla piattaforma Inps l'importo e comunicare telematicamente all'Inps l’inizio e la fine di ciascuna prestazione (qui ulteriori dettagli sulla presentazione delle domande a partire dal 2018).
Importo del contributo
L'importo del contributo è di 600,00 euro mensili ed è erogato per un periodo massimo di sei mesi (tre mesi per le autonome), divisibile solo per frazioni mensili intere. Il contributo spetta anche parzialmente ove la lavoratrice abbia già fruito del congedo parentale. Ad esempio se la lavoratrice ha usufruito di quattro mesi di congedo parentale, potrà accedere al contributo per i restanti due mesi. Le lavoratrici part-time possono fruire del contributo in misura riproporzionata in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. Da segnalare che il contributo è concesso in ragione del singolo figlio: perciò, in presenza di più figli, è possibile accedere a più bonus. Sulla misura pende un vincolo di spesa di 40 milioni per ciascuno degli anni 2017 e 2018. Si tratta di risorse che spesso si esauriscono prima della fine dell'anno. In tal caso l'Inps comunica il termine delle risorse e che non è possibile procedere all'accoglimento di ulteriori domande per il beneficio.