Sei iscritto alla UILPA? La UILPA si fa in 3 per te!
In allegato (nel file Patronato UIL) troverai le modalità per regolarizzare la tua posizione previdenziale
Superamento comporto, per evitare il licenziamento occorre far domanda di ferie
Fonte: http://www.diritto-lavoro.com
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 8372 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: “Il lavoratore che intende evitare il licenziamento per il superamento del periodo di comporto deve chiedere all’azienda di fruire delle ferie” (Dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 5.4.2018).
Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 8372/2018.
Il Tribunale di Roma rigettava le domande proposte da … nei confronti della srl … volte a conseguire: a) l’accertamento della illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimatogli in data 8.3.2005 con applicazione del compendio sanzionatorio di cui all’art. 18 l.n. 300/1970; b) l’accertamento di una condotta “mobbizzante” a decorrere dal 2003; c) la violazione dei dettami di cui all’art. 2103 c.c. per essere stato adibito a mansioni di venditore, inferiori alla qualifica di quadro rivestita con la condanna della società al risarcimento dei danni; d) l’annullamento della sanzione di sospensione di tre giorni dal servizio.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica il 2.4.2012, annullava la sanzione conservativa inflitta al lavoratore, confermando nel resto la sentenza impugnata.
A fondamento del decisum, per quanto in questa sede rileva, i giudice del gravame rimarcavano come l’imputazione di giorni di assenza per malattia a ferie non godute onde conseguire la sospensione del periodo di comporto secondo quanto richiesto dal ricorrente, non fosse ammissibile, stante la insussistenza nell’ordinamento giuridico, di un principio di automaticità del prolungamento del periodo di comporto per la fruizione del periodo feriale, spettando al lavoratore la facoltà di chiederne la sospensione prima della scadenza del termine. Argomentavano quindi che, nella specie, il licenziamento doveva ritenersi perfezionato in data 12.3.2005, sicchè la richiesta di computo dei giorni di ferie spettanti, datata 14.3.2005 e pervenuta in azienda il 16.3.2005, doveva considerarsi tardiva – oltre che priva del requisito essenziale della esatta indicazione del momento a decorrere dal quale avrebbe dovuto operare la conversione del titolo della assenza – essendo intervenuta dopo il superamento del periodo di comporto, maturato il 7.3.2005.
Proponeva ricorso per cassazione il lavoratore che veniva però rigettato dalla Corte Suprema.
Pedinamenti dei dipendenti, legittimi solo in luoghi pubblici
Fonte: http://www.diritto-lavoro.com
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 8373 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: Si possono utilizzare investigatori privati per i pedinamenti dei dipendenti, ma solo in luoghi pubblici (non aziendali) e, naturalmente, in orario di svolgimento della prestazione.
Vediamo insieme di cosa si tratta con l’articolo pubblicato ieri (5.4.2018) dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore (Firma: A. Galimberti; Titolo: “Legittimi i pedinamenti degli 007 privati”) che di seguito riportiamo.
Piena utilizzabilità degli investigatori privati per controllare il dipendente, ma solo in luoghi pubblici (cioè non aziendali) e, ovviamente, in orario di svolgimento della prestazione. La Cassazione (sezione Lavoro, sentenza 8373/18, depositata ieri) torna ancora una volta sui limiti ispettivi del datore di lavoro previsti dall0 Statuto dei lavoratori (legge 300/1970, ultimo aggiornamento nel dlgs 185/16). Il contenzioso, sfociato in un licenziamento impugnato fino in Cassazione, riguardava il dipendente di un’assicurazione, funzionario di terzo grado, raggiunto sette anni fa dal provvedimento disciplinare originato da una serie di controlli esterni. Il lavoratore aveva eccepito, a partire dall’Appello, l’illegittimità dei controlli svolti da un’agenzia investigativa, considerato che era stato impegnato (anche) in attività non lavorative fuori dall’ufficio, non aveva violato il monte ore complessivo settimanale (37) e non era stato inoltre verificato se si fosse trattenuto in ufficio oltre il normale orario di lavoro, e quali erano stati i risultati raggiunti.
La Corte tuttavia ha rigettato il ricorso, condannando l’ex assicuratore anche alle spese di giudizio. La lamentata violazione delle garanzie previste dagli articoli 2 e 3 dello Statuto – in particolare sul personale terzo adibito ai controlli – non è pertinente, a giudizio della Cassazione, perché quelle «operano esclusivamente in riferimento all’esecuzione dell’attività lavorativa in senso stretto». Nel caso specifico i controlli “in esterni” non erano diretti a verificare le modalità dell’adempimento dell’obbligazione lavorativa, bensì «le cause dell’assenza del dipendente dal luogo di lavoro» inteso come «mancato svolgimento dell’attività lavorativa da compiersi anche all’esterno».
Nei 10 giorni di osservazione, tra l’altro, l’ex assicuratore «non aveva svolto alcuna attività lavorativa», giustificando così la sufficienza dell’osservazione degli investigatori sul suo comportamento inadempiente rispetto al minimo contrattuale.
Contestazione disciplinare tardiva e legittimità del licenziamento
Fonte: http://www.diritto-lavoro.com
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 8411 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: la non tempestività della contestazione disciplinare non inficia la legittimità del licenziamento.
Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta con l’articolo pubblicato oggi (6.4.2018) dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore (firma: G. Piagnerelli; Titolo: “L’intempestività della contestazione non rende sempre illegittimo il licenziamento”) che di seguito riportiamo.
Il licenziamento si considera legittimo anche se la contestazione non ha il carattere dell’immediatezza. Questo perché – precisa la Cassazione con la sentenza n. 8411 del 2018 – possono esserci dei casi in cui per poter formulare i capi d’imputazione occorre più tempo in funzione della mole di elementi da acquisire e analizzare.
I fatti – La Corte si è trovata alle prese con una vicenda in cui una dipendente di banca era stata licenziata per giusta causa a seguito di condotte decisamente gravi quali aver aperto 22 conti correnti senza effettuare i controlli sull’affidabilità dei nominativi, aver concesso prestiti a persone con documenti carenti o contraffatti in ordine alla loro situazione economica, aver attribuito valutazioni positive a persone risultate insolventi e altro. La lavoratrice in appello ha eccepito l’irregolarità della procedura non dettata dall’immediatezza della contestazione. E sul punto ricordano i Supremi giudici è orientamento consolidato quello secondo cui in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione integra un elemento costitutivo del diritto di recesso riflettendo l’esigenza dell’osservanza della regola della correttezza e buona fede nell’attuazione del rapporto. Di conseguenza l’interesse del datore di lavoro all’acquisizioni di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non può pregiudicare il diritto di quest’ultimo a una pronta ed effettiva difesa sicchè ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l’esercizio del potere e la sanzione irrogata è invalida. Questo principio, tuttavia, si legge nella sentenza non può valere sempre e comunque. Ci sono dei casi, infatti, in cui si deve tenere conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l’espletamento delle indagini dirette all’accertamento dei fatti, la complessità dell’organizzazione aziendale.
Conclusioni – Proprio nel caso in esame già la Corte territoriale aveva rilevato che il tempo impiegato dalla denuncia penale alla contestazione degli addebiti era dipeso da diverse circostanze quali l’esigenza di valutare entro un termine ragionevole la vicenda penale, la complessità delle posizioni, la mole dei documenti da esaminare relativamente a più anni e i dipendenti coinvolti. Il ritardo, quindi, è stato procurato dalle molteplici indagini da effettuare proprio per non pendere una decisione avventata nei confronti della ricorrente. In definitiva il licenziamento è stato considerato legittimo ed è stato respinto il ricorso del dipendente.
Danno erariale per i buoni pasto erogati ai dipendenti dell’azienda speciale della Camera di commercio
Fonte:sole24ore di Ulderico Izzo
I direttore generale di un'azienda speciale di una camera di commercio è responsabile per danno erariale con condotta colposa per aver erogato buoni pasto ai dipendenti in assenza di una regolamentazione contrattuale di secondo livello. Lo ha deciso la Corte dei conti, sezione regionale per la Liguria, con la sentenza n. 127/2018
Permesso per animale malato: quando spetta?
Il permesso retribuito dal lavoro è concesso al dipendente anche quando ha bisogno di sottoporre il suo animale domestico a cure specifiche e impellenti
Fonte:studiocataldi di Annamaria Villafrate –
Gli amanti degli animali sapranno sicuramente che si può avere diritto al permesso retribuito se si deve assistere il proprio animale domestico, bisognoso di cure particolari e indispensabili.
Vediamo, partendo dai casi in cui si può chiedere un permesso retribuito, come si è arrivati a "riconoscerlo" anche per la cura dell'animale domestico.
Indice:
1. Permessi retribuiti: cosa sono e quando spettano
2. Permesso per animale: il caso che ha fatto scuola
3. Permesso per animale: l'influenza della Cassazione
4. Permesso per animale: quando spetta?
Permessi retribuiti: cosa sono e quando spettano
Occorre prima di tutto chiarire che i permessi di lavoro sono brevi periodi in cui i lavoratori pubblici e privati possono assentarsi dal lavoro e percepire comunque la retribuzione stabilita dai rispettivi contratti collettivi. I permessi vengono riconosciuti per:
· morte o infermità (massimo di tre giorni all'anno) del coniuge o di un parente entro il secondo grado;
· assistere un familiare disabile, secondo quanto previsto dalla legge 104;
· matrimonio, fino a 15 giorni;
· sostenere esami e concorsi (8 giorni all'anno non cumulabili);
· allattare il proprio figlio nel primo anno di vita, permesso di cui può godere il padre, se la madre non ne ha beneficiato.
Permesso per animale: il caso che ha fatto scuola
Il caso che ha aperto la strada alla possibilità di chiedere un permesso retribuito per curare il proprio animale domestico riguarda una dipendente universitaria, che necessitava di sottoporre il proprio cane a un intervento veterinario urgente e quindi assisterlo. Stante il rifiuto del datore di lavoro a concedere il permesso, la lavoratrice si rivolgeva alla Lega Antivivisezione (Lav), che gli forniva assistenza legale facendoglielo ottenere. Nel caso in cui l'animale non riceva cure adeguate, il proprietario può infatti incorrere nel reato di abbandono ai sensi dell'art. 727 c.p. che punisce con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività.
Permesso per animale: l'influenza della Cassazione
Proprio in relazione al reato di abbandono, la Cassazione nella sentenza 15076/2018 ha infatti precisato che: "il reato di cui all'art. 727 cod. pen. non sanziona esclusivamente gli atti di crudeltà, caratterizzati dal dolo, ma anche comportamenti colposi di incuria e abbandono nei confronti degli animali."
Già in passato, sempre la Suprema Corte, nella sentenza 18892/2012, richiamata dalla recente cassazione n. 3290/2018 aveva precisato che "per -abbandono- si intende non solo la condotta di distacco volontario dall'animale, ma anche qualsiasi trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione, inclusi comportamenti colposi improntati ad indifferenza od inerzia."
Permesso per animale: quando spetta?
Alla luce di quanto detto, si può quindi ritenere che il permesso di lavoro retribuito per assistere il proprio animale domestico può essere riconosciuto al lavoratore richiedente, se:
· vive da solo;
· non può delegarne a terze persone l'assistenza;
· è in possesso di un certificato veterinario attestante la malattia;
· non ha alternative per quanto il trasporto o la cura;
· sussiste la necessità indifferibile di curarlo o sottoporlo a visita.
Insomma anche la cura del proprio animale domestico costituisce un "grave motivo familiare e personale" per cui è possibile chiedere permessi retribuiti.
Infortuni sul lavoro: spetta al giudice individuare le norme violate
Quando l'Inail agisce in rivalsa contro il datore di lavoro, non spetta all'istituto, ma al giudice identificare le norme antinfortunistiche, la cui violazione ha cagionato l'infortunio al dipendente
FONTE:STUDIOCATALDI di Annamaria Villafrate –
Quando l'Inail agisce in rivalsa non è tenuta a indicare le norme antinfortunistiche violate dal datore. Spetta al giudice, verificati gli elementi di fatto della vicenda infortunistica, accertare la violazione delle norme per la sicurezza del lavoro che possono radicare la responsabilità del datore. E' quanto precisato dalla recente sentenza n. 2278/2018 della Cassazione.
La vicenda
L'Inail ricorre in primo grado per chiedere la condanna della società in nome collettivo datrice di lavoro, in persona dei soci amministratori in solido fra loro, al rimborso di quanto erogato in conseguenza di un gravissimo infortunio occorso a un operaio alle dipendenze della s.n.c, causato dalla violazione della normativa antinfortunistica.
La domanda è rigettata in primo grado ma accolta in appello, con la condanna della società e dei soci amministratori al pagamento di 726.136,09 euro. Accertato infatti che l'incidente si è verificato per colpa degli appellati, che non si sono premurati di fissare l'argano in modo da evitare l'infortunio al proprio dipendente.
Ricorrono in Cassazione i soci amministratori della società per diversi motivi, tra i quali risulta di particolare interesse il secondo: "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 442, 414 e 434 c.p.c., i ricorrenti imputano all'Inail di non aver saputo individuare, ai fini del valido esperimento dell'azione di regresso nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili dell'infortunio occorso al dipendente (…) le norme di sicurezza antinfortunistica che sarebbero state dai medesimi violate, né i profili di colpa della parte datoriale rispetto all'accadimento di tale infortunio, non potendo configurarsi un'ipotesi di responsabilità oggettiva, per cui il giudice di seconde cure avrebbe dovuto dichiarare l'appello inammissibile in considerazione della genericità della domanda".
Non spetta all'Inail individuare le norme antinfortunistiche violate
Queste le conclusioni della Cassazione, nella sentenza n. 2278/2018 sul secondo motivo del ricorso: "Né ha pregio l'assunto difensivo secondo cui l'Inail non avrebbe specificato le norme di sicurezza in materia antinfortunistica che sarebbero state violate nella fattispecie, in quanto, una volta che la parte ha esattamente indicato gli elementi di fatto della vicenda infortunistica oggetto di causa, spetta al giudice accertare la violazione o meno delle norme in materia di sicurezza sul lavoro che possono radicare o meno la responsabilità della parte datoriale, accertamento, questo, che la Corte di merito ha compiuto prima di pervenire al convincimento della colpevolezza degli appellati in ordine all'infortunio occorso al dipendente".
Vai alla guida legale Infortunio sul lavoro
Visite fiscali, Ecco i dipendenti pubblici soggetti al Polo Unico Inps ALLEGATO DOCUMENTO INPS (MESS.1399/2018)
Le indicazioni in un documento dell'Inps che riepiloga la nuova disciplina applicabile. Fuori i militari nelle more di un chiarimento da parte della Funzione Pubblica.
L'Inps riepiloga le categorie di personale pubblico che entrano nel nuovo Polo Unico delle Visite Fiscali a seguito della Riforma Madia. Lo fa con il messaggio numero 1399/2018 pubblicato ieri dall'Istituto di Previdenza. Il documento integra quanto già indicato nel messaggio 3265 del 9 Agosto 2017. In particolare la normativa in materia di Polo Unico si applica ai dipendenti di tutte le amministrazioni dello Stato (art. 1 del D.Lgs. n. 165/2001), ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300
Per Regioni e Province si intendono anche le Regioni e Province a statuto speciale, compresa la Regione Siciliana; l’unica eccezione è costituita dalla Provincia autonoma di Trento e dagli enti e amministrazioni di pertinenza, che risultano esclusi sulla base della relativa normativa locale.
Sono soggetti al Polo Unico anche i dipendenti del settore pubblico non soggetti al regime previsto dal D.Lgs. n. 165/2001, ma rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 55-septies relativo alla certificazione telematica di malattia (art. 7, comma 1, del decreto legge n. 179/2012, convertito dalla legge n. 221/2012) ovvero il personale della carriera prefettizia e della carriera diplomatica, i magistrati di tutte le magistrature, ordinarie e speciali, gli avvocati e procuratori dello Stato, i docenti e i ricercatori universitari, il personale della carriera dirigenziale penitenziaria, il personale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato; i dipendenti delle Autorità indipendenti, comprese la CONSOB e la Banca d’Italia, nonché il personale delle Università non statali legalmente riconosciute.
Soggetti Esclusi
Restano invece esclusi dall’applicazione del Polo Unico degli accertamenti fiscali (salvo eventuali diverse indicazioni da parte dei Ministeri competenti), le seguenti categorie di soggetti: a) i dipendenti degli Organi costituzionali, degli enti pubblici economici, degli enti morali, delle aziende speciali; b) la Provincia autonoma di Trento e i relativi altri enti ad ordinamento provinciale che oggetto di specifiche norme locali.
L'Inps informa che stante l’esplicita previsione normativa di cui all’articolo 7, comma 2, del decreto legge n. 179/2012, convertito dalla legge n. 221/2012, sono stati esclusi anche il personale delle Forze armate (Esercito, Marina militare, Aeronautica militare), dei Corpi armati dello Stato (Guardia di Finanza e Carabinieri, Polizia dello Stato, Polizia Penitenziaria) e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al quale non si applica la citata normativa inerente alla certificazione telematica di malattia. Per le suddette categorie di dipendenti pubblici, infatti, sono previste specifiche disposizioni di settore anche in considerazione degli aspetti connessi con la tutela della segretezza e sicurezza nazionale, oltre che delle particolari valutazioni che richiede l’idoneità alla ripresa del lavoro di lavoratori che per attività di servizio detengono armi da fuoco.
L'esclusione delle citate amministrazioni dal perimetro di applicazione della norma sul Polo Unico impedisce all'Inps di disporre visite mediche di controllo d’ufficio. I datori di lavoro non rientranti nell'applicazione del Polo Unico possono, comunque, richiedere le VMC all'Inps. In tal caso però le stesse saranno tenute al rimborso del servizio effettuato dall’Istituto, che emetterà regolare fattura.
Solo Eventi di Malattia Comune
L'Inps ribadisce, inoltre, che la normativa del Polo Unico si riferisce espressamente al controllo sugli eventi di malattia comune dei lavoratori e non riguarda in alcun modo altre fattispecie di assenza dei lavoratori (es. malattia figlio, interdizione anticipata per gravidanza, eccetera). Pertanto eventuali richieste avanzate in maniera impropria da parte dei datori di lavoro per le casistiche sopra richiamate - non trattandosi di malattia comune del lavoratore - comporteranno l’addebito delle spese sostenute per l’istruttoria eseguita e per l’eventuale accesso al domicilio del lavoratore da parte del medico fiscale incaricato. L'Inps spiega, infine, che eventuali certificati cartacei di malattia dei lavoratori pubblici non devono essere trasmessi all’Inps, ma unicamente al proprio datore di lavoro pubblico cui competono, per espressa previsione normativa (art. 55-septies, comma 1, del D.Lgs. n. 165/2001) i controlli circa la loro validità. Con riguardo, invece, alla documentazione relativa all’assenza del lavoratore a visita medica di controllo domiciliare la stessa può essere prodotta all’Inps in occasione della visita medica ambulatoriale (o spedita, se nel frattempo vi è stato il rientro al lavoro) per consentire, se di tipo sanitario, la valutazione tecnica a cura degli Uffici medico legali dell’Istituto.
Pensioni, Ecco i requisiti per la pensione di Inabilità nel 2018 [Guida Allegata]
*La pensione di inabilità è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore dei lavoratori per i quali viene accertata l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.
Prestito Pensionistico, Domande al via dal 13 Aprile
Nell'incontro tra Inps ed Abi si è fatto il punto della situazione per l'attuazione del prestito pensionistico. Obiettivo: consentire ai lavoratori in possesso della certificazione di produrre la domanda di accesso all'APE.
Si avvicina il debutto del prestito pensionistico per gli ultra63enni. Dal prossimo 13 Aprile i lavoratori che hanno ricevuto la certificazione del diritto alla fruizione del prestito pensionistico dovrebbero essere messi in condizione di produrre la domanda di accesso scegliendo l'istituto finanziario e quello assicurativo tra coloro che hanno aderito alle convenzioni quadro. E' quanto è emerso dall'incontro che si è tenuto in settimana tra i vertici Inps ed Abi per fare il punto sullo stato di attuazione dell'anticipo a garanzia pensionistica.
Sulla misura continuano a pendere molti ritardi. Pur dovendo partire dallo scorso 1° maggio 2017 solo il 13 Febbraio 2018 è stata sbloccata la procedura per richiedere la certificazione delle condizioni ed in molti casi l'Inps non ha ancora risposto agli interessati. A fronte di oltre 15mila domande presentate le certificazioni rilasciate sono state poco più di un migliaio (l'Istituto ha infatti 60 gg per rispondere) e solo 71 sono state le certificazioni già rilasciate a coloro che hanno maturato i requisiti pensionistici tra il 1° maggio 2017 e il 17 ottobre 2017 e che quindi debbono presentare la domanda entro il 18 aprile se intendono ottenere gli arretrati di Ape maturati dal 1° maggio 2017. Ma anche chi è in possesso della certificazione non ha potuto produrre domanda di accesso all'Ape in quanto la piattaforma che dovrebbe gestire il flusso di informazioni tra Inps e banche ancora non è pienamente operativa. L'obiettivo, ha spiegato Gianfranco Torriero, vicedirettore generale dell'Associazione Bancaria Italiana (Abi), «è di poter completare il collaudo affinché le prime domande di Ape volontario possano essere accettate a partire dalla mattina del 13 aprile.
Per molti lavoratori la possibilità di ottenere gli arretrati è vista, infatti, come una opportunità per conseguire un finanziamento a basso costo rispetto alle altre condizioni previste normalmente sul mercato. L'anticipo, infatti, è assistito da una detrazione fiscale statale e da tassi di interesse piuttosto contenuti se confrontati con altre operazioni di questa natura, soprattutto nella prima fase di avvio dello strumento. Nell'incontro tra Abi e Inps si è discussa, quindi, anche della possibilità di prorogare il termine del 18 Aprile per consentire a tutti i lavoratori, anche coloro che ancora non avessero ricevuto la certificazione, di non perdere questa opportunità. A parte lo sblocco dell'accettazione delle domande per l'accredito effettivo delle prime somme occorrerà attendere però ancora diversi mesi.
Quanto alle condizioni del prestito la convenzione quadro conferma che tasso di interesse verrà aggiornato ogni bimestre e dunque varierà a seconda della data in cui avviene l'operazione. Il tasso di interesse per il primo bimestre di partenza è pari al 2,838 per cento nel piano di accumulo e del 2,938 per cento nel piano di ammortamento al quale dovrà aggiungersi una commissione di accesso al fondo di garanzia pari all'1,6% del capitale assicurato accompagnata dalla polizza assicurativa contro il rischio premorienza. Il costo della polizza varia a seconda dell'età dell'assicurato ed oscilla complessivamente tra il 30 ed il 34% del capitale assicurato.
Complessivamente il costo effettivo per i lavoratori, considerando anche lo sgravio fiscale, risulterà pari a circa il 5% del valore della pensione per ogni anno di anticipo nel caso in cui si richieda il massimo importo possibile (che, come noto, oscilla dal 75 al 90% della pensione netta a seconda di quanti anni di anticipo si chiedono; da un minimo di sei mesi ad un massimo di 43 mesi), dunque non siamo molto lontani dalle proiezioni diffuse lo scorso anno da Palazzo Chigi (nelle quali era stato ipotizzato un tasso del 2,8%).
Pensioni, Così l'Ape Sociale è Cumulabile con i Redditi da Lavoro
I beneficiari del sussidio di accompagnamento alla pensione devono far attenzione a non splafonare un reddito di 8mila euro annuo.
I beneficiari dell'Ape sociale devono prestare attenzione circa la possibilità di svolgere attività lavorativa durante la percezione del sussidio di accompagnamento alla pensione. Se il reddito da lavoro superasse, infatti, un determinato limite annualmente stabilito i beneficiari decadranno dalla prestazione (a fatica ottenuta).
Il DPCM numero 88 del 23 Maggio 2017 stabilisce, infatti, la compatibilità solo con attività da lavoro dipendente o da collaborazioni coordinate e continuative entro un massimo di 8mila euro annui (che scendono a 4.800se si svolge lavoro autonomo). Tale cifra deve essere intesa al lordo delle imposte e dei contributi. Se si prestano attività lavorative entro tali limiti reddituali esse sono, quindi, pienamente cumulabili con l'indennità ape sociale (che non subirà alcuna decurtazione in funzione del reddito conseguito a differenza di quanto accade, invece, con una naspi).
Resta fermo, però, che al momento della decorrenza del sussidio il lavoratore dovrà cessare l'attività lavorativa (non solo un'attività di lavoro dipendente, condizione richiesta generalmente per andare in pensione, ma anche l'attività autonoma).
La legge dunque consente al percettore di Ape sociale di svolgere per il periodo che lo separa dalla pensione piccole attività per integrare il reddito come ad esempio collaborazioni coordinate, prestazioni occasionali, contratti a chiamata, contratti a tempo determinato, part-time, lavoro domestico, eccetera, senza rischiare di perdere il sussidio. Ai fini della verifica del superamento del limite reddituale annuo previsto dalla legge rilevano, peraltro, esclusivamente i redditi riferiti ad attività lavorativa svolta successivamente alla data di decorrenza dell’indennità. Mentre non vengono presi in considerazione i redditi che il beneficiario potrebbe aver goduto prima della decorrenza dell'Ape sociale. Così, ad esempio, ove l’APE sociale venga erogata con decorrenza1° novembre 2017, ai fini della verifica dei limiti reddituali di 8.000 o 4.800 euro lordi annui, saranno presi in considerazione solo i redditi da lavoro riferiti ad attività lavorativa svolta dal 1° novembre al 31 dicembre 2017.
Se si superano tali limiti annui il lavoratore decadrà dal sussidio, l'APE corrisposta diverrà indebita e l'Inps procederà al recupero di tutte le mensilità durante l'anno in cui il reddito ha splafonato i suddetti limiti. Resta inteso che, una volta conseguita la pensione (e terminata, quindi, l'Ape sociale) la cumulabilità della stessa con i redditi da lavoro torna piena: il pensionato potrà cioè pienamente cumulare il reddito da pensione con quello da lavoro senza alcuna decurtazione.
La comunicazione all'Inps
A differenza di quanto previsto in materia di Naspi, in cui i beneficiari sono tenuti a comunicare il reddito previsto dall'attività, i percettori di APE sociale devono effettuare una comunicazione all'Inps solo in caso di avvenuto superamento dei predetti limiti reddituali ed entro i successivi 5 giorni dal verificarsi di tale superamento. Ove il reddito non superi tale soglia non è necessaria alcuna comunicazione. Nelle ipotesi in cui, successivamente all’erogazione dell’APE sociale, i lavoratori inizino un’attività lavorativa da cui possano derivare, in via presuntiva, dei redditi superiori ai limiti di legge, gli stessi sono tenuti a comunicarlo all'Inps entro 30 giorni dall’inizio dell’attività lavorativa. In tal caso l'Inps provvede alla revoca del trattamento dall’inizio dell’anno in cui si prevede di superare i limiti reddituali ed al recupero dei relativi indebiti.
Resta da chiarire se durante il periodo di percezione dell'APe sociale, il lavoratore possa procedere al versamento della contribuzione volontaria. Il periodo di fruizione dell'APE sociale, infatti, non è coperto da contribuzione figurativa e, quindi, se il lavoratore ne avesse la disponibilità economica potrebbe coprirselo ai fini pensionistici con denari di tasca propria. La risposta dovrebbe essere positiva anche se occorre osservare che sulla questione ancora non c'è stato un chiarimento ufficiale da parte dell'Inps.
Cumulo, I primi assegni saranno liquidati il 20 Aprile
L'Inps conferma la tabella di marcia indicata prima di Pasqua. Dopo Enpam e Inarcassa continuano le adesioni da parte delle altre Casse Professionali.
Continuano le adesioni alla convenzione per il pagamento delle pensioni dei professionisti in regime di cumulo. Dopo Enpam ed Inarcassa nei giorni scorsi hanno firmato la convenzione quadro che sblocca il pagamento degli assegni anche ENPAV (veterinari), ENPAPI (infermieri) EPPI (periti industriali), CIPAG (geometri), ENPAF (farmacisti) e ENPAP (psicologi). Nei prossimi giorni, da quanto apprende Pensioni Oggi, dovrebbero aderire anche Cassa Forense, Cassa dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, Cassa Ragionieri e la Cassa dei Consulenti del Lavoro (Enpacl). Obiettivo dell'Inps è iniziare a liquidare i primi assegni il prossimo 20 Aprile ponendo così fine ad una questione che si protrae da oltre un anno tra ritardi e scaricabarile.
Intanto il prossimo 14 Aprile è calendarizzato a Roma il Direttivo del Comitato Cumulo e Casse Professionali, già sostenuto da Pensioni Oggi, per fare il punto sull'attuazione dello strumento e procedere a nuove iniziative di tutela per i professionisti che intendono aderire al cumulo. Dopo lo sblocco dei pagamenti delle pensioni il Comitato pone l'accento sul mancato riconoscimento - da parte dell'Inps e di alcune casse professionali - dei 18 anni di contributi ai fini del mantenimento del calcolo retributivo sull'assegno pensionistico; la questione dell'Enasarco che, come noto, non riconosce la possibilità di cumulare la contribuzione con le gestioni della previdenza pubblica obbligatoria per via dei suoi specifici connotati giuridici; lo slittamento nella percezione del TFS per i dipendenti pubblici che aderiscono al cumulo. Nel direttivo si discuterà pure di eventuali azioni legali contro i ritardi che hanno caratterizzato il decollo e l'attuazione della misura.
Congedo Straordinario, nel 2018 l'indennità sale a 99 euro al giorno
Aggiornati dall'Inps i valori massimi di indennità economica e accredito figurativo per i periodi di congedo riconosciuti in favore dei familiari di disabili in situazione di gravita’ nel 2018.
Cresce leggermente la misura dell'indennità Inps cui ha diritto il lavoratore che resta a casa fino a due anni come massimo per assistere un familiare disabile. Il congedo, previsto dall'articolo 42, comma 5 del Dlgs 151/2001, come noto può essere preso in modo frazionato: una settimana, o un mese alla volta, o periodi ancora più lunghi, secondo la libera scelta dell'interessato e deve essere finalizzato alla cura di parente disabile. Il congedo può essere fruito sino ad un massimo di due anni da calcolarsi nell'arco dell'intera vita lavorativa del soggetto.
I lavoratori dipendenti (anche nel pubblico impiego) che hanno diritto a questo congedo sono, in stretto ordine i seguenti: 1) il lavoratore per il coniuge; 2) il lavoratore per i figli; 3) o, al contrario, figli per i genitori: in questo caso i figli devono essere conviventi con il genitore e non ci devono essere altre persone in grado di curare il disabile; 4) se i genitori mancano, o sono anch'essi inabili, il diritto alla fruizione del congedo passa a fratelli e sorelle. Si ricorda che per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti da entrambi i genitori, anche attivi, che possono fruirne in modo alternativo.
La norma attribuisce al lavoratore due benefici: un'indennità di congedo, pari all'ultima retribuzione percepita (comprensiva dei ratei di tredicesima mensilità, altre mensilità aggiuntive, gratifiche, indennità, premi, ecc.), e la relativa copertura figurativa utile sia ai fini del diritto che della misura della pensione (determinata secondo le regole di cui all'articolo 8 della legge 155/1981).
Si tratta di uno strumento particolarmente utile in quanto le assenze dal lavoro non fanno perdere la retribuzione e non determinano un impoverimento della futura prestazione pensionistica. Perciò si può lasciare il lavoro sapendo che si ha diritto alla normale busta paga e ai contributi figurativi per la pensione. Per fare fronte a questi pagamenti la legge stanzia i soldi necessari entro un tetto che quest'anno è di 47.967,00 euro cifra che deve essere ripartita fra indennità economica e accredito figurativo. In sostanza il tetto massimo dell'assegno Inps è di 36.066 l'anno, pari a 98,81 euro al giorno. Ovviamente se il lavoratore ha una retribuzione lorda inferiore a 36.066 euro l'assegno Inps non può superare l'importo dello stipendio. La restante somma, cioè 11.900 euro, è a disposizione dell'Inps per l'accredito dei contributi figurativi in modo da non determinare per il lavoratore un impoverimento della misura della pensione. L’importo della retribuzione figurativa da accreditare rapportato al periodo di congedo non può comunque eccedere l’importo massimo dell’indennità economica.
Il congedo va chiesto al proprio datore di lavoro presentandogli il foglio di autorizzazione chiesto preventivamente all'Inps. L'azienda non può far altro che riconoscere l'assenza.
Assegno Sociale, Importo e limite di reddito nel 2018 [Guida]
Fonte:pensionioggi
L'Istituto di previdenza ha diffuso i valori relativi alla pensione sociale relativi all'anno 2018. L'importo minimo spettante è pari a 373 euro al mese.
La Pensione Sociale
Il dizionario di PensioniOggi.it
La pensione sociale è una prestazione di natura assistenziale, istituita dall'articolo 26 della legge 153/69 in favore dei cittadini ultra65enni. A partire dal 1° gennaio 1996 la misura è stata sostituita dall'assegno sociale ma continua ad essere erogata, sussistendone le condizioni, a tutti coloro che l’hanno conseguita entro il 1995 e che, pertanto, attualmente hanno raggiunto un'età non inferiore ad 88 anni continuando a versare in condizioni di bisogno economico. Le due prestazioni non vanno, quindi, confuse come talvolta accade.
Le misure sono accomunate dalla circostanza che possono essere erogate in misura piena solo verso soggetti totalmente privi di reddito ma differiscono sia sui livelli di reddito da prendere in considerazione sia riguardo le condizioni di erogazione del sostegno che premiano in misura maggiore rispetto alla pensione sociale i titolari di assegno sociale coniugati. In particolare, per quanto riguarda la pensione sociale, il sussidio resta concesso in favore dei soggetti privi di reddito o in possesso di rendite, prestazioni o redditi di importo non superiore a quello della pensione sociale stessa. Al pari dell'assegno sociale per avere diritto alla pensione sociale l'interessato deve risultare residente in Italia e spetta per 13 mensilità l’anno.
Nel 2018 l'importo mensile pieno della pensione sociale è pari a 373,33 € valore che può essere conseguito solo dai titolari sprovvisti di altri redditi o, se coniugati, dai titolari sprovvisti di redditi personali e con un reddito annuo coniugale inferiore a 11.868,62 euro. Il sostegno viene perduto qualora il reddito annuo personale splafoni i 4.853,29 euro, indipendentemente dal reddito coniugale, oppure qualora il reddito personale pur restando al di sotto della predetta soglia, cumulato con quello del coniuge superi i 16.721,91 euro. La prestazione si riduce invece di un importo mensile variabile qualora il reddito annuo personale risulti inferiore a 4.853 euro e quello coniugale entro i 16.721 euro annui (si veda la tavola sottostante).
I redditi
Rispetto all'assegno sociale per il quale occorre valutare tutti i redditi percepiti sia dal titolare che dal coniuge, anche quelli esenti da Irpef, la pensione sociale prevede criteri leggermente diversi per gli interessati. In particolare l'articolo 26 della legge 153/1969 indica che i redditi rilevanti ai fini della concessione della prestazione sono quelli soggetti ad Irpef in generale, con l’esclusione del reddito della casa di abitazione e delle indennità temporanee sostitutive della retribuzione (malattia, disoccupazione e simili) nonchè degli arretrati soggetti a tassazione separata (es. TFR). Tuttavia nel solo reddito personale, l’INPS considera anche la pensione di guerra, la rendita Inail e tutte le “rendite o prestazioni economiche previdenziali o assistenziali con carattere di continuità”.
L'incremento della pensione sociale
Anche la pensione sociale, lo si ricorda, può beneficiare delle maggiorazioni sociali previste ai sensi dell'articolo 2 della legge 544/1988, dell'articolo 70 co. 4 della legge 388/2000 e dell'articolo 38 della legge 448/2001 in favore dei soggetti in condizione disagiata. In particolare i soggetti in questione, che ormai hanno tutti superato la soglia dei 75 anni, possono godere di un bonus aggiuntivo di 85,22 euro se posseggono un reddito personale inferiore a 5.908 euro o, se coniugati, un reddito personale inferiore al predetto valore e quello coniugale inferiore a 12.430 euro (art. 2 legge 544/1988). Possono godere, inoltre, di un incremento di ulteriori 185,31€ della maggiorazione predetta (per un totale quindi delle due maggiorazioni di 270,53 € al mese) ove in possesso di un reddito personale inferiore a 8.370 euro o, se coniugati, un reddito personale inferiore al predetto valore e quello coniugale inferiore a 14.259 euro.
Canone Rai, Pronti i moduli per l'esenzione degli ultra 75enni con redditi bassi
L'Agenzia delle Entrate ha pubblicato i nuovi modelli per la domanda per chi rientra nella nuova soglia di esenzione: 8mila euro annui.
L'Agenzia delle entrate ha pubblicato i nuovi modelli per l'esenzione dal canone Rai in favore dei pensionati con almeno 75 anni. L'amministrazione finanziaria si adegua così alle indicazioni contenute nel Decreto del ministero dell'Economia e delle Finanze 16 Febbraio 2018 pubblicato agli inizi di Marzo in Gazzetta Ufficiale con il quale è stato sono state innalzate le soglie di reddito annuo che danno titolo all'esenzione.
Dal 1° gennaio 2018 hanno diritto all'esenzione i soggetti che vivono soli o con il coniuge, e che hanno un reddito familiare non superiore a 8.000 euro. Fino allo scorso anno il limite era di 6.713,98 euro. Il reddito di riferimento è quello soggetto ad Irpef, più eventuali interessi su titoli e depositi; sono esclusi dal calcolo: 1) i redditi esenti da Irpef (ad esempio pensioni di guerra, rendite INAIL, pensioni erogate ad invalidi civili); 2) i trattamenti di fine rapporto e relative anticipazioni; 3) il reddito della casa di abitazione principale e relative pertinenze; 4) i redditi soggetti a tassazione separata. Il reddito da prendere in considerazione è sempre quello dell'anno precedente a quello per il quale si chiede l'esenzione: ad esempio un soggetto che chiede l'esenzione per il 2018 (il cui limite è 8mila euro) dovrà indicare il reddito di riferimento dell'anno 2017.
I dettagli
Ha diritto all'esenzione per l'intero anno chi è nato tra il 1° agosto dell'anno precedente e il 31 gennaio dell'anno di riferimento (ad esempio, se il compimento del 75° anno di età avviene il 10 dicembre 2017 o il 10 gennaio 2018, si ha diritto all'esenzione per l'intero anno 2018). Se, invece, il compimento del 75° anno di età avviene tra il 1° febbraio e il 31 luglio, si ha diritto all'esenzione dal pagamento del canone per il secondo semestre dell'anno di riferimento (ad esempio, se il compimento del 75° anno di età avviene il 10 febbraio 2018, si ha diritto all'esenzione per il secondo semestre 2018). I soggetti che hanno presentato la dichiarazione sostitutiva possono continuare a be- neficiare dell’agevolazione nelle annualità successive, senza procedere alla presentazione di nuove dichiarazioni.
L'amministrazione ha approvato anche il modello, con le relative istruzioni, per la richiesta di rimborso del canone di abbonamento alla televisione per uso privato versato dai cittadini in possesso dei requisiti di esenzione. La dichiarazione sostitutiva e la richiesta di rimborso possono essere presentate, unitamente ad una copia di un valido documento di riconoscimento, a mezzo del servizio postale in plico raccomandato, senza busta, al seguente indirizzo: Agenzia delle entrate, Ufficio di Torino 1, S.A.T. Sportello abbonamenti TV – Casella Postale 22 – 10121 Torino. La dichiarazione sostitutiva/richiesta di rimborso si considera presentata nella data di spedizione risultante dal timbro postale. La ricevuta dell’avvenuta spedizione è conservata per l’ordinario termine di prescrizione decennale ed è esibita a richiesta dell’Agenzia delle entrate.
La dichiarazione sostitutiva e la richiesta di rimborso possono essere trasmesse anche mediante posta elettronica certificata, purché i documenti stessi siano firmati digitalmente dai soggetti esenti. In alternativa, la dichiarazione sostitutiva e la richiesta di rimborso possono essere consegnate presso un ufficio territoriale dell’Agenzia delle entrate.
I tempi
Quanto ai tempi di lavorazione della richiesta, l'Agenzia precisa che per le domande inviate entro il 15 del mese l'addebito del canone in bolletta sarà interrotto già a partire dalla rata relativa al mese successivo a quello di invio della richiesta. Per le dichiarazioni inviate nella seconda metà del mese l'addebito del canone in bolletta sarà invece interrotto a partire dalla rata relativa al secondo mese successivo a quello di invio della richiesta. E' comunque sempre possibile effettuare il pagamento parziale della fattura per la fornitura di energia elettrica, scorporando eventuali rate di canone TV non dovute a seguito della presentazione della dichiarazione sostitutiva.