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Pa: Cgil Cisl Uil, risorse contratto a retribuzioni tabellari
"L'avere destinato tutte le risorse finanziate alle retribuzioni tabellari è stata una scelta di Cgil Cisl Uil proprio in considerazione del prolungato e ormai insopportabile blocco. Scelta concordata con l'Aran e inevitabile, considerate le aspettative dei 260.000 lavoratrici e lavoratori del comparto delle Funzioni centrali". Ad affermarlo in una nota unitaria sono Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Pa in merito a quanto sostenuto dalla Corte dei Conti che, "certificando la compatibilità economica del nuovo Ccnl delle Funzioni centrali, ha espresso nella sua delibera alcune considerazioni sui contenuti che ci permettono di ribadire, e ancor meglio specificare, quanto sostenuto nei giorni scorsi, a proposito di qualità del nuovo contratto nazionale delle Funzioni centrali".
L'aumento del 3,48% delle retribuzioni, spiegano i tre sindacati, "è superiore al tasso di inflazione programmata negli ultimi tre anni, calcolato con qualsivoglia parametro. Certamente non parliamo di un completo ristoro del potere d'acquisto perso in oltre 8 anni di blocco contrattuale, ma possiamo affermare adesso di avere riaperto decisamente un processo di accrescimento delle retribuzioni che da troppo tempo era atteso". Da qui la scelta di destinare le risorse finanziate alle retribuzioni tabellari.
"Noi sosteniamo da tempo – proseguono Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Pa– la necessità e urgenza di liberare risorse importanti per riconoscere maggiore retribuzione accessoria, per aggiornare il sistema delle indennità, rifinanziare progetti di accrescimento della produttività, assegnare maggiori finanziamenti alle carriere ma, vorremmo rammentare, che il principale ostacolo sul percorso, che anche la Corte dei Conti giudica necessario, è rappresentato non tanto dagli orientamenti e dalle scelte del nuovo Ccnl bensì dal blocco stabilito dal D.Lgs. 75 del 2017 che all'art. 23 comma 2, fissa il tetto alle risorse destinate al trattamento accessorio con riferimento allo stanziato del 2016".
Insomma, aggiungono,"anche a voler agire più in armonia con le indicazioni della Corte dei Conti, che vorremmo ribadire non hanno impedito la certificazione del Ccnl, è proprio l'aver fissato un tetto di tale entità che ha reso impraticabile il percorso indicato dalla Corte. Nonostante questi vincoli il nuovo Ccnl delle Funzioni centrali rafforza la certezza di destinazione di una quota prevalente delle risorse variabili alla performance e incentiva la contrattazione di sede, laddove l'innovazione organizzativa può incidere, in maniera significativa, a generare l'incremento della produttività", concludono Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Pa.
Statali, il ministero della Pa: entro giugno le pagelle, in ballo i premi
Fonte: https://www.ilgazzettino.it/
Il ministero della Pubblica amministrazione suona un campanello di allarme per spingere le amministrazioni a mettere subito a punto le pagelle dei dipendenti pubblici. L'ufficio per la valutazione delle performance ha così spedito una nota circolare per ricordare la scadenza del 30 giugno, data entro cui deve essere pronta la «relazione annuale» che riporterà i voti e da cui, quindi, conseguiranno i premi di produttività.
Visto il nuovo iter, tracciato, dalla riforma Madia non c'è da indugiare. Il documento deve, infatti, passare per il vertice e per l'Oiv, l'organismo di valutazione. La circolare sottolinea come la nuova roadmap preveda anche il caricamento online delle pagelle. «Entro il 30 giugno di ciascun anno, le amministrazioni redigono e pubblicano sul proprio sito istituzionale la Relazione annuale sulle performance, approvata dall'organo di indirizzo politico-amministrativo e validata dall'Oiv». Sono quindi, precisa il testo, da «intendersi superate le disposizioni» che derivavano dalla legge Brunetta e che vedevano in campo la Civit, la commissione i cui compiti oggi sono per la parte anticorruzione affidati all'Anac e per quanto invece riguarda la valutazione di competenza del dipartimento della Funzione Pubblica. «Conseguentemente - continua la nota del ministero - la predisposizione della relazione da parte delle amministrazioni deve essere avviata in tempo utile per consentire» tutti i passaggi. Ma che cos'è la relazione sulle performance? È un documento che fa il punto sull'anno precedente, quindi in questo caso il 2017, evidenziando, come stabilisce la legge, «i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto agli obiettivi programmati e alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti». Le relazioni che usciranno fuori quest'estate però non sono ancora tarate sui nuovi obiettivi della Repubblica, previsti sempre dal nuovo testo unico del pubblico impiego. Manca, infatti, il decreto. Da subito però cambia l'iter per la stesura delle relazioni, con un ruolo rafforzato degli organismi indipendenti di valutazione, gli Oiv. A loro spetta la validazione dei voti e devono anche vigilare sulla loro effettiva pubblicazione via web. Per far ciò devono innanzitutto assicurarsi della «correttezza dei processi di misurazione e valutazione». A questo scopo possono anche prestare orecchio alla voce dei cittadini.
TFS Dipendenti Statali, quando viene pagato per chi va in Pensione?
FONTE: lentepubblica
Lavoratori del Pubblico Impiego in procinto di raggiungere la Pensione: quali sono le regole per la liquidazione del TFS dei Dipendenti Statali?
I lavoratori del pubblico impiego che aderiscono al cumulo dei periodi assicurativi dovranno prestare attenzione agli effetti controversi sulla buonuscita. Uno dei problemi che più impegna i lavoratori in procinto di raggiungere la pensione riguarda la neonata facoltà di mettere assieme la contribuzione presente in diverse gestioni previdenziali gratuitamente. Tale facoltà, riconosciuta dallo scorso anno con la legge 232/2016, è molto importante in quanto consente di anticipare l’uscita senza dover necessariamente far ricorso alla ricongiunzione onerosa oppure alla totalizzazione nazionale che è gratuita ma prevede il passaggio al sistema di calcolo cotributivo.
Dallo scorso anno il cumulo può essere utilizzato per liquidare alternativamente la pensione di vecchiaia al raggiungimento dell’età anagrafica più elevata tra le gestioni coinvolte nel cumulo (ormai 66 anni e 7 mesi per tutte le gestioni Inps) e del relativo requisito contributivo previsto dall’articolo 24, co. 7 dal citato decreto (cioè 20 anni di contributi), oppure per liquidare la pensione anticipata al perfezionamento dei requisiti contributivi previsti dall’articolo 24, co. 10 del citato decreto (42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi le donne).
Per i lavoratori del pubblico impiego però non sempre la strada del cumulo è quella più vantaggiosa dal punto di vista economico. I dipendenti pubblici, infatti, raggiungono i livelli retributivi più elevati in corrispondenza dell’età di collocamento in pensione ed hanno un sistema di calcolo della pensione particolarmente favorevole per le anzianità collocate temporalmente prima del 1993. Il cui importo viene ancorato alla base pensionabile posseduta al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Pertanto se ci sono anzianità contributive nell’AGO temporalmente collocate prima del 1993 prima dell’assunzione nel pubblico sicuramente va valutata la strada di una ricongiunzione presso la gestione pubblica. Questa operazione è onerosa ma occorre valutare anche il beneficio pensionistico che può arrivare sulla pensione. Infatti in questo modo si possono valorizzare ad un ritmo superiore quelle anzianità che nella gestione privata, con il cumulo, darebbero diritto a ben poco.
Il cumulo presenta anche un altro svantaggio. I termini per l’erogazione del trattamento di fine servizio o di fine rapporto non inizieranno a decorrere dalla data di cessazione del servizio come accade di regola ma dal raggiungimento teorico della pensione di vecchiaia secondo i requisiti Fornero. L’articolo 1, co. 196 dell’articolo 1 della legge n. 232 del 2016, prevede, infatti che il personale delle amministrazioni pubbliche che cessa dal servizio usufruendo di tale facoltà è pagabile non prima di dodici mesi decorrenti dal compimento, da parte dell’interessato, dell’età anagrafica prevista dall’articolo 24, comma 6, del decreto legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011 e non dalla cessazione del rapporto di lavoro da parte dello stesso.
In tale fattispecie, pertanto, la prima tranche dell’indennità di fine servizio comunque denominata verrà corrisposta agli aventi diritto non prima dell’età di 67 anni e 7 mesi + 90 GG (al netto dei successivi adeguamenti alla speranza di vita). Resta inteso che la seconda tranche del trattamento di fine servizio (la quota cioè compresa tra i 50 e i 100mila euro) verrà erogata dopo ulteriori 12 mesi dalla prima. E la terza tranche, la quota cioè eccedente i 100mila euro, sarà liquidata dopo ulteriori 12 mesi dalla seconda. Chi esce, quindi, con la pensione anticipata attraverso il cumulo ad un’età anagrafica particolarmente ridotta dovrà mettere in conto uno slittamento non indifferente della buonuscita rispetto ad una ricongiunzione.
La totalizzazione nazionale, invece, è di regola ancora meno appetibile del cumulo perchè determina il ricalcolo del trattamento pensionistico con il sistema contributivo. Dunque a meno che si esca ad età avanzate (oltre i 65 anni) e si possano vantare retribuzioni elevate all’inizio della carriera lavorativa e più basse ai fini della misura della pensione (l’inverso di quanto accade generalmente) è preferibile il cumulo. Unico vantaggio della totalizzazione è che il lavoratore non dovrà sottostare allo slittamento dei termini di percezione della buonuscita.
Come si vede la scelta di quale strada seguire è particolarmente complessa e non si presta ad essere univoca per tutti i lavoratori. Ma sicuramente avere un’idea delle principali caratteristiche di questi strumenti è molto importante.
Garante privacy: vietato il controllo massivo e la conservazione illimitata delle email
Fonte: Garante per la protezione dei dati personali
Il Garante per la protezione dei dati personali, nella newsletter n. 439 del 29 marzo 2018, ha confermato il suo No al controllo massivo e alla conservazione senza limite delle email.
Il Garante ha vietato ad una società il trattamento di dati personali effettuato sulle email aziendali dei dipendenti in violazione della normativa sulla protezione dei dati e di quella sulla disciplina lavoristica. La società dovrà ora limitarsi a conservare i dati a fini di tutela dei diritti nel giudizio pendente.
L’Autorità – intervenuta a seguito del reclamo di un dipendente – ha accertato che la società trattava in modo illecito i dati personali contenuti nelle email in entrata e in uscita, anche di natura privata e goliardica, scambiate dal lavoratore con alcuni colleghi e collaboratori. I dati raccolti nel corso di un biennio erano poi stati utilizzati per contestare un provvedimento disciplinare cui era seguito il licenziamento del dipendente poi annullato dal giudice del lavoro.
Nel disporre il divieto l’Autorità ha rilevato numerose e gravi violazioni. La società non ha infatti fornito ai dipendenti alcuna informazione su modalità e finalità di raccolta e conservazione dei dati relativi all’uso della posta elettronica, né con una informativa individualizzata né attraverso la policy aziendale. Un comportamento in contrasto con l’obbligo della società di informare i lavoratori riguardo alle caratteristiche essenziali dei trattamenti effettuati, comprese le operazioni che possono svolgere gli amministratori di sistema (ad es., accesso ai contenuti delle email). La società, inoltre, conservava in modo sistematico i dati esterni e il contenuto di tutte le email scambiate dai dipendenti per l’intera durata del rapporto di lavoro e anche dopo la sua interruzione, violando così i principi di liceità, necessità e proporzionalità stabiliti dal Codice privacy.
Il Garante, ha inoltre fornito alcune linee guida per una corretta gestione dell’email dei lavoratori: l’azienda avrebbe potuto agire in modo più efficiente e più rispettoso della riservatezza dei lavoratori predisponendo dei sistemi di gestione documentale in grado di individuare selettivamente i documenti che avrebbero dovuto essere via via archiviati. Inoltre – continua il Garante – la conservazione estesa e sistematica delle mail, la loro memorizzazione per un periodo indeterminato e comunque amplissimo nonché la possibilità per il datore di lavoro di accedervi per finalità indicate in astratto (ad es. difesa in giudizio, perseguimento di un interesse legittimo) consente il controllo dell’attività dei dipendenti. Controllo vietato dalla disciplina di settore che non autorizza, anche dopo le modifiche del Jobs Act, verifiche massive, prolungate e indiscriminate. Il datore di lavoro infatti pur potendo controllare l’esatto adempimento della prestazione e il corretto uso degli strumenti di lavoro deve sempre salvaguardare la libertà e la dignità dei dipendenti.
Ingiustificata, in particolare, la raccolta a priori di tutte le email in vista di futuri ed eventuali contenziosi, il Garante ha ribadito infatti che la conservazione deve riferirsi a contenziosi in atto o a situazioni precontenziose e non a ipotesi astratte e indeterminate. Il Garante ha ritenuto, infine, non conforme alla legittima aspettativa di riservatezza della corrispondenza l’accesso della società alle email in ingresso sull’account aziendale dopo il licenziamento del lavoratore. Al cessare del rapporto di lavoro la casella di posta elettronica deve essere disattivata e rimossa e al suo posto di devono attivare eventuali account alternativi.
fonte:Il Quotidiano Giuridico di Wolters Kluwer
Il trasferimento dipendente pubblico per assistere persona con handicap in situazione di gravità, ai sensi dell'art. 33, comma 5 della L. n. 104 del 1992, può essere negato solo se ne conseguano effettive e ben individuate criticità per l'Amministrazione, la quale ha l'onere di indicarle in maniera compiuta per rendere percepibile di quali reali pregiudizi risentirebbe la sua azione, mentre non può limitarsi ad invocare generiche esigenze di corretta organizzazione e buon andamento. L'Amministrazione deve dar conto, nella motivazione dell'atto di diniego, della valutazione discrezionale in ordine alla comparazione tra le contrapposte esigenze determinate dalle proprie esigenze organizzative e dalla situazione del dipendente istante (T.A.R. Lombardia, sezione III, sentenza 15 marzo 2018, n. 738).
Fonte:DPL
Con sentenza n. 7581/2018, la Corte di Cassazione ha affermato, nell’esame di un ricorso relativo ad un licenziamento disciplinare per altra attività svolta durante la malattia, che, seppure il datore sia tenuto ad offrire al lavoratore i documenti aziendali alla base della contestazione nel caso in cui l’esame sia necessario ai fini di una effettiva difesa, “non può essere condivisa la prospettazione della società ricorrente che limita il diritto del lavoratore ai soli casi in cui la contestazione faccia riferimento ad atti esterni o, comunque, non sia altrimenti comprensibile“.
La Suprema Corte sembra, con questa decisione, difendere non un indiscriminato accesso agli atti ma il diritto di difesa del dipendente, secondo le forme di tutela e di garanzia previste dall’art. 7 della legge n. 300/1970.
Straining, forma attenuata di mobbing e risarcimento del danno
FONTE: http://www.diritto-lavoro.com
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 7844 del 2018, ha ammesso il risarcimento del danno da straining, ossia “una forma attenuata di mobbing nella quale manca il carattere della continuità delle azioni vessatorie. Ciò non toglie, però, che anche lo straining possa giustificare il risarcimento del danno, ove l’azione vessatoria vada a minare l’integrità psico-fisica del lavoratore” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 30.3.2018).
In pratica con la sentenza 7844/2018, la Suprema Corte ha riconosciuto il danno da “stress forzato” in favore di un dipendente costretto “a lavorare in un ambiente di lavoro ostile, per incuria e disinteresse nei confronti del suo benessere lavorativo con conseguente violazione da parte datoriale del disposto di cui all’art. 20187 c.c.”. La Corte ha infatti evidenziato che il giudice di appello aveva motivato correttamente in ordine alla situazione lavorativa del ricorrente il quale “pur avendo diritto all’inquadramento nella categoria dirigenziale era stato allontanato dalla direzione generale e deriso con l’invio di lettere di scherno diffuse nella banca dove lo stesso prestava la sua attività” ed in assenza altresì di qualsivoglia iniziativa datoriale volta a tutelarlo.
Il lavoratore, in tale situazione, avrebbe dunque subito delle azioni ostili, anche se limitate nel numero e distanziate nel tempo, non idonee a configurare il mobbing, ma tali in ogni caso da “provocare una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, atta ad incidere sul diritto alla salute” costituzionalmente tutelato, essendo il datore di lavoro tenuto ad evitare situazioni “stressogene” che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno anche in caso di mancata prova di un previso intento persecutorio.
La Cassazione dunque ha confermato il diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale “inteso come lesione del diritto al normale svolgimento della vita lavorativa e alla libera e piena esplicazione della propria personalità sul luogo di lavoro, anche nel significato “areddituale” della professionalità.
Alla «posizione organizzativa» indennità anche senza incarico formale
FONTE:SOLE24ORE di Paola Rossi
Nel caso un dipendente pubblico abbia svolto le funzioni legate a una posizione operativa, ma in base a provvedimento illegittimo o inesistente, gli va riconosciuta non solo la differenza retributiva rispetto al ruolo di provenienza, ma anche la specifica indennità commisurata a tutto il periodo di svolgimento. Così la Corte di cassazione con la sentenza n. 8141 depositata ieri.
Prestito Pensionistico, A rischio l'erogazione degli arretrati maturati dal 1° maggio 2017
La scadenza del 18 Aprile è praticamente imminente. Per la maggior parte dei pensionandi che hanno chiesto la certificazione dei requisiti per l'ape volontario sarà quasi impossibile riuscire a farsi erogare gli arretrati.
A distanza di quasi due mesi dal decollo dell'anticipo pensionistico le domande e le certificazione degli aventi diritto viaggiano a rilento. Alla fine del mese di Marzo le richieste di certificazione prodotte all'Inps dai pensionandi per accedere al prestito da ripagare in 20 anni sono state poco più di 15 mila e 500, un granello rispetto alle simulazioni effettuate sul sito dell'Inps per scoprire quanto costerà l'anticipo, oltre186 mila in poco più di un mese.
Anche questo numero ipotetico perché si tratta semplicemente di coloro che hanno chiesto all'INPS di sapere se hanno i requisiti per poter effettuare la domanda cioè se sono in possesso di 63 anni, 20 anni di contributi, trovarsi a non più di 3 anni e 7 mesi dall'età di vecchiaia e avere una pensione lorda non inferiore a 710 euro mensili al netto della presunta rata di ammortamento del prestito che, come si intuisce, varia a seconda dell'entità del prestito richiesto. Non tutti potrebbero averli e, quindi, non tutti potranno scegliere di fare domanda concretamente.
Molti gli aspetti che stanno rallentando l'operazione. Innanzitutto il costo netto dell'anticipo che nonostante la detrazione fiscale riconosciuta dallo Stato resta molto elevato. Un ipotetico pensionando dovrà, infatti, accettare una riduzione dellapensione pari a circa il 5% per ogni anno di anticipo. E questo rende poco conveniente per molte persone l'accesso all'anticipo pensionistico. Altro fattore l'aver tagliato fuori i lavoratori che non hanno maturato almeno 20 anni di contributi in una sola gestione pensionistica. Altro fattore rilevante sono i ritardi burocratici. Prima di tutto in molti casi l'Inps non ha ancora risposto alla richiesta di certificazione (l'Istituto ha infatti 60 gg di tempo dalla data della domanda).
Dato che le prime domande sono state possibili a partire dal 13 Febbraio l'Istituto avrebbe teoricamente tempo sino a metà aprile per certificare i requisiti. Inoltre dopo un anno di attesa dei decreti attuativi e la sigla ad inizio anno delle convenzioni quadro con banche ed assicurazioni ad oggi mancano ancora le adesioni formali di Unicredit ed Intesa i due istituti che dovrebbero, sin dall'inizio, concedere il prestito. Dunque anche quei pochi che hanno o riceveranno a breve la certificazione Inps non hanno la possibilità di produrre la domanda di accesso alla prestazione. Il problema è ancora più evidente perché il decreto ministeriale che regola le modalità di presentazione delle istanze prevede che chi voglia fare richiesta per ottenere gli arretrati sin dal 1° maggio 2017 deve chiederli entro il 18 aprile 2018, cioè entro sei mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri numero 150 del 2017. È ovvio che se entro questa data non dovesse arrivare la formalizzazione di Unicredit e Intesa nessun pensionando pur avendo requisiti potrà ottenere gli arretrati e dovrà rinunciare ad un anno di anticipo.
Non va molto meglio anche alla Rita, la rendita integrativa temporanea anticipata, i cui costi dell'anticipo sono posti a carico dei fondi pensione. Le forme di previdenza complementare che si sono adeguate alle indicazioni della Covip fornite lo scorso Febbraio si contano sulla punta delle dita e, quindi, praticamente nessun iscritto ha ancora potuto fare ancora domanda di anticipo. Se a questo si aggiungono i ritardi cronici per l'Ape sociale ed il pensionamento con 41 anni di contributi e al lungo contenzioso tra Inps e Casse Professionali sul cumulo dei contributi si può dire che molte delle misure introdotte con la Riforma del 2016 sono ancora distanti dall'essere pienamente realizzate. Non proprio un buon biglietto da visita per chi le ha sostenute in questi anni.
Pensioni, Il lavoro straordinario non entra nella base di calcolo dell'assegno straordinario di solidarietà
La Corte di Cassazione ha accolto le richieste di un istituto bancario. Nella determinazione degli oneri dovuti non possono influire variazioni in eccedenza o in difetto dovute a contingenti modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.
Il lavoro straordinario non entra nella base di calcolo della contribuzione figurativa che l'azienda deve versare al dipendente che percepisce l'assegno straordinario di solidarietà. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 7695 del 28 Marzo 2018 in cui i giudici hanno respinto il ricorso di alcuni lavoratori del settore del credito che contestavano l'ammontare dei versamenti figurativi corrisposti dall'azienda esodante durante la percezione dell'assegno straordinario di solidarietà.
La questione
Secondo i ricorrenti, un gruppo di lavoratori dipendenti della Cassa di Risparmio di Lucca, la base di calcolo dell'assegno straordinario doveva tener conto della retribuzione annuale comprensiva del compenso per lavoro straordinario, che nel caso di specie era stata invece esclusa. Determinando un effetto negativo sia sulla misura della pensione a regime sia dell'assegno straordinario di accompagnamento alla pensione. Sia Tribunale di Lucca che la Corte d'Appello di Firenze avevano dato ragione agli istanti osservando che l'art. 7 del DM 158/2000 disponeva che la base di calcolo della contribuzione figurativa versata dall'azienda dovesse essere commisurata alla retribuzione media giornaliera ottenuta dividendo per 360 quanto percepito dagli interessati nel corso dell'ultimo anno. Integrando, pertanto, nella base di calcolo anche il lavoro straordinario percepito dal dipendente prima della solidarietà settoriale. Contro la decisione la Cassa Risparmio ha proposto ricorso per Cassazione.
La parte datoriale contestava, in particolare, che la retribuzione da assumere come base di calcolo dovesse essere quella prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicabileratione temporis stante il rinvio operato dall'art. 10, comma 7, del DM n. 158/2000, il quale non menzionava il compenso per lavoro straordinario tra quelli costituenti il trattamento economico dei dipendenti. Secondo l'azienda, inoltre, l'esclusione dello straordinario dalla contribuzione figurativa in questione era tutt'altro che irragionevole, dal momento che quest'ultima viene pagata per il periodo in cui il dipendente non lavora, ricevendo il cosiddetto assegno straordinario in attesa della maturazione del trattamento pensionistico. Ed era incomprensibile la ragione per la quale si dovrebbe tener conto, ai fini della contribuzione figurativa, di una retribuzione comprendente prestazioni di lavoro straordinario in relazione ad un periodo in cui per definizione non si presta attività lavorativa, essendo il relativo rapporto cessato.
La decisione
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della banca. I Giudici di Piazza Cavour osservano, preliminarmente, che la contribuzione correlata per i periodi di erogazione dell'assegno straordinario per il sostegno al reddito, è calcolata sulla base della retribuzione di cui al comma 7 dell'art. 10 del DM 158/2000 che al riguardo stabilisce che la retribuzione mensile dell'interessato utile per la determinazione dell'assegno ordinario e della paga oraria di cui al comma 1, è quella individuata secondo le disposizioni contrattuali nazionali in vigore, e cioè la retribuzione sulla base dell'ultima mensilità percepita dall'interessato secondo il criterio comune: 1/360 della retribuzione annua per ogni giornata.
La Corte spiega quindi che il riferimento alla retribuzione dell'ultima mensilità non significa che nel computo dell'importo base per la contribuzione debba intendersi qualsiasi somma o voce percepita, ma vuol semplicemente significare che deve farsi riferimento all'importo della retribuzione quale fissato dalla contrattazione collettiva vigente nel momento della cessazione del rapporto (tenuto conto degli incrementi stipendiali maturati fino all'ultimo mese del rapporto per variazioni nel livello di inquadramento o degli scatti di anzianità maturati), nonché al criterio comune di 1/360 della retribuzione annua per ogni giornata, senza che sull'importo così ottenuto possano influire variazioni in eccedenza o in difetto dovute a contingenti modalità di svolgimento della prestazione.