Problematica BUONI PASTO Circolare in allegato
ELEMENTO PEREQUATIVO Note UILPA in allegato
Modernizzazione della PA: nota della CDP
Fonte:ilpersonale
La Cassa Depositi e Prestiti (CDP), mediante una nota emessa il 23 marzo, annuncia l‘avvio del prestito per la modernizzazione della Pubblica Amministrazione.
Come riporta il comunicato, la CDP mette a disposizione un prestito ordinario a cui possono accedere tutti gli Enti locali per finanziare le spese di investimento legate all’attuazione del Piano Triennale per la Trasformazione Digitale della Pubblica Amministrazione.
La presentazione delle domande potrà essere effettuata online, riducendo i tempi per l’istruttoria dei prestiti e garantendo rapidamente la messa a disposizione delle risorse finanziarie destinate alla realizzazione degli investimenti.
Cassa Depositi e Prestiti pertanto rafforza il suo ruolo di operatore chiave a supporto degli Enti locali impegnandosi a promuovere il nuovo prestito sul territorio attraverso una serie di incontri ed eventi organizzati insieme al Team per la Trasformazione Digitale
Segnalazione illeciti e tutela del dipendente, le indicazioni INPS
ALLEGATO
Fonte:diritto - lavoro
L’INPS, con la Circolare n. 54 del 2018, ha fornito indicazioni circa la tutela del dipendente che effettui una segnalazione (whistleblowing) di illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ambito lavorativo.
Sanzioni più leggere al dipendente pubblico «reo confesso»
· Fonte:sole24ore–di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan
La novità disciplinare più importante portata dai contratti del pubblico impiego è la «definizione concordata» della sanzione, in pratica una sorta di patteggiamento che permette al dipendente pubblico “reo confesso” di spuntare dall’ufficio disciplinare una sanzione più leggera. L’accordo non può cambiare la natura della sanzione, nel senso che un licenziamento non si può trasformare in una sospensione, e la sospensione non può diventare un richiamo scritto. Ma può alleggerirne il peso, per esempio riducendo il periodo di stop che lascia il dipendente senza lavoro e stipendio.
L’entrata in vigore del nuovo meccanismo cambia da comparto a comparto, perché si applica dal giorno successivo alla sottoscrizione definitiva, già avvenuta solo per la Pa statale. Ma non tutto il Codice disciplinare segue lo stesso calendario. In fatto di «responsabilità disciplinare», i nuovi testi incrociano la conferma di aspetti già contenuti nei precedenti contratti, il recepimento di norme di legge nel frattempo emanate e una serie di novità assolute. La distinzione ha una sua rilevanza pratica, perché cambia le le decorrenze con le quali si possono applicare le diverse previsioni contrattuali.
Alla prima categoria, quella delle conferme, rimandano per esempio i criteri generali usati per determinare il tipo e l’entità della sanzione, criteri come l’intenzionalità del comportamento, la rilevanza degli obblighi violati oppure la responsabilità connessa al ruolo rivestito. È evidente che per queste norme non si pongono problemi circa l’entrata in vigore, in quanto sono in perfetta in continuità con il passato.
La seconda categoria è rappresentata da leggi che ora vengono fatti propri dal contratti. Si tratta, in pratica, delle misure anti-assenteismo. Il tema è caro al legislatore, e già la riforma Brunetta del 2009 aveva inserito nel testo unico del pubblico impiego alcune ipotesi di licenziamento. Sono nella memoria di tutti i cartellini timbrati per conto di colleghi oppure l’esplosione delle malattie nelle vicinanze dei festivi.
Su questi aspetti è tornata anche la ministra Madia, con il cosiddetto licenziamento sprint, che deve espellere dalla Pa in 30 giorni il dipendente scorretto e colto in flagrante. Anche in questo caso, nessun dubbio sorge sul calendario di applicazione delle sanzioni: a monte c’è una legge in vigore da tempo, e i contratti nazionali non fanno altro che richiamarla.
Più complicato è il quadro delle disposizioni che vedono per la prima volta la loro apparizione nel contratto collettivo di lavoro. Alcune in verità appaiono decisamente ridondanti agli occhi della maggior parte dei dipendenti pubblici, che si comportano correttamente. Ne è un esempio l’elenco degli obblighi al cui rispetto è chiamato il lavoratore, fra i quali osservare l’orario di lavoro, facilitare la ripresa del servizio in caso di malattia o infortunio, usare con cura gli strumenti a disposizione. Più interessanti sono le novità sulle sanzioni. Vengono disciplinati quei casi non gravi, nei quali, al contrario, la legge impone il licenziamento se comportano conseguenze pesanti. Ad esempio si può pensare ad un’assenza ingiustificata dal servizio di brevissima durata, a piccoli atti lesivi della dignità della persona o lievissime minacce ad altri dipendenti o terzi. Per la determinazione della sanzione, in questi casi, il contratto prevede la pubblicazione del codice disciplinare entro 15 giorni dalla sottoscrizione definitiva e la relativa applicazione dal 15esimo giorno successivo alla data di pubblicazione. In sostanza, una decorrenza che varia da amministrazione ad amministrazione
Garante privacy: nuovo Regolamento Ue sulla privacy – aggiornata la Guida applicativa
Fonte:DPL
Il Garante per la protezione dei dati personali mette a disposizione l’aggiornamento 2018 della Guida all’applicazione del Regolamento UE 2016/679 in materia di protezione dei dati personali.
Il documento – che traccia un quadro generale delle principali innovazioni introdotte dal Regolamento e fornisce indicazioni utili sulle prassi da seguire e gli adempimenti da attuare per dare corretta applicazione alla normativa – è stato in parte modificato e integrato alla luce dell’evoluzione della riflessione a livello nazionale ed europeo. Il testo potrà subire ulteriori aggiornamenti, allo scopo di offrire sempre nuovi contenuti e garantire un aggiornamento costante.
Licenziamenti disciplinari tardivi, la linea della Cassazione
fontediritto - lavoro
La Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, con la Sentenza 30985 del 2017, sono intervenute – a causa di un contrasto giurisprudenziale in materia di licenziamenti disciplinari e tardività ingiustificata della contestazione – stabilendo il seguente principio di diritto:
Il licenziamento per motivi soggettivi di un lavoratore in regime di tutela reale (articolo 18 dello Statuto dei lavoratori) a seguito di una ingiustificata contestazione tardiva, comporta l’applicazione (come sanzione in ipotesi di illegittimità del recesso) della tutela indennitaria: e cioè tra 12 e 24 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 5 della legge 300/1970).
Ma vediamo nel dettaglio il principio reso dalle Sezioni Unite della Corte Suprema con l’articolo pubblicato oggi (26.3.2018) dal Sole 24 Ore (Firma: D. Colombo; Titolo: “Licenziamenti disciplinari senza reintegra se tardivi”) che di seguito riportiamo.
Meno spazio per la reintegra. Il licenziamento per motivi soggettivi intimato a un lavoratore in regime di tutela reale (articolo 18 dello Statuto dei lavoratori) in seguito a una ingiustificata contestazione tardiva, comporta l’applicazione – come sanzione in caso di illegittimità del recesso – della tutela indennitaria: vale a dire, tra 12 e 24 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 5 della legge 300/1970). È quanto ha stabilito la Corte di cassazione nella sentenza 30985 del 27 dicembre 2017, pronunciata dalle Sezioni unite. Queste erano state chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale sulle conseguenze sanzionatorie del vizio della tardività della contestazione disciplinare, che offre lo spunto per analizzare i vizi più ricorrenti nelle contestazioni disciplinari e le relative conseguenze sanzionatorie in caso di illegittimità del licenziamento.
I due orientamenti
Secondo un primo orientamento, infatti, l’immediatezza della contestazione costituisce un elemento essenziale del licenziamento, la cui mancanza consente l’applicazione della tutela reintegratoria. In altri termini, dal momento in cui il fatto non è contestato idoneamente, lo stesso sarebbe insussistente in base all’articolo 18 della legge 300/1970, in quanto sul piano letterale la norma parla di insussistenza del «fatto contestato», cioè contestato regolarmente (si veda la sentenza della Cassazione, sezione lavoro, 2513 del 31 gennaio 2017).
Secondo un altro indirizzo, invece, si deve negare carattere sostanziale al vizio della contestazione tardiva. Quest’ultima sarebbe una mera violazione procedurale con applicazione, quindi, della tutela indennitaria ex articolo 18 della legge 300/1970, come modificato dalla legge 92/2012 (si veda la sentenza 23669 del 2014 della Cassazione, sezione lavoro, del 23 novembre 2014).
La linea delle Sezioni unite
Le Sezioni unite, invece, ritengono applicabile la tutela indennitaria prevista dall’articolo 18, comma 5, della legge 300/1970, con risoluzione del rapporto di lavoro e condanna al pagamento di un indennizzo compreso tra 12 e 24 mensilità di retribuzione. Infatti, la tardività non incide sulla sussistenza/insussistenza dell’inadempimento (o del fatto). Tuttavia, non costituisce nemmeno una violazione procedurale non essendo prevista, tra le altre cose, in via espressa dall’articolo 7 della legge 300/1970.
La tardività, proseguono i giudici, è comunque contraria ai principi di buona fede e correttezza (articoli 1175 e 1375 del Codice civile), che impongono al datore di lavoro di contestare immediatamente i fatti (o gli inadempimenti). La conseguenza è il fatto che la violazione del diritto di difesa del lavoratore comporterà la tutela indennitaria prevista dall’articolo 18, comma 5, della legge 300/1970.
Diversamente, qualora il contratto collettivo o la legge dovessero prevedere termini per la contestazione, la relativa violazione sarebbe attratta nell’alveo della violazione procedurale prevista dall’articolo 18, comma 6 (indennità da sei a 12 mensilità), in quanto violazione caratterizzata da contrarietà a una regola di carattere procedimentale.
Addebito specifico
La contestazione disciplinare non deve essere generica: deve descrivere i fatti in maniera sufficientemente dettagliata, in modo da individuare nella sua materialità il fatto oggetto di infrazione. Diversamente, la contestazione deve considerarsi nulla.
Secondo l’orientamento prevalente, la genericità comporta insussistenza del fatto con applicazione del regime della reintegrazione (Tribunale di Milano, sentenza del 15 aprile 2015, giudice Dossi; Tribunale di Milano, 1° luglio 2016, giudice Colosimo; Cassazione, sentenza 9615 del 2015).
Allo stesso modo, l’assenza della contestazione ovvero l’adozione di una forma diversa da quella scritta comporta l’applicazione della reintegrazione (Cassazione, sezione lavoro, sentenza 25745 del 2016.
LA SPECIFICITÀ DELLA CONTESTAZIONE
LA FORMULAZIONE DEVE ESSERE CHIARA E COMPLETA
La contestazione dell’addebito, necessaria per i licenziamenti disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa. Deve avere dunque il carattere della specificità, che risulta integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri previsti dagli articoli 2104 e 2105 del Codice civile. Il relativo accertamento deve essere stato oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito.
Cassazione, sentenza 9615 del 12 maggio 2015
LE CONSEGUENZE DELLA TARDIVITÀ
IL PRIMO ORIENTAMENTO: LA TARDIVITÀ È UNA VIOLAZIONE PROCEDURALE
L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, modificato nel 2012, prevede due regimi di tutela in caso di illegittimità del licenziamento intimato per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. La reintegra trova spazio nelle sole ipotesi in cui si accerti che non sussiste il fatto che ha dato causa al licenziamento, mentre se emerge in giudizio che non ci sono gli estremi integranti la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo, è applicabile la sola tutela risarcitoria (escluso il licenziamento che viola le regole procedurali previste dall’articolo 7 dello Statuto). Per un licenziamento intimato violando il requisito della tempestività, è applicabile la sola tutela risarcitoria.
Cassazione, sezione lavoro, sentenza 23669 del 23 novembre 2014
IL SECONDO ORIENTAMENTO: LA TARDIVITÀ È UNA VIOLAZIONE SOSTANZIALE
La tutela reintegratoria prevista dall’articolo 18, comma 4, della legge 300/1970 trova applicazione anche nell’ipotesi in cui il fatto non sia stato «regolarmente contestato» in base all’articolo 7, della legge 300/1970. La contestazione dell’assenza dal servizio che sia stata mossa al lavoratore oltre un anno dopo il suo compimento deve ritenersi «abnorme» e «totalmente priva di ragioni» perché viola il principio di immediatezza della contestazione disciplinare.
Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 2513 del 2017
LA LINEA DELLA CASSAZIONE: IL RITARDO VA SANZIONATO CON L’INDENNITÀ
La dichiarazione giudiziale di risoluzione del licenziamento disciplinare conseguente all’accertamento di un ritardo notevole e ingiustificato della contestazione di addebito posto a base del recesso, ricadente nella disciplina dell’articolo 18 della legge 300/1970, così come modificato dall’articolo 1, comma 42 della legge 92/2012, comporta l’applicazione della sanzione dell’indennità come prevista dal quinto comma dello stesso articolo 18, ossia risoluzione del rapporto di lavoro con condanna al pagamento di un’indennità compresa tra 12 e 24 mensilità di retribuzione globale di fatto.
Cassazione, sezioni unite, sentenza 30985 del 27 dicembre 2017
LE CIFRE IN GIOCO
1 lavoratori con tutela reale (articolo 18)
Per gli assunti con le tutele dell’articolo 18 della legge 300/1970, in caso di illegittimità del licenziamento disciplinare:
se il termine della contestazione previsto dal Ccnl non è è stato rispettato dal datore, questi è sanzionato con il versamento di una indennità al lavoratore compresa fra sei e 12 mensilità di retribuzione (articolo 18, comma 6);
se la contestazione è stata particolarmente tardiva, il datore dovrà versare un’indennità fra 12 e 24 menisilità di retribuzione (articolo 18, comma 5)
se la contestazione disciplinare non c’è stata o è stata generica, scatta la reintegrazione (articolo 18, comma 4)
2 lavoratori assunti a tutele crescenti
Per gli assunti con le regole del Dlgs 23/2015, in caso di illegittimità del licenziamento disciplinare:
se il termine della contestazione previsto dal Ccnl non è stato rispettato, l’indennità da versare è di una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio (da un minimo di due a un massimo di 12 mensilità);
se la contestazione è stata particolarmente tardiva, l’indennità è di due mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio (da quattro a 24 mesi)
Rimedio economico per le tutele crescenti
Qual è l’impatto della sentenza 30985/2017 delle Sezioni unite della Corte di cassazione sul contratto a tutele crescenti disciplinato dal Dlgs 23/2015, applicabile ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015? Sebbene i principi espressi dalla Corte riguardino formalmente le conseguenze sanzionatorie per i lavoratori ai quali sia ancora applicabile l’articolo 18 della legge 300/1970, questi non potranno non avere riflessi anche nel caso di un licenziamento disciplinare di un prestatore di lavoro assunto a tempo indeterminato con l’applicazione delle regole contenute nel Jobs act.
Reintegra e tutele crescenti
In base all’articolo 3 del Dlgs 23/2015, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr, per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a quattro e non superiore a 24 mensilità.
Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione sulla sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro a reintegrare il lavoratore e a versare un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione.
Gli effetti del ritardo
Alla luce della giurisprudenza su questa materia, si deve escludere l’applicazione della sanzione della reintegrazione in caso di licenziamento intimato dopo una contestazione disciplinare consegnata al lavoratore oltre il termine previsto dalla contrattazione collettiva.
Allo stesso modo, si deve ritenere che la reintegra non trovi applicazione con il contratto a tutele crescenti nemmeno in caso di licenziamento disciplinare intimato al lavoratore a seguito di una contestazione notevolmente tardiva, perché sicuramente questo è un elemento estraneo rispetto alla insussistenza del fatto materiale di cui parla l’articolo 3 del Dlgs 23/2015, prevedendo la reintegra in caso di illegittimità del recesso.
Qualche dubbio, invece, desta il licenziamento intimato in assenza di una contestazione disciplinare preventiva, così come il recesso per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo fondato una contestazione generica. Alla luce delle sentenze pronunciate su questo tema per i lavoratori ai quali si applica l’articolo 18 della legge 300/1970, non si può escludere che lo stesso ragionamento sia riportato nel contratto a tutele crescenti, con la conseguenza che, in questi casi, potrebbero aprirsi le “porte” della reintegrazione nel posto di lavoro.
Da part time a full time – Orientamento ARAN
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L’ARAN in un recente orientamento applicativo risponde ad un quesito in merito alla possibilità di passare da part time a full time. Il caso riguarda un dipendente che è passato, per effetto di un processo di mobilità, da un Comune in cui lavorava a tempo pieno a uno in cui lavora a tempo parziale e ora vuole tornare full time.
Un dipendente comunale, assunto originariamente, nel 2006, con contratto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, transitato nel 2010 per effetto di un processo di mobilità, ai sensi dell’art.30 del D.Lgs.n.165/2001, presso altro comune, dove presta servizio a tempo parziale, in forza di un contratto stipulato all’atto del trasferimento, ha diritto a ritornare a tempo pieno, ai sensi della vigente disciplina contrattuale, presso l’ente dove attualmente presta servizio, ove ne faccia richiesta?
In materia, si ritiene utile precisare quanto segue.
L’art.4, comma 14, del CCNL del 14.9.2000, prevede espressamente che “I dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale hanno diritto di tornare a tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, anche in soprannumero oppure, prima della scadenza del biennio, a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico.”
Pertanto, in base alla disciplina contrattuale, il dipendente che ha ottenuto, a suo tempo, la trasformazione potrà sempre tornare a tempo pieno, nel rispetto delle previsioni sopra richiamate.
Si tratta, quindi, di una disciplina generale che trova applicazione a favore di qualunque lavoratore che abbia trasformato in precedenza il suo rapporto da tempo pieno a tempo parziale, garantendo allo stesso comunque il possibile ritorno a tempo pieno, alla scadenza del biennio ed anche in soprannumero, o anche prima in presenza del presupposto della disponibilità del posto in organico.
Proprio, perché trattasi di una disciplina generale, si ritiene che la stessa, nel rispetto di quanto sopra detto, non possa non trovare applicazione anche nel caso prospettato, nel quale il lavoratore ha comunque trasformato il suo rapporto da tempo pieno a tempo parziale presso un nuovo ente, a seguito di un processo di mobilità volontaria dello stesso.
Legge 104, entro il 31 marzo la comunicazione delle PA sui permessi
Fonte:leggioggi
Entro il 31 marzo le pubbliche amministrazioni dovranno comunicare il numero dei permessi legati alla Legge 104 usufruiti dai propri dipendenti durante l’anno precedente. Ricordiamo infatti che la legge n. 183/2010 ha introdotto la banca dati dei permessi ex legge 104/1992 per monitorare le agevolazioni usufruite dai dipendenti della pubblica amministrazione.
Con la Circolare n. 2/2011 il Ministero per la Semplificazione e Pubblica Amministrazione ha fornito ulteriori chiarimenti sulla modalità di comunicazione dei dati relativi a tali permessi.
In particolare le pubbliche amministrazioni devono comunicare i seguenti dati:
· i nominativi dei propri dipendenti ai quali sono stati accordati i permessi;
· la tipologia di permesso (se i permessi sono stati utilizzati per il lavoratore stesso o per assistenza a terzi);
· in caso di assistenza a terzi è necessario indicare il nominativo dell’assistito, l’eventuale rapporto di dipendenza da un’amministrazione pubblica e la denominazione della stessa,
· il comune di residenza dell’assistito, il rapporto di parentela o affinità tra il dipendente e la persona assistita;
· per i permessi usufruiti per il figlio da parte del lavoratore padre o della lavoratrice madre, l’età maggiore o minore di tre anni del figlio;
· il numero complessivo di giorni e ore di permesso fruiti da ciascun lavoratore nel corso dell’anno precedente per ogni mese, specificando le ore o frazioni di ore fruite per ciascuna giornata in ogni mese.
La comunicazione da parte delle pubbliche amministrazioni dovrà avvenire solamente per via telematica sul sito magellanopa.it e entro il 31 marzo ogni anno. Andrà effettuata anche nel caso in cui i permessi non siano stati usufruiti.
Legge 104: quando spetta l’esonero dai turni di lavoro notturni
Fonte: legge per tutti
Sono un dirigente medico e usufruisco dei permessi della legge 104 per assistere mia madre disabile. Svolgo tre turni notturni al mese ma ho chiesto l’esonero da questi turni che mi è stato negato perché faccio meno di 80 turni notturni l’anno (circa 40 notti all’anno). Ho diritto all’esonero? Quando svolgo il turno notturno sono di guardia e sono sola quindi, se mia madre dovesse stare male, non posso raggiungerla con urgenza perché devo prima trovare chi può sostituirmi in ospedale.
La lettrice ha diritto all’esonero.
L’esonero dai turni e le modalità per usufruire dei permessi ex L.104/92 sono regolamentati dagli artt. 42 e 53 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e del Decreto Legislativo 23 aprile 2003, n. 115.
Nello specifico, l’art. 53 letteralmente recita «non sono altresì obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni». Nessun riferimento è fatto allo stato di gravità o meno dell’assistito.
Il lavoratore o la lavoratrice che abbiano a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 104/92 per prestargli assistenza in prima persona, pertanto, non è obbligato a prestare lavoro notturno, compresi eventuali turni di reperibilità o di pronta disponibilità, equiparati al lavoro notturno.
Va ricordato, poi, che i requisiti di continuità ed esclusività dell’assistenza, un tempo essenziali per accedere al beneficio dei permessi 104/92 per prestare assistenza al familiare con grave disabilità, successivamente variati nei termini di sistematicità e di adeguatezza dell’assistenza, sono stati eliminati dalla legge 183/2010.
Come ha ricordato l’I.n.p.s. (circolare n. 90/2007), va adottato il principio secondo cui «tale assistenza non debba essere necessariamente quotidiana, purché assuma i caratteri della sistematicità e dell’adeguatezza rispetto alle concrete esigenze della persona con disabilità in situazione di gravità».
Ed infatti, scopo dei permessi e delle agevolazioni concesse dalla legge 104/92 è anche quello di consentire a coloro che hanno a carico un soggetto disabile di ricevere il giusto riposo per far fronte alla gravosa situazione. Pertanto, non occorre che la lettrice assista sua madre anche di notte, poiché il riposo serve al familiare per recuperare le energie per accudire al meglio il disabile.
Il diritto di esonero dal lavoro notturno (per tale intendendosi l’arco temporale di almeno sette ore consecutive di lavoro che comprendono l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino: ad esempio da mezzanotte alle sette o dalle dieci alle cinque), poiché previsto direttamente dalla legge, non può essere derogato né dalla contrattazione collettiva né da accordi individuali tra lavoratore e datore.
In pratica, la lettrice ha pienamente diritto all’esonero dai turni di notte.
Legge 104, la lavoratrice ha diritto al trasferimento per assistere il padre
FONTE:DIRITTO - LAVORO
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 7120 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: “la lavoratrice ha diritto, in base alla legge 104, al trasferimento nella sede di lavoro vicina al padre che ha bisogno di assistenza. Naturalmente va verificata la situazione oggettiva di necessità e il tutto è da bilanciare con gli interessi economici del datore” (Dal Quotidiano del diritto del Sole 24 Ore del 23.3.2018).
Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 7120/2018.
Con la sentenza n. 526/2012, la Corte di appello di Brescia ha confermato la pronuncia del 7.12.2011 del Tribunale di Bergamo con la quale, in accoglimento della domanda proposta da … spa, era stata condanna a trasferire la ricorrente nella sede di … o in altro Ufficio della zona, limitrofo al Comune di residenza del padre, inabile e bisognoso di assistenza continuativa, essendo stati ritenuti sussistenti i presupposti di cui all’art. 33 legge 104 del 1992.
Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la … spa, cui ha resistito con controricorso la lavoratrice.
La Corte Suprema ha rigettato il ricorso con condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge
Da PensioniOggi:
Riforma Pensioni, BCE: Senza aumento dell'età pensionabile a rischio i conti pubblici
· FONTE:PENSIONIOGGIScritto da Bruno Franzoni
Dopo l'FMI anche la Banca Centrale Europea lancia l'allarme sui rischi di un rallentamento delle riforme nel sistema previdenziale dei paesi dell'Area Euro.
La Banca Centrale Europea mette in guardia i Paesi dell'area Euro da una controriforma sulle pensioni. Nel Bollettino economico di marzo, la Bce avverte sulla necessità di non mettere in discussione le riforme gia' fatte e di proseguire con efficacia le riforme del sistema previdenziale adottate negli ultimi anni.
Pur non essendo un invito mirato direttamente al nostro paese è difficile non mettere in relazione i contenuti del documento con i risultati dell'ultima tornata elettorale e dei programmi politici di Lega e M5S che puntano, come noto, ad una abolizione della Riforma Fornero. Gli esperti di Francoforte sottolineano come "l'invecchiamento demografico comporterà ulteriori pressioni al rialzo sulla spesa pubblica per pensioni, assistenza sanitaria e cure a lungo termine". Ciò renderà problematico per i paesi dell’area ridurre il consistente onere del loro debito e assicurare la sostenibilità dei conti pubblici nel lungo periodo". In questo quadro la BCE sottolinea che l'attenzione di molti paesi sulle materie pensionistiche è andata via via scemando con il passare degli anni, una situazione fonte di preoccupazione dato l'ampio debito pubblico per molti paesi europei.
"L’implementazione di ulteriori riforme nel sistema previdenziale si rivela essenziale e non deve essere differita, anche in vista di considerazioni di economia politica" si legge nel bollettino economico. Gli Economisti spronano dunque i paesi dell'Area Euro a proseguire l'opera di riforma del sistema pensionistico bilanciando con l'aumento dell'età di pensionamento gli effetti dell'allungamento della speranza di vita anche per garantire una maggiore equità sociale dei trattamenti pensionistici. L'allungamento dell'età pensionabile, spiegano i tecnici, deve essere vista anche come strumento per incrementare la misura dell'assegno pensionistico ed il relativo tasso di sostituzione soprattutto in quelle situazioni nelle quali non è possibile procedere ad un incremento ulteriore delle aliquote contributive a carico dei lavoratori dipendenti ed autonomi. L'avvertimento dell'Ue segue e degli economisti del FMI che a inizio anno avevano avvertito circa le conseguenze sui conti pubblici di una controriforma in materia pensionistica.
Damiano: impensabili altri sacrifici
Inevitabili le reazioni politiche alla diffusione del bollettino Ue. Secondo Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro, l'Ue non può chiedere altri sacrifici ai pensionati italiani. “Se in campagna elettorale – spiega – la Lega ha promesso di ‘abolire la Fornero’, dall’Europa giunge il messaggio contrario: bisogna nuovamente alzare l’età pensionabile. Due opposti estremismi ai quali occorre rispondere con proposte concrete e realizzabili. In primo luogo, va respinta con forza la pretesa dell’Europa di penalizzare nuovamente i pensionati allo scopo di fare cassa. I dati sui quali si basano gli avversari dello Stato Sociale sono semplicemente falsi. Il peso della spesa pensionistica sul Pil non è del 16% ma del 12%, se il calcolo viene depurato dai costi dell’assistenza e dalle tasse che i pensionati pagano ogni anno, che ammontano a 43 miliardi di euro. Non solo: concentrarsi sulla riforma Fornero e ignorare tutte quelle precedenti (Maroni, Damiano e Sacconi), non consente di valutare appieno la portata degli interventi di riforma fin qui realizzati.
La Relazione tecnica del Governo al DEF del 2015 ha precisato la portata dei risparmi: ‘Grazie alle riforme Maroni, 2004, Damiano, 2007, Sacconi, 2011, e Fornero, 2012, cumulativamente la minore incidenza della spesa in rapporto al PIL ammonta a circa 60 punti (900 miliardi di euro) dal 2004 fino al 2050. Tale effetto è da ascrivere per circa 1/3 alla riforma Fornero e per 2/3 a quelle precedenti’. Come si vede, una montagna di risorse, che corrisponde al 40% del totale del nostro debito pubblico. Chi pretende di spremere altre risorse dalle pensioni è semplicemente folle”. “L’obiettivo è di nuovo la reversibilità, la quattordicesima e il ricalcolo degli assegni di chi è andato in pensione con il sistema retributivo: tutte pretese che vanno respinte al mittente. Sia che si tratti dell’Fmi, sia che si tratti della Commissione europea”, conclude Damiano.
Maggiorazioni sociali, ecco gli importi e limiti di reddito per il 2018 [Guida Allegata*]
FONTE:PENSIONIOGGI
*La maggiorazione sociale è un particolare incremento della pensione concessa nei confronti dei soggetti che hanno compiuto 60 anni e versano in condizioni sociali disagiate.