Nel paese della bugia la verità è una malattia.
Siamo in piena campagna elettorale per il rinnovo delle RSU e ci sta che un sindacato cerchi in tutti i modi di racimolare qualche voto. Se però per farlo si prendono in giro i lavoratori e si dicono bugie e mezze verità, allora si oltrepassa un limite: il rispetto per i lavoratori. Lettera aperta del Coordinatore Regionale UILPA INAIL del Veneto Alessandro Sabino … Leggi tutto
Whistleblowing e anonimato nel pubblico impiego: la prima volta in Cassazione.
Fonte: http://fulviosarzana.nova100.ilsole24ore.com
Prima sentenza della Suprema Corte di Cassazione in tema di whistleblowing, dopo l’approvazione della recente legge 179 del 2017.
La Cassazione in sede penale, con una sentenza depositata a fine febbraio, è intervenuta sulla figura, recentemente modificata dal legislatore del whistleblower.
Il whistleblower (tradotto alla lettera, “colui che fischia”) è il lavoratore dipendente, tanto del settore pubblico quanto del settore privato, che segnala reati o irregolarità dei quali viene a conoscenza nell’ambito del rapporto di lavoro.
Il whistleblowing è stato introdotto in Italia nell’ambito del pubblico impiego, con la legge n. 190 del 2012: “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.
Precisamente l’art. 1, comma 51, legge n. 190/2012, in relazione al D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” aveva introdotto, dopo l’articolo 54 una nuova disposizione, l’articolo 54-bis, intitolato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”.
La norma è stata poi modificata con l’introduzione della legge 179 del 2017.
Quest’ultima norma è intervenuta nuovamente sull’articolo 54 bis del testo sul pubblico impiego, stabilendo che il dipendente che segnala al responsabile della prevenzione della corruzione dell’ente o al o ancora all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile le condotte illecite o di abuso di cui sia venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto di lavoro, non possa essere – per motivi collegati alla segnalazione – soggetto a sanzioni, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto a altre misure organizzative che abbiano un effetto negativo sulle condizioni di lavoro.
La stessa norma ha previsto che non possa essere rivelata l’identità del dipendente che segnala atti discriminatori e, nell’ambito del procedimento penale, la segnalazione sarà coperta nei modi e nei termini di cui all’articolo 329 del codice di procedura penale
La segnalazione e’ sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
La Cassazione, che si è occupata di un fatto avvenuto prima dell’entrata in vigore della recente riforma ha fatto però espresso riferimento anche alla nuova norma, stabilendo che l’anonimato del whistleblower è assicurato ( in maniera parziale peraltro) in ambito disciplinare, ma non in ambito penale.
Nel settore penale, anche alla luce della recentissima legge 179 del 2017, valgono le regole ordinarie sul segreto previste dall’art 329 del Codice di procedura penale, il che significa –di fatto- che l’anonimato non esista, o comunque sia solo temporaneo.
La Cassazione ha quindi avallato la tesi secondo la quale l’anonimato di chi effettua la segnalazione è previsto solo in ambito disciplinare, ed anche in questo caso occorrerà comunque che la successiva ed eventuale contestazione non si basi esclusivamente sulla segnalazione stessa.
Perchè, in quest’ultimo caso, l’identità del “soffiatore”, potrà essere rivelata quando sia assolutamente necessaria per la difesa dell’accusato.
Ne deriva però, rileva ancora il Supremo Collegio, che, in caso di utilizzo della segnalazione in ambito penale, non esista spazio per l’anonimato.
Cassazione: whistleblower e anonimato
Fonte.DPL
Con sentenza n. 9047 del 27 febbraio 2018, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha ribadito, sulla base di quanto affermato di recente dalla legge n. 179/2017, che l’anonimato per chi denuncia illeciti sul posto di lavoro viene garantito, nel processo penale, dalle regole fissate dal codice di procedura civile, nei limiti indicati dall’art. 329 cpc.
La segnalazione del lavoratore ha natura di atto di accusa e non di semplice spunto investigativo.
Mobbing: che fare? ALLEGATO*
FONTE:LEGGE PER TUTTI
*Vessazioni sul lavoro: cos’è il mobbing, come tutelarsi, come provarlo in tribunale e quando fare denuncia.
Anticipo Tfs e Tfr dipendenti pubblici, è possibile?
FONTE:LEGGE PER TUTTI
È possibile richiedere un’anticipazione del trattamento di fine rapporto o di fine servizio per i dipendenti pubblici?
Ad oggi, per i dipendenti pubblici non è prevista alcuna possibilità di richiedere un anticipo sulla liquidazione, sia che si tratti di Tfs, trattamento di fine servizio, sia di Tfr, trattamento di fine rapporto. Il Testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato [Art.26 Dpr 1032/1973.], difatti, vieta esplicitamente la possibilità di ottenere l’anticipo del Tfs, stabilendo al riguardo che non è possibile corrispondere acconti.
Per quanto riguarda, poi, il personale del pubblico impego privatizzato, destinatario di Tfr, e non di Tfs, non è ugualmente possibile richiedere alcun anticipo della liquidazione, in quanto è espressamente previsto [Art.1, Co.6 DPCM 20/12/1999.] che il Tfr è accantonato figurativamente e viene liquidato solo al momento della cessazione dal servizio. In merito alla successiva normativa che aveva previsto l’estensione ai dipendenti pubblici della possibilità, già riconosciuta ai dipendenti privati, di ottenere l’anticipazione del Tfr in determinati casi, non è ancora stato emanato il decreto ministeriale che stabilisce le modalità di concessione, di erogazione ed i requisiti.
Non molto tempo fa, poi, è stata emanata dal Giudice del lavoro di Firenze una sentenza che ha riconosciuto il diritto all’anticipazione del Tfr a due dipendenti pubblici, per poter acquistare la prima casa, motivata sulla base del fatto che l’anticipo non può essere negato per il solo fatto che la riserva di accantonamento sia prevista solo figurativamente. Questa sentenza potrebbe aprire la strada all’estensione al pubblico impiego privatizzato della disciplina relativa al Tfr già in vigore per i dipendenti privati, ma sinora non è stato stabilito nulla, a tal proposito.
L’anticipo del Tfs e del Tfr per i dipendenti pubblici, dunque, ad oggi è ancora lettera morta.
Prestito decennale Inpdap
Bisogna comunque osservare che, nonostante i dipendenti pubblici non possano richiedere un anticipo sul Tfs o sul Tfr, possono, però, per determinati eventi (tra i quali rientra anche l’acquisto della prima casa per i figli che intendono costituire un autonomo nucleo familiare), ottenere un prestito decennale dall’ex Inpdap (oggi Inps). Il prestito può essere restituito con un massimo di 120 rate mensili consecutive, ciascuna di importo non superiore al quinto dello stipendio (ossia delle retribuzioni con carattere fisso e continuativo), al netto dei contributi previdenziali e delle imposte. È consentita l’estinzione anticipata, in qualsiasi momento, con versamento del debito residuo.
Nel dettaglio, sull’importo lordo del prestito gravano:
· un tasso di interesse nominale annuo del 3,5%;
· un’aliquota per spese di amministrazione dello 0,5%;
· un premio compensativo per i rischi dell’operazione, le cui aliquote variano per fasce di età alla scadenza e per durata (tabella in ultima pagina del regolamento).
Per poter presentare la domanda, oltre all’iscrizione all’ex Inpdap (per la precisione, alla Gestione Unitaria delle prestazioni creditizie e sociali), è necessario avere un contratto a tempo indeterminato con almeno quattro anni di anzianità di servizio utile alla pensione e quattro anni di contributi (o, più precisamente, di versamento contributivo alla Gestione Unitaria).
Gli iscritti con contratto a tempo determinato di almeno tre anni possono fruire di cessioni da estinguere entro il periodo del contratto e con l’obbligo di cedere il Tfr a garanzia della restituzione del prestito.
Domanda prestito decennale Inpdap
La domanda di prestito Inpdap va presentata entro un anno dall’evento, o dalla relativa documentazione di spesa.
Alla domanda è necessario allegare la documentazione che attesta lo stato di bisogno, l’eventuale spesa (che rientri tra le motivazioni previste nell’apposito regolamento di concessione del prestito) e un certificato medico di sana e robusta costituzione fisica. Il certificato deve essere rilasciato, entro 45 giorni antecedenti la domanda all’Inps Gestione Dipendenti Pubblici, dal medico legale della Asl, o da un medico militare in attività di servizio, o da un medico incaricato dall’amministrazione del richiedente.
La domanda deve essere presentata online, attraverso i servizi web dell’Inps, per chi dispone delle credenziali per l’accesso al portale dell’istituto (Pin dispositivo, Spid di secondo livello); in particolare, gli iscritti in servizio devono presentare la domanda all’amministrazione di appartenenza, che la trasmette in via telematica all’Inps, mentre i pensionati iscritti al fondo Credito possono presentare la domanda online all’Inps attraverso il servizio dedicato o, in alternativa, tramite enti di patronato.
Abuso dei permessi della Legge 104, chi deve controllare?
Chi abusa di questo diritto rischia il licenziamento e commette reato di truffa
FONTE:LEGGIOGGI
I permessi legati alla Legge 104 possono essere utilizzati dai lavoratori per assistere un familiare disabile, ma chi controlla eventuali abusi commessi su questi permessi?
Ricordiamo che il lavoratore può beneficiare dei permessi legati alla Legge 104 per l’assistenza di un disabile, ma non necessariamente in modo continuativo durante l’intero orario di lavoro. Il dipendente può anche soddisfare per un breve spazio di tempo le proprie esigenze o bisogni, come stabilito dalla sentenza della Cassazione n. 54712 del 23 dicembre 2016, ma deve comunque esserci un collegamento diretto tra la sua assenza dal lavoro e la prestazione di assistenza.
I giudici della Suprema Corte precisano che “l’istituto del permesso mensile retribuito è, dunque, in rapporto di stretta e diretta correlazione con la finalità di tutela della salute psico-fisica della persona portatrice di handicap”.
“In tale ottica – aggiungono”, i suddetti permessi lavorativi, sono soggetti ad una duplice lettura: a) vengono concessi per consentire al lavoratore di prestare la propria assistenza con ancora maggiore “continuità”; b) vengono concessi per consentire al lavoratore, che con abnegazione dedica tutto il suo tempo al famigliare handicappato, di ritagliarsi un breve spazio di tempo per provvedere ai propri bisogni ed esigenze personali.
Per i giudici durante i giorni di permesso il dipendente ” è libero di graduare l’assistenza al parente secondo orari e modalità flessibili che tengano conto, in primis, delle esigenze dell’handicappato; il che significa che nei giorni di permesso, l’assistenza, sia pure continua, non necessariamente deve coincidere con l’orario lavorativo”.
Chi abusa di questo diritto commette un reato punibile penalmente, la truffa, e rischia anche illicenziamento disciplinare per giusta causa, perchè danneggia il datore di lavoro ma anche lo Stato.
Resta aggiornato con il nostro Speciale Legge 104
Chi effettua i controlli sui permessi legati alla Legge 104?
Chi deve controllare e accertare che il lavoratore usufruisca in maniera corretta dei permessi relativi alla Legge 104? L’accertamento sul comportamento del dipendente spetta al giudice, ma le attività di controllo possono essere effettuate da diversi soggetti:
· datore di lavoro,
· collega di lavoro,
· personale esterno ingaggiato dal datore di lavoro (investigatore),
· l’Inps.
Ricordiamo che la segnalazione effettuata alle forze dell’ordine comporta la trasmissione alla Procura per l’avvio di eventuali indagini.
Assegni familiari e di maternità 2018: importo rivalutato, la circolare Inps
FONTE: https://www.termometropolitico.it/
Assegni familiari e di maternità 2018: importo rivalutato, la circolare Inps.
L’Inps ha diramato la circolare legata agli assegni familiari e di maternità 2018, in particolar modo alla rivalutazione degli importi. La nota ha come oggetto l’assegno per il nucleo familiare e l’assegno di maternità concessi dai Comuni. E la rivalutazione per l’anno 2018 della misura degli assegni e dei requisiti economici. Quindi si riepilogano le informazioni principali sugli importi delle prestazioni sociali; nonché sui limiti di reddito validi per l’anno 2018. La rivalutazione degli importi è stata già diffusa in precedenza, con un comunicatopubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2018 da parte della Presidenza del Consiglio (Dipartimento per le politiche della famiglia). La circolare Inps sugli assegni familiari e di maternità 2018 è disponibile in pdf scaricabilee stampabile.
Assegni familiari e maternità 2018: nuova circolare Inps
Quindi, nella circolare Inps si ricorda che la variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati è risultata pari all’1,1%; come anche pubblicato di recente dalla Presidenza del Consiglio in un apposito comunicato ufficiale. L’Inps ha diffuso quindi la circolare relativa agli importi delle prestazioni oggetto della nota.
Per quanto riguarda l’assegno per il nucleo familiare, si legge quanto segue.
L’importo dell’assegno mensile per il nucleo familiare da corrispondere agli aventi diritto per l’anno 2018 è pari, nella misura intera, a 142,85 euro. Per le domande relative al medesimo anno, il valore dell’indicatore della situazione economica equivalente è pari a 8.650,11 euro. Agli assegni di competenza del 2017, per i quali siano ancora in corso i relativi procedimenti, continuano ad applicarsi i valori previsti per il medesimo anno 2017.
Infine, per ciò che concerne l’assegno di maternità, la circolare Inps recita quanto segue.
L’importo dell’assegno mensile di maternità, spettante nella misura intera, per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento avvenuti dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2018, è pari a 342,62 euro per cinque mensilità. E quindi a complessivi 1.713,10 euro. Il valore dell’indicatore della situazione economica equivalente da tenere presente per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento avvenuti dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2018 è pari a 17.141,45 euro.
Assegni familiari e di maternità: riepilogo importi 2018
Riassumendo, ecco gli importi rivalutati al 2018 per assegni familiari e di maternità riepilogati nella seguente tabella.
Tipologia assegno rif. 2018 |
Importo mensile |
Mensilità |
Importo annuo |
Valore ISEE |
Assegno nucleo familiare |
142,85 € |
13 |
1.857,05 € |
8.650,11 € |
Assegno di maternità |
342,62 € |
5 |
1.713,10 € |
17.141,45 € |
Da PensioniOggi:
Come funziona la Flessibilità in uscita con la RITA [Guida]
I lavoratori che fanno ricorso a forme di previdenza complementare possono riscuotere da quest'anno le somme con un anticipo di cinque anni sotto forma di rendita godendo di una tassazione agevolata.
Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (RITA)
Il dizionario di PensioniOggi.it
La Rendita Integrativa Temporanea Anticipata è uno degli strumenti contenuti nella Riforma previdenziale del 2017 che consente l'erogazione di un reddito in attesa di raggiungere l'età pensionabile. E' uno strumento introdotto con la legge 232/2016(finanziaria 2017) assieme all'APE agevolatoe all'ape volontarioper dare una risposta al tema della flessibilità in uscita all'indomani dell'introduzione della Legge Fornero senza gravare sulle casse dello Stato.
A differenza dell'Apevolontario, che consiste in un prestito bancario da restituire con un prelievo ventennale sulla pensione e dall'Ape sociale, una indennità di natura assistenziale erogata dallo Stato destinata però solo ad alcune categorie di lavoratori in condizione di difficoltà, la RITA fa ricorso al capitale accumulato dal lavoratore nei fondi di previdenza complementaredurante la sua vita attiva. Questo tesoretto composto dal TFR, dal contributo datoriale e dal contributo aggiuntivo del lavoratore, in sostanza, può essere riscosso in anticipo (sia parzialmente che totalmente a seconda delle esigenze dell'iscritto) sotto forma di rendita mensile in attesa che il lavoratore maturi il diritto alla pensione pubblica obbligatoria.
I rischi per il lavoratore
Si tratta di una forma di anticipo che seppur appetibile va valutata con attenzione perchè mette a rischio la pensione di scorta. Il principio è semplice: se si riscuote in anticipo il capitale accumulato nel fondo integrativo si riduce proporzionalmente la rendita sulla quale il lavoratore può contare al momento del raggiungimento della pensione pubblica che spesso, per effetto delle riforme degli ultimi anni, è già stata duramente messa alla prova. Ed è anche controversa perchè contrasta con le finalità della previdenza integrativa che è volta, per l'appunto ad integrare la pensione pubblica e non a sostituirla colmando un gap tra l'esigenza di andare in pensione e il progressivo innazalmento dell'età pensionabile prevista nel regime pubblico obbligatorio.
Le modifiche dal 1° gennaio 2018
La RITA doveva partire in origine dal 1° maggio 2017 e doveva durare sino al 31 dicembre 2018 assieme al prestito pensionisticoe all'Ape sociale ma sfortunatamente non è mai riuscita a decollare. A segnarne le sorti è stato l'aver subordinato la concessione della rendita alla certificazione da parte dell'Inps dei requisiti per l'Ape volontario. La mancata attuazione di quest'ultima misura ha sostanzialmente decretato l'impossibilità di accedere anche alla RITA, una sorta di collo di bottiglia. La legge di bilancio per il 2018 ha, pertanto, provveduto ad un ampio rinnovamento stabilizzando lo strumento anche oltre il 2018, eliminando le strane restrizioni che erano state imposte dalla legge 232/2016ed inglobando, peraltro, le modifiche apportate dalla legge sulla concorrenza che nel corso del 2017 aveva esteso la rendita temporanea anche ai disoccupati da oltre 24 mesi.
Più specificamente dal 1° gennaio 2018 alla RITA possono accedere due tipologie di soggetti:
a) lavoratori che cessino l’attività lavorativa e maturino l’età anagrafica per la pensione di vecchiaianel regime obbligatorio di appartenenza entro i 5 anni successivi, nonché abbiano maturato alla data di presentazione della domanda di accesso alla RITA un requisito contributivo complessivo di almeno20 anni nei regimi obbligatori di appartenenza;
b) lavoratori che risultino inoccupati per un periodo di tempo superiore a 24 mesi e che maturino l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza entro i 10 anni successivi.
In entrambi i casi è necessario che l'interessato possa vantare almeno cinque anni di iscrizione alle forme di previdenza complementari. Si rammenta che per accedere alla Rita è necessario aver risolto il rapporto di lavoro.
Ad esempio un lavoratore che abbia contribuito a forme di previdenza complementare per quindici anni ed abbia raggiunto 62 anni e 35 anni di contributi nel regime obbligatorio nel 2018 con maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia a 67 anni nel 2023 (tralasciamo per semplicità gli effetti della speranza di vita) potrebbe decidere di cessare il rapporto di lavoro e farsi pagare la rendita dal fondo complementare sino alla pensione di vecchiaia.
Regime fiscale vantaggioso
L'operazione viene, inoltre, incentivata fiscalmente in modo simile alla tassazione delle rendite erogate dalla previdenza complementare, prevedendo che la parte imponibile della RITA – sia che costituisca l’intero importo della prestazione complessivamente maturata presso il fondo pensione che una quota parte dello stesso – sia assoggettata a tassazione con la ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta dello 0,3% per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali sino ad abbassare l'aliquota sostitutiva al 9%. Ai fini dell’applicazione dell’aliquota ridotta, saranno computati fino a un massimo di 15 anche gli anni di iscrizione alla previdenza complementare anteriori al 1° gennaio 2007. Qui è possibile calcolare l'importo della rendita pensionistica integrativa.
Viene riconosciuta, inoltre, la facoltà di non avvalersi della predetta tassazione sostitutiva, mediante evidenziazione di tale scelta nella dichiarazione dei redditi, nel qual caso la RITA è assoggettata a tassazione ordinaria.
Alla RITA possono accedere i lavoratori del settore privato nonché i lavoratori del settore pubblico sempreché abbiano aderito a fondi pensione o piani individuali pensionistici. Da tale possibilità resteranno, invece, espressamente esclusi gli aderenti ai fondi preesistenti (istituiti prima del 1993) in regime di prestazione definita, in quanto per tali fondi la previsione di un’anticipazione della prestazione avrebbe potuto determinare effetti negativi sull’equilibrio attuariale delle rispettive gestioni. Possono chiedere la Rita sia gli iscritti che hanno contribuito presso fondi negoziali chiusi, sia gli iscritti a fondi negoziali aperti sia gli iscritti ai cd. Pip, i piani individuali pensionistici.
Il rapporto con gli Anticipi Pensionistici
Anche a seguito della ristrutturazione dello strumento dal 1° gennaio 2018 la Rendita Integrativa Anticipata è cumulabile sia con l'ape volontario sia con l'ape sociale consentendo, pertanto, al lavoratore di mixare i due strumenti. Si pensi ad esempio ad un lavoratore disoccupato. Questi potrebbe decidere di chiedere un prestito di entità minore tramite l'APE volontario invece che una percentuale superiore, e chiedere contestualmente l'erogazione anticipata di una parte o l'intera pensione complementare a cui avrebbe diritto attraverso la RITA.