Con delibera nazionale del 14 dicembre del Consiglio Nazionale UILPA, al fine di ottimizzare le risorse economiche e le già ridotte liberalità sindacali, si è deciso di promuovere la fusione per incorporazione delle strutture UILPA territoriali di Padova e Rovigo accorpandola alla struttura di UILPA Venezia.
Il Congresso del 7 Marzo p.v. sarà anche l’occasione per discutere delle migliori politiche sindacali da effettuare sui vari territori.
Noi non abbiamo paura del cambiamento, preferiamo governarlo avendo a cuore il bene dei servizi e la dignità dei laboratori.
Comunicato - UILPA Verona verso il V Congresso Territoriale “Ricominciamo” la solidarietà come valore - che si terrà Venerdì 23 febbraio 2018 alle ore 14.30 presso la Sala Lucchi Piazzale Olimpia, 3 - 37138 Verona
Corso su novità per pa in Legge bilancio
A Villa Umbra, tra temi quelli legati ad assunzione personale
ANSA - Le novità dettate dalla Legge di bilancio 2018 in materia di personale delle pubbliche amministrazioni sono state al centro del corso "Il regime del pubblico impiego 2018 dopo la Legge di bilancio" organizzato dalla Scuola Umbra di Amministrazione Pubblica. Tra i temi approfonditi le assunzioni di personale, comprese quelle a tempo determinato, le stabilizzazioni, la contrattazione, l'incentivazione delle funzioni tecniche, gli incarichi di collaborazione, la validità delle graduatorie a tempo indeterminato. Temi analizzati, anche alla luce delle indicazioni della "Ffpp" e delle Sezioni della Corte dei Conti, da Arturo Bianco, esperto in organizzazione e gestione del personale di Regione ed Enti locali.
Nel corso della giornata formativa a Villa Umbra con oltre 90 partecipanti, particolare attenzione è stata posta alla stabilizzazione del precariato.
Mobbing militare e pubblico impiego: le regole per dimostrarlo
Breve commento alla sentenza del Tar Milano sez. 3 n. 310 del 2 febbraio 2018
STUDIO CATALDI - Il mobbingnon ha una definizione normativa, ecco perché sono stati elaborati dalla giurisprudenza alcuni principi che riguardano il rapporto di pubblico impiego, proprio per delinearne gli elementi costitutivi.
Argomento importante e delicato, si sa, che sempre più di frequente occupa le aule giudiziarie.
E' allora il caso di prendere confidenza con il ragionamento dei Giudici sul mobbing: lo scopo è sfruttare le indicazioni indirettamente fornite da loro.
A questo proposito, anche a febbraio 2018 abbiamo un'interessante sentenza da analizzare su questo tema: la n. 310 del 02 febbraio, Tar Milano sez. 3.
Andiamo allora subito a vedere, uno per uno, in base ai principi emersi anche dalla recente sentenza, i criteri utili per riconoscere il mobbinged arrivare a dire e dimostrare che effettivamente questo esiste in una determinata vicenda.
Mobbing, le regole, una per una:
Come riconoscere il mobbingverticale
Per riconoscere il mobbingc.d. verticale,deve esserci una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, che esprimono un disegno di persecuzione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica.
Come dimostrare la condotta lesiva
Per dimostrare la condotta lesiva da mobbing, va accertata:
a)la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico o prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio;
b)l'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;
c)il nesso tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore;
d)l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio.
Che peso ha il singolo atto illegittimo
Un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante.
Come comportarsi in giudizio
Sul piano processuale, la condotta che dà luogo a mobbingdeve essere provata dal lavoratore, che deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il giudice, eventualmente, anche attraverso l'esercizio dei suoi poteri ufficiosi, possa verificare la sussistenza, nei suoi confronti, di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione.
Grava sul lavoratore l'onere di provare la condotta illecita e il nesso causale tra questa e il danno patito, mentre incombe sul datore di lavoro il solo onere di provare l'assenza di una colpa a sé riferibile.
Mobbing, quando agire
Non sempre è facile dimostrare il mobbing.
In generale, la cosa da sapere è questa: la causa di mobbingva intentata solo se ricorrono tutti i criteri sopra indicati.
In sintesi, se ci sono dubbi sulla capacità effettiva di dimostrare quanto spiegato, è preferibile non muoversi in sede di contenzioso.
Viceversa, bisogna assolutamente agire nel caso in cui si disponga dell'insieme degli elementi elencati in questa mini guida ed estratti direttamente dalla sentenza commentata.
Differenza tra mobbing e straining
Fonte:legge per tutti
Le vessazioni nei confronti del dipendente e l’obbligo di risarcimento del datore di lavoro per il danno alla salute trovano nel mobbing e nello straining una giusta punizione.
Sei stato oggetto di vessazioni da parte del tuo datore di lavoro che hanno mortificato la tua dignità e professionalità. Ora vorresti agire per mobbing ed ottenere il risarcimento del danno ma, nel ricercare le prove delle persecuzioni subite da fornire al giudice, ne hai trovato solo alcune. Di alcuni episodi non è rimasta traccia. Cosa fai? La Cassazione ha spiegato ieri [Cass. sent. n. 3977/18 del 19.02.2018] che, in questi casi, non potendosi avere una condanna per mobbing, si può invece richiedere quella per straining. Tale figura, elaborata dalla giurisprudenza, consente di considerare il comportamento tenuto dal datore o dai colleghi come un unico disegno doloso, rivolto all’emarginazione del lavoratore. Risultato: il risarcimento scatterà ugualmente, anche se in forma attenuata, ma non certo nella stessa misura che si otterrebbe agendo contro le semplici condotte singolarmente considerate. La sentenza consente anche di comprendere con precisione qual è la differenza tra mobbing e straining. Eccola qui spiegata.
Cos’è il mobbing
Quando si parla di mobbing ci si riferisce a tutte quelle condotte vessatorie, reiterate e durature, individuali o collettive, rivolte nei confronti di un lavoratore ad opera di superiori gerarchici come il datore o il capo dell’ufficio (mobbing verticale) e/o colleghi (mobbing orizzontale), oppure anche da parte di sottoposti nei confronti di un superiore (mobbing ascendente). In alcuni casi si tratta di una precisa strategia finalizzata a estromettere il lavoratore dall’azienda (cosiddetto bossing). Lo scopo del mobbing deve essere quello di umiliare ed emarginare il dipendente, svilirne le competenze e professionalità, non necessariamente al fine di costringerlo, di fatto, a rassegnare le dimissioni (anche se, in molti casi, chi fa mobbing intende sbarazzarsi del dipendente).
Caratteristica fondamentale del mobbing è la sistematica ripetizione nel tempo dei comportamenti posti ai danni del lavoratore. Si deve avere, quindi, una pluralità di atti (anche legittimi se considerati nella loro individualità). In secondo luogo questi comportamenti devono essere sorretti tutti dal medesimo intento persecutorio diretto a vessare e mortificare il lavoratore. In ultimo, il lavoratore deve dimostrare che, da tale situazione, ha subìto un danno alla integrità psicofisica.
Il mobbing non può realizzarsi attraverso una condotta istantanea e singola; tuttavia un periodo di sei mesi è stato ritenuto sufficiente per integrare l’idoneità lesiva della condotta nel tempo. Questo significa che lo specifico intento che sorregge il mobbing e la sua protrazione nel tempo lo distinguono da singoli atti illegittimi (quale la mera dequalificazione o il rifiuto di concedere permessi).
Esempio tipico di mobbing sono tutte quelle situazioni di emarginazione, demansionamento, inattività forzata, denigrazione, dequalificazione, discriminazione professionale, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico. Come abbiamo detto, però, il mobbing si potrebbe avere anche in presenza di atti formalmente legittimi quali la negazione di ferie e permessi, privazione dei collaboratori, solo in apparenza giustificati dal potere-dovere di controllo del dirigente, ma in realtà finalizzati alla persecuzione, denigrazione e all’isolamento professionale della vittima di mobbing. È anche mobbing adottare continue sanzioni disciplinare in modo pretestuoso e strumentale, amplificando l’importanza di fatti di modesto rilievo.
Il datore di lavoro risponde anche per il mobbing posto, a sua insaputa, dai colleghi del lavoratore. Difatti l’obbligo posto a carico dell’imprenditore di tutelare l’integrità psicofisica e la personalità morale del dipendente gli impone non solo di astenersi da ogni condotta che sia finalizzata a ledere detti beni ma anche di impedire che nell’ambiente di lavoro si possano verificare situazioni idonee a mettere in pericolo la salute e la dignità della persona.
Cos’è lo straining
Provare l’esistenza di mobbing non è cosa facile. Non è semplice dimostrare l’unico intento persecutorio che ha determinato la serie continua di atti persecutori. A volte manca proprio l’elemento della continuità dei comportamenti. Al dipendente non resterebbe che chiedere il risarcimento del dannoper le singole condotte, se illecite. Proprio per questo la giurisprudenza ha elaborato la figura dello straining che è una sorta di mobbing attenuato che consente di ottenere anch’esso il risarcimento del danno. Secondo la Cassazione, la differenza tra mobbing e straining sta nel fatto che quest’ultimo è semplicemente «una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie». In entrambi i casi vi sono comunque azioni produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore. E il codice civile è chiaro nell’imporre, sul datore, l’obbligo di astenersi dal compiere ogni condotta che leda il diritto alla salute, alla dignità umana e tutti i diritti inviolabili della persona, nonché «di impedire che nell’ambiente di lavoro si possano verificare situazioni idonee a mettere in pericolo» tali diritti della persona. E ogniqualvolta, quindi, l’evento si ricollega causalmente a un comportamento del datore sussiste la piena responsabilità di quest’ultimo.
Sintetizzando, la differenza tra mobbing e straining è solo quantitativa: nel senso che quest’ultimo può scattare quando le vessazioni sono più sporadiche, ma comunque sorrette dall’intento di mortificare ed emarginare il dipendente con comportamenti come, ad esempio, l’assegnazione di mansioni non compatibili con lo stato di salute del lavoratore, la riduzione in una condizione umiliante di totale inoperosità ecc.
Come sapere chi ha mandato la visita fiscale
Fonte:legge per tutti
È possibile sapere con certezza chi ha inviato la visita fiscale?
Visita fiscalesin dal primo giorno di malattia, durante i festivi, ripetuta più volte…Talvolta si ha l’impressione che l’invio del medico fiscale a casa sia una vera e propria persecuzione, anche se il lavoratore in malattia deve essere disponibile durante le fasce orarie di reperibilità 7 giorni su 7, domeniche e festivi compresi, e può aspettarsi che la visita sia ripetuta più volte. Secondo le nuove previsioni della cosiddetta riforma della visita fiscale [DPCM n. 206/2017 del 17.10.2017, pubblicato in Gazz. Uff. n. 302 del 29.12.2017.], che ha aumentato il numero dei controlli a campione effettuati dall’Inps, ci si può addirittura aspettare la visita medica più volte nell’arco della stessa giornata. Ma esiste un modo per sapere con sicurezza chi ha mandato la visita fiscale?
Indice
Quali dati della visita fiscale risultano nel sito dell’Inps
Sfortunatamente non esiste alcun modo, per il lavoratore, di sapere con assoluta certezza se la visita fiscale è stata mandata dall’azienda o dall’Inps: non è possibile risalire all’informazione né attraverso il protocollo del certificato medico telematico del medico curante, effettuando una ricerca all’interno del sito dell’Inps, né attraverso il protocollo del verbale del medico fiscale.
All’interno del servizio Inps per il cittadino “consultazione certificati di malattia”, difatti, è possibile soltanto sapere, oltre alla prognosi, se la visita alla quale si riferisce il certificato è ambulatoriale o meno, mentre il servizio non riporta se la visita è stata richiesta dall’Inps o dal datore di lavoro.
L’unico modo per sapere chi ha commissionato la visita è avere accesso al servizio web “richiesta visite mediche di controllo”, perché attraverso questo servizio online è possibile anche consultare lo stato delle richieste inviate nonché l’esito degli accertamenti medico legali. Ovviamente, questo è un servizio riservato ai datori di lavoro e ai consulenti del lavoro che hanno eventualmente l’azienda in delega, dunque per il lavoratore, e per qualsiasi esterno che non sia l’azienda in questione o il consulente che la gestisce, non è possibile accedervi.
Situazioni di allarme per i controlli a campione
Se il periodo di malattia è a cavallo di ponti e festività, è probabile che ad inviare l’accertamento sanitario sia stato l’Inps stesso, se chi si mette in malattia è un lavoratore dipendente del settore privato; l’istituto, difatti, a seguito dell’istituzione del Polo unico per le visite fiscali, dispone di un cervellone, cioè di un complesso sistema di banche dati, che individua determinate situazione come “a rischio”, in base a criteri specifici che variano da una regione all’altra.
Sono considerate a rischio, ad esempio, le assenze per malattia contigue alle festività o le situazioni in cui, nell’azienda, una determinata percentuale di lavoratori si trovi contemporaneamente in malattia.
Queste situazioni a rischio vedranno un notevole aumento dei controlli sanitari d’ufficio disposti dall’Inps, a causa di quanto disposto dalla riforma della visita fiscale.
Visita fiscale dal primo giorno di assenza
Per i dipendenti di una pubblica amministrazione, nel caso in cui l’assenza per malattia sia contigua a giorni liberi, ponti e festivi, la visita arriva sin dal primo giorno di assenza, perché in queste ipotesi il dirigente ha l’obbligo dell’invio immediato dell’accertamento sanitario.
Più visite durante la stessa malattia
Non dimentichiamo, poi, che a seguito della riforma è possibile anche l’invio, sia da parte del datore di lavoro che dell’Inps, di più visite fiscali nell’arco dello stesso periodo di malattia, e addirittura nella stessa giornata. Certamente una simile situazione avverrà di rado: per i datori di lavoro, i costi dell’invio di ripetute visite mediche sono elevate, mentre il cervellone dell’Inps invierà visite plurime solo nelle situazioni considerate più gravi e a rischio, ad esempio nel caso di malattia ripetuta più volte nell’anno a ridosso di ponti, fine settimana e giorni liberi.
Fasce orarie di reperibilità
Nonostante l’istituzione del polo unico per le visite fiscali, le fasce orarie di reperibilità non sono ancora cambiate e non sono state unificate.
I dipendenti del settore privato devono dunque restare a casa, a disposizione del medico fiscale, dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19. I dipendenti pubblici, invece, dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18.
Assistenza disabili: i permessi della 104 riducono le ferie?
· ALLEGATO*
Fonte:legge per tutti
Cassazione e Inps concordi: i giorni dedicati a curare una persona con handicap non possono essere decurtati da quelli destinati al riposo.
Da PensioniOggi:
Pensioni, Lavoro Dipendente e Partita Iva: Ecco le regole
Il lavoratore dipendente a part-time che esercita un'attività con partita iva può evitare l'iscrizione alla gestione commercianti se manca il requisito della prevalenza.
Spesso capita che un lavoratore dipendente voglia aprire una partita iva ed esercitare le due attività contemporaneamente. Si pensi ad esempio ad un lavoratore dipendente che voglia aprire un bar, una pizzeria, o un ristorante magari per dare una opportunità di lavoro alla moglie e o al figlio disoccupato.
In tali circostanze una delle principali questioni riguarda il corretto inquadramento previdenziale della seconda attività svolta e, quindi, l'assolvimento dell'obbligo assicurativo IVS presso la gestione previdenziale dei lavoratori commercianti o degli artigiani. Si tratta di una questione non secondaria perchè in queste gestioni si paga un contributo annuo su un minimale reddituale che prescinde dal reddito effettivamente prodotto; dunque anche un'attività autonoma che frutta poche migliaia di euro comporta il pagamento di un contributo annuo che ormai si sta avvicinando a 3.800 euro. In altri termini la semplice iscrizione determina il pagamento del contributo. Risulta pertanto determinante comprendere se il lavoratore dipendente che apre una impresa possa evitare l'iscrizione risparmiando così migliaia di euro l'anno.
Come noto l'articolo 1. co 203 della legge 662/1996 dispone l'obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attivita' commerciali per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilita' dell'impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non e' richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonche' per i soci di societa' a responsabilita' limitata; c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualita' e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli. Una simile disposizione è prevista anche con riferimento all'imprenditore artigiano ex articolo 2, ella legge 443/1985.
Pertanto una delle caratteristiche chiave che determina o meno l'assoggettamento all'assicurazione IVS dei commercianti e degli artigiani riguarda proprio la necessità che l'attività lavorativa autonoma sia prestata con carattere di abitualità e prevalenza rispetto ad altre attività di lavoro dipendente, elementi che vengono presunti dall'Inps sulla base delle informazioni a disposizione da parte dell'Istituto al momento della comunicazione dell'avvio dell'attività economica. Così, ad esempio, un lavoratore dipendente full time è, di regola, esonerato dall'iscrizione in quanto in questo caso l'Inps presume la prevalenza del lavoro dipendente rispetto a quello autonomo.
Il lavoro part-time
Discorso più complesso per quanto riguarda un rapporto lavoro part-time. Nel merito l'Inps non esclude la sovrapposizione di contribuzione nelle Gestioni Autonome a quella in altra assicurazione se questa deriva da rapporti a tempo parziale, quando questi non superino la metà dell'ordinario orario di lavoro contrattuale prevalente (convenzionalmente inteso in 40 ore settimanali). Nel caso di contemporaneo svolgimento di attività autonoma e dipendente, dunque, se quest'ultima interessa un contratto part-time non superiore a 20 ore settimanali l'Inps suppone sempre la prevalenza del lavoro autonomo sul lavoro dipendente. La prevalenza fa riferimento non già al ricavo, o ancor meglio all'utile, che rinviene dall'attività, ma alla quantità di tempo di lavoro dedicato.
Nell'iscrivibilità o meno alle predette gestioni laredditività dell'attività assume, invece, un carattere del tutto sussidiario rispetto all'elemento temporale in quanto, secondo l'Inps, la redditività delle imprese è legata a molti fattori e non ne prova una scarsa consistenza in termini di apporto lavorativo. Dunque, ad esempio, un soggetto con un contratto part-time di 20 ore settimanali viene iscritto alla gestione commercianti o artigiani anche se il reddito generato è inferiore a quello ottenuto in qualità di lavoratore dipendente. Tale presunzione può essere superata dal diretto interessato solo tramite prove concrete da cui, ad esempio, si possa desumere che il tempo di lavoro dedicato all'attività autonoma sia inferiore a quello dedicato all'attività di lavoro dipendente (part-time).
Lavoratore dipendente che esercita un'attività professionale
Se l'attività di lavoro non è prestata in forma di impresa occorre, invece, iscriversi presso la Gestione Separatadell'Inps. L'iscrizione è sempre obbligatoria ove l'attività sia svolta con il requisito di abitualità mentre, se occasionale, l'obbligo di assicurazione sorge solo se il reddito annuo derivante dall'attività risulti superiore a 5mila euro annui. Nella Gestione Separata, però, l'onere contributivo viene calcolato solo sulreddito conseguito e non sul minimale come previsto nelle gestioni dei lavoratori commercianti ed artigiani. Dunque in caso di attività economiche che producano redditi esigui il contributo IVS è comunque ridotto. Nel caso poi di lavoratori dipendenti l'aliquota contributiva è ridotta al 24% rispetto al 25,72% che pagano i soggetti non assicurati presso altre gestioni previdenziali.
Pensione di Inabilità, Come si determina il requisito medico-legale
La Corte di Cassazione rimarca che ai fini del giudizio dell'inabilità assoluta al lavoro rileva la capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini del singolo assicurato.
La pensione di inabilitàprevidenziale deve essere concessa anche ove il richiedente residui di capacità lavorative che risultino al di fuori delle sue attitudini. Lo hanno indicato i Giudici della Corte di Cassazione nell'Ordinanza numero 2975 del 7 Febbraio 2018 in cui i giudici hanno accolto la tesi di un invalido che si era visto più volte rigettare la domanda di pensione di inabilitàdall'Inps.
La questione riguardava un lavoratore sardo affetto da gravi patologie (linfoma non hodgkin a localizzazione dorso-lombare assistito da una grave cardiopatia) che non gli consentivano di proseguire l'attività lavorativa sino a quel momento svolta dall'assicurato, la conduzione di macchine operatrici nel movimento dei materiali. Il lavoratore aveva chiesto l'accertamento al Tribunale di Sassari e poi alla Corte d'Appello di Cagliari del diritto alla fruizione della pensione di inabilità ordinaria (ex art. 2 della legge 222/1984) a seguito del diniego da parte dell'Inps.
Sia il Tribunale che il giudice d'Appello avevano riconosciuto il diritto all'attribuzione della prestazione previdenziale ma contro la decisione l'Inps aveva proposto ricorso per Cassazione richiedendo una ulteriore valutazione della questione. L'Inps, in particolare, contestava le conclusioni delle Corti di Merito che non avevano valutato la residua capacità lavorativa dell'assicurato in ulteriori attività diverse da quelle svolte sino a quel momento. Secondo l'Istituto non era, infatti, soddisfatto il requisito sanitario dell'inabilità a qualsiasi attività lavorativa. Le Corti avevano ritenuto, infatti, sufficiente il giudizio del consulente tecnico d'ufficio in ordine ai ravvisati rischi del verificarsi di una recidiva dello stato di salute dell'assicurato senza che fosse condotta una ulteriore valutazione della impossibilità assoluta e permanente di svolgere qualsiasi attività lavorativa in attività diverse da quelle prestate sino a quel momento.
La tesi della Cassazione
Secondo la Corte di Cassazione il motivo del ricorso è, tuttavia, infondato e la prestazione di invalidità deve essere conseguentemente riconosciuta all'assicurato. In particolare i giudici spiegano che il diritto alla pensione di inabilità, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 222 del 1984, sorge "qualora l'assicurato si trovi, a cagione della sua invalidità, nella impossibilità assoluta e permanente di svolgere qualsiasi attività lavorativa confacente alle sue attitudini che sia non usurante, non dequalificante, e remunerativa; la sussistenza o meno di tale situazione di impossibilità va valutata in concreto, avendo riguardo al possibile impiego delle energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto". Nell'effettuare tale valutazione occorre valutare anche la proficuità dell'attività lavorativa che residua in capo all'assicurato.
In particolare il lavoro che non consente il conseguimento della prestazione previdenziale è solo quello che, espletato in attività confacenti alle attitudini dell'assicurato che residuino in esito alla malattia e non dequalificanti, abbia il requisito della remuneratività, e sia quindi idoneo ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa". In sostanza, precisano i giudici, la pensione di inabilità può essere negata solo ove al lavoratore residui una capacità lavorativa confacente alle sue attuditini e, peraltro, a condizione che sia in grado di garantirgli una sufficiente remuneratività. A tal fine la Corte ricorda la Sentenza numero 1026/2001 della Sezione Lavoro che, facendo scuola in materia, ha riconosciuto il diritto alla pensione di inabilità in favore un carpentiere, affetto da neoplasia con prognosi infausta, negando la rilevanza alle buone condizioni generali e alla possibilità di svolgimento di attività non gravose, come quelle di custodia o di portineria.
Nel caso del lavoratore sardo la Cassazione osserva come la Corte d'Appello abbia riconosciuto l'assoluta e permanente impossibilità dell'assicurato a svolgere qualsiasi attività lavorativa confacente alle sue attitudini posto che le indicate gravi malattie ponevano a rischio la vita e non gli consentivano l'espletamento di alcuna attività lavorativa, né tanto meno quella sua abituale di conduttore di macchine operatrici, attività indubbiamente stressante che sollecitava la sede in cui era posto il tumore.
Pensioni, Niente Ape volontario per gli assegni sotto i 725 euro al mese
La presenza del vincolo di un importo soglia di 1,4 volte il il minimo Inps taglia fuori dall'operazione anticipo gran parte dei lavoratori che hanno maturato assegni al di sotto dei 750-725 euro al mese.
La pubblicazione la scorsa settimana del simulatore dell'Inps sull'anticipo pensionistico volontario e della relativa circolare attuativa consente di fissare una volta per tutte le soglie minime degli assegni che danno la possibilità di chiedere l'anticipo di mercato. Si tratta di un punto che era stato più volte trattato su PensioniOggi e che, di fatto, taglia fuori dall'operazione i lavoratori con assegni particolarmente bassi. Tra le condizioni richieste per ottenere il prestito pensionistico spicca, infatti, la presenza di un importo soglia minimo: l'importo della pensione mensile, al netto della rata di ammortamento per il rimborso del prestito richiesto, dovrà risultare pari o superiore a 1,4 volte il trattamento minimo dell’assicurazione generale obbligatoria (cioè 710,3 euro al mese per l'anno 2018).
Dato che questo valore deve essere al netto della rata di restituzione, il cui importo può toccare diverse centinaia di euro al mese a seconda dell'entità e della durata dell'anticipo richiesto, l'operazione potrà essere attivata senza problemi solo dalle platee dei lavoratori che hanno maturato una pensione lorda (al momento della domanda di APE) superiore ad un determinato valore mensile, mentre le altre classi dovranno necessariamente ridurre alternativamente la durata o l'importo del prestito. Sino alla scorsa settimana le modalità di calcolo dell'importo soglia erano dubbie in quanto non era chiaro se esso dovesse essere determinato partendo dall'importo lordo o netto della pensione e si dovesse, pertanto, ridurre la stessa rispettivamente del solo importo lordo della rata di ammortamento o di quello netto che tiene conto anche della detrazione fiscale riconosciuta dallo Stato. Le istruzioni attuative diffuse dall'Inps sposano la prima ipotesi che è, peraltro, leggermente più favorevole per il pensionato.
Così in sostanza gli assegni lordi superiori a 950 euro al mese non avranno alcun problema nel rispetto del predetto importo soglia in quanto qualsiasi combinazione di durata e di entità del prestito richiesto non determinerà una pensione inferiore a 710 euro al mese. Gli assegni compresi tra i 710 e i 950 euro lordi mensili dovranno, invece, trovare la giusta combinazione tra durata e importo dell'anticipo richiesto per rispettare il suddetto vincolo. Per queste classi di assegno, infatti, la rata di ammortamento del prestito può far scendere il reddito al di sotto dell'asticella minima di 710 euro mensili determinando l'impossibilità di ottenere il prestito pensionistico. Naturalmente al crescere dell'assegno maggiori saranno le combinazioni disponibili.
Giovanni, ad esempio, è un lavoratore autonomo che ha maturato 63 anni e 25 anni di contributi ed una pensione lorda di 800 euro mensili (circa 740 euro netti al mese) alla data della richiesta dell'APE. Avrebbe intenzione di chiedere un anticipo di 36 mesi pari al 75% della pensione netta, cioè circa 550 euro mensili, il massimo ottenibile sulla carta. Per far ciò dovrebbe pagare una rata di ammortamento pari a 153 euro mensili facendo scendere a 647 euro l'importo lordo della pensione al netto della rata di ammortamento, inferiore al minimo di 710 euro. Giovanni dovrà quindi mixare entità dell'anticipo e durata dello stesso per rispettare il predetto importo soglia. In particolare potrà: 1) ridurre l'importo richiesto dai 550 euro a circa 300 euro al mese lasciando inalterata la durata dell'anticipo a 36 mesi; 2) ridurre la durata del prestito a 21 mesi lasciando inalterata l'entità dell'anticipo richiesto (550 euro) posticipando quindi il momento della decorrenza dell'anticipo; 3) incrementare la rata a 630 euro al mese riducendo il prestito a 19 mesi.
Valeria, invece, è una lavoratrice che ha sempre svolto prestazioni saltuarie e discontinue raggiungendo un'età di 63 anni e 20 anni di contributi, il minimo per accedere all'operazione. Data la forte discontinuità della sua carriera lavorativa Valeria ha maturato, al momento della richiesta, una prestazione pensionistica di soli 700 euro lordi mensili e, pertanto, è tagliata fuori dall'operazione anticipo tout court. Infatti qualunque sia l'importo di APE richiesto la pensione, al netto della rata di ammortamento del prestito, risulterà sempre inferiore al livello minimo di 710 euro mensili. Valeria pertanto non ha chance alcuna di ottenere l'APE.
La tavola sottostante mostra il massimo anticipo conseguibile in funzione dell'importo lordo dell'assegno. Come si nota solo gli assegni superiori a 950 euro lordi mensili guadagnano il pieno accesso all'Ape di mercato con possibilità di chiedere l'intera cifra massima per 43 mesi; le classi comprese tra i 725 e i 950 euro dovranno invece ridurre la durata ad un livello inferiore a 43 mesi. Ad esempio un lavoratore con 750 euro lordi di pensione potrà chiedere sino a 630 euro al mese per un massimo di 9 mesi.