05 Febbraio 2018
Salute e Sicurezza sul Lavoro
nella home del sito https://veneto.uilpa.it/ il link alla pagina della documentazione legislazione e quesiti.
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Pa, età media lavoratori statali supera i 50 anni
· FONTE: SOLE 24 ORE
- L'età media dei lavoratori della pubblica amministrazione supera per la prima volta nel 2016 i 50 anni di età fissandosi a 50,34 anni. Nel 2015 l'età media era di
49,88 anni. Lo si legge nelle tabelle del Conto annuale appena pubblicate dalla Ragionerai dello Stato dalle quali emerge che nel 2006, dieci anni prima, l'età media dei travet era di 46,74 anni, quasi quattro in meno. L’età media nel 2016 era alta soprattutto nei ministeri (54,46 anni) e nella carriera prefettizia (54,54). L’età media più bassa è nelle Forze armate con 38,10 anni di media.
Cala personale stabile, aumentano precari
Sempre dalle tabelle della Ragioneria si evince che nel 2016 i lavoratori della pubblica amministrazione sono diminuiti nel complesso di circa 10mila unità. Ma mentre i lavoratori dipendenti sono diminuiti di 30mila unità (da 3,054 milioni a 3,024 milioni) i lavoratori precari sono cresciuti di oltre 20mila unità (da 203.096 nel 2015 a 223.406 nel 2016). Rispetto al 2010, comunque, il numero dei precari si è ridotto, dato che in quell'anno erano 250.266 mentre nel 2006 ne risultavano addirittura 334.326 (oltre 248.000 dei quali nella scuola).
Costo personale sale a 159,6 miliardi
Il personale complessivo della pubblica amministrazione nel 2016 è diminuito leggermente (-0,29%) a quota 3.247.764 lavoratori, ma il costo per lo Stato è
comunque aumentato anche se in maniera molto lieve. Secondo il Conto annuale pubblicato dalla Ragioneria dello Stato, nell'anno il costo complessivo del personale (stipendi, contributi) dipendente ed estraneo all'amministrazione è stato di 159,6 miliardi con una crescita dello 0,079% (126 milioni).
P.A: più precari, età travet supera i 50
Dati 2016 Ragioneria dello Stato, in calo dipendenti stabili
ANSA - Nel 2016 i lavoratori della pubblica amministrazione sono diminuiti nel complesso di circa 10.000 unità. Ma mentre i lavoratori dipendenti sono diminuiti di 30.000 unità (da 3,054 milioni a 3,024 milioni) i lavoratori precari sono cresciuti di oltre 20.000 unità (da 203.096 nel 2015 a 223.406 nel 2016). Lo si legge nelle tabelle del Conto annuale della Ragioneria dello Stato pubblicato oggi. Rispetto al 2010 comunque il numero dei precari si è ridotto dato che in quell'anno erano 250.266 mentre nel 2006 ne risultavano addirittura 334.326 (oltre 248.000 dei quali nella scuola).
Dal resoconto della ragioneria emerge anche che l'età media dei dipendenti della pubblica amministrazione supera per la prima volta nel 2016 i 50 anni di età fissandosi a 50,34 anni.
Nel 2015 l'età media era di 49,88 anni, mentre nel 2006, dieci anni prima, l'età media dei travet era di 46,74 anni, quasi quattro in meno. L'età media nel 2016 era alta soprattutto nei ministeri (54,46 anni) e nella carriera prefettizia (54,54).
Visita fiscale e privacy: divieto di rivelare la malattia
FONTE:LEGGE PER TUTTI
Le visite fiscali richieste dal datore di lavoro, in caso di assenza per malattia del dipendente, non possono contenere i dati relativi alla malattia del dipendente.
Sei una persona riservata e non vuoi che i tuoi fatti si sappiano in giro. Meno ancora i problemi di salute che, purtroppo, ti affliggono da diverso tempo. A causa di questi sei costretto, di tanto in tanto, a metterti in malattia. Ciò nonostante, non hai mai fatto menzione, né ai tuoi colleghi, né al datore di lavoro, delle ragioni di tali permessi al fine di tutelare la tua privacy. Del resto sei pienamente consapevole che, purtroppo, speso e volentieri, la società discrimina le persone anche sulla base delle loro condizioni di salute. Così hai deciso di tenere tutto per te. Un giorno però, al rientro dal lavoro, il datore ti chiede come stai e se hai risolto finalmente i tuoi problemi. Non è tanto il suo tono che ti preoccupa (a prima vista ironico e incredulo) quanto il fatto che sia venuto a conoscere la tua patologia. Alla tua domanda, candidamente ti risponde: è scritto nella relazione del medico fiscale. Ricordi infatti di aver subito un controllo da parte del medico dell’Inps ma non pensavi che questi potesse rivelare la tua malattia. Così sei intenzionata a chiedere il risarcimento del danno. Che chance di riuscita hai? Cosa prevede la legge in materia di visita fiscale e privacy? Secondo una ordinanza della Cassazione pubblicata poche ore fa [Cass. ord. n. 2367/18 del 31.01.2018.], esiste il divieto di rivelare la malattia del dipendente.
La legge sulla privacy tutela i dati personali dei cittadini (nome, cognome, residenza, ecc.) e i dati personalissimi (orientamento sessuale e stato di salute). Questi ultimi godono di una protezione maggiore e per nessun caso, neanche per fini giudiziari, possono essere utilizzati o prelevati senza consenso (a meno che vi sia stata l’autorizzazione del Garante). Anche il certificato di malattia del dipendente che si assenta dal lavoro è coperto da privacy e non può essere comunicato all’azienda. Tutto ciò che può fare il datore è chiedere all’Inps di effettuare un accertamento dell’effettività della malattia tramite il proprio medico; quest’ultimo, a sua volta, all’esito della visita fiscale, potrà confermare o meno il morbo lamentato dal dipendente assente dal lavoro ma non potrà rivelare quale sia la malattia di cui questi è affetto. Per cui è giusto parlare di privacy violata se il medico rivela al datore la diagnosi.
Sul referto inviato all’azienda il sanitario deve solo confermare la prognosi senza elementi da cui emergono dati sensibili. Il medico fiscale deve limitarsi a comunicare al datore se conferma o meno la prognosi – fornita dal medico curante – per il dipendente in malattia; non può spingersi oltre e fornire altre indicazioni come, ad esempio, la visita specialistica che gli ha prescritto, dalle quali emerge la sua diagnosi: diversamente viola la privacy del lavoratore in quanto diffonde dati sensibili dell’interessato.
A questo punto vediamo però chi è il responsabile della fuga di notizie e chi deve risarcire. A sorpresa la Cassazione scagiona sia il medico dell’Inps, sia lo stesso Istituto di Previdenza sociale. Se il datore, dopo aver (volontariamente o involontariamente) saputo della malattia, l’ha divulgata in giro, sottoponendo il dipendente alla vergogna e al lubridio dei colleghi, è lui stesso responsabile e tenuto a risarcire i danni per aver fatto trapelare il fatto e aver violato l’altrui riservatezza.
Del resto il decreto ministeriale del 1986 che regola le visite fiscali [Dm 15.07.1986] stabilisce quanto segue:
«Nell’assolvimento del controllo affidatogli il sanitario è tenuto a redigere in quattro esemplari, su apposito modulo fornito dall’INPS, il referto indicante la capacità o incapacità al lavoro riscontrata, la diagnosi e la prognosi.
Qualora il lavoratore non accetti l’esito della visita di controllo, deve eccepirlo, seduta stante, al medico che avrà cura di annotarlo sul referto. In tal caso il giudizio definitivo spetta al coordinatore sanitario della competente sede dell’Istituto nazionale della previdenza sociale.
Al termine della visita, il medico consegna al lavoratore copia del referto di controllo, e entro il giorno successivo, trasmette alla sede dell’INPS le altre tre copie destinate rispettivamente, la prima, senza indicazioni diagnostiche, al datore di lavoro o all’Istituto previdenziale che ha richiesto la visita, la seconda agli atti dell’INPS, la terza per la liquidazione delle spettanze al medico e persita, la seconda agli atti dell’INPS, la terza per la liquidazione delle spettanze al medico e per assicurare un flusso periodico di informazioni sullo sviluppo del servizio e sulle relative risultanze».
In pratica una delle tre copie del referto di controllo – quella da consegnare all’Inps e destinata al datore – deve essere «priva di indicazioni diagnostiche».
Legge 104: i permessi fanno maturare le ferie?
FONTE:LEGGE PER TUTTI
Niente decurtazione dalle ferie dei giorni di permesso chiesti dal dipendente per assistere, ai sensi della legge 104, un familiare affetto da handicap.
Poiché assisti un familiare portatore di handicap e di lui ti prendi quotidianamente cura, sei riuscito ad ottenere le agevolazioni previste dalla legge in favore dei lavoratori dipendenti; pertanto, ogni mese, usufruisci di tre giorni di permessi retribuiti ai sensi della legge 104 del 1992. Alla fine dell’anno, però, il datore di lavoro pretende di riconoscere le ferie in misura inferiore ai tuoi colleghi che, invece, non hanno potuto giovarsi dei permessi. A detta sua, i permessi della legge 104 sono già una forma di “riposo” e, pertanto, non fanno maturare ulteriori ferie. Del resto, l’azienda si è già privata di te per ben tre giorni al mese e pretendere di assentarsi ancora è eccessivo. Di contrario avviso, ovviamente, sei tu: sai bene quanto possa pesare l’assistenza a un anziano e quanto questa, addirittura, possa essere più usurante del lavoro stesso. Ben faresti a meno dei permessi retribuiti se solo avessi il parente arzillo e agile. Ma tant’è: la tua non viene vista come una missione e i giorni di permesso non ti vengono conteggiati ai fini del calcolo delle ferie. Chi dei due ha ragione? Una recente ordinanza della Cassazione [1] dà una risposta, chiarimento se, in base alla legge 104, i permessi fanno maturare le ferie?
In materia di permessi 104, la Cassazione ha di recente spiegato che chi si prende cura del familiare disabile non ha l’obbligo di fornire un’assistenza continuativa; in più, non è necessario che l’assistenza coincida con gli orari del lavoro. L’importante è dedicare la parte prevalente della giornata al familiare disabile, ma ciò non toglie che si possa anche approfittare di per fare la spesa o – perché no – di sdraiarsi sul divano e riposarti. La ragione è presto detta: chi si prende in carico l’assistenza di un portatore di handicap è più “usurato” e impegnato dei colleghi di lavoro i quali, invece, dopo l’orario di servizio, possono dedicarsi ai loro svaghi. Ad avviso della Cassazione, l’assistenza al familiare disabile va inquadrata come un’attività pensate e onerosa, ma anche avente una funzione sociale che è quella della cura dei disabili, tutelata dalla stessa Costituzione. Così come tutelato dalla stessa Costituzione è il diritto alle ferie. Si parla quindi di due diritti sacrosanti che non possono essere calpestati. Proprio per tale ragione è giusto pretendere che anche i giorni di permesso ai sensi della legge 104 siano da considerare come normali giorni di lavoro e, come tali, computabili ai fini della maturazione delle ferie.
Non è quindi legittimo decurtare dalle ferie i giorni di permesso chiesti dal dipendente per assistere, ai sensi della legge “104”, un familiare affetto da handicap.
Del resto, non calcolare i giorni di permesso della 104 ai fini delle ferie significa discriminare i dipendenti che hanno la sfortuna di avere un familiare disabile con quelli che invece non ce l’hanno: i primi, infatti, oltre a dover rinunciare a una parte delle ferie, sono soggetti tre volte al mese a una cura e assistenza tutt’altro che leggera.
Resta ferma la non commutabilità dei permessi [3] quando debbano cumularsi effettivamente con il congedo parentale ordinario – che può determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa – e con il congedo per malattia del figlio, per i quali compete un’indennità inferiore alla retribuzione normale.
In sintesi, i permessi Legge 104 non incidono sulle ferie e non devono essere riproporzionati se nel mese si fruiscono dei giorni di ferie, come ha precisato il Ministero del Lavoro [4], in quanto sono distinte le finalità dei due istituti.
Lo stesso principio vale anche per la tredicesima e per il Tfr, che non vanno riproporzionati in base ai permessi Legge 104 fruiti. È stato più volte confermato:
· dal Dipartimento della Funzione Pubblica [5];
· dal Consiglio di Stato, sulla base del Testo Unico Maternità Paternità;
· dall’Inps ;
· dal ministero del Lavoro [8].
Queste indicazioni, che riprendono quanto inizialmente chiarito dal Consiglio di Stato, mettono fine ad un dubbio interpretativo che creava notevoli sperequazioni e disparità di trattamento.
note
[1] Cass. ord. n. 2466/18 del 31.01.2018.
[3] La limitazione della computabilità dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in forza del richiamo operato dal successivo comma 4 all’ultimo comma dell’art. 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (abrogato dal d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, che ne ha tuttavia recepito il contenuto negli artt. 34 e 51), opera soltanto nei casi in cui essi debbano cumularsi effettivamente con il congedo parentale ordinario – che può determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa – e con il congedo per malattia del figlio, per i quali compete un’indennità inferiore alla retribuzione normale (diversamente dall’indennità per i permessi ex lege n. 104 del 1992 commisurata all’intera retribuzione), risultando detta interpretazione idonea a evitare che l’incidenza sulla retribuzione possa essere di aggravio della situazione dei congiunti del portatore di handicap e disincentivare l’utilizzazione del permesso.
· [4] Min. Lav. nota ad interpello n. 21/2011.
· [5] Dip. Funz. Pubblica, Circ. n. 208/2005.
· [6] C.S., parere n. 3389/2005.
· [7] Inps Mess. n. 7014/2006.
· [8] Min. Lav. nota ad interpello n. 14/2006.
Pensione invalidi, di quanto si anticipa l’uscita dal lavoro? ALLEGATO*
FONTE:LEGGE PER TUTTI
*I lavoratori a cui è stata riconosciuta una percentuale di invalidità hanno sempre diritto ad anticipare la pensione?
Buoni pasto elettronici: l’azienda è tenuta a darli? ALLEGATO*
*Quando, dove e come si possono spendere i ticket? E quali agevolazioni fiscali garantisce la riforma sui buoni pasto? Quanti ne posso usare per volta?
INPS: Gestione Pubblica – Conguaglio dati previdenziali ed assistenziali anno 2017
FONTE:DPL
L’INPS ha emanato la circolare n. 20 del 31 gennaio 2018, con la quale chiarimenti e precisazioni sulle operazioni di conguaglio previdenziale 2017 per i datori di lavoro iscritti alla gestione pubblica.
Pensioni: il part-time incide sull'inabilità
La maggiorazione applicata per il computo è condizionata dal riproporzionamento all'orario effettivamente svolto al momento della presentazione della domanda
Fonte:studiocataldi di Valeria Zeppilli
Il lavoratore che, prima del pensionamento, trasforma la propria prestazione lavorativa da full-time a part-time riceverà una pensione di inabilità ridotta.
Con tale conclusione, la sentenza numero 1921/2018 (allegato) ha decretato la vittoria dell'Inps dinanzi alla Corte di cassazione, nella causa che vedeva l'istituto contrapposto agli eredi di un'assicurata.
La normativa
Per i giudici occorre infatti tener conto del fatto che il comma 3 dell'articolo 2 della legge numero 222/1984 impone di computare la pensione di inabilità ricorrendo alle regole normalmente utilizzate per la liquidazione della pensione e applicando una maggiorazione che, per coloro che sono iscritti all'AGO, si basa sull'assegno di pensione al quale l'assicurato avrebbe avuto diritto tenendo conto dei contributi che avrebbe potuto versare tra la data della domanda di pensione di inabilità e il compimento dei 60 anni di età, sino a massimo 40 anni di anzianità contributiva.
Base pensionabile
Quanto alla base pensionabile, tale norma fa rinvio, a detta della Corte, alla specifica retribuzione pensionabile che sarebbe spettata all'iscritto e, quindi, a quella basata sull'effettivo rapporto di lavoro in essere al momento in cui è stata presentata la domanda amministrativa di inabilità.
Di conseguenza, il calcolo della maggiorazione terrà conto sia del periodo fittizio dettato dalla legge che "della retribuzione pensionabile calcolata secondo i criteri generali di computo utilizzati per determinare l'importo dei trattamenti pensionistici, tra cui va annoverato il sistema di riproporzionamento all'orario effettivamente svolto...incidendo la contribuzione ridotta sulla misura della prestazione".
Salute, Ecco come scrivere il testamento biologico
· Fonte:pensionioggi Scritto da Bruno Franzoni
Al via da oggi la legge sul biotestamento. L'associazione Luca Coscioni spiega le modalità per redigere il testamento biologico ed evitare l'accanimento terapeutico.
Entra in vigore oggi, 31 gennaio, la legge sul biotestamento e l'associazione Coscioni già si attiva "per impedire sabotaggio e imposizione di coscienza", preannunciando "ricorsi contro eventuali atti governativi contrari alla normativa". "Da oggi - afferma il segretario Filomena Gallo, candidata nella lista 'Più Europa con Emma Bonino' - siamo mobilitati per impedire che la legge sia frenata dalla disinformazione, dai mille ostacoli burocratici e dal boicottaggio da parte di certi poteri. In particolare, chiediamo alle istituzioni a ogni livello di informare correttamente i cittadini sui loro nuovi diritti; chiediamo alle Regioni di inserire le Disposizioni anticipate di trattamento nella tessera sanitaria e ci prepariamo a presentare denunce penali contro eventuali provvedimenti di questo o dei futuri Governi, che mirassero a introdurre inesistenti possibilità di imposizione di coscienza da parte delle strutture sanitarie private sulla pelle dei cittadini malati".
Le disposizioni Anticipate di Trattamento
Con l'entrata in vigore della Legge viene fissato, tra l'altro, il diritto del paziente a stabilire con le Dat, le Disposizioni anticipate di trattamento, i trattamenti sanitari a cui essere sottoposta o meno in previsione di una futura incapacità. In particolare ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di una propria futura incapacità di autodeterminarsi può esprimere le proprie convinzioni in materia di trattamenti sanitari, indicando una persona di sua fiducia (il fiduciario) che lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
Il medico è tenuto al rispetto delle Dat, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all'atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. Le Dat potranno essere fatte dal notaio, ma anche depositate presso i Comuni, e le Regioni potranno con propria normativa prevederne l'inserimento nel fascicolo sanitario elettronico. Le Dat potranno essere revocate o modificate in ogni momento. Nei casi di emergenza e urgenza possono essere revocate anche con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, con l'assistenza di due testimoni.
"Se sei maggiorenne e capace di intendere e volere puoi - spiega l'associazione Coscioni - fare il tuo biotestamento, indicando i trattamenti sanitari che vorresti ricevere e quelli ai quali rinunceresti nel caso in cui non fossi più in grado di esprimere e prendere decisioni autonomamente. "Puoi scrivere un testo di tuo pugno - ricorda l'Associazione Luca Coscioni - puoi scaricare e compilare il nostro modulo; puoi modificare il nostro modulo secondo le tue necessità ed esigenze". Se le condizioni fisiche non permettono queste vie, "puoi esprimere le tue volontà attraverso una videoregistrazione e/o con dispositivi tecnologici che consentono alle persone con disabilità di comunicare. Potrai rinnovare, modificare o revocare le tue Dat in ogni momento", ricorda ancora l'associazione puntualizzando che "il testamento biologico è esente dall'obbligo di registrazione tributaria, dall'imposta di bollo e da qualsiasi altro tributo, imposta, diritto o tassa".
Serve un fiduciario? "La legge auspica, ma non obbliga - si chiarisce nel vademecum - che ogni persona, nel momento in cui sottoscrive il proprio biotestamento, deleghi un fiduciario che si assuma la responsabilità di interpretare le Dat contenute nel biotestamento, anche alla luce dei cambiamenti intercorsi nel tempo e di possibili nuove prospettive offerte dalla medicina. Qualsiasi persona maggiorenne e capace di intendere e volere può ricoprire il ruolo di fiduciario accettando la nomina. Nel caso di malattia già in corso, ti suggeriamo di indicare una persona che abbia seguito da vicino, nei diversi e drammatici aspetti, il tuo decorso e che abbia con te un rapporto solido e continuo, anche affettivo".
"L'accettazione della nomina di fiduciario - prosegue l'associazione Coscioni - avviene attraverso la sottoscrizione delle Dat o con atto successivo che sarà allegato al testamento biologico. Il tuo fiduciario dovrà possedere una copia del tuo biotestamento" e "avrà quindi il potere di attualizzare, in accordo con il personale sanitario, le disposizioni che avrai indicato".
"Nei casi in cui le tue Dat appaiano palesemente incongrue, non corrispondenti alla tua condizione clinica, o qualora emergano nuove terapie, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle tue condizioni di vita - si nota nel vademecum - il fiduciario potrà autorizzare i medici a non rispettare le tue volontà".
Infine, l'autenticazione. E' possibile autenticare il biotestamento "con atto pubblico (atto redatto con un funzionario pubblico designato o attraverso un qualsiasi pubblico ufficiale, come un notaio); con una scrittura privata autenticata (da un funzionario pubblico designato dal tuo Comune o da un qualsiasi pubblico ufficiale, come un notaio) da te custodita; con scrittura privata consegnata personalmente all'ufficio dello stato civile del tuo Comune di residenza (ufficio che, se istituito, provvede all’annotazione in un apposito registro); nelle strutture sanitarie, qualora la Regione di residenza ne regolamenti la raccolta".
Pensioni, Stop alle discriminazioni per il riscatto dei dipendenti degli enti locali
· FONTE:PENSIONIOGGI Scritto da Nando Pulvirenti
Secondo i giudici della Corte Costituzionale le norme per il riscatto dei periodi di servizio degli impiegati degli enti locali sono equiparate a quelle degli altri dipendenti pubblici.
La Corte Costituzionale riconosce anche ai dipendenti degli enti locali la facoltà di riscattare il periodo di servizio prestato in qualità di vice pretore reggente. Lo prevede la sentenza n. 11/2018 della Corte costituzionale depositata ieri in cui i giudici sono stati chiamati a valutare la legittimità, alla luce dei principi costituzionali, dell’art. 67 del regio decreto-legge n. 680/1938 (ordinamento della cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati degli enti locali), nella parte in cui non prevede la facoltà di riscattare il servizio prestato in qualità di vice pretore reggente.
La questione è stata sollevata dalla corte dei conti della Valle d’Aosta, secondo cui la norma viola i principi costituzionali (artt. 3 e 36) non contemplando, per i dipendenti degli enti locali, la riscattabilità dei periodi di attività prestati in qualità di vice pretore reggente per un tempo non inferiore a sei mesi, come invece previsto per i dipendenti civili e militari dello stato (art. 14, comma 1, lett. b, dpr n. 1092/1973). La Corte costituzionale ha avallato la posizione della Corte dei Conti riconoscendo che, sebbene il legislatore abbia discrezionalità nel dettare discipline diverse sui riscatto per regimi previdenziali diversi, precisa tuttavia che la discrezionalità incontra il limite della ragionevolezza, a fronte del quale discipline diverse che regolano situazioni con caratteri di omogeneità non sono compatibili con l’art. 3 della Costituzione.
In coerenza con ciò ritiene che, una volta riconosciuta dal legislatore, per i dipendenti statali (ex art. 14, lett. b, dpr n. 1092/1973), la facoltà di riscatto per servizio prestato in qualità di vice pretore reggente, risulta non giustificabile un diverso trattamento per i dipendenti di enti locali. Peraltro, secondo i giudici, non sussistono elementi oggettivi tali da motivare il perdurare di una differenziazione fra dipendenti statali e dipendenti degli enti locali, di fronte a un’attività di significativa rilevanza, qual è quella di vice pretore onorario reggente, che presenta analoga valenza sia per l’impiego statale che per l’impiego presso enti locali. In conclusione dichiarano l’illegittimità dell’art. 67 del regio decreto legge n. 680/1938, nella parte in cui non prevede la facoltà di riscattare il servizio prestato in qualità di vice pretore reggente.
La Corte ha, inoltre, dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 18, co. 10 del decreto legge 98/2011 convertito con legge 111/2011. L'articolo in questione aveva interpretato autenticamente l'articolo 3, co. 2 del Dlgs 357/1990 che regolava le modalità di corresponsione della pensione per i lavoratori del settore del credito (ex gestioni esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria) confluiti nella gestione speciale dei trattamenti pensionistici dell'Inps ad opera della legge 218/1990. L'intervento del 2011 aveva precisato che la quota di pensione a carico dell'INPS andasse determinata con esclusivo riferimento all'importo del trattamento pensionistico effettivamente corrisposto dal fondo di provenienza, con esclusione della quota eventualmente erogata ai pensionati in forma capitale. Con effetti, pertanto, sulla misura del trattamento. La Corte con la sentenza numero 12/2012 pubblicata ieri ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della predetta disposizione normativa nella parte in cui, per l'appunto, disponeva l'esclusione della quota eventualmente erogata ai pensionati in forma capitale.