Visite Fiscali, Ecco le nuove regole nel pubblico impiego
In Gazzetta Ufficiale il Decreto della Presidenza del Consiglio che detta le regole per lo svolgimento delle visite fiscali per i dipendenti pubblici.
Per i dipendenti pubblici arrivano le visite fiscali ripetitive anche in prossimità dei giorni festivi. Lo prevede il Decreto 17 Ottobre 2017 della Presidenza del Consiglio dei Ministri numero 206 pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale in vigore dal 13 gennaio 2018. Il provvedimento, adottato a seguito della Riforma della Pubblica Amministrazione (Dlgs 75/2017), fissa le regole per lo svolgimento degli accertamenti per i dipendenti pubblici assenti per malattia a seguito della creazione del Polo Unico sulle visite fiscali in capo all'Inps dallo scorso 1° settembre 2017.
Il provvedimento conferma in parte quanto già anticipato dal Ministro Madia la scorsa estate mettendo nero su bianco che la visita fiscale puo' essere disposta d'ufficio dall'Inps o su richiesta, dal datore di lavoro pubblico, fin dal primo giorno di assenza dal servizio per malattia mediante utilizzo del canale telematico messo a disposizione dall'istituto di previdenza.
La novità principale riguarda però lo svolgimento delle visite con l'espressa previsione che possono essere effettuate con cadenza sistematica e ripetitiva, anche in prossimita' delle giornate festive e di riposo settimanale allo scopo di rafforzare i controlli sugli abusi. Insomma si apre alla possibilità di bussare alla porta del dipendente assente anche due o più volte, una novità assoluta per il pubblico. La visita si ripeterà soprattutto nei casi di 'alert', ovvero quando il cervello informatico dell'Inps segnalerà un sospetto. Resta fermo, inoltre, il principio secondo il quale la visita scatta sin dal primo giorno se l'assenza capita nelle giornate adiacenti a quelle non lavorative.
Fasce di reperibilità
Le fasce di reperibilità restano pari asette ore al giorno: dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 (anche nei giorni non lavorativi e festivi). Sono esclusi dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilita' i dipendenti per i quali l'assenza e' riconducibile ad una delle seguenti circostanze: a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita; b) causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all'ascrivibilita' della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata del Testo unico in materia di pensioni di guerra (DPR 834/1981) , ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto; c) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidita' riconosciuta, pari o superiore al 67%.
Visita Ambulatoriale
Qualora il dipendente sia assente al controllo all'indirizzo di reperibilita' fornito, il medico fiscale dovrà rilasciare apposito invito a visita ambulatoriale per il primo giorno utile presso l'Ufficio medico legale dell'INPS competente per territorio. La visita ambulatoriale è disposta anche in caso di mancata accettazione dell'esito della visita da parte del lavoratore (nel qual caso il lavoratore è tenuto ad eccepire il dissenso rispetto alle risultanze del verbale al momento dello svolgimento della visita) o di mancata firma del verbale.
Altra precisazione contenuta nel decreto riguarda la guarigione anticipata. Per rientrare al lavoro prima della scadenza del periodo di prognosi inizialmente indicato nel certificato di malattia, il dipendente e' tenuto a richiedere un certificato sostitutivo. Il certificato sostitutivo e' rilasciato dal medesimo medico che ha redatto la certificazione di malattia ancora in corso di prognosi ovvero da altro medico in caso di assenza o impedimento assoluto del primo.
Si rammenta che dalla Riforma delle visite fiscali restano esclusi il personale delle forze armate e dei corpi armati dello Stato e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (Esercito, Marina militare, Aeronautica militare, Guardia di finanza e Carabinieri, Polizia di Stato e Polizia penitenziaria, Corpo nazionale dei vigili del fuoco, escluso il personale volontario).. Inoltre non potranno essere sottoposti ad accertamento i lavoratori per i quali sia in corso un'istruttoria per il riconoscimento dell'infortunio sul lavoro o della malattia professionale. La cui competenza è dell'Inail.
Pensioni, Quando si può rinunciare all'accredito del servizio militare
L'Inps chiarisce i limiti all'esercizio del diritto alla rinuncia dell'accredito dei periodi di servizio militare per i dipendenti del settore pubblico.
Anche i dipendenti pubblici possono chiedere la rinuncia al riconoscimento del periodo di servizio militare. A condizione però che il periodo non abbia determinato il passaggio dal sistema contributivo al sistema misto. Lo comunica l'Inps con il messaggio 4987 del 12 Dicembre 2017 a seguito di numerose richieste di chiarimento in merito alla possibilità, da parte degli iscritti alla gestione dei dipendenti pubblici. La richiesta di rinuncia è stata infatti riscoperta in questi ultimi anni per i lavoratori del settore pubblico che a causa dell'accredito del servizio militare sono risultati destinatari del sistema misto invece che del sistema contributivo.
L'Istituto precisa che il servizio militare è un periodo di contribuzione figurativa il cui accredito è previsto a domanda da parte dell'interessato e, pertanto, in analogia a quanto già previsto per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, gli interessati possono chiedere di rinunciare all’accredito ai fini pensionistici quando lo stesso periodo non sia già stato utilizzato per la liquidazione di precedenti prestazioni. Non è possibile rinunciare all'accredito, ad esempio, quando sia stata già liquidata una pensione.
I limiti al diritto di rinuncia
L'indicata facoltà trova inoltre un ulteriore importante limite nel suo esercizio laddove l'accredito del servizio militare abbia determinato il passaggio del lavoratore dal sistema contributivo al sistema misto. Cioè sia stato l'unico evento che ha determinato la presenza di contribuzione antecedente al 1996. Nello specifico l'Istituto indica che se l'accredito del servizio militare fa assumere al lavoratore la qualità di "vecchio iscritto", cioè determina l'accredito di contribuzione antecedente al 1996 con conseguente passaggio al sistema misto e disapplicazione del massimale contributivo, il lavoratore non potrà più rinunciare all'accredito del periodo di contribuzione figurativa dato che, in questo caso, il servizio militare è stato virtualmente utilizzata per la determinazione delle regole di calcolo della pensione. Ciò vale esclusivamente nel caso in cui il riconoscimento del periodo di servizio militare, ante 1996, sia stata la causa unica e determinante della effettiva disapplicazione del massimale contributivo e cioè del passaggio al sistema misto. Ove invece il periodo di servizio militare sia risultato ininfluente a determinare il passaggio al sistema misto il lavoratore può rinunciare all'accredito. Tale regola, peraltro, era stata già sancita nei confronti dei lavoratori del settore privato con la Circolare Inps 11/2013. Pertanto l'Inps non fa altro che estendere la normativa nei confronti del pubblico impiego a seguito della soppressione dell'Inpdap.
L'istituto rammenta che la facoltà di rinuncia in esame è limitata agli eventi figurativi riconoscibilia domanda dall’interessato e, dunque, riguarda gli iscritti alle sole ex casse di previdenza amministrate dal Tesoro (Cpdel, CPI, CPS e CPUG) non potendo costituire oggetto di rinuncia la contribuzione figurativa accreditabile d’ufficio, come nel caso del servizio militare per gli iscritti alla Cassa dei Trattamenti Pensionistici Stato (CTPS) cioè per i dipendenti civili e militari dello stato a cui si applica il DPR 1092/1973.
Pensione Anticipata, ecco i requisiti per il 2018 [Guida ALLEGATA]
FONTE:PENSIONIOGGI
*La pensione anticipata è il trattamento previdenziale che può essere conseguito a prescindere dall'età anagrafica dai lavoratori iscritti alla previdenza pubblica obbligatoria. Per il triennio 2016-2018 è necessaria un'anzianità contributiva di 41 anni e 10 mesi per le donne e di 42 anni e 10 mesi per gli uomini.
Pensioni, Damiano: dopo le elezioni correggere la legge Fornero
Per il Presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, i passi avanti fatti negli ultimi due anni sono positivi ma non sufficienti.
L’impegno per correggere la legge Monti-Fornero sulle pensioni deve proseguire nella prossima legislatura. L’azione riformista che abbiamo intrapreso dal 2012, dopo la realizzazione di ben 8 salvaguardie, Opzione Donna e l’APE sociale, andrà proseguita. Con queste scelte legislative circa 250.000 lavoratori sono stati ‘salvati’ e mandati in pensione con le vecchie regole”. Lo dichiara in una nota Cesare Damiano, Presidente della Commissione Lavoro alla Camera.
Damiano esprime parole di apprezzamento per il blocco dell’innalzamento dell’età pensionabile anche per le pensioni di anzianita' e non solo per quelle di vecchiaia e che, con le risorse risparmiate dell’APE sociale, la creazione di un Fondo ad hoc che ne favorisca la ‘strutturalità’. "Si tratta di segnali positivi, ma non sufficienti che dovranno proseguire necessariamente nella prossima legislatura per sanare quell'ampia frattura sociale generata con la Riforma Fornero". “I prossimi obiettivi, realistici e non demagogici – prosegue – dovranno essere: rendere strutturale l’Ape sociale, realizzare la pensione contributiva di garanzia per i giovani, rivedere i meccanismi dell’innalzamento dell’età pensionabile, allargare ulteriormente le categorie dei lavori gravosi (come non includere, ad esempio, i ceramisti che svolgono una attività che contiene molte mansioni usuranti: lavoro notturno, ritmi da catena di montaggio, esposizione al caldo e rischio di silicosi)”. Per i giovani che avranno le pensioni liquidate con il sistema contributivo chiediamo che venga abbassato (da 1,5 a 1,2 volte il minimo pensionistico) il limite che consente l’accesso alla pensione”. “La strada è stata aperta, nonostante le forti resistenze, e andrà completata riprendendo il discorso delle risorse stanziate e non spese per le salvaguardie e Opzione Donna”, conclude.
Per i giovani il Governo aveva pensato nelle scorse settimane ad un incremento della quota di cumulabilità tra l'assegno sociale e la pensione contributiva in modo tale far raggiungere, ai lavoratori sprovvisti di altri redditi, un assegno minimo di circa 675 euro mensili (qui ulteriori dettagli). A questa misura sarebbe stata abbinata una revisione al ribasso dell'importo soglia richiesto per accedere alla pensione di vecchiaia con 66 anni e 7 mesi unitamente a 20 anni di contributi: da 672 euro al mese a 537 euro consentendo il pensionamento di una ulteriore fascia di lavoratori. Queste proposte non hanno però trovato spazio nella recente legge di bilancio.
Ok al Rinnovo dei contratti per gli statali. Ecco le novità
E' stato raggiunto l'accordo tra Governo e Parti Sociali sul rinnovo del contratto di 247mila lavoratori del comparto stato.
È stato siglato il nuovo contratto degli statali per il triennio 2016-2018 che pone fine a un blocco durato otto anni. Al termine di una trattativa lunghissima Aran e i sindacati Cgil, Cisl, Uil, Confsal (non hanno firmato Usb, Cgs e Cisa) hanno raggiunto l'accordo che prevede un aumento medio mensile pari a regime a circa 85 euro lordi sullo stipendio base.
L'intesa prevede una forbice di aumenti sullo stipendio base dai 63 ai 117 euro mensili lordi a regime. A questo aumento tuttavia va aggiunto l'assegno per dieci mensilità tra i 21 e i 25 euro per le retribuzioni più basse mentre alcune amministrazioni potranno erogare un bonus supplementare. Oltre all'aumento medio di 85 euro il rinnovo del contratto - evidenzia la Fp Cgil - salvaguarda il bonus di 80 euro, mentre su tutto il nuovo comparto delle Funzioni Centrali (Ministeri, Epne e Agenzie Fiscali), arriveranno gli arretrati del 2016 e 2017 e ripartirà la contrattazione per il trattamento accessorio. L'intesa - sottolineano i sindacati - riduce la precarietà grazie a una regolamentazione delle forme di rapporto di lavoro flessibile. Si riconferma infatti come il normale rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione è a tempo indeterminato mentre le forme di rapporto di lavoro flessibile saranno due: il tempo determinato e la somministrazione.
L'orario di lavoro settimanale resta a 36 ore
Viene inoltre introdotto un nuovo sistema di relazioni sindacali con il ritorno della contrattazione e l'incremento dei poteri demandati alle Rsu. I sindacati sottolineano anche il nuovo ordinamento professionale con il varo di "una commissione che dovrà immediatamente produrre un corretto inquadramento, nuove regole per le progressioni, il riconoscimento pieno delle professionalità e delle competenze". Il contratto conferma le 36 ore per l’orario di lavoro e introdotta una certa flessibilità di orario che risponde alle esigenze dei lavoratori, accrescendo allo stesso tempo la qualità dei servizi. Regolate anche questioni importanti - spiega Fp Cgil - come la pausa esigibile, diritto delle lavoratrici e dei lavoratori. Infine si conferma l'esclusione del Jobs Act dal contratto, a partire dal mantenimento dell’articolo 18.
Vengono, inoltre, introdotte tutele su visite, terapie ed esami diagnostici. Alle donne vittime di violenza, dopo i tre mesi di congedo previsti dalla legge, sono garantiti altri tre mesi di aspettativa. Tra le novità il potenziamento del diritto allo studio che viene esteso anche per i lavoratori a termine. Viene riconoscendo anche il diritto a svolgere la formazione prevista da albi o ordini, si potenzia e si rende più esigibile la formazione e si introduce il libretto formativo.
Pensioni, Come cambia la tassazione della pensione integrativa dei dipendenti pubblici
Dal 2018 si avvia il processo di armonizzazione fiscale delle prestazioni erogate dalle forme di previdenza complementare a cui aderiscono i dipendenti pubblici. Si amplia anche il perimetro della deducibilità dei premi e contributi.
Per i dipendenti pubblici sarà più conveniente ed agevole aderire alle forme di previdenza complementare. La legge di bilancio per il 2018 contiene, infatti, alcune novità introdotte dal Governo in esito al confronto dello scorso 21 novembre con la parte sindacale volta ad armonizzare la tassazione delle prestazioni erogate dai fondi della previdenza complementare e all'estensione del meccanismo del silenzio assenso che sino ad oggi non ha trovato applicazione per i dipendenti pubblici.
La novità principale riguarda, dal 1° gennaio 2018, l'estensione del regime tributario vigente per i lavoratori dipendenti privati, con riferimento alla deducibilità dei premi e contributi versati in forme di previdenza complementare e alle relative prestazioni. Tale equiparazione opererà, con la medesima decorrenza, anche nei confronti dei dipendenti pubblici già iscritti a forme pensionistiche complementari. Vediamo dunque nel dettaglio le novità.
Il regime della deducibilità dei premi
Come noto l'articolo 8 del Dlgs 252/2005 e l'articolo 10, co. 1, lett. e-bis) del TUIR dispongono che i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro o committente, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, anche aziendali, alle forme di previdenza complementare, siano deducibili annualmente dal reddito complessivo del lavoratore nella misura massima di 5.164,57 euro. Tale regola, tuttavia, non si applica ai fondi pensione di natura negoziale che hanno come destinatari dipendenti delle pubbliche amministrazioni nei confronti dei quali il legislatore del 2005 ha confermato le vecchie regole di cui al Dlgs 124/1993, meno favorevoli, in materia di deducibilità degli oneri dal reddito. Per tali soggetti l’importo deducibile attualmente non può essere superiore al 12 per cento del reddito complessivo (compreso anche il reddito dei fabbricati assoggettato a cedolare secca) e comunque nel limite di 5.164,57 euro. Inoltre, con riferimento ai soli redditi di lavoro dipendente, la deduzione non può essere superiore al doppio della quota di TFR destinata ai fondi pensione.
Dal prossimo anno la legge di bilancio cancella questi limiti con riferimento ai lavoratori del pubblico impiego che abbiano aderito a fondi pensione di natura negoziale con l'obiettivo di rendere più attraente le adesioni. Dalla suddetta equiparazione restano esclusi i premi ed i contributi inerenti gli anni precedenti il 2018.
La tassazione delle prestazioni
Altra novità riguarda l'armonizzazione del regime di tassazione delle prestazioni. Come noto nel settore privato le prestazioni (sia erogate sotto forma di rendita che capitale) sono assoggettate, ai sensi dell'articolo 11, co. 6 del Dlgs 252/2005, a tassazione a titolo di imposta del 15 per cento più una ulteriore riduzione dello 0,30% dell’aliquota base per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione del 6 per cento.
Il regime fiscale delle prestazioni previdenziali derivanti da fondi pensione di natura negoziale che hanno come destinatari dipendenti delle pubbliche amministrazioni è invece molto più sfavorevole: la prestazione pensionistica erogata in forma di rendita concorre a formare il reddito imponibile complessivo e quindi è assoggettata alla tassazione ordinaria Irpef; mentre la prestazione pensionistica erogata in forma di capitale è soggetta a tassazione separata con aliquota media degli ultimi 5 anni.
Con il 2018 la legge di bilancio sancisce la progressiva armonizzazione della tassazione tra i due regimi eliminando una disparità di trattamento che disincentivava l'adesione a forme di previdenza complementare per i dipendenti pubblici. Restano esclusi dal regime più favorevole i montanti delle prestazioni accumulate sino al 2017: per tali fattispecie continuerà ad operare la disciplina fino ad ora vigente.
Estesa la regola del silenzio assenso
Infine la legge di bilancio apre per i dipendenti pubblici alla possibilità di adesione tramite forme di silenzio-assenso. Si tratta di una ulteriore modifica volta ad allineare il meccanismo di ingresso alle previdenza complementare a quello del settore privato. Attualmente, infatti, le adesioni ad una forma pensionistica complementare da parte dei lavoratori del pubblico impiego può avvenire esclusivamente in modo esplicito a differenza del settore privato in cui vige la regola del silenzio assenso; inoltre, il dipendente pubblico non può aderire ad una forma pensionistica complementare individuale se è operante un fondo pensione negoziale di categoria (con la possibilità, una volta costituito il fondo negoziale di categoria, di trasferirvi la posizione di previdenza complementare maturata).
Ebbene con riferimento ai dipendenti pubblici assunti a partire dal 1° gennaio 2019 le parti istitutive dei fondi di previdenza complementare potranno regolamentare le modalità di adesione agli stessi, anche mediante forme di silenzio-assenso, nonchè sotto il profilo del recesso del lavoratore. Le predette modalità dovranno garantire la piena e diffusa informazione dei lavoratori nonché la libera espressione di volontà dei lavoratori medesimi, sulla base di direttive COVIP.
Pensioni, Controlla come cambia la data di uscita dal 2018
Aggiornato il programma di Pensioni Oggi per controllare rapidamente la prima data utile per uscire dal mondo del lavoro sulle base delle ultime modifiche della legge di stabilità.
Con l'approvazione definitiva della legge di bilancio per il 2018 sono state modificate nuovamente alcune regole per il pensionamento per i lavoratori iscritti a forme di previdenza pubbliche obbligatorie. Le modifiche quest'anno sono meno numerose che in passato in quanto gran parte del pacchetto sulla seconda fase della riforma della previdenza concordata nel settembre 2016 tra Governo e parti sociali non è stato inserito nella manovra. La novità principale riguarda la conferma del prossimo adeguamento della speranza di vita che porterà i requisiti per il pensionamentoa 67 anni dal 2019 dagli attuali 66 anni e 7 mesi e a 43 anni e 3 mesi di contributi quelli per la pensione anticipata. Un aumento di cinque mesi che si aggiunge all'ultimo scatto previsto dal 1° gennaio 2018 dalla Legge Fornero per le lavoratrici del settore privato.
Per temperare gli effetti di questo adeguamento la legge di bilancio appena approvata dispone tuttavia la dispensa dal predetto adeguamento nei confronti degli addetti alle cd. mansioni gravose (che includono ben 15 categorie professionali dalle undici precedentemente) a condizione di vantare almeno 30 anni di contributi e che le predette attività risultino svolte per almeno sette anni negli ultimi dieci prima del pensionamento e di non risultare titolari, al momento del pensionamento, dell'Ape sociale. Guadagnano lo stop dal prossimo adeguamento anche gli addetti alle mansioni usuranti e i lavoratori notturni di cui al Dlgs 67/2011 (sempre a condizione di vantare almeno 30 anni di contributi). Nessuno stop all'adeguamento è stato disposto, invece, nei confronti delle altre platee destinatarie dell'Ape sociale (disoccupati, invalidi e soggetti che assistono il familiare disabile) nè ai lavoratori precoci. Da segnalare poi alcune limature sull'Ape sociale: le donne ottengono uno sconto di un anno per ogni figlio entro un massimo di due anni sui requisiti contributivi per accedere all'Ape sociale e l'apertura dell'Ape sociale ai disoccupati per scadenza del contratto a termine.
Per tenere sotto controllo tutte queste novità i lettori a comprendere quando potranno effettivamente andare in pensione: il programma, disponibile a questo indirizzo, consente di verificare rapidamente la piu' vicina data di pensionamento (vecchiaia o anticipata) tenendo conto dell'applicazione della stima di vita.
La Legge di Bilancio delude Esodati ed Opzione Donna
Nel provvedimento approvato oggi in via definitiva del Senato manca all'appello la proroga dell'opzione donna al 2018 e la nona salvaguardia per ulteriori 6mila esodati.
La Legge di bilancio 2018 delude gli esodati e l'opzione donna. Non sono state approvate ne' la possibilità di Cumulo dei contributi previdenziali per l'accesso alla salvaguardia (che per altro avrebbe interessato 200-250 persone -dati forniti dall'INPS-) e all'opzione donna, ne' l'ampliamento della salvaguardiaper cessati e contributori volontari (con allargamento delle decorrenze fino almeno al 6 Gennaio 2020) con le risorse finanziarie avanzate con l'ottava salvaguardia, misure che pure erano state richieste da varie parti politiche dell'opposizione e di parte dei Parlamentari PD.
Il Governo ha preferito far rientrare quegli oltre 900 Milioni di Euro nel "Fondo Sociale per l'Occupazione e la Formazione" destinandoli così ad altre questioni (pur di grande valore sociale ...) e sottraendole agli Esodati nonostante i numeri fossero esigui. Rabbia e delusione esprimono i comitati che rappresentano le istanze posto che nella legge di bilancio 2018 sono state sostenute finanziariamente misure assurde a sostegno delle più disparate attività, non ultimo il carnevale. Uno sforzo per venire incontro alle ultime platee rimaste senza tutele poteva essere compiuto considerando anche l'esiguità dei numeri in questioni. Secondo i Comitati sono circa sei mila lavoratori che per varie ragioni non hanno potuto godere della salvaguardia, in primis ci sono alcune centinaia di ex lavoratrici postali che hanno lasciato il lavoro con un incentivo all'esodo contando di traguardare la pensione entro pochi anni e che, a causa della progressione della speranza di vita, sono rimaste beffate spesso per pochi mesi.
I comitati ricordano che é stato fatto il possibile, attraverso gli interlocutori politici con cui si sono rinsaldati i rapporti in questi ormai oltre 6 anni, per cercare di far passare le misure a favorevoli agli esclusi, ma la situazione é stata chiara sin da subito dopo che gli emendamenti pro-Esodati erano stati bocciati in fase di discussione al Senato, constatando che è mancata l'assoluta volontà politica di gran parte della maggioranza e del Governo a farli passare. Ora la questione passerà al prossimo esecutivo e al Parlamento che uscirà dalle urne del marzo 2018 (sempre che una maggioranza netta riuscirà a formarsi). La speranza è un Parlamento più sensibile a queste tematiche che possa rimettere in pista provvedimenti per sanare l'ampia frattura che si è generata con la legge Fornero del 2011. La speranza è l'ultima a morire.
Invalidi civili, gli importi delle prestazioni e i limiti di reddito per il 2018
Aggiornati dall'Istituto nazionale di Previdenza i valori relativi alle prestazioni assistenziali erogate nei confronti degli invalidi civili per il 2018.
Tornano a crescere nel 2018 le prestazioni assistenziali per gli invalidi civili. Con l'aumento dell'inflazione registrato nel 2017 gli importi delle prestazioni tornano a crescere dell'1,1% rispetto al 2017. Così sia l'assegno mensile di invalidità sia l'indennità di frequenza che la pensione di inabilita' civile salgono dai 279,47 € al mese a 282,55 euro per 13 mensilità; un totale di poco piu' di 3.500 euro annui.
Sale anche il limite annuo di reddito per ottenere le suddette prestazioni. Per l'assegno mensile di invaliditàe per l'indennità di frequenza nel 2018 non bisogna superare i 4.853,29 € mentre resta piu' alto il reddito per la pensione di inabilità civile pari a 16.664,36 € annui. Ai fini della concessione di tali prestazioni resta fermo il principio secondo il quale bisogna guardare solo al reddito del beneficiario della prestazione, con esclusione di quelli eventualmente percepiti dagli altri componenti del nucleo familiare a cominciare dal coniuge (ai sensi di quanto stabilito recentemente dall'articolo 10, comma 5 del Dl 76/2013). Le prestazioni possono godere della maggiorazione di 10,33 euro al mese prevista dall'articolo 70, comma 6 legge 388/2000 se l'invalido civile ha meno di 65 anni e al più robusto incremento al milione, previsto dai 60 anni con riferimento agli invalidi totali, ai sordomuti titolari di pensione speciale e ai ciechi assoluti, che consente, sempre a determinate condizioni di reddito personale e coniugale, di raggiungere un massimo di 643,86 euro al mese. L'ottenimento delle maggiorazioni sociali, come noto, è più difficile dato che il titolare della prestazione di invalidità deve rispettare determinati requisiti reddituali che tengono in considerazione non solo il reddito personale ma anche il reddito coniugale.
Da segnalare che nel 2018 l'assegno sociale sostitutivo o derivante dall'invalidità civile per gli invalidi parziali o totali potrà essere concesso non più a 65 anni e 7 mesi di età ma a 66 anni e 7 mesi per effetto dell'ultimo scalone previsto dalla Legge Fornero: l'importo base è pari a 368,91 euro al mese a condizione che il percettore rispetti i livelli di reddito personale sopra descritti previsti per il conseguimento delle prestazioni di invalidità civile. Alla cifra si può aggiungere la maggiorazione di €84,09 prevista dall'articolo 67 legge 448/1998 e dall'articolo 52 della legge 488/1999 (a condizione che il titolare rispetti particolari requisiti di reddito personale e coniugale).
L'indennità di comunicazione nel 2018 raggiunge i 256,21 euro al mese (a prescindere dal reddito del beneficiario) mentre l'importo della pensione speciale è pari a 282,55 euro al mese a condizione che il reddito annuo personale non splafoni i 16.664,36 euro. La pensione per i ciechi assoluti risulta pari a 305,56 euro al mese mentre quella prevista per i ciechi parziali (o assoluti ricoverati) è di 282,55 euro al mese, per entrambe il reddito annuo personale non deve superare i 16.664,36 euro.