Diritti di rogito, contributi pensionistici, trattamento accessorio e lavoro flessibile
Fonte:sole24ore di Gianluca Bertagna
La rubrica settimanale con le indicazioni sintetiche delle novità normative e applicative intervenute in tema di gestione del personale nelle pubbliche amministrazioni.
Diritti di rogito
I diritti di rogito spettano anche ai segretari comunali di fascia «A» e «B» che rogano contratti in enti privi di dirigenti. Peraltro, in ordine a tali emolumenti:
- l'Irap deve essere posta integralmente a carico dell'ente;
- gli oneri contributivi per Cpdel e Tfr vanno ripartiti tra ente e segretario comunale, ciascuno assumendo a proprio carico la quota di pertinenza;
- ai fini della corretta quantificazione delle somme, occorre applicare il criterio dello «stipendio teorico annuo» del segretario (e non il criterio dello «stipendio percepito»), con conseguente computabilità della 13esima mensilità nella base di calcolo da tenere in considerazione.
È questo, quanto statuito dal Tribunale di Busto Arsizio - in funzione del Giudice del Lavoro - con sentenza n. 446 del 13 novembre 2017, in relazione al ricorso di un segretario comunale volto a ottenere il pagamento delle somme a esso spettanti per il rogito di alcuni contratti, effettuato mentre era temporaneamente in servizio in alcuni enti privi di personale di qualifica dirigenziale.
Prescrizione contributi pensionistici
Con la circolare n. 169 del 15 novembre 2017, l'Inps ha effettuato la ricognizione della disciplina dell'istituto della prescrizione della contribuzione pensionistica dovuta alle casse della Gestione dei pubblici dipendenti e fornisce i chiarimenti in merito alla corretta regolamentazione da applicare in materia.
La circolare è adottata ad esito degli ulteriori approfondimenti sviluppati dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali in ordine ai profili normativi e operativi che afferiscono all'istituto in esame.
Razionalizzazione e limiti del trattamento accessorio
La Corte dei conti della Lombardia, con deliberazione n. 312/2017/PAR, evidenzia che la ratio della disciplina inerente i piani di razionalizzazione di cui all'articolo 16 del Dl 98/2011 è il miglioramento dei saldi di finanza pubblica e che la possibilità di utilizzare le eventuali economie, limitatamente al 50%, per la contrattazione integrativa costituisce un conseguente strumento di incentivazione nell'adozione dei piani di razionalizzazione, specificando, altresì, che, salvo espresse deroghe legislative (ad esempio recupero delle somme corrisposte in violazione dei vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa), i risparmi conseguiti costituiscono delle economie, definitivamente acquisite a bilancio.
Inoltre i magistrati contabili evidenziano come il nuovo articolo 23 del Dlgs 75/2017 si pone decisamente in linea di continuità con la normativa vincolistica precedente, di contenuto pressoché analogo, (articolo 9, comma 2-bis, del Dl 78/2010, articolo 1, comma 236, legge 208/2015) riguardante l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, sia pure nella riconosciuta diversità dei tetti di spesa succedutisi.
Ne deriva, quindi, che il limite di spesa per la contrattazione decentrata - fissato dall'articolo 23 del Dlgs 75/2017 – risulta superabile, secondo l'insegnamento della Sezione Autonomie con la deliberazione n. 34/SEZAUT/2016/QMIG solo nel caso di economie connesse «a specifiche iniziative volte al raggiungimento di puntuali obiettivi di incremento della produttività individuale del personale interno all'Amministrazione da realizzare mediante il diretto coinvolgimento delle unità lavorative in mansioni suppletive rispetto agli ordinari carichi di lavoro».
Assegnazione temporanea e limiti al lavoro flessibile
L'utilizzo di personale attraverso l'assegnazione temporanea di un dipendente di un consorzio ai sensi dell'articolo 23-bis, comma 7, del Dlgs n. 165/2001, non può essere escluso dal limite massimo di spesa per lavoro flessibile, ex articolo 9, comma 28, del Dl 78/2010 - come sostenuto nella deliberazione n. 12/SezAut/2017 QMIG della Sezione Autonomie - in quanto, in realtà, tale deliberazione riguarda l'istituto del comando.
È questo quanto sostenuto dalla Corte dei conti della Campania con deliberazione n. 247/2017/PAR. Per i magistrati, il comando, del resto, è considerato un'operazione di finanza neutrale che non incide sulla spesa degli enti coinvolti, «purché quella sostenuta dall'Ente cedente sia figurativamente considerata come spesa di personale», considerazione questa che non può essere automaticamente estesa al personale dei consorzi come nel caso in esame, il cui rapporto di lavoro è regolato, tra l'altro, da norme di tipo privatistico
Causa di servizio, la Pa non può limitarsi alla contestazione formale
di Giovanni La Banca
Nei procedimenti di riconoscimento di malattia dipendente da causa di servizio, il lavoratore è tenuto solo a osservare un onere di allegazione, specificando l'infermità denunziata, le circostanze che concorsero a provocarla, le cause che la determinarono e le sue conseguenze sull'integrità fisica, mentre l'amministrazione non può limitarsi ad una mera contestazione formale. Lo ha chiarito il Tar Pimonte, con la sentenza n. 1227/2017.
Rinnovo contratti Pubblico Impiego: la grande rincorsa
Fonte:gazzettaentilocali
Il tempo scorre e le trattative sui rinnovi contrattuali del Pubblico Impiego con il rintocco delle lancette che segnano l’ora della tornata elettorale che si fa sempre più assordante (“election day” previsto, con grandissima probabilità per il prossimo mese di marzo). Come segnalato dal Sole24Ore di ieri, politica e sindacati hanno lo sguardo fisso su un obiettivo comune: chiudere gli accordi entro Natale, almeno per i comparti più grandi, per far arrivare i soldi in busta paga ai dipendenti in tempo per l’appuntamento elettorale di primavera.
Rinnovo contratti Pubblico Impiego e Manovra 2018
Nel frattempo le questioni del Pubblico Impiego continuano ad assumere influenza anche sul confronto in merito alla Manovra 2018: il testo approvato dal Governo, oltre a completare il finanziamento dei nuovi contratti, apre le porte a 12mila assunzioni in varie amministrazioni, ma negli emendamenti ministeriali sono piovute nuove richieste di rafforzamento degli organici che costerebbero intorno ai 200 milioni.
Sindaci e Presidenti di Regione, poi, premono per essere aiutati a finanziare gli 1,6 miliardi abbondanti di costi per i nuovi contratti dei “loro” dipendenti. Il tutto mentre l’ampliamento del turn over negli Enti locali, deciso 6 mesi fa attraverso la manovrina correttiva, e l’avvio della maxi-staffetta generazionale prodotta dai pensionamenti mettono in calendario per l’anno prossimo almeno 80mila nuovi ingressi nella PA.
In relazione a ciò assumono rilievo le dichiarazioni di Umberto Di Primio, delegato Anci al Personale e Presidente del Comitato di settore Autonomie locali: “Il più importante elemento di novità in materia di Personale in questa Legge di Bilancio per l’anno 2018 riguarda il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro dei dipendenti pubblici, che, lo ricordo, sono fermi ormai da quasi dieci anni. Oltre al fondamentale aspetto retributivo, ci aspettiamo che il rinnovo del CCNL costituisca l’occasione per una necessaria semplificazione di regole, per superare tutte le stratificazioni che si sono generate in questi anni. In questo modo il confronto sulla contrattazione decentrata tra le singole amministrazioni e i sindacati si potrà svolgere su basi più solide già nel 2018. “Come Comitato di settore – ha proseguito Di Primio – abbiamo dato una direttiva molto chiara all’ARAN in questo senso: ora è necessario procedere celermente al rinnovo del contratto nazionale. Resta il nodo delle risorse, che deve essere sciolto con la legge di bilancio. Se i Comuni hanno subito negli anni i maggiori tagli ai trasferimenti e continuano oggi ancora a subire il blocco della leva fiscale, è necessario consentire almeno la possibilità di utilizzare, in deroga alle norme della contabilità armonizzata, gli accantonamenti del fondo pluriennale vincolato per una misura capace di coprire gli oneri.Questa può essere una soluzione utile per la maggior parte dei Comuni, resta l’esigenza di un trasferimento erariale in favore dei Comuni che consenta di liberare le risorse per onorare i contratti.
“Noi lo chiediamo perché vogliamo con forza – ha concluso Di Primio – riconoscere gli aumenti contrattuali ai nostri dipendenti e vogliamo farlo al più presto, per questo il mio appello al Parlamento è costruttivo e collaborativo: dateci la possibilità di onorare l’impegno con i nostri dipendenti”.
I riflessi sugli Enti locali
Oltre 3 milioni di dipendenti pubblici attendono: per loro il rinnovo dei contratti bloccati dal 2010 significa anche l’arrivo di un’una tantum alimentata dagli arretrati. Si tratta di circa 581 euro medi a testa, che saranno accreditati nel primo stipendio utile dopo la firma dei contratti.
Le direttive all’ARAN tornano inoltre a chiedere di dividere gli aumenti fra tabellare e fondi accessori, ma per gli arretrati l’impresa pare complicata. Per riuscire nell’impresa di portare far scattare gli aumenti prima delle urne, il tempo per il confronto è limitato alle prossime 3-4 settimane, perché prima della firma finale i contratti dovranno passare l’esame del ministero dell’Economia e della Corte dei conti.
I costi lordi dell’operazione sui contratti oltrepassano i 5 miliardi all’anno, e preoccupano soprattutto gli amministratori locali poiché il costo dei contratti si aggiunge a quello delle assunzioni rese possibile dal turn over ampliato solo pochi mesi fa. Sempre negli enti territoriali si concentrerà infine la maggioranza delle 50mila stabilizzazioni messe in programma dal piano straordinario triennale della riforma del pubblico impiego, la cui circolare attuativa è stata firmata la scorsa settimana (consultabile qui).
Responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione
Fonte:gazzettaentilocali
Attraverso l’ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. III, datata 24 novembre 2017, n. 5492 è stata rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la seguente questione
a) se la responsabilità precontrattuale sia o meno configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione;
b) se, nel caso di risposta affermativa, la responsabilità precontrattuale debba riguardare esclusivamente il comportamento dell’amministrazione anteriore al bando, che ha fatto sì che quest’ultimo venisse comunque pubblicato nonostante fosse conosciuto, o dovesse essere conosciuto, che non ve ne erano i presupposti indefettibili, ovvero debba estendersi a qualsiasi comportamento successivo all’emanazione del bando e attinente alla procedura di evidenza pubblica, che ne ponga nel nulla gli effetti o ne ritardi l’eliminazione o la conclusione.
Sulla questione sussiste un contrasto fra le Sezioni, necessitante di un intervento nomofilattico dell’Adunanza Plenaria. Alcune pronunce del Consiglio di Stato infatti, hanno cominciato a sostenere la sussistenza della responsabilità precontrattuale anche nella fase che precede la scelta del contraente, e quindi prima e a prescindere dall’aggiudicazione.
La giurisprudenza amministrativa successiva di recente ha tuttavia affermato, con un orientamento che si è andato progressivamente cristallizzandosi ed al quale aderisce anche la stessa Sezione terza, seppure con necessarie precisazioni e “concessioni” all’opposto indirizzo, che la responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione è connessa alla violazione delle regole di condotta tipiche della formazione del contratto e quindi non può che riguardare fatti svoltisi in tale fase. Perciò la responsabilità precontrattuale non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della Pubblica Amministrazione.
Da PensioniOggi:
Disabili, Arriva il Fondo per la Tutela dei Caregivers Familiari
Approvato dalla Commissione Bilancio di Palazzo Madama un emendamento alla Manovra che istituisce il Fondo di sostegno ai caregivers familiari. E' il primo passo per un testo di legge in materia.
Arriva il Fondo per il sostegno dei caregiver familiari. La Commissione Bilancio del Senato ha dato via libera all'unanimità all'emendamento (a prima firma Laura Bignami, ma poi sottoscritto da tutti i gruppi e da centinaia di senatori singolarmente) che stanzia 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020 per «la copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell'attività di cura non professionale del caregiver familiare».
La definizione del Caregiver
L'emendamento definisce il caregiver come «la persona che assiste e si prende cura del coniuge, di una delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, anche di un familiare entro il terzo grado, che a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata, o sia titolare di indennità di accompagnamento». I 60 milioni stanziati in tre anni saranno attinti dal fondo speciale di parte corrente, utilizzando in parte l'accantonamento del Ministero dell'economia. L'emendamento pur non prevedento interventi specifici per i caregivers è importante perchè apre la strada alla possibilità di sbloccare nei prossimi tempi l'approvazione di una legge che fissi le agevolazioni fiscali, lavoristiche e previdenziali per chi assiste e si prende cura di un disabile. Da diverso tempo la Commissione Lavoro del Senato sta tentando, infatti, l'approvazione di un testo unico di legge che disciplini in modo compiuto la figura del caregiver attribuendo al familiare specifiche agevolazioni (qui i dettagli). Lo stanziamento delle risorse è, quindi, il primo passo verso questa direzione.
Sacconi: bene caregiver, ora tentiamo legge
«L'approvazione unanime dell' emendamento che stanzia un primo (modesto) fondo a sostegno dei caregiver premia l'impegno lungo tutta la legislatura della senatrice Laura Bignami e la volontà unitaria della Commissione lavoro», scrive nel blog dell'Associazione amici di Marco Biagi il presidente della Commissione lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, (Energie per l'Italia). Spiegando che «il relatore dei ddl Angioni, Bignami, De Petris, senatore Pagano si era dimesso da relatore in assenza della disponibilità del Governo a finanziare il provvedimento». «Ora - aggiunge Sacconi -potremmo tentare l'approvazione di un testo unificato e dotato di copertura,» per dare «risposta alla domanda di tutela che sale dai molti invisibili che donano se stessi, ogni giorno, alla cura di un familiare gravemente disabile».
Esodati, Ultima Chance per la nona salvaguardia e opzione donna
Dopo la bocciatura degli emendamenti in Commissione Bilancio in Senato i Comitati puntano al passaggio della manovra alla Camera.
Proseguirà alla Camera il pressing per una nona salvaguardia pensionistica e la proroga dell'opzione donna al 2018. Dopo la bocciatura degli emendamenti alla manovra presentati in Commissione Bilancio al Senato l'ultima speranza per lavoratori e lavoratrici è riposta nel passaggio del provvedimento all'altro ramo del Parlamento, verso metà dicembre. La richiesta dei Comitati che rappresentano le istanze di questi lavoratori è di procedere all'approvazione di un ultimo provvedimento di salvaguardia pensionistica che faccia giustizia delle ultime platee di esclusi - circa 6mila lavoratori - riutilizzando gli ampi risparmi maturati nella settima e nell'ottava salvaguardia. I numeri del resto parlano chiaro.
A fronte degli oltre 30mila posti preventivati in occasione dell'approvazione dell'ottava salvaguardia, lo scorso anno, le domande effettivamente certificate dall'Inps con l'ultimo report di Ottobre sono risultate inferiori alla metà dei posti a disposizione tanto che con il recente decreto fiscale il Governo ha provveduto a rideterminare al ribasso il numero dei salvaguardati distraendo le risorse per altri scopi. Complessivamente dalle 174mila unità di salvaguardati previste con la settima si è scesi a 167mila con l'ottava e si è giunti ora a 153mila. Insomma i numeri - spiegano i Comitati - consentirebbero agevolmente il riutilizzo dei risparmi maturati per un provvedimento conclusivo volto a tutelare altre 6mila persone che per varie ragioni non sono riuscite a partecipare all'ottava salvaguardia per mancanza dei requisiti. In primis ci sono alcune centinaia di ex lavoratrici postali che hanno lasciato il lavoro con un incentivo all'esodo contando di traguardare la pensione entro pochi anni.
A sostegno delle loro richieste i Comitati saranno in Piazza il prossimo 2 Dicembre alla manifestazione nazionale indetta dalla Cgil contro la vertenza pensioni. Una data utile per sensibilizzare i partiti politici in vista del passaggio alla Camera della manovra.
Anche le lavoratrici che reclamano una proroga dell'opzione donna al 2018 - cioè della possibilità di pensionarsi all'età di 57 anni e 35 di contributi accettando il ricalcolo dell'assegno con il sistema contributivo - saranno in campo per far sentire la propria voce. "Nel nostro caso, denunciano le dirette interessate, c'è una specifica norma prevista dall'articolo 1, co. 281 della legge 208/2015 che consente la proroga del regime sperimentale oltre il 2015 utilizzando i risparmi maturati rispetto alle risorse messe a disposizione dal Governo con il citato intervento normativo che sostanzialmente è rimasta solo sulla carta". In Senato i gruppi di opposizione avevano sostenuto le loro ragioni con diverse proposte emendative salvo poi dover fare marcia indietro in occasione della votazione degli emendamenti in Commissione per la contrarietà dell'esecutivo ed il conseguente mancato sostegno dei senatori della maggioranza.
La partita si sposta dunque a dicembre alla Camera dove i gruppi contano sull'appoggio del Presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano, e dell'Onorevole Pd Maria Luisa Gnecchi che già in passato hanno dimostrato particolare attenzione a questi temi.
Pensioni, Per gli ex Inpdai l'assegno segue la regola del "pro rata"
La retribuzione di riferimento per determinare la quota di pensione riferita alle anzianità maturate presso il soppresso regime Inpdai va calcolata a ritroso dalla data di soppressione del Fondo.
Il calcolo della pensione nel regime ex-inpdai è soggetto al principio del pro rata. E pertanto la quota di pensione afferente ad anzianità maturate nella gestione Inpdai non deve essere calcolata sulla base degli ultimi 260 o 520 settimane di retribuzione prima del pensionamento ma esclusivamente sulla base delle ultime retribuzioni percepite dal dirigente al momento della soppressione del Fondo della Previdenza dei Dirigenti Industriali. Lo hanno stabilito i giudici della Corte di Cassazione con la Sentenza numero 19036 depositata lo scorso 31 Luglio 2017.
La questione
La causa riguardava un ex dirigente andato in pensione nel 2006 dopo la soppressione del fondo Inpdai e sua confluenza nell'Inps a partire dal 1° gennaio 2003. L'Inps aveva calcolato la quota di pensione riferita alle anzianità contributive maturate nella (ex) gestione Inpdai sino al 31.12.2002 prendendo a riferimento le ultime 260 o 520 settimane di retribuzione percepite dal dirigente precedentemente la soppressione del Fondo avvenuto, come noto, con l'articolo 42 della legge 289/2002 dal 1° gennaio 2003.
Il lavoratore lamentava una importante riduzione della misura del trattamento pensionistico considerato che aveva acquisito una crescita significativa delle retribuzioni solo negli ultimi anni prima del pensionamento che - seguendo l'impostazione Inps - non si sarebbe tradotta pienamente nella quota di pensione erogata dalla gestione DAI riferite alle anzianità maturate nella predetta gestione sino al 31.12.2002. Pertanto il pensionato aveva fatto ricorso in Tribunale risultando vittorioso sia in primo che in secondo grado di giudizio salvo poi soccombere in Cassazione.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte d'Appello aveva ritenuto, infatti, che il principio delpro rata si applicasse solo ai dirigenti che, alla data di soppressione dell'INPDAI, fossero ancora assicurati presso quest'ultimo, e non anche a quelli che, come parte controricorrente, erano nelle more passati alla gestione INPS per effetto del mutamento del proprio rapporto di lavoro, e conseguentemente che, per questi ultimi, la retribuzione pensionabile andasse calcolata con riferimento a quella maturata negli ultimi cinque e dieci anni e non già in relazione alle retribuzioni maturate durante il periodo di iscrizione all'INPDAI.
La Corte di Cassazione ha, tuttavia, smontato l'impostazione dei Tribunali di Merito chiarendo che la legge 289/2002 non ha prodotto un'unificazione dei periodi assicurativi tra AGO e Fondo INPDAI assimilabile alla ricongiunzione gratuita di cui all'articolo 52 del DPR 58/1976 con la conseguenza che, ai fini della liquidazione della pensione, la retribuzione pensionabile propria "dell'assicurato già iscritto all'INPDAI deve essere individuata in relazione alle retribuzioni che sarebbero state utili nel caso di un'ipotetica liquidazione del trattamento pensionistico da parte dell'INPDAI, e non anche con riguardo alle retribuzioni percepite negli ultimi cinque e dieci anni calcolati a ritroso dalla data del pensionamento". Tale criterio, prosegue la Corte, deve essere adottato senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti non più in costanza di assicurazione INPDAI alla data del 31.12.2002 in quanto non sussiste alcun elemento legislativo che suggerisca tale interpretazione.
In definitiva, a meno che il lavoratore non abbia esercitato la costituzione della posizione assicurativa ai sensi dell'articolo 22 del DPR 58/1976 o la ricongiunzione ex art. 1 della legge 29/79 della contribuzione dall'Inpdai all'Inps entro il 31.12.2002, prima cioè della soppressione del fondo, la quota di pensione da liquidare sulla base dell’anzianità contributiva maturata sino al 31 dicembre 2002 presso l’Inpdai, deve tener conto delle retribuzioni percepite dal dirigente in costanza di rapporto assicurativo con l’Inpdai prima della sua soppressione, e non sulla base delle retribuzioni percepite negli ultimi 5 e 10 anni andando a ritroso dalla data di decorrenza della pensione.
Secondo i giudici di Piazza Cavour, del resto "il rinvio dell'art. 42, I. n. 289/2002, all'art. 3, comma 7, d.lgs. n. 181/1997, nonché lo stesso meccanismo del pro-rata adottato nell'art. 42 cit., costituiscono manifestazione della volontà del legislatore di tenere distinti i due periodi assicurativi, in considerazione della diversità dei sistemi di calcolo adottati per ciascuno di essi, dando luogo a due distinte quote di pensione da determinare secondo autonomi criteri".
La decisione giunge dopo una analoga sentenza della Corte di Cassazione (la numero 4897 del 27 Febbraio 2017) che aveva già dato ragione all'Inps circa il meccanismo di calcolo applicazione ad un caso simile.