Piano straordinario di assunzioni per il superamento del precariato nella PA - ALLEGATA CIRCOLARE
FONTE:ILPERSONALE
Il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione ha firmato la circolare n.3/2017 applicativa di quanto previsto dal decreto legislativo 75/2017 (Testo Unico del pubblico impiego) in materia di lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni.
Dal 1° gennaio 2018 le amministrazioni pubbliche avranno la possibilità di procedere al proprio piano straordinario di assunzioni per il superamento del precariato nella PA.
Beneficiari
I primi due commi dell’articolo 20 del d.lgs. n. 75 del 2017 costituiscono i due pilastri portanti della possibilità che hanno le amministrazioni di avviare procedure di reclutamento speciale transitorio per il triennio 2018-2020.
L’articolo 20, comma 1, consente l’assunzione a tempo indeterminato del personale non dirigenziale, con contratto di lavoro a tempo determinato, che possegga tutti i seguenti requisiti:
a)risulti in servizio, anche per un solo giorno, successivamente alla data del 28 agosto 2015, con contratto di lavoro a tempo determinato presso l’amministrazione che deve procedere all’assunzione: all’atto dell’avvio delle procedure di assunzione a tempo indeterminato il soggetto potrebbe non essere più in servizio;
b) sia stato assunto a tempo determinato attingendo ad una graduatoria, a tempo determinato o indeterminato, riferita ad una procedura concorsuale;
c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze della stessa amministrazione che procede all’assunzione, fatto salvo quanto si dirà per gli enti del SSN e gli enti di ricerca, almeno tre anni di servizio anche non continuativi;
Adempimenti preliminari e piano triennale dei fabbisogni
L’articolo 20 del d.lgs. n. 75/2017 prevede che le procedure di reclutamento speciale ivi previste devono svolgersi in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, del d.lgs. 165/2001 e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria.
Le amministrazioni, anche ove intendano avviare le procedure di cui all’articolo 20 già a partire dal primo gennaio 2018 e comunque prima dell’adozione del piano dei fabbisogni o della scadenza del termine del suddetto articolo 22, appare opportuno che operino comunque una ricognizione del personale potenzialmente interessato e delle esigenze di professionalità da reclutare attraverso tali procedure.
A tal fine, è opportuno che le amministrazioni adottino in ogni caso un atto interno, nel rispetto delle forme di partecipazione sindacale, in cui diano evidenza del personale in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 20, distinguendo i destinatari del comma 1 da quelli del comma 2, e definiscano le ragioni delle loro scelte con riferimento all’an, al qua modo e al quando.
Dipendenti pubblici, con i nuovi contratti arrivano 581 euro di arretrati
Fonte:sole24ore di Gianni Trovati
La sabbia che scorre nella clessidra delle trattative sui rinnovi contrattuali del pubblico impiego è osservata con attenzione da politica e sindacati, che hanno un obiettivo comune: chiudere gli accordi entro Natale, almeno per i comparti più grandi, per far arrivare i soldi in busta paga in tempo per il doppio appuntamento elettorale di primavera. Perché oltre al Parlamento, e alle Regioni Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Lazio e Molise, si dovranno rinnovare le rappresentanze sindacali negli uffici pubblici.
Il versante della manovra
Ma le questioni del pubblico impiego continuano a dominare anche il confronto sulla manovra: il testo approvato dal governo, oltre a completare il finanziamento dei nuovi contratti, apre le porte a 12mila assunzioni sparse in varie amministrazioni, ma negli emendamenti ministeriali sono piovute nuove richieste di rafforzamento degli organici che costerebbero intorno ai 200 milioni. Sindaci e presidenti di regione, poi, premono per essere aiutati a finanziare gli 1,6 miliardi abbondanti di costi per i nuovi contratti dei “loro” dipendenti, in una partita che nella sanità si intreccia con la battaglia intorno al super-ticket. Il tutto mentre l'ampliamento del turn over negli enti locali, deciso a primavera con la manovrina, e l'avvio della maxi-staffetta generazionale prodotta dai pensionamenti mettono in calendario per l'anno prossimo almeno 80mila nuovi ingressi nella Pa al netto della scuola.
L’una tantum
Il groviglio è intricato, e la speranza che si dipani in fretta, oltre a partiti e sindacati, anima in modo ancora più diretto l'interesse dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici. Per loro il rinnovo dei contratti bloccati dal 2010 significa anche l'arrivo di un'una tantum alimentata dagli arretrati. Non è un dettaglio, perché si tratta di circa 581 euro medi a testa, che saranno accreditati nel primo stipendio utile dopo la firma dei contratti. L'arretrato non compensa i lunghi anni di stop alla contrattazione, perché la sentenza della Corte costituzionale che a luglio 2015 ha imposto di riattivare i rinnovi ha considerato legittimo il blocco imposto fin lì ai dipendenti pubblici. In freezer, a partire dalla manovra 2016, hanno però cominciato ad accumularsi i fondi per le nuove intese, che hanno dovuto aspettare la riforma dei comparti prima (i contratti nazionali saranno 4 invece dei vecchi 11) e quella del pubblico impiego poi. La prima manovra varata dal governo Renzi dopo la sentenza costituzionale ha voluto dare poco più che un segnale, mettendo sul piatto 300 milioni di euro che nella pubblica amministrazione centrale (ministeri, enti pubblici nazionali, agenzie fiscali e così via) si traducono in circa 9 euro lordi al mese. In sanità, regioni, enti locali e università le singole amministrazioni hanno dovuto accantonare una cifra in grado di dare gli stessi effetti. Per calcolare l'una tantum, i 9 euro vanno moltiplicati per le 13 mensilità del 2016 e per le altrettante di quest'anno, quando però si sono aggiunti i 900 milioni di euro messi a disposizione dalla scorsa legge di bilancio. Per ogni mensilità di quest'anno, quindi gli 8,9 euro targati 2016 si accompagnano ai 26,8 finanziati con i nuovi fondi, per un totale che si ferma poco sotto i 36 euro. Il riassunto porta quindi a un arretrato medio da 581 euro e qualche centesimo.
Tempi stretti
Questa una tantum è «media» come sono «medi» gli 85 euro lordi promessi a regime dall'intesa governo-sindacati del 30 novembre 2016, e coperti del tutto per lo Stato dalla legge di bilancio in discussione al Senato. La strategia del governo punta a differenziare i ritocchi contrattuali in base alla busta paga, secondo uno schema della «piramide rovesciata» che dovrebbe tutelare di più i redditi più bassi. Ma saranno i tempi stretti delle trattative a definire il quadro. Le direttive all'Aran, l'agenzia che rappresenta la Pa al tavolo delle trattative, tornano anche a chiedere di dividere gli aumenti fra tabellare e fondi accessori, ma per gli arretrati l'impresa pare complicata. Per riuscire nell'impresa di portare far scattare gli aumenti prima delle urne, il tempo per il confronto è limitato alle prossime 3-4 settimane, perché prima della firma finale i contratti dovranno passare l'esame del ministero dell'Economia e della Corte dei conti. Il traguardo potrebbe essere alla portata della Pa centrale, mentre per gli altri settori servirebbe un colpo di reni difficile da prevedere. I costi lordi dell'operazione sui contratti superano i cinque miliardi all'anno, e preoccupano soprattutto gli amministratori locali per due ragioni: nei loro bilanci si sente solo marginalmente l'effetto-ritorno prodotto sui conti della Pa centrale dalle entrate fiscali e contributive aggiuntive prodotte dagli aumenti (in termini di indebitamento netto, gli 1,7 miliardi in più messi dallo Stato per il 2018 valgono invece “solo” 850 milioni), e il costo dei contratti si aggiunge a quello delle assunzioni rese possibile dal turn over ampliato solo pochi mesi fa. Sempre negli enti territoriali si concentrerà la maggioranza delle 50mila stabilizzazioni messe in programma dal piano sraordinario triennale della riforma del pubblico impiego, la cui circolare attuativa è stata firmata giovedì.
. Per gli statali in arrivo sullo stipendio di gennaio quasi 600 euro una tantum per gli arretrati
Fonte:sole24ore
L'obiettivo è chiudere l'accordo entro Natale, le risorse sul primo stipendio utile
Una tantum sul primo stipendio utile dopo la firma dei contratti. E non da poco: circa 580 euro. È quanto riporta il Sole 24 Ore a proposito degli arretrati per i contratti dei dipendenti del pubblico impiego che, com'è noto, vedono il loro stipendio bloccato dal 2010. Scrive il Sole che "l'arretrato non compensa i lunghi anni di stop alla contrattazione, perché la sentenza della Corte costituzionale che a luglio 2015 ha imposto di riattivare i rinnovi ha considerato legittimo il blocco imposto fin lì ai dipendenti pubblici".
Nel frattempo, però, a partire dal 2016 si sono accumulati i fondi per le nuove intese in attesa della riforma dei comparti e del pubblico impiego.
La prima manovra varata dal governo Renzi dopo la sentenza costituzionale ha voluto dare poco più che un segnale, mettendo sul piatto 300 milioni di euro che nella pubblica amministrazione centrale si traducono in circa 9 euro lordi al mese. Per calcolare l'una tantum i 9 euro vanno moltiplicati per le 13 mensilità del 2016 e per le altrettante di quest'anno, quando però si sono aggiunti i 900 milioni di euro messi a disposizione della scorsa legge di bilancio. Per ogni mensilità di quest'anno, quindi gli 8,9 euro targati 2016 si accompagnano ai 26,8 finanziati con i nuovi fondi per un totale che si ferma poco sotto i 36 euro. Il riassunto porta quindi aun arretrato medio da 581 euro e qualche centesimo.
Ferie obbligate prima della pensione – la corte di cassazione dice si
Allegata la sentenza
Con la sentenza n.27206/2017 la corte di cassazione sancisce la legittimità da parte del datore di lavoro di imporre, prima della cessazione del rapporto di lavoro, la fruizione “obbligata” delle ferie e dei riposi compensativi non goduti, anche al fine di prevenire richieste di pagamento della relativa indennità sostitutiva.
CONGEDO PER MALATTIA DEL FIGLIO E TREDICESIMA MENSILITA’ – ORIENTAMENTO ARAN
RAL_1954_Orientamenti Applicativi
I trenta giorni di congedo per malattia del figlio, di cui all’art.17, comma 6, del CCNL del 14.9.2000, sono utili ai fini del computo della tredicesima mensilità?
I congedi per malattia del figlio determinano la maturazione dei ratei della tredicesima mensilità solo nell’ambito dei trenta giorni retribuiti per intero previsti dall’art.17, comma 6, del CCNL del 14.9.2000. A tal fine, si richiamano le espresse previsioni dell’art.5, comma 9, del CCNL del 9.5.2006, secondo le quali: “…. i ratei giornalieri della tredicesima spettano comunque per i periodi di congedo parentale e di congedo per malattia del figlio per i quali è prevista la corresponsione della retribuzione per intero, secondo la disciplina dell’art.17, commi 5 e 6, del CCNL del 14.9.2000.”
Ferie durante il preavviso per dimissioni
Fonte:legge per tutti L’AUTORE: Noemi Secci
Il lavoratore che si dimette può beneficiare delle ferie e dei permessi durante il periodo di preavviso?
Hai presentato le dimissioni dal posto di lavoro e vorresti non metterci più piede? Purtroppo, anche se hai molte ferie e parecchi permessi da smaltire, sei tenuto a lavorare nel periodo di preavviso, a meno che tu non abbia presentato le dimissioni per giusta causa o durante il periodo di prova, perché in questi casi il rapporto di lavoro cessa immediatamente.
In pratica, una volta presentate le dimissioni telematiche, non hai più la possibilità di fruire di ferie o permessi a vario titolo senza che queste assenze sospendano il periodo di preavviso, a meno che tu non stipuli un diverso accordo col datore di lavoro.
Ferie, permessi e preavviso
Le ferie e le varie assenze retribuite, come i permessi ex festività, aggiuntivi e i rol (riduzione orario di lavoro), difatti, interrompono la decorrenza del periodo di preavviso, quindi la data di termine del rapporto di lavoro viene spostata in avanti di conseguenza: ad esempio, se hai maturato ferie e i permessi per un totale di 23 giorni, devi spostare di 23 giornate (lavorative, senza includere nel computo i giorni di riposo settimanale) la data di fine rapporto.
Se lo slittamento non avviene, dovrai pagare al datore di lavoro un’indennità corrispondente alle giornate del preavviso non lavorate, a meno che con un accordo (ti consiglio di stipulare un accordo scritto) l’azienda non rinunci a quelle giornate di preavviso.
Chi stabilisce la fruizione di ferie e permessi
In ogni caso, devi ricordare che non puoi godere delle ferie e dei permessi a tua discrezione, ma deve esserci un preventivo accordo col datore di lavoro, al quale spetta sempre “l’ultima parola”: il codice civile [Art.2109 Cod. Civ.], infatti, dispone che sia il datore di lavoro a stabilire il periodo annuale di ferie retribuite, possibilmente continuativo, nel rispetto del periodo minimo previsto dalle leggi (in questo caso il decreto sull’orario di lavoro [DLgs. n. 66/2003.]) e dalla contrattazione collettiva.
Pertanto, anche hai diversi arretrati di ferie e permessi da smaltire, senza il consenso del datore di lavoro non puoi assentarti: ad ogni modo, se il datore di lavoro non rispetta il periodo di fruizione minimo previsto dalla normativa (ogni anno maturano 4 settimane di ferie, delle quali 2 devono essere fruite nell’anno di maturazione e altre 2 entro 18 mesi dall’anno di maturazione) è passibile di pesanti sanzioni.
Monetizzazione delle ferie e dei permessi
Le ferie minime annue pari a 4 settimane sono irrinunciabili, e sono monetizzabili (cioè convertibili con un’indennità in denaro) solo alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre i permessi e le ferie aggiuntive previste dalla contrattazione collettiva sono monetizzabili: pertanto, se il datore di lavoro non consente lo smaltimento di ferie e permessi arretrati deve pagare i ratei residui alla cessazione del rapporto.
Non dimenticare, poi, che durante il periodo di preavviso ferie e permessi maturano normalmente, quindi l’azienda dovrà pagare anche i ratei maturati durante il preavviso, se non consentirà la fruizione di queste ulteriori assenze.
· se fruisci di ferie e permessi durante il periodo di preavviso, queste sospendono il preavviso stesso e, di conseguenza, spostano in avanti la data di termine del rapporto, per un numero di giornate corrispondente alle giornate di assenza;
· se il datore di lavoro non concorda con lo slittamento della data di fine rapporto, le giornate di assenza devono essergli indennizzate;
· è comunque possibile firmare un accordo col datore di lavoro, in cui questi rinuncia al preavviso per un numero di giornate corrispondente alle assenze da fruire (ci si potrebbe anche accordare per la fruizione e la rinuncia al preavviso solo per una parte delle ferie e dei permessi spettanti);
· non bisogna poi dimenticare che non è mai possibile fruire di ferie e permessi a proprio piacimento, ma ci si deve sempre accordare col datore di lavoro;
· in ogni caso, i ratei di ferie e di permessi non goduti, più quelli maturati e non goduti durante il periodo di preavviso devono essere liquidati al termine del rapporto.
Confermati gli obblighi di pubblicare gli emolumenti dei dirigenti
FONTE:GAZZETTA ENTI LOCALI
Sono stati confermati gli obblighi di pubblicare gli emolumenti complessivi a carico della finanza pubblica percepiti dai dirigenti. La circostanza in base alla quale il TAR Lazio, con ordinanza n. 9828 dello scorso 19 settembre, ha sollevato questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta nei confronti dell’art. 14, co. 1-ter, del d.lgs. 33/2013 non ha infatti alcun effetto sospensivo. A chiarirlo è il comunicato del presidente ANAC dell’8 novembre, dopo che – a seguito del suddetto pronunciamento del Tribunale amministrativo – sono pervenute all’Autorità richieste di chiarimenti in ordine all’applicazione della norma. L’Autorità aveva già precisato le circostanza con il comunicato dello scorso 17 maggio, dopo aver sospeso gli obblighi di pubblicare le dichiarazioni patrimoniali dei dirigenti e gli importi dei viaggi di servizio e delle missioni pagati con fondi pubblici. Tale decisione è stata in seguito confermata nelle adunanze del 27 settembre e dell’8 novembre.
Da PensioniOggi:
Pensioni, Il Senato approva la dispensa dai 67 anni per i lavori gravosi
· fonte:pensionioggi
Esteso sino a sette anni l'assegno di esodo previsto dalla legge Fornero per incentivare le uscite nelle imprese del settore privato con più di 15 dipendenti.
Primo ok in Commissione Bilancio al Senato al pacchetto di modifiche proposte dal Governo in materia pensionistica. La Commissione di Palazzo Madama ha approvato l'emendamento governativo che recepisce l'accordo con i sindacati (Cisl e Uil, perchè la Cgil si è sfilata) dello scorso 21 novembre. La versione è stata approvata senza modifiche rispetto a quanto anticipato nei giorni scorsi da PensioniOggi.it (si vedano i servizi di Sabato 25 novembre 2017 e di Domenica 26 Novembre 2017) ed in settimana è atteso il via libera dell'Aula del Senato.
Lo stop riguarda 14.600 soggetti nel 2018 che crescono a oltre 20mila unità negli anni successivi. La modifica sospende il successivo adeguamento alla speranza di vita - per il biennio 2019-2020 - per il conseguimento della pensione di vecchiaia e della pensione anticipata con riferimento, però, alle sole categorie dei cd. lavori gravosi ed usuranti che soddisfino determinati requisiti. Costo dell’operazione quasi nullo il prossimo anno, poi si sale a 100 milioni nel 2019 fino ad arrivare a quota 300 milioni.
Alla misura si accompagna una revisione del meccanismo di adeguamento alla speranza di vita dal 2021 (in realtà poca roba rispetto alle aspettative dei sindacati perchè comunque il meccanismo resta confermato), l'istituzione didue commissioni che dovranno accertare l'incidenza delle professioni svolte sull'aspettativa di vita (con l'obiettivo, non fissato per iscritto, di ampliare nei prossimi anni le categorie degli esentati dagli adeguamenti) e la separazione della previdenza dall'assistenza.
Previdenza integrativa
Il disco verde della Commissione Bilancio riguarda anche la detassazione della previdenza integrativa per i dipendenti pubblici sulla falsariga di quanto già previsto per i privati che dovrebbe consentire di raddoppiare le adesioni degli statali alle “forme complementari”. Bocciati invece la maggior parte degli emendamenti proposti dai partiti politici a cominciare dalla proroga dell'opzione donna al 2018 e all'ampliamento del perimetro dell'Ape sociale e la sua proroga al 2019. Questi temi, ha indicato il rappresente del Governo in Commissione Bilancio, saranno affrontati verso metà dicembre quando il provvedimento sarà vagliato dalla Camera.
Le novità su APE e Precoci
Passano per ora solo le novità già proposte nella versione iniziale della legge di bilancio: lo sconto per le madri di sei mesi sui requisiti contributivi per l'ape sociale per ogni figlio entro un limite di due anni e l'apertura dell'ape sociale/beneficio precoci per i lavoratori la cui disoccupazione derivi dalla scadenza di un contratto a termine a condizione che l'interessato nei tre anni precedenti la cessazione del rapporto, abbia avuto periodi di lavoro dipendente per almeno 18 mesi. Ok anche alla proroga dell'Ape volontario di un anno, sino al 31.12.2019, ai correttivi sulla RITA che viene resa più flessibile e all'ampliamento dei destinatari del reddito di inclusione.
L'assegno di esodo Fornero passa da 4 a 7 anni
Tra i pochi correttivi di iniziativa parlamentare che salgono sulla manovra c'è l'ampliamento dell'assegno di esodo previsto dall'articolo 4 della legge 92/2012. Nello specifico sale da 4 a 7 anni il periodo di accompagnamento alla pensione (la cd. isopensione) nei casi di eccedenza di personale in imprese con più di 15 dipendenti per ristrutturazione aziendale, fermo restando un accordo sindacale. Si tratta di una misura fotocopia a quella prevista per i bancari che con la scorsa manovra hanno ottenuto l'incremento dell'assegno straordinario di sostegno al reddito pagato dal fondo settoriale da cinque a sette anni.
Il meccanismo introdotto dalla Commissione consentirà un anticipo dell'età pensionabile sino ad un massimo di 7 anni rispetto alla normativa Fornero a patto che l'azienda esodante corrisponda, con oneri interamente a suo carico, un assegno ai lavoratori di importo equivalente alla pensione per l'intero periodo di esodo, sino al perfezionamento dei requisiti per il pensionamento (sia di vecchiaia che dell'anticipata). La misura è a costo zero per lo Stato ed è per questo che si è trovata un'intesa in Commissione (è l'azienda che si assume tutti i costi per spedire a casa il personale). E peraltro si aggiunge all'ape aziendale, come ulteriore strumento a disposizione delle aziende, per incentivare l'uscita dei lavoratori "anziani".
Riforma Pensioni, Ecco cosa Cambia dopo il Vertice con i Sindacati
· FONTE:PENSIONIOGGI Scritto da Bernardo Diaz
Palazzo Chigi conferma l'esenzione dall'aumento dei requisiti di pensionamento per le categorie di lavoratori in condizioni di maggior disagio.
La presentazione dell'emendamento sulle pensioni da parte del Governo consente di fare un primo punto sui correttivi che dovrebbero entrare in vigore con la legge di bilancio. La proposta dell'esecutivo, adottata in esito al confronto con la parte sindacale dello scorso 21 novembre 2017, prevede la sospensione del prossimo adeguamento biennale della speranza di vita sarà sospeso nei confronti delle 15 attività (le undici dell'Ape sociale più altre quattro categorie tra cui agricoli, marittimi, pescatori e siderurgici) nonchè degli addetti ai lavori usuranti e notturni di cui al Dlgs 67/2011 condizione che tali attività risultino svolte per almeno sette anni negli ultimi dieci prima del pensionamento unitamente ad un requisito contributivo minimo di 30 anni.
La sospensione dell'adeguamento riguarderà i requisiti per la pensione di vecchiaia (66 anni e 7 mesi) e della pensione anticipata standard (42 anni e 10 mesi di contributi; 41 anni e 10 mesi le donne). Che dunque resteranno fermi sino al 31.12.2020 salvo ulteriori proroghe. Non guadagnano la sospensione dell'adeguamento, invece, i lavoratori precoci nei confronti dei quali dal 2019 il requisito contributivo ridotto salirà dai 41 anni attuali a 41 anni e 5 mesi di contributi.
La mappa sottostante, elaborata da PensioniOggi.it, consente di comprendere le modifiche proposte dall'esecutivo con l'emendamento alla legge di bilancio che si appresta ad essere votato al Senato. Qui ulteriori dettagli sulla proposta governativa.
Non ci sarà, invece, alcun beneficio per gli altri lavoratori comprese le platee degli attuali apisti social nel profilo dedicato ai lavoratori disoccupati, agli invalidi, ai caregivers e neanche per coloro che, rientrando nei lavori gravosi, hanno ottenuto l'ape sociale: dal 2019 l'età per la pensione di vecchiaia salirà a 67 anni (sia per gli uomini che per le donne) mentre quella per l'anticipata raggiungerà i 43 anni e 3 mesi di contributi e a 42 anni e 3 mesi per le donne.
Per ora l'emendamento del Governo non ha sostenuto neanche l'ampliamento delle categorie dell'Ape sociale. L'esecutivo ha, come noto ha indicato (qui i dettagli) la volontà di irrobustire il beneficio contributivo per le donne (passando dagli attuali sei mesi per ogni figlio ad un anno entro il tetto massimo di 2 anni) e di estendere l'ape sociale (da 63 anni e 36 di contributi) anche nei confronti delle altre quattro categorie, sopra descritte, che avranno titolo ad ottenere la sospensione del prossimo adeguamento della speranza di vita. Tali modifiche saranno però sostenute dal Governo solo una volta accertati i risparmi sulle attuali risorse stanziate per l'Ape sociale. Dunque occorrerà attendere.
Modifiche marginali per i sindacati, soprattutto per la Cgil, che chiedeva un'esenzione più robusta e non limitata a poche fasce di lavoratori e che si è sfilata dalla discussione annunciando una mobilitazione nazionale per il 2 dicembre. Non è detto che da qui a dicembre la discussione parlamentare non imbarchi ulteriori correttivi e limature.
Pensioni, Ancora in Stand-by il prestito pensionistico
· FONTE:PENSIONIOGGI Scritto da Franco Rossini
Attesa nei prossimi giorni la convenzione che fissa i tassi e, quindi, i costi per accedere all'Anticipo Pensionistico volontario.
Cresce l'attesa per il debutto dell'anticipo pensionistico. Governo, ABI ed Ania hanno raggiunto nei giorni scorsi l'intesa sulle convenzioni che fissano i tassi da applicare per l'erogazione del prestito pensionistico. E dunque compie un altro passo avanti la difficile partita per far decollare l'anticipo pensionistico. La convenzione fissa il tasso di interesse per accedere al finanziamento assicurato, rimborsabile con un rateo ventennale: sarà pari al 2,75% durante la fase di accumulo e al 2,85% in fase di ammortamento. Dunque non molto distante dalle ipotesi del Sottosegretario Nannicini dello scorso anno.
A questi costi dovrà aggiungersi la copertura assicurativa obbligatoria per il rischio premorienza, assistita, in ultima istanza, dalla garanzia dello Stato e la commissione di accesso al fondo di garanzia pari all'1,6% del capitale assicurato. Alla convenzione hanno aderito però solo due istituzioni bancarie: Unicredit e Banca Intesa segno che la misura ha scarso appeal, a queste condizioni, per le banche minori. Cinque, invece, le società assicurative che assisteranno al debutto dell’Ape: Generali, Unipol, Allianz, Poste e Cattolica. Il lavoratore al momento della richiesta avrà dunque una limitata scelta circa gli istituti da scegliere. Le convenzioni dovranno ora essere pubblicate in Gazzetta Ufficiale e solo a quel punto la partita entrerà nel vivo.
Nonostante il passo avanti la concreta erogazione del prestito difficilmente avverrà prima della prossima primavera anche se gli interessati dovrebbero aver la possibilità di inoltrare la domanda già prima della fine dell'anno. Inoltre è bene ricordare che si potrà chiedere la corresponsione degli arretrati dalla data di perfezionamento dei requisiti per l'ape (63 anni, 3 anni e 7 mesi dalla pensione di vecchiaia, e 20 anni di contributi) purchè non anteriormente al 1° maggio 2017 e quelli dell'entrata in vigore del DPCM 150/2017 (18 Ottobre 2017) richiedendoli espressamente al momento della presentazione della domanda di APE. La facoltà di richiedere gli arretrati sarà riconosciuta sino al 18 Aprile 2018 (cioè sino a sei mesi dopo l'entrata in vigore del predetto DPCM).
Le questioni da chiarire
Molti ancora gli aspetti da chiarire: c'è in particolare la questione dell'Ape aziendale, cioè del contributo erogato dal datore di lavoro per sostenere i costi dell'esodo anticipato, la possibilità di cumulare l'Ape volontario con l'Ape sociale ottenendo l'erogazione della quota aggiuntiva della pensione non coperta dall'Ape sociale, la cumulabilità dello strumento con la disoccupazione (circostanza non regolata nella legge istitutiva nè nel DPCM 150/2017) sulla quale pare prevalere l'ipotesi negativa; la possibilità di cumulare la contribuzione mista per raggiungere i 20 anni di contributi o la contribuzione estera; le modalità del riconoscimento del credito d'imposta sul 50% degli interessi del prestito e del premio assicurativo; gli effetti della speranza di vita sull'operazione.
Il finanziamento supplementare
Su quest'ultimo punto si è fatto un passo avanti con il DPCM 150/2017: il lavoratore dovrà indicare subito nella domanda Ape se si è orientato a optare o meno per un finanziamento supplementare, con conseguente maggiorazione dell’importo della rata mensile per restituire il prestito, nel caso in cui (com’è scontato) nel 2019 scatti in avanti di cinque mesi l’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita e nel 2021 un ulteriore scatto di altre tre mesi. Qualora il lavoratore non lo farà resterà senza copertura economica tra la fine del prestito e l'effettivo ingresso in pensione. Dunque è bene esserne consapevoli.
Quanto alla misura massima ottenibile l'Ape avrà un tetto diversificato a seconda dell'anticipo richiesto. Per non impattare troppo sulla restituzione del prestito. Si potrà riscuotere sino al 90% della pensione netta maturanda, certificata dall'Inps, a condizione che l'anticipo richiesto non superi un anno, l'importo scende ad un massimo dell'85% nel caso di anticipo da 12 a 23 mesi, all'80% per anticipi tra 24 e 35 mesi e al75 % nel caso l'anticipo richiesto sia pari o superiore ai tre anni rispetto al pensionamento nel regime obbligatorio.
Statali, Al via il Piano Straordinario di assunzioni per i precari della PA
· Domenica, 26 Novembre 2017 11:52
· FONTE:PENSIONIOGGI Scritto da Bernardo Diaz
Il Piano interesserà circa 50mila lavoratori con contratto a tempo determinato con almeno tre anni di servizio, anche non continuativo, negli ultimi otto anni.
Il Ministero della Funzione Pubblica sblocca il Piano straordinario di assunzioni per i precari della PA. E' stata, infatti, pubblicata lo scorso 23 Novembre 2017 la Circolare della Funzione Pubblica numero 3/2017 nella quale il dicastero detta le istruzioni per attuare l'articolo 20 del Dlgs 75/2017 (Riforma Madia).
Il piano sarà articolato sul triennio2018-2020 al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato ed interesserà tutte le pubbliche amministrazioni, anche quelle territoriali.
La Circolare della Funzione Pubblica precisa che le amministrazioni potranno, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni e con l'indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che successivamente alla data del 28 Agosto 2015 abbia prestato servizio, anche per un solo giorno, con contratti a tempo determinato o risulti titolare di uncontratto flessibile (es. una collaborazione coordinata e continuativa) presso l'amministrazione che procede all'assunzione. Il piano straordinario è rivolto ai soggetti che abbiano maturato alle dipendenze dell'amministrazione che procede all'assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni. Per i lavoratori a tempo determinato è necessario, inoltre, risultare già selezionato dalla medesima amministrazione con procedure concorsuali.
Le procedure concorsuali riguarderanno procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga i seguenti requisiti.
Dal piano straordinario sarà escluso il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, alle Istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, agli enti pubblici di ricerca e per il reclutamento del personale medico, tecnico-professionale e infermieristico del Servizio sanitario nazionale, nei confronti dei quali resta confermata la normativa già contenuta nella legge 208/2015 (che ha disposto l'efficacia dei contratti a tempo determinato sino al 31 dicembre 2018 al fine dell'indizione delle procedure concorsuali straordinarie, e sino al 31 dicembre 2019 per la loro conclusione, e al 31 ottobre 2018 per la stipula di nuovi contratti di lavoro flessibile) nonchè per i comuni che in ciascuno degli anni del quinquiennio 2012-2016 non abbiano rispettato i vincoli di finanza pubblica.