FONTE: http://www.orizzontescuola.it/
Come abbiamo già riferito, sono iniziati gli incontri all’Aran che condurranno al rinnovo del contratto.
Con l’incontro, svoltosi oggi con tutte le confederazioni sindacali, è stato avviato il confronto sui diversi temi che saranno affrontati nei vari tavoli di contrattazione sui diversi comparti del pubblico impiego.
Nell’incontro odierno, come riferito dall’Aran, è stato anche definito il calendario delle prossime riunioni.
Il 28 agosto si svolgerà un altro incontro per affrontare alcune tematiche comuni ai vari comparti, mentre il 31 sarà convocato il tavolo delle Funzioni centrali, che affronterà il tema degli istituti del rapporto di lavoro (malattie, permessi, coordinamento delle norme in materia disciplinare).
Il tavolo di contrattazione sulla scuola (che, ricordiamolo, è confluita nel comparto “Istruzione e Ricerca”), sarà convocato nella prima settimana di settembre.
ARAN- UIL -Foccillo e i Segretari Generali del Pubblico Impiego: aperta la stagione dei rinnovi contrattuali
“ L´incontro di oggi con l´Aran ha formalmente aperto la stagione dei rinnovi contrattuali, con un preciso calendario di incontri. È qui che abbiamo ribadito la nostra posizione: in primo luogo che gli 85 euro si riferiscono al solo tabellare, come stabilito dall’accordo che il Governo si è impegnato a rispettare; in secondo luogo che gli 80 euro del bonus Renzi sono parte integrante del contratto e pertanto vanno finanzianti al di fuori delle risorse stabilite per gli incrementi del triennio. Non ci premono, tuttavia, solo gli aspetti strettamente economici che, però, alla luce dei dati forniti dalla Ragioneria dello Stato, meritano il reperimento di risorse aggiuntive.
La stagione che abbiamo davanti, oltre a ristabilire la normale vita delle relazioni sindacali, dopo la lunga sospensione della democrazia sindacale, deve riportare il sistema alla sua fisiologia, a partire dal ripristino della triennalità contrattuale. Questa stagione potrà essere proficua, oltre che dal punto di vista economico, se si sfrutterà l’occasione per agire bene sulla parte normativa del contratto con l’obiettivo di delegificare quanto più possibile la disciplina del rapporto di lavoro, ripristinando nuove relazioni sindacali con la piena partecipazione, ridando il ruolo di vero soggetto contrattuale, economico e normativo al sindacato, sia a livello nazionale che su quello della contrattazione decentrata.
Siamo soddisfatti del calendario concordato oggi, che prevede in tempi brevi la prosecuzione e l'avvio dei tavoli negoziali, confederali e di categoria.
Per tutti i settori, alla ripresa dalla pausa estiva, saranno convocati tavoli congiunti di comparto ed area dirigenziale non appena perverranno all'Aran i relativi atti di indirizzo, che sono in dirittura di arrivo.
Il prossimo 28 agosto si inizia con il tavolo delle Confederazioni per proseguire l'esame delle tematiche comuni a tutte le aree ed i comparti. Il 31 dello stesso mese è fissato un nuovo incontro per il comparto delle Funzioni centrali. Tra il 5 e il 7 settembre saranno attivati i tavoli di comparto mancanti, dalla Sanità, all’Istruzione, Università e Ricerca, per finire con le Funzioni Locali.
In conclusione vogliamo chiudere al più presto i contratti pubblici e, soprattutto, bene.”
Incarichi extra, la richiesta di autorizzazione non può essere retroattiva
Fonte:sole24ore di Giuseppe Nucci
La richiesta di autorizzazione, per i dipendenti pubblici, a svolgere attività extraprofessionali occasionali non può avere natura retroattiva ed il diniego della richiesta è valido anche se non viene comunicato all’interessato il preavviso di rigetto in quanto esso trova fondamento in norme di legge con conseguente “prosciugamento” degli ambiti discrezionali riconosciuti all’Amministrazione.
Sono questi i principi affermati dalla sentenza n. 263/2017 del Tar per l’Emilia Romagna – sezione di Parma.
Il diverbio dei militari
Un professore ordinario chiedeva di essere autorizzato “ora per allora” ad assumere l’incarico di membro del consiglio di amministrazione di una banca ottenendo, però, un diniego da parte del rettore dell’università che riteneva la richiesta inaccoglibile.
Il docente impugnava il citato provvedimento deducendo che:
- tale atto poggiava su un parere interpretativo del Dipartimento della funzione pubblica mentre l’articolo 6, L. n. 168/1989 escluderebbe portata vincolante alle circolari ministeriali riconoscendo che le Università sono soggette unicamente alla legge, ai loro statuti e regolamenti;
- era stata omessa la comunicazione del preavviso di rigetto previsto dall’articolo 10 bis, L. n. 241/1990.
Il Tar rigettava il ricorso, condannando il professore anche al pagamento delle spese di giudizio.
Il divieto di autorizzazione con effetto retroattivo
Il Giudice riteneva corretta la decisione dell’Università di non autorizzare ad effetto retroattivo l’incarico presso la società bancaria precedentemente assolto richiamando:
- l’articolo 53, comma 7, Dlgs n. 165/2001 che dispone che “i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza”;
- con specifico riferimento all’Università, l’articolo 6, comma 10, L. n. 240/2010 secondo il quale “i professori e i ricercatori a tempo pieno possono svolgere, anche con retribuzione, previa autorizzazione del rettore” attività extraprofessionali.
Il tema dell’ammissibilità di autorizzazioni postume, peraltro, è stato già affrontato dalla medesima Sezione che ha di recente affermato che sarebbe un controsenso autorizzare ex post un incarico, se si considera, altresì, che il fondamento della disciplina deve rintracciarsi negli articoli 97 e 98 della Costituzione, e cioè nelle garanzie di imparzialità, efficienza e buon andamento dei pubblici impiegati che sono a servizio esclusivo della Nazione.
Irrilevante ai fini in esame è stata inoltre considerata la dichiarata buona fede del ricorrente atteso che non potrebbe in ogni caso sanare una condotta in palese contrasto con una norma di legge, peraltro, ben conosciuta dall’interessato che si era già fatto autorizzare (preventivamente!) all’assunzione del medesimo incarico per il triennio precedente.
Il preavviso di diniego
Parimente rigettata è stata l’eccezione riguardante la violazione dell’articolo 10 bis, L n. 241/1990 poiché, secondo la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato "nel procedimento amministrativo la mancata comunicazione del preavviso di rigetto non comporta ex se l’illegittimità del provvedimento finale in quanto la norma sancita dall'articolo 10 bis, L. n. 241/ 1990 va interpretata alla luce del successivo art. 21 octies, comma 2, il quale, nell'imporre al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo, rende irrilevante la violazione delle disposizioni sul procedimento o sulla forma dell'atto allorché il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".
Fonte: legge per tutti
Polo unico per le visite fiscali, novità sui controlli per malattia e sull’attività dei medici fiscali: che cosa cambia col nuovo atto d’indirizzo.
Premi ai medici fiscali che effettueranno più controlli, polo unico Inps per le visite per malattia dei dipendenti pubblici e privati, selezioni pubbliche per l’assunzione di nuovo personale sanitario: sono queste le principali novità che emergono dal decreto ministeriale contenente l’atto di indirizzo per i medici fiscali, che dovrebbe essere pubblicato a breve.
Sono ancora parecchi, però, i dubbi e le perplessità che riguardano la nuova disciplina delle visite fiscali: deve essere ancora determinato, difatti, l’ammontare dei compensi per la disponibilità dei medici e delle maggiorazioni basate sulle visite effettuate. Inoltre, non è chiaro con quali criteri i medici fiscali saranno selezionati e come saranno distribuiti sul territorio.
Manca ancora, peraltro, l’individuazione delle nuove fasce orarie uniche per la visita fiscale. Ma procediamo per ordine e vediamo, in base a quanto noto sinora, quali sono le principali novità in tema di malattia e visita fiscale.
Innanzitutto sarà presente un polo unico gestito dall’Inps per le visite fiscali dei dipendenti pubblici e privati: non sarà dunque più l’Asl a occuparsi dei controlli sanitari dei dipendenti pubblici.
L’atto di indirizzo per i medici prevede, oltre a un’indennità oraria base di disponibilità, delle maggiorazioni aggiuntive, basate sul numero di visite fiscali domiciliari e ambulatoriali.
In pratica, più controlli sullo stato di malattia saranno eseguiti dal medico, più questi guadagnerà. La disposizione è finalizzata a incentivare gli accertamenti sanitari per scoprire il maggior numero possibile di false assenze per malattia.
Le maggiorazioni, poi, secondo l’atto d’indirizzo, potranno eventualmente essere legate a specifici obiettivi, che saranno stabiliti nelle convenzioni tra Inps e sindacati dei medici. Le convenzioni, una sorta di “contratto collettivo” dei medici fiscali, avranno una durata di 3 anni e stabiliranno eventuali casi d’incompatibilità.
Per quanto riguarda la scelta dei medici fiscali, secondo l’atto d’indirizzo si deve garantire il prioritario ricorso agli sono iscritti alle cosiddette liste speciali ad esaurimento. Saranno comunque previste procedure selettive pubbliche e trasparenti, finalizzate a riconoscere e valorizzare ,con apposito punteggio, la professionalità maturata dai medici che rientrano in tre categorie:
Il polo unico della medicina fiscale partirà dal 1° settembre 2017: da tale data sarà prevista una fascia oraria di disponibilità unica per la visita fiscale, valida sia per i dipendenti pubblici che privati.
Al momento la nuova fascia oraria non è stata ancora resa nota. Sono dunque valide le seguenti fasce di disponibilità, durante le quali il lavoratore malato deve essere reperibile al proprio domicilio per la visita fiscale:
Fonte:ilpersonale
L’Inail pubblica il bollettino che esamina il trend delle denunce presentate all’Inail per infortuni e malattie professionali.
Il bollettino contiene informazioni sul numero delle denunce di infortunio e malattie professionali relativamente al secondo trimestre dell’anno.
Il bollettino – corredato da un glossario, attinto dal modello di lettura della numerosità degli infortuni e delle malattie professionali, e da una nota metodologica sulle fonti dei dati statistici – illustra con tabelle e grafici l’andamento delle denunce di infortunio – nel complesso e con esito mortale – per genere, per distribuzione territoriale, con il dettaglio dei casi rilevati in ogni macro area geografica e nelle singole regioni, e per modalità di accadimento: in occasione di lavoro o in itinere, con o senza mezzo di trasporto.
L’analisi dell’andamento delle denunce di malattie professionali, che richiede particolare cautela a causa dell’attribuzione temporale dei casi per “data di protocollo”, è declinata, invece, per genere e per distribuzione territoriale.
FONTE:ILPERSONALE
«Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». «La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica».
Questo è quanto dispone l’art. 51 della Costituzione e tale norma è il parametro di costituzionalità delle leggi che stabiliscono l’accesso all’impiego pubblico da parte di cittadini extracomunitari.
A ciò si aggiunga che l’art. 54, II comma, Cost. prevede che: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».
La Costituzione non stabilisce una riserva a favore dei cittadini italiani per l’accesso ai pubblici uffici; essa mira a garantire l’uguaglianza dei cittadini senza discriminazioni o limiti e a ciò aggiunge la possibilità della legge nazionale di parificare i cittadini ai non cittadini. L’art. 54 Cost., invece, attiene alle modalità di adempimento all’esercizio delle funzioni pubbliche.
Questa è l’impostazione già espressa dal Consiglio di stato (Cons. Stato, sez. II, parere, 20 gennaio 1990, n. 234) e ribadita con la recentissima sentenza della VI sez., 24 luglio 2017 n. 3666.
Conservazione del posto durante il periodo di prova presso altra P.A. - ARAN
RAL_1942_Orientamenti Applicativi
L’art.14 – bis, comma 9, del CCNL del 6.7.1995, come modificati dal CCNL del 6.7.1997 e del 14.9.2000 (diritto alla conservazione del posto durante il periodo di prova presso altra amministrazione, si applica anche al personale assunto con contratto a termine ? In alternativa è possibile applicare l’istituto della riammissione in servizio?
In relazione alla particolare fattispecie esposta, l’avviso della scrivente Agenzia è nel senso che l’art.14-bis, comma 9, del CCNL del 6.7.1995 come modificato dall’art.20 del CCNL del 14.9.2000, trova applicazione solo relativamente al personale dell’ente titolare di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
In tal senso depone, infatti, il comma 1 del suddetto art.14-bis, che individuando il personale destinatario della sua disciplina espressamente dispone che: “Il dipendente assunto in servizio a tempo indeterminato è soggetto ad un periodo di prova…..”.
Pertanto, proprio tale precisa formulazione del testo contrattuale non consente di ritenere che la disciplina ivi prevista possa trovare applicazione anche nei confronti di personale assunto con contratto di lavoro a termine.
Sul diverso aspetto dell’applicabilità al lavoratore a termine dell’istituto della ricostituzione del rapporto di lavoro (la cosiddetta riammissione in servizio), si ricorda che attualmente esso, in base alla regolamentazione dell’art.26 del CCNL del 14.9.2000, come integrato dall’art.17 del CCNL del 5.10.2001, ad avviso della scrivente, può trovare applicazione, nei limiti, anche temporali, ivi precisati, solo nella specifica ipotesi della ricostituzione di un nuovo rapporto di lavoro a tempo indeterminato del dipendente, che, precedentemente, era già titolare di un precedente rapporto di lavoro, sempre a tempo indeterminato, con la stessa amministrazione cessato per effetto di dimissioni del dipendente stesso.
Conseguentemente, non si ritiene possibile una sua estensione anche alla diversa fattispecie della estinzione per dimissioni di un precedente rapporto a termine.
Da PensioniOggi:
Fonte:pensionioggiScritto da Valerio Damiani
La contrattazione collettiva potrà determinare la quota minima di Tfr maturando da destinare alla previdenza complementare e per i lavoratori disoccupati sarà più facile riscuotere sotto forma di rendita anticipata il capitale accumulato nel fondo pensione. Nel contempo si avvierà un tavolo di confronto per una riforma del sistema previdenziale complementare. Sono queste le principali novità contenute nel disegno di legge annuale sulla concorrenza approvato oggi dal Senato in via definitiva. Le modifiche vengono incontro alle sollecitazioni della Covip con l'obiettivo di agevolare le adesioni alla previdenza anche nelle aziende con meno di 50 dipendenti, per le quali si continua a riscontrare un tasso di penetrazione basso.
Come noto la destinazione del Tfr maturando al fondo complementare è una scelta libera del lavoratore che può decidere se lasciare la liquidità nell'impresa (e riscuoterla per intero alla fine della carriera lavorativa con le consuete modalità) o se metterla nel fondo pensione per ottenere una rendita pensionistica integrativa della pensione pubblica obbligatoria. In ogni caso il trasferimento del Tfr avviene per intero. In sostanza il lavoratore ha solo due alternative: o trasferire l'intera quota del TFR maturando o lasciarla all'azienda e riceverla una volta cessato il rapporto di lavoro. Con la modifica appena approvata, invece, gli accordi collettivi potranno decidere quanta parte del Tfr maturando potrà essere destinato alla previdenza complementare e quanta lasciarne in azienda in modo da superare le resistenze dei lavoratori connesse alla perdita integrale di tale forma di liquidità. La modifica approvata specifica comunque che, in assenza di indicazioni da parte della contrattazione collettiva circa la quota destinata alla previdenza complementare, il conferimento continua a corrispondere al 100% del Tfr annualmente maturato.
In sostanza, la norma concede margini di flessibilità alle parti che firmano contratti e accordi collettivi, anche aziendali. Secondo le osservazioni che erano state fatte dalla Covip, con questa novità «le fonti istitutive potrebbero definire la misura del Tfr maturando da destinare alla previdenza complementare nel modo più consono rispetto alle esigenze dei soggetti interessati dall'accordo».
Passa anche una modifica che rende più flessibili i termini per il riscatto totale della posizione individuale maturata presso un fondo pensione in alcuni casi di invalidità permanente o per inoccupazione superiore a 48 mesi; sulle somme oggetto del riscatto si applicherà una ritenuta a titolo di imposta con l'aliquota del 23 per cento. Altra modifica da segnalare riguarda la facoltà di conseguire le prestazioni in via anticipata in favore di chi è rimasto senza lavoro per un periodosuperiore a 24 mesi (contro i 48 mesi previsti dalla normativa vigente) a condizione che l'aderente risulti a non più di cinque anni dal pensionamento nel regime pubblico obbligatorio (elevabili a 10 anni dagli statuti della forme di previdenza in questione).
Si generalizza, poi, tanto nelle forme pensionistiche complementari collettive che individuali, la facoltà di riscatto della posizione maturata dall'iscritto in caso di cessazione dei requisiti di partecipazione con l'applicazione di una ritenuta a titolo di imposta con l'aliquota del 23 per cento. Il disegno di legge prevede, infine, la convocazione di un tavolo di consultazione per avviare un processo di riforma delle forme pensionistiche complementari. Tra le finalità di quest'ultima il riferimento all'individuazione di strumenti di informazione per l'educazione finanziaria e previdenziale ed in materia di forme di gestione del risparmio inteso alla corresponsione delle prestazioni previdenziali complementari
Fonte:pensionioggiScritto da redazione
«È un regalo all'anti-parlamentarismo» che le Camere non rendano pubblici i dati sui contributi versati. L'attacco arriva dal presidente Inps, Tito Boeri, a margine di un'audizione al Senato. Per Boeri senza queste informazioni «non è possibile valutare l'impatto delle misure» sui vitalizi. E, sottolinea, «la risposta che ci è stata data la settimana scorsa dalla Camera è una presa in giro nei confronti degli italiani: sul sito della Camera è pubblicato il totale dei contributi versati, ma non è questa l'informazione necessaria».
Boeri torna quindi sul tema: l'«ufficio di presidenza di Camera e Senato non rendono pubblici i dati sui contributi versati per i parlamentari», quando invece «noi abbiamo questi dati su tutti gli italiani». Ciò, «il rifiuto di dare i dati», impedisce «valutazioni serie e approfondite», necessarie «all'Inps, alla Ragioneria» per mettere a punto «le relazioni tecniche» sui provvedimenti in materia.
Secondo il presidente dell'Inps la replica di Montecitorio, all'appello sulla trasparenza lanciato dallo stesso Istituto, non va, perché l'informazione necessaria, sostiene Boeri, non è rappresentata dal dato aggregato, dal totale dei contributi versati: manca «il dato di dettaglio, l'estratto conto contributivo individuale»
Il Presidente dell'Inps in audizione davanti al Comitato per le questioni degli italiani all'estero del Senato sul tema prestazioni pensionistiche e assistenziali si è poi scagliato contro gli italiani all'estero. Complessivamente le pensioni pagate all'estero nel 2016, in circa 160 Paesi, sia in regime di totalizzazione internazionale che in regime italiano, sono 373.265, per un importo di poco superiore a 1 miliardo di euro. La maggior parte delle pensioni pagate all'estero, ad esempio a giugno 2017, sono a fronte di periodi contributivi versati in Italia relativamente brevi, il 70% con contribuzione inferiore ai 3 anni, l'83% inferiore a 10 anni”.
Ai soggetti residenti all'estero, oltre ai trattamenti di tipo previdenziali, “vengono erogate anche alcune prestazioni assistenziali”, come ad esempio la quattordicesima, “che sono tipicamente erogate dal paese di residenza. Questa è un'anomalia che alleggerisce i conti della protezione sociale di altri Paesi”, ha aggiunto, “perché noi dobbiamo agire diversamente da quanto fanno altri paesi che di solito forniscono assistenza solo ai residenti nel proprio paese?”.
Inoltre, ha proseguito Boeri, “in questo modo, di fatto alleggeriamo i conti delle prestazioni sociali di altri Paesi”, mentre “l'Italia non è ancora dotata di un sistema assistenziale di base, adeguato e che sia universale”. Il presidente dell'Istituto nazionale di previdenza sociale ha poi voluto precisare che non è contrario ai pensionati all'estero se si rimane nell'ambito delle «prestazioni di tipo contributivo». Un fenomeno in netta crescita negli ultimi anni per le condizioni fiscali più favorevoli rispetto al Bel Paese. Anzi, aggiunge Boeri, forse sarebbe «utile che il nostro Paese “importasse”, si rendesse appetibile ai pensionati che vengono da altri Paesi per aumentare la domanda interna e anche le entrate fiscali».
Boeri ha, infine, voluto smentire una “fake news” che sta circolando, cioè che “ad un lavoratore migrante che arriva basterebbe chiedere la ricongiunzione familiare con più di 65 anni e 7 mesi perché questo possa fruire e godere dell'assegno sociale appena arrivato in Italia, ma per poter percepire questa prestazione sono necessari almeno 10 anni continuativi di residenza nel nostro Paese”.
Fonte:pensionioggiScritto da Paolo Piva
Via libera delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato allo schema di decreto legislativo relativo al cd. reddito di inclusione approvato in via preliminare dal Cdm lo scorso 9 Giugno. Le Commissioni hanno espresso parere favorevole con alcune osservazioni alla misura universale di contrasto alla povertà che entrerà in vigore il prossimo 1° gennaio 2018. Il testo torna, quindi, ora al Consiglio dei Ministri che dovrà adottare in via definitiva il decreto legislativo.
Il reddito d'inclusione consisterà, similmente all'attuale Asdi e al sostegno per l'inclusione attiva, in un beneficio economico accompagnato da un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa, in fase di prima attuazione potrà contare su circa 2 miliardi di euro e sarà rivolto ai nuclei familiari con figli minori o disabili, donne in stato di gravidanza o persone ultra cinquantacinquenni in condizione di disoccupazione, per arrivare gradualmente, con progressivo incremento delle risorse, a raggiungere tutte le persone in condizione di povertà assoluta. Sarà riconosciuto solo ai nuclei familiari che rispondano a determinati requisiti relativi alla situazione economica. In particolare, il nucleo familiare del richiedente dovrà avere un valore dell’ISEE, in corso di validità, non superiore a 6.000 euro e un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20.000 euro.
Fermo restando il possesso dei requisiti economici, il REI sarà compatibile con lo svolgimento di un’attività lavorativa ma non con la contemporanea fruizione, da parte di qualsiasi componente il nucleo familiare, della NASpI o di altro ammortizzatore sociale contro la disoccupazione involontaria (es. indennità di mobilità o Dis-coll). Per quanto riguarda la durata il ReI sarà concesso per un periodo continuativo non superiore a 18 mesi fermo restando almeno 6 mesi dall’ultima erogazione prima di poterlo richiedere nuovamente. Al ReI si accederà attraverso una dichiarazione a fini ISEE "precompilata" semplificando così le modalità di conseguimento del beneficio. La misura prenderà il posto dell'Asdi, l'assegno residuale contro la disoccupazione, e del SIA, il sostegno per l'inclusione attiva recentemente modificato dalla legge di bilancio 2016.
Nel parere approvato dalle Commissioni Parlamentari spicca soprattutto la richiesta di superare le limitazioni previste per i lavoratori disoccupati, prevedendo il riconoscimento del beneficio economico in presenza di almeno un lavoratore di età pari o superiore a 55 anni di età, in stato di disoccupazione, a prescindere dalla causa di tale stato e indipendentemente da una precedente occupazione. Secondo il testo del decreto, invece, il beneficio del REI sarebbe attribuito solo se la disoccupazione dell'ultra 55enne derivi da licenziamento o da dimissioni per giusta causa tagliando fuori dal beneficio i lavoratori che abbiano perso l'occupazione a seguito di scadenza del contratto a termine, per dimissioni o per risoluzione consensuale del rapporto.
Confermata l'articolazione in due componenti: 1) un beneficio economico erogato su dodici mensilità, con un importo che andrà da circa 190 euro mensili per una persona sola, fino a quasi 490 euro per un nucleo con 5 o più componenti (si veda la tavola sottostante); 2) una componente di servizi alla persona identificata, in esito ad una valutazione del bisogno del nucleo familiare che terrà conto, tra l’altro, della situazione lavorativa e del profilo di occupabilità, dell’educazione, istruzione e formazione, della condizione abitativa e delle reti familiari, di prossimità e sociali della persona e servirà a dar vita a un "progetto personalizzato" volto al superamento della condizione di povertà.