Rinnovo contratto pubblico impiego: nuovo incontro su assenze, ferie e aumenti
Previsto per il 2 agosto il nuovo incontro per fare il punto su assenze, ferie e aumenti stipendi del settore del pubblico impiego.
Un nuovo incontro è previsto per il 2 agosto, per decidere le novità contrattuali del personale della #Scuola. I sindacati dovranno discutere con il Governo per decidere dello sblocco dei contratti, non solo del comparto scuola, ma di tutto il pubblico impiego. Ecco in dettaglio di cosa si parlerà.
Appuntamento per il rinnovo contratti
L'appuntamento per un nuovo tavolo di discussione, sul rinnovo contrattuale del pubblico impiego, previsto per il 2 agosto, si terrà all'Aran, l'Agenzia che rappresenta il governo nelle negoziazioni. Quest'ultima ha richiesto tale incontro, convocando i sindacati confederali. Durante la trattativa di questa giornata di nuovo dialogo tra le parti, si cercherà di fare un quadro della situazione. Oltre ai fondi sa destinare ai diversi capitoli, si discuterà anche di orari e ferie, nonché di nuove norme riguardanti i controlli delle assenze per malattia dei dipendenti pubblici [VIDEO] e una revisione della normativa dei permessi.
L'obiettivo di questo incontro è quello di arrivare a gettare le basi, per avere una visione d'insieme bene definita, prima della pausa estiva. La trattativa si sta portando avanti in una lungaggine senza fine, se non si concederà in termini di aumenti quanto dovuto, per lo Stato sarà una nuova stagione di ricorsi, ecco perché non si mette un punto alla questione. Infatti, come i pensionati si sono visti riconoscere parte di quanto spettava loro, con il ricorso per l'aumento delle pensioni al costo della vita, così succederà per i dipendenti pubblici. Quindi o si cede o si perderà dopo quello che si è risparmiato ora.
Aumenti, bonus e assenze
A parte queste considerazioni, che sono le preoccupazioni non dichiarate del nostro Governo, il fine ultimo dell'incontro è quello di dare gli atti di indirizzo per i contratti di medici, insegnanti e altre categorie del pubblico impiego.
Si discuterà anche degli 80 euro, per evitare che ai dipendenti a cui è stato riconosciuto, venga tolto il il bonus a seguito degli aumenti, e si parlerà ovviamente anche dell'aumento medio di 85 euro, a cui va aggiunto il salario accessorio. Si tratta di temi importanti, che abbracciano tanti diritti dei lavoratori, una nuova lotta all'assenteismo più che lecito, ma che speriamo non colpisca i malati veri, e un tentativo di andare a variare anche orari, permessi e ferie. Vedremo cosa si deciderà a riguardo, dal resoconto del 2 agosto. Se volete ricevere notizie sul mondo del lavoro cliccate sul tasto segui! #Pubblica Amministrazione #Stipendi
Proroga dichiarazioni fiscali, disoccupazione dei collaboratori, scorrimento graduatorie e ricongiunzioni previdenziali
Fonte:sole24ore di Gianluca Bertagna
La rubrica settimanale con le indicazioni sintetiche delle novità normative e applicative intervenute in tema di gestione del personale nelle pubbliche amministrazioni.
Proroga del modello 770/2017
Verrà prorogato al 31 ottobre 2017 il termine per la presentazione della dichiarazione dei sostituti d'imposta (modello 770) e delle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e di Irap. È quanto indicato nel comunicato stampa n° 131 del 2017 con il quale il Mefanticipa l'emanazione di uno specifico Dpcm.
Indennità disoccupazione collaboratori coordinati e continuativi
L'Inps ha emanato la circolare n. 115/2017, con la quale ha fornito le istruzioni applicative in merito alla previsione di cui all'articolo 7 della legge 81/2017, che, integrando e modificando le disposizioni di cui all'articolo 15 del Dlgs 22/2015, ha esteso la tutela della prestazione «DIS-COLL» per gli eventi di disoccupazione che si verificano a far data dal 1° luglio 2017. Sono destinatari dell’indennità Dis-Coll i collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, nonché – esclusivamente in relazione agli eventi di disoccupazione verificatisi a fare data dal 1° luglio 2017 – gli assegnisti e i dottorandi di ricerca con borsa di studio iscritti in via esclusiva alla gestione separata presso l'Inps, non pensionati e privi di partita Iva, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione. Rientrano nell'ambito della tutela in argomento anche i collaboratori delle pubbliche amministrazioni. Si veda anche l’allegato n. 1 alla circolare sulla variazione al piano dei conti.
Graduatoria o concorso?
Il Consiglio di Stato, afferma che la preferenza espressa in termini generali dall'ordinamento per lo scorrimento della graduatoria non è assoluta, ma, al contrario, incontra dei limiti: in particolare, l'amministrazione legittimamente può indire un nuovo concorso, anziché attingere al bacino degli idonei in precedenti selezioni, ove nelle more sia di fatto mutato il contenuto professionale delle mansioni proprie del profilo lavorativo alla cui provvista si mira. È questa la sintesi della sentenza n. 3329/2017, relativamente al ricorso di un candidato a una selezione pubblica (bandita nel 1993 e conclusa nel 1999) avverso il diniego dell'amministrazione procedente rispetto l'istanza di scorrimento della graduatoria inoltrata dallo stesso (nell'anno 2005). «Benché lo scorrimento delle graduatorie concorsuali ancora efficaci costituisca la regola generale per la copertura dei posti vacanti nella dotazione organica, mentre l'indizione del nuovo concorso rappresenta l'eccezione e richiede un'apposita e approfondita motivazione, che dia conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e delle preminenti esigenze di interesse pubblico, purtuttavia, questo principio, come tiene a precisare l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 14 del 28 luglio 2011, non è assoluto, poiché in alcuni casi la determinazione di ricorrere a nuove procedure concorsuali per reclutare personale risulta pienamente giustificabile, con conseguente attenuazione dell'obbligo della motivazione». Va ricordato che il dibattito in esame riguarda situazioni precedenti all'entrata in vigore dell'articolo 4 del Dl 101/2013, il quale ha di fatto riscritto le regole per l'utilizzo delle graduatorie.
Ricongiunzioni a titolo gratuito e oneroso
L'Inps, con la circolare n. 116/2017, ricorda che è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 12-septies, del Dl 78/2010, nella parte in cui prevedeva, per il periodo dal 1° luglio 2010 al 30 luglio 2010, che «alle ricongiunzioni di cui all'articolo 1, primo comma, della legge 7 febbraio 1979, n. 29» si applicassero «le disposizioni di cui all'articolo 2, commi terzo, quarto e quinto, della medesima legge». In particolare, il citato articolo 12 era intervenuto sul disposto del primo comma dell'articolo 1 della legge 29/1979, che consentiva, a titolo gratuito, la ricongiunzione nel Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti dei periodi di contribuzione maturati presso forme di previdenza sostitutive, esclusive o esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria, introducendo un onere a carico dei richiedenti anche per tali tipologie di operazione. Dunque, l'Istituto sottolinea che, considerato che la dichiarazione di incostituzionalità della norma in esame va limitata al periodo 1° luglio–30 luglio 2010, ne consegue che le domande di ricongiunzione presentate ai sensi dell'articolo 1 della legge 29/1979 in detto periodo rientrano nel regime di ricongiunzione gratuita previgente alla legge 122/2010; quelle presentate a decorrere dal 31 luglio 2010, invece, restano a titolo oneroso.
Fonte:leggioggi
Le novità volute dalla Riforma Madia partiranno a settembre. premi ai medici in base agli obiettivi
Novità in vista per i controlli sulle assenze per malattie dei dipendenti delle P.A. Dal 1° settembre prenderà il via, infatti, il nuovo polo unico della medicina fiscale che prevede l’estensione della competenza dell’Inps sui dipendenti pubblici, finora in capo all’Asl, come previsto dalla Riforma Madia.
Le novità, annunciate dall’Agenzia Ansa che è riuscita a visualizzare in anteprima l’atto di indirizzo nazionale, prevedono dei premi ai medici che effettuano le visite fiscali, in base agli obiettivi raggiunti, sulla base delle linee guida stilate tra Inps e sindacati che entreranno in vigore il 1° settembre prossimo.
L’obiettivo è da un lato unamigliore distribuzione territoriale e una maggior efficienza dei controlli e, dall’altro, una riduzione dei costi dovuta a una più efficiente dislocazione dei medici. Per questi ultimi è prevista “un’indennità oraria base di disponibilità e maggiorazioni proporzionate al numero di visite di controllo domiciliari e ambulatoriali ed eventualmente legate a specifici obiettivi”.
Il nuovo polo fiscale prevede una fase ponte, anche nel caso in cui non sia stato ancora firmato l’accordo tra l’Inps e i sindacati. Fino ad allora sarà in vigore la disciplina attualmente in vigore che prevede i controlli in fasce orarie prestabilite e diverse per i dipendenti pubblici (dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18) e per quelli del settore privato (dalle 10 alle 12 la mattina e dalle 17 alle 19 la sera), che saranno omologate con un decreto.
La reperibilità a casa da parte del lavoratore potrebbe diventare di 5 o 6 ore giornaliere
Fonte:gazzetta enti locali
È finalmente giunto l’atto di indirizzo per i medici che prevede un polo unico per le visite e sulle assenze per malattia: sono state infatti pubblicate le linee guida INPS-sindacati (sulla base alla Riforma della Pubblica Amministrazione) che riguardano il settore sanitario pubblico e privato. Si tratta di una “migliore distribuzione e copertura territoriale degli accertamenti, la riduzione dei costi anche in ragione di un’ottimale dislocazione dei medici e del contenimento dei rimborsi e delle indennità chilometriche, l’equa assegnazione degli incarichi e l’incremento del numero e dell’efficienza dei controlli, utilizzando al meglio le risorse attribuite”.
Risulta inoltre prevista anche “un’indennità oraria base di disponibilità e maggiorazioni proporzionate al numero di visite di controllo domiciliari e ambulatoriali ed eventualmente legate a specifici obiettivi” che potranno essere previsti nelle convenzioni tra INPS e sindacati dei medici che svolgono gli accertamenti sui lavoratori dipendenti pubblici e privati assenti per malattia.
Tra gli obiettivi alla base delle linee guida affiora anche quello di “uniformare e migliorare l’efficienza del sistema degli accertamenti”. La convenzione, di durata triennale, che regolerà il rapporto tra l’Istituto di previdenza e i medici del settore, “dovrà essere stipulata entro il 31 agosto”. In caso di ritardi l’atto di indirizzo prevede una “disciplina transitoria”, come già delineato dal Decreto Madia.
Con riferimento all’individuazione dei medici per lo svolgimento delle visite, “occorre garantire il prioritario ricorso” a quelli iscritti alle cosiddette liste speciali ad esaurimento, ma saranno anche previste “procedure selettive pubbliche e trasparenti” in cui oltre a garantire la copertura capillare sul territorio, “si potrà riconoscere e valorizzare con apposito punteggio la professionalità maturata” dai medici che rientrano in tre categorie: gli iscritti alle liste INPS dopo il 2007, coloro che hanno svolto un’attività analoga presso le Asl, come liberi professionisti (seppure all’interno di precisi paletti), i medici convenzionati esterni con l’INPS da almeno 36 mesi negli ultimi cinque anni. Le convenzioni stabiliranno, tra l’altro, “i criteri e i casi di incompatibilità, anche in relazione alle funzioni di certificazione delle malattie”.
Inoltre il polo unico della medicina fiscale partirà dal primo settembre, con una ‘fase ponte’, anche nel caso in cui non sia stato ancora firmato l’accordo tra l’Inps e i sindacati per regolare il rapporto di lavoro dei medici.
Fino a che non ci sarà l’intesa si applica “la vigente disciplina”, garantendo “la disponibilità ad effettuare gli accertamenti medico-legali domiciliari per le assenze per malattia nelle fasce orarie stabilite per i dipendenti sia del comparto pubblico, sia di quello privato”. Fasce che per ora sono diverse ma saranno omologate con un decreto ad hoc. Oggi sono previste quattro ore al giorno per il settore privato (dalle 10 alle 12 la mattina e dalle 17 alle 19 la sera) e sette per il pubblico (dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18).
Riscatto gratis della laurea, il ministero dell'Economia: "Stiamo studiando come fare"
Il sottosegretario Pier Paolo Baretta interviene sul tema sollevato dal comitato #Riscattalaurea. "E' giusto che lo Stato si assuma l'onere dei contributi dei giovani che studiano"
Fonte: Repubblica di MONICA RUBINO
"Riscattare gratis la laurea? Stiamo studiando come fare. Di certo nella prossima legge di Bilancio la priorità sarà favorire l'occupazione giovanile". Per il sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta (Pd), dopo le misure per le fasce più deboli attuate dal governo Renzi, ora è il momento di occuparsi dei giovani. E nel lungo elenco delle richieste presentate dai sindacati al governo per la cosiddetta "fase due" della riforma delle pensioni, c'è anche il riscatto gratuito della laurea.
Cosa ne pensa della campagna social del coordinamento #Riscattalaurea?
"Sono contento che ci sia l'interesse da parte di un gruppo di studenti per questo tema, sul quale sto già lavorando e che ho in parte spiegato non molto tempo fa a un'assemblea dei Giovani democratici. I punti di partenza sono due: da un lato oggi il riscatto della laurea è troppo costoso. Dall'altro però la partecipazione alla vita lavorativa non può cominciare con il primo stipendio, in un contesto in cui l'età del pensionamento si sposta sempre più in avanti. Siccome studiare e laurearsi è prezioso anche per la nostra economia, è giusto che lo Stato investa sul futuro dei giovani e si assuma l'onere dei contributi figurativi degli anni di studio".
E quindi, tecnicamente, il riscatto gratis degli anni di laurea come si potrebbe attuare?
"La proposta va studiata e definita, innanzitutto facendo una valutazione sui costi che non sono stati ancora calcolati. Poi vanno decisi i criteri: ad esempio, andrebbe limitata a coloro che finiscono gli studi nei tempi stabiliti, con qualche eccezione per chi è fuori corso ma non per cattiva volontà. A beneficiare del riscatto gratuito, saranno soltanto i nati tra il 1980 e il 2000, i cosiddetti "Millenials", la generazione che quando andrà in pensione vedrà calcolato il proprio assegno interamente con il metodo contributivo".
Si potrebbe estendere la misura a chi è già laureato?
"Pensare di renderla retroattiva è impossibile, la spesa per lo Stato sarebbe troppo alta. Si potrebbero invece graduare i costi per alleggerire il riscatto di chi si è laureato in passato".
Quali altre iniziative prevedete per i giovani nella prossima legge di bilancio?
"L'idea è quella di intervenire sul cuneo contributivo e fiscale, ma in maniera strutturale, non solo con misure temporanee. La riduzione del cuneo si applica tecnicamente con degli incentivi per le imprese che rappresentano il punto di partenza. La seconda fase è la riduzione permanente del carico contributivo e fiscale per i giovani occupati".
A proposito della riforma dei vitalizi, secondo lei c'è il rischio che i cambiamenti applicati ai parlamentari possano estendersi anche ai cittadini?
"E' un rischio solo teorico, non è una conseguenza di questa legge. Ma è bene essere molto chiari nel testo in modo che non venga applicato anche ai lavoratori. Penso da tempo che anche i parlamentari dovrebbero entrare nel regime Inps per chiudere la questione una volta per tutte".
PagoPA, la Pubblica amministrazione userà anche PayPal
Fonte: https://www.tomshw.it/
Mentre alcune amministrazioni fanno la marcia del gambero e ripropongono l'uso dei contanti, ecco PayPal su PagoPa. È supportato da Intesa Sanpaolo e va ad arricchire la gamma dei metodi di pagamento disponibili sul sistema messo a punto dall'Agenzia per l'Italia digitale, che consente a cittadini e imprese di fare online i pagamenti verso la Pubblica Amministrazione.
PagoPA, attraverso PayPal, può avvalersi di un ulteriore metodo di pagamento digitale già utilizzato da circa 6 milioni di italiani e da oltre 200 milioni di persone nel mondo. Intesa Sanpaolo è inoltre presente direttamente sulla piattaforma.
È una novità positiva per lo sviluppo dei pagamenti digitali nei confronti della Pubblica Amministrazione", ha detto in proposito Michele Benedetti, Direttore dell'Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano. "A differenza del mondo B2C, dove gli acquisti on line hanno portato ad un'ampia diffusione di strumenti di pagamento elettronico - ha aggiunto - nella PA il 48% dei cittadini predilige ancora l'interazione attraverso il canale fisico tradizionale. Lo stesso cittadino, però, per gli acquisti di beni di consumo sceglie già l'online nel 65% dei casi.
"Certamente c'è una componente di diffidenza da parte del cittadino rispetto alla capacità della Pubblica Amministrazione di realizzare servizi digitali affidabili a cui si aggiunge - ha aggiunto Benedetti - una percepita scarsa usabilità del canale on line della PA e la non conoscenza dell'esistenza del servizio". "L'iniziativa di PayPal - ha concluso il Direttore dell'Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano - potrebbe avere anche l'effetto di promuovere l'adesione a PagoPA di quegli Enti Locali che ancora non si sono attivati, e non sono pochi".
Intanto, a proposito di PagoPA, si attende ancora l'applicazione per smartphone promessa entro l'estate.
Fonte:ilfattoquotidiano
Sette auto su dieci acquistate dallo Stato potrebbero essere a batteria, nel 2020: è questo il succo della proposta attualmente in esame presso la commissione Affari Costituzionali della Camera. Previsto un fondo di due milioni di euro per aumentare i punti di ricarica. Forse a settembre il via libera
Tra leauto elettriche ed il nostro Paese la scintilla proprio non scocca. Quelle immatricolate lo scorso anno sono state appena 1.373, ovvero lo 0,1% del totale, nonostante da più parti se ne invochi l’utilizzo su larga scala per evitare di scaricare troppi veleni nell’aria. E qui si potrebbe aprire il capitolo su come venga prodotta l’energia che le alimenta, se sia rinnovabile o meno. Ma se n’è già detto e scritto, dunque veniamo alla notizia del giorno: gran parte delparco auto della Pubblica Amministrazione potrebbe essere formato da auto a batteria a partire dal 2020.
La testa di ponte per la diffusione di vetture elettriche, che finora le case costruttrici hanno cercato invano nell’utenza privata, sarà dunque lo Stato. La svolta ecologica è sancita da una proposta di legge presentata dal deputato Gian Luigi Gigli (Ds-Cd), che ne è anche il relatore, attualmente in esame alla commissione Affari Costituzionali della Camera.
Tale proposta prevede che sette vetture su dieci acquistate dalla Pubblica Amministrazione a partire dal 2020 siano a emissioni zero, dunque elettriche. Originariamente il testo prevedeva che ad andare a batteria dovesse essere la totalità dei suddetti veicoli, ma per agevolare l’approvazione sono stati presentati dieci emendamenti in Commissione, a cui si aggiungeranno modifiche fatte dallo stesso Gigli. Rimarranno dunque fuori dal lotto le ambulanze, le vetture usate dai Carabinieri e dai reparti dell’area tecnico operativa del Ministero della Difesa. I mezzi militari, per intenderci. “Ho preferito accettare alcune richieste di modifica piuttosto che rischiare di vedere la propostanaufragare“, ha dichiarato il relatore, aggiungendo anche che la soglia del 70% di veicoli elettrici si è resa necessaria anche per “evitare unaprocedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea”.
Il “naufragio” tanto temuto potrebbe in realtà essere causato, più avanti, dagli stessi ostacoli che si sono presentati alla diffusione della mobilità elettrica tra i privati: costi elevati e mancanza di infrastrutture. Secondo i dati in possesso del centro studi della Camera, attualmente in Italia ci sono 4 mila punti di ricarica, realizzati per il 50% su iniziativa privata. La proposta di legge ha pensato anche a questo, proponendo unfondo dedicato didue milioni di euro presso il Ministero dei Trasporti, per impolpare la rete infrastrutturale di ricarica italiana.
Basterà? Difficile dirlo. Intanto gli emendamenti alla proposta di legge potrebbero essere votati prima della pausa estiva, mentre subito dopo (a settembre) potrebbe arrivare il via libera in sede legislativa. Con notevole risparmio di tempo, cosa non abituale per la politica.
In un recente orientamento applicativo, l’ARAN chiarisce il tema del rimborso delle spese di trasferta ad un dipendente di un ente.
Orientamenti applicativi ARAN 28/7/2017 n. RAL_1936
Un ente è tenuto a rimborsare ad un proprio dipendente le spese di trasferta da questi sostenute per l’assolvimento dell’Ufficio di giudice tributario?
Relativamente alla particolare problematica prospettata, per quanto di competenza della scrivente Agenzia, si deve evidenziare che l’art.41, comma 1, del CCNL del 14.9.2000 espressamente dispone: “Il presente articolo si applica ai dipendenti comandati a prestare la propria attività lavorativa in località diversa dalla dimora abituale e distante più di 10 Km dalla ordinaria sede di servizio”.
Alla luce di tali indicazioni, appare evidente che la fattispecie presa in considerazione e disciplinata dal citato art.41 del CCNL del 14.9.2000 è solo quella del dipendente di un ente al quale, sempre nell’ambito del suo rapporto di lavoro con l’ente di appartenenza, è dato l’ordine di prestare la propria normale attività lavorativa, in via del tutto eccezionale e temporanea, in una località diversa dalla propria ordinaria sede di servizio.
I presupposti della disciplina contrattuale non sembrano potersi ritenere sussistenti nel caso in esame, dato che il dipendente si reca in altro luogo, diversa dalla sede ordinaria di lavoro, non per l’esecuzione della propria ordinaria prestazione lavorativa, ma per l’espletamento, al di fuori del rapporto di lavoro, di funzioni ed attività di natura diversa e non nell’interesse dell’ente di appartenenza ma di altra amministrazione (commissione Tributaria).
Eventualmente, su di un piano più generale, anche con riferimento a tutte le altre amministrazioni, anche di diverso comparto, potenzialmente interessate, potrebbe essere verificata la esistenza di norme di legge che consentano il rimborso delle spese di cui si tratta.
Tuttavia, indicazioni in materia potranno essere richieste solo al Dipartimento della Funzione Pubblica, istituzionalmente competente per l’interpretazione delle norme di legge concernenti il rapporto di lavoro pubblico.
L’attività di assistenza dell’ARAN, infatti, ai sensi dell’art.46, comma 1, del D.Lgs.n.165/2001, è limitata esclusivamente alla formulazione di orientamenti per la uniforme applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro.
Quando è possibile e come funziona la cessione delle ferie ai colleghi che devono assistere figli con problemi di salute.
Fonte:legge per tutti
Devo assistere mio figlio che ha dei gravi problemi di salute, ma ho già terminato ferie e permessi: è vero che gli altri colleghi possono cedermi ferie e riposi?
La cessione delle ferie, o ferie solidali, è una nuova possibilità che è stata introdotta dal Decreto semplificazioni [Art.24 D.lgs. 151/2015], un decreto attuativo del Jobs Act. La norma prevede che i lavoratori possono cedere a titolo gratuito le proprie ferie maturate ai lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro, per consentire l’assistenza dei figli minori che necessitano di cure costanti per le particolari condizioni di salute.
A una prima lettura, la cessione delle ferie sembrerebbe contrastare col principio di irrinunciabilità delle ferie stesse [Art. 36, Co.3, Cost.] e con quanto disposto dal decreto sull’orario di lavoro [D.lgs. 66/2003], che prevede il diritto, per il dipendente, ad un periodo annuale di ferie retribuite di almeno 4 settimane, per reintegrare le energie psicofisiche e partecipare alla vita familiare e sociale.
In realtà, le ferie solidali non contrastano con queste disposizioni, perché possono essere cedute, come indicato chiaramente dalla norma, rispettando i limiti stabiliti dalla legge sull’orario di lavoro e seguendo le previsioni dei contratti collettivi.
In parole semplici, è possibile cedere soltanto le cosiddette “ferie monetizzabili”, ossia quelle ulteriori rispetto al minimo annuale irrinunciabile di 4 settimane, oppure i riposi previsti dai contratti collettivi in aggiunta ai normali riposi giornalieri e settimanali.
Secondo le previsioni della normativa, le ferie possono essere cedute esclusivamente a un proprio collega, cioè a un lavoratore che sia dipendente dello stesso datore di lavoro, per consentirgli di assistere uno o più figli minori che hanno bisogno di cure costanti a causa dello stato di salute.
La cessione delle ferie è dunque gratuita e ha una finalità solidale, perché volta a consentire l’assistenza di uno o più figli minori del lavoratore (non di altri suoi familiari) bisognosi di cure continuative (è dunque implicito che lo stato di malattia o la disabilità del minore debbano essere certificate).
La normativa prevede poi che le ferie solidali siano appositamente disciplinate dai contratti collettivi, stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale: i contratti, nel dettaglio, devono stabilire l’ammontare, le condizioni e le modalità di cessione delle ferie.
Se manca la disciplina della cessione delle ferie nella contrattazione collettiva, non è possibile donare le ferie a chi eventualmente, rispondendo alle condizioni prescritte dalla norma, ne abbia necessità.
Ad oggi, purtroppo, sono ancora pochi i contratti collettivi che hanno regolamentato le ferie solidali.
Tra i pochi, è presente il ccnl (contratto collettivo nazionale) metalmeccanica e industria pmi; il contratto prevede la possibilità di cedere non solo le ferie eccedenti rispetto al minimo di 4 settimane l’anno, ma anche una quota delle ore convertite in riposi e accantonate nella banca ore e una quota delle ore Par (permessi annui retribuiti).
In assenza del contratto collettivo nazionale, diversi enti locali, come il Comune di Cagliari e la Regione Sardegna hanno regolamentato le ferie solidali del proprio personale con accordi collettivi di secondo livello; a breve, inoltre, la cessione delle ferie sarà prevista nella contrattazione del comparto scuola e di altri comparti pubblici.
Il costo infinito dei concorsi bloccati
Fonte:sole24ore di Marcello Clarich
Anche la trasformazione di Equitalia Spa in un nuovo ente pubblico economico autorizzata a fine 2016 dal cosiddetto collegato fiscale rischia di arenarsi in una secca già visibile: il trasferimento in blocco del personale in violazione della regola del concorso sancita dalla Costituzione (articolo 97). A lanciare l'allarme è stato ancora una volta il giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato, pur non sospendendo l'iter di trasformazione per non compromettere la continuità operativa, ha richiesto al Tar del Lazio di definire prima possibile la controversia promossa della Federazione del Pubblico Impiego (ordinanza n. 3213/2917). Secondo i giudici di Palazzo Spada, la norma del collegato fiscale che consente il passaggio automatico del personale in applicazione delle norme civilistiche sul trasferimento dei rami d'azienda è di dubbia costituzionalità. Il Consiglio di Stato ha infatti richiamato due precedenti della Corte costituzionale. Il primo ha sconfessato il tentativo del legislatore nel 2012 di prorogare senza limiti temporali certi i funzionari incaricati dell'agenzia delle Entrate, del territorio e delle dogane assunti a tempo determinato negli anni precedenti senza concorso (sentenza n. 37/2015). Un'altra sentenza del 2016 ha annullato una legge della Regione Calabria che consentiva il trasferimento automatico nei ruoli regionali di dipendenti di un tipo particolare di associazioni private in caso di scioglimento volontario (le associazioni di divulgazione agricola). Secondo la Corte costituzionale il passaggio del personale da soggetti privati a enti pubblici - ed è proprio questo il caso di Equitalia - richiede un concorso (sentenza 248/2016). Secondo la Consulta la deroga al principio del concorso che la Costituzione ammette in alcuni casi, non può essere giustificata né dall'interesse alla difesa dell'occupazione, né da quello di acquisire il personale necessario per lo svolgimento delle attività istituzionali. La secca verso la quale sta facendo rotta la riforma di Equitalia sembra offrire poche vie di scampo. Del resto la nuova “Agenzia delle entrate-riscossione”, ente strumentale dell'agenzia delle Entrate, che subentra a Equitalia è stata istituita nella forma dell'ente pubblico economico. Questi enti, al pari delle pubbliche amministrazioni (ma anche delle cosiddette società in-house), secondo la giurisprudenza più recente, non possono assumere liberamente il proprio personale. Al di là del caso specifico, il problema più generale che affligge quasi tutte le amministrazioni statali e locali è la difficoltà di bandire i concorsi a ritmi regolari e con tempistiche certe. Blocchi periodici del turn-over per ragioni di finanza pubblica, bandi di concorso di cattiva fattura, prove selettive mal gestite, con immancabili ricorsi al giudice amministrativo, stanno depauperando la capacità delle amministrazioni di far fronte in modo adeguato ai propri compiti. Se esse non possono acquisire il personale necessario, non devono stupire le classifiche internazionali che le vedono nelle posizioni di coda. Il recentissimo rapporto InCisE curato dall'Università di Oxford, che colloca gli apparati centrali dello Stato italiano al ventisettesimo posto su trentuno Paesi censiti, individua come un fattore di debolezza proprio l'amministrazione fiscale. Come per altri mali della pubblica amministrazione, i rimedi non sono semplici. Se la regola del concorso a presidio dell'imparzialità non può essere abbandonata o elusa, occorre il massimo sforzo per rimettere in moto la macchina delle procedure selettive. Poiché il turnover e il fabbisogno di personale sono elementi prevedibili, una buona programmazione e una gestione efficiente dei concorsi dovrebbero consentire di invertire la tendenza. Per far fronte alle emergenze, andrebbero rese ancor più snelle le procedure per la mobilità interna del personale che non sono vincolate alla regola del concorso. Nel caso di Equitalia, il Tar del Lazio potrà forse salvare il trasferimento del personale respingendo il ricorso senza entrare nel merito. Il Consiglio di Stato sottolinea infatti l'esigenza di valutare in quella sede «le eccezioni di rito sollevate». Ma questo éscamotage non risolverebbe certo il problema più generale.
Il dipendente trasferito perde la retribuzione di posizione
Fonte:sole24ore di Vincenzo Giannotti
In caso di trasferimento, il dipendente pubblico non ha diritto a conservare la retribuzione di posizione. Lo ha deciso la Corte di cassazione, con la sentenza n. 17775/2017. La decisione della Suprema corte si basa sul fatto che questo emolumento è collegato esclusivamente a specifiche responsabilità o modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, suscettibili di venir meno in caso di mutamento della situazione a cui sono collegate.
La vicenda
A seguito della soppressione, con legge regionale, dell'azienda autonoma di soggiorno e turismo, un dipendente, transitato presso un Comune, chiedeva il riconoscimento delle indennità fisse e continuative precedentemente godute, tra cui quelle relative alle indennità di posizione, maneggio denaro e videoterminalista. Il Tribunale di prima istanza e, successivamente la Corte d’appello, hanno confermato il diritto del dipendente alla loro percezione, in considerazione della natura fissa e continuativa di tali voci retributive. Avverso queste decisioni ricorre il Comune in Cassazione in quanto la Corte territoriale sarebbe caduta in errore nel ritenere fisse e continuative indennità dallo spiccato carattere accessorio nei contratti degli enti locali, essendo le stesse legate, infatti, a particolari posizioni e responsabilità rivestite dal lavoratore nell'ente di provenienza, non necessariamente da attribuire presso l'ente territoriale di destinazione.
La decisione della Suprema corte
Evidenziano i giudici di Piazza Cavour come il ricorso del Comune sia meritevole di accoglimento a fronte della posizione consolidata del giudice di legittimità, in merito alla corretta pretesa da parte del dipendente trasferito a vedere conservate le sole componenti retributive fisse e continuative avente il carattere di generalità nella garanzia di mantenimento della posizione retributiva maturata. Pertanto, in merito al corretto computo degli emolumenti fissi e continuativi gli stessi non possono che riferirsi alle voci di retribuzione riconosciute a tutti i dipendenti, con conseguente esclusione degli emolumenti che trovino causa in una situazione contingente e temporanea, in quanto destinati a venire meno una volta che questa sia cessata, ovvero in caso di compensi erogati in ragione di particolari modalità della prestazione lavorativa o collegati a specifici disagi o difficoltà, i quali non spettano allorché vengano meno le situazioni cui erano collegati. Nel caso di specie, non può rientrare la retribuzione di posizione precedentemente attribuita al dipendente dall'amministrazione di provenienza, in quanto la stessa cessa al momento del trasferimento, venendo meno il collegamento con la responsabilità della posizione ricoperta dal dipendente nell'amministrazione di destinazione. Stessa situazione si verifica per anche per l'indennità di maneggio valori e/o di videoterminalista, in quanto una volta trasferito il dipendente lo stesso si inserisce in una nuova organizzazione il cui salario accessorio è esclusivamente quello distribuito ed erogato alla generalità dei dipendenti appartenenti all'amministrazione di destinazione.
Così in merito alla indennità di videoterminalista, l'Aran (Orientamento applicativo RAL_1461) ha precisato come per gli enti locali le varie voci che, attualmente, compongono il trattamento economico accessorio sono esclusivamente quelle indicate nell'articolo17 del contratto collettivo del 1° aprile 1999 e tra queste non è prevista l'indennità di videoterminale. Infine, per quanto riguarda la indennità di maneggio valori la stessa sarà dovuta solo qualora il dipendente assuma la medesima responsabilità nell'ente di destinazione, mentre nulla è a lui dovuto in mancanza della citata responsabilità.
Non essendosi, pertanto, la Corte territoriale attenuta ai citati principi di diritto emanati dal giudice di legittimità, il ricorso del Comune va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, rinviandosi alla Corte di appello per l'applicazione del principio di diritto formulato.
Concorsi, aspettativa per cariche pubbliche, infortuni in itinere e messa in disponibilità
Fonte:sole24ore di Gianluca Bertagna
La rubrica settimanale con le indicazioni sintetiche delle novità normative e applicative intervenute in tema di gestione del personale nelle pubbliche amministrazioni.
Legittima la valutazione numerica nei concorsi
Il Consiglio di Stato, sezione VI, con la sentenza n. 3373/2017, ha esaminato il ricorso di alcuni candidati di un concorso, giudicati non idonei all'esito di una procedura selettiva, avverso le determinazioni della commissione giudicatrice. Il Collegio ha ricordato come il voto numerico attribuito dalle commissioni esaminatrici alle prove scritte o orali di un concorso pubblico o di un esame di abilitazione, esprima e sintetizzi il giudizio tecnico discrezionale della commissione stessa, contenendo in sé la sua motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, atteso che quando il criterio prescelto dal Legislatore per la valutazione delle prove scritte nell'esame è quello del punteggio numerico, costituente la modalità di formulazione del giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su ciascuna prova, con indicazione del punteggio complessivo utile per l'ammissione all'esame orale, tale punteggio, già nella varietà della graduazione con la quale si manifesta, esterna una sintetica valutazione che si traduce in un giudizio di sufficienza o di insufficienza, a sua volta variamente graduato a seconda del parametro numerico attribuito al candidato, che non solo stabilisce se quest'ultimo ha superato o meno la soglia necessaria per accedere alla fase successiva del procedimento valutativo, ma dà anche conto della misura dell'apprezzamento riservato dalla commissione esaminatrice all'elaborato e, quindi, del grado di idoneità o inidoneità riscontrato. Queste, quindi, le conclusioni del Consiglio di Stato: «Anche successivamente all'entrata in vigore della l. 7 agosto 1990, n. 241, il voto numerico attribuito dalle competenti commissioni alle prove o ai titoli nell'ambito di un concorso pubblico o di un esame - in mancanza di una contraria disposizione - esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della commissione stessa, contenendo in se stesso la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni (quale principio di economicità amministrativa di valutazione), assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla commissione nell'ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato e la significatività delle espressioni numeriche del voto, sotto il profilo della sufficienza motivazionale in relazione alla prefissazione, da parte della stessa commissione esaminatrice, di criteri di massima valutazione che l'omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l'espressione della cifra del voto, con il solo limite della contraddizione manifesta tra specifici elementi di fatto obiettivi, i criteri di massima prestabiliti e la conseguente attribuzione del voto.».
Contributi durante aspettativa per cariche pubbliche
Con la circolare n. 113/2017, l'Inpsha fornito le istruzioni in merito all'introduzione del modello “F24 ELIDE”, e dei relativi codici di pagamento, con riferimento alla contribuzione di cui all'articolo 38 della legge 488/1999, afferente ai lavoratori dipendenti privati in aspettativa per cariche pubbliche.
Infortunioin itinere e utilizzo mezzo proprio
«Secondo la disciplina in vigore in materia di infortunio in itinere anche l'uso del mezzo proprio (senza altra connessione funzionale con l'attività lavorativa assicurata) non è di ostacolo all'indennizzabilità, ma permane la condizione, già dettata dalla giurisprudenza, che l'uso sia «necessitato» ovvero che non sussista altra agevole e meno rischiosa soluzione (in particolare, attraverso l'utilizzo di mezzi pubblici che comporta un minore grado di esposizione al rischio della strada).». Questo è quanto stato ribadito dalla Corte di cassazione civile, sezione Lavoro, con la sentenza n. 16835/2017, relativamente al ricorso di una lavoratrice avverso il diniego dell'Inail a ottenere il riconoscimento delle prestazioni di legge per i postumi subiti a seguito di infortunio in itinere, allorché mentre con il proprio motociclo rientrava a casa dal posto di lavoro cadeva rovinosamente a terra. In particolare, il Collegio, dopo aver esaminato la normativa vigente e le circostanze emerse nei gradi di giudizio precedenti, ha evidenziato come, nel caso in esame, fosse stato dimostrato che la lavoratrice non avesse dedotto nessuna prova:
- sulla totale carenza di mezzi pubblici lungo la tratta casa-lavoro;
- sulla possibilità o meno di deviazioni dal percorso abituale casa-lavoro;
- sull'impossibilità di fruire di corse con fermate intermedie, poste ai margini della tratta interessata (anche distanziate, ma agevolmente percorribili a piedi da persona non anziana e in buone condizioni);
- su eventuali specifiche necessità domestiche o familiari che imponessero il sollecito rientro presso l'abitazione.
Trattamenti pensionistico e previdenziale per collocati in disponibilità
Con la circolare n. 114/2017, l'Inps fornisce chiarimenti in merito agli adempimenti contributivi e ai riflessi sul trattamento pensionistico e previdenziale per il personale della gestione dipendenti pubblici, collocato in disponibilità ai sensi degli articoli 33, 34 e 34-bis del Dlgs 165/2001.
Pensioni, Ultima Chiamata per l'uscita anticipata della classe 1952
Giunge a conclusione lo scivolo pensionistico per i dipendenti del settore privato nati nel 1952. Il 1° Agosto 2017 l'ultimo dei lavoratori che ha maturato i requisiti richiesti dall'articolo 24, co. 15-bis della legge 201/2011 potrà conseguire, in via eccezionale, la pensione all'età di 64 anni. Parliamo dei lavoratori che hanno raggiunto la quota 96 entro il 2012 (60 anni e 36 di contributi oppure 61 anni e 35 di contributi) o di quelle lavoratrici che hanno raggiunto, sempre alla medesima data, 60 anni di età e 20 anni di contributi. Si ricorda che questa disposizione eccezionale interessa solo i lavoratori dipendenti del settore privato: restano fuori dal perimetro dell'agevolazione quindi sia i lavoratori autonomi che i dipendenti pubblici.
In favore di questi soggetti, infatti, la riforma Fornero del 2011 ha concesso la possibilità di accedere alla pensione, in via eccezionale, all'età di 64 anni cioè con due anni di anticipo rispetto alle regole Fornero. Anche questo requisito non è "fisso" perchè deve essere comunque adeguato alla speranza di vita: pertanto sino al 31 dicembre 2015 era pari a 64 anni e 3 mesi e dal 1° gennaio 2016 si è innalzato di ulteriori 4 mesi arrivando a 64 anni e 7 mesi. Il prossimo 1° agosto 2017 giunge a decorrenza la pensione dei nati nel dicembre del 1952 cioè coloro che hanno maturato i 64 anni e 7 mesi di età nel luglio 2017, sostanzialmente gli ultimi inclusi nella disposizione da ultimo richiamata.
Sulla questione dello scivolo pensionistico in questi anni si è consumata una lunga diatriba tra Inps, Ministero del Lavoro e Commissioni Parlamentari di Camera e Senato. In origine, infatti, questo canale di pensionamento poteva essere utilizzato solo da coloro che al 28 dicembre 2011 risultassero impiegati in costanza di attività lavorativa dipendente. Era stato, pertanto, negato il beneficio ai disoccupati e a coloro che a quella data fossero stati impiegati in attività lavorative autonome. A seguito delle numerose pressioni parlamentari il Ministero del Lavoro e l'Inps hanno mutato orientamento alla fine dello scorso anno (qui i dettagli) aprendo questo canale di pensionamento anche a coloro che al 28 dicembre 2011 erano privi di occupazione o prestavano attività di lavoro autonomo a condizione però che il maturato contributivo (cioè i 36 anni di contributi, 20 anni per le donne) fosse composto esclusivamente da contribuzione da lavoro dipendente nel settore privato.
Tale interpretazione, per quanto sia stata un passo avanti, ha comunque generato un'altra categoria di esclusi. Ne sono stati penalizzati, in particolare, quei soggetti che hanno contribuzione figurativa o da riscatto accreditata per eventi al di fuori del rapporto di lavoro dipendente nel settore privato, quella volontaria e quella trasferita al FPLD derivante da attività svolte in ambito diverso dal lavoro dipendente nel settore privato. Per far cadere tale ultima restrizione è ancora in corso una discussione tra la Commissione Lavoro della Camera e il Ministero del Lavoro. Proprio questa settimana, del resto, è calendarizzata in Commissione Lavoro una nuova interrogazione parlamentare dell'Onorevole Gnecchi (Pd).
Pensioni, Cumulo Contributivo con limiti per i Quindicenni
Fonte:pensionioggi Scritto da Franco Rossini
Il beneficio di accedere alla pensione di vecchiaia in regime di cumulo con il requisito contributivo di 15 anni è possibile solo vengono cumulate gestioni contributive alle quali si applica le deroga prevista dalla Legge Amato.
Una delle questioni che spesso si domandano i lettori riguarda la possibilità di utilizzare la contribuzione mista, cioè versata presso più casse previdenziali, ai fini di guadagnare la pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi. Com'è noto nel marasma delle deroghe previste nel nostro ordinamento previdenziale la legge Amato (articolo 2, co. 3 del Dlgs 503/1992) consente ai lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria dell'assicurazione IVS entro il 26.12.1992, a coloro che hanno raggiunto i 15 anni di contributi entro il 31.12.1992 o che hanno svolto lavori saltuari nel corso della loro vita lavorativa la possibilità di pensionarsi, ancora oggi, con 15 anni di contributi anzichè 20 anni. Certo occorre raggiungere l'età stabilita dalla Legge Fornero per la pensione di vecchiaia (cioè i 66 anni e 7 mesi, 65 anni e 7 mesi per le donne del settore privato) ma si tratta, comunque, di una facoltà da tenere in considerazione perchè consente di non perdere i contributi versati, un argine al dramma deicontributi silenti.
Ma cosa accade se il minimo di 15 anni di contributi non è raggiunto in una unica gestione previdenziale? In tali circostanze, come noto, la legge 228/2012 consente dal 1° gennaio 2013 di sommare la contribuzione non coincidente temporalmente al fine di ragguagliare il requisito contributivo minimo necessario per la pensione di vecchiaia. Dunque molti lavoratori (soprattutto lavoratrici) si chiedono se è possibile mettere assieme gli spezzoni contributivi versati in diverse gestioni previdenziali al fine di acquisire il minimo dei 15 anni di contributi. Ed utilizzare questo canale di pensionamento.
Ad esempio una lavoratrice con 10 anni di contributi da lavoro dipendente che sia stata autorizzata ai contributi volontari prima del 1992 ed ha ulteriori 5 anni di contribuzione nella gestione separata potrebbe voler utilizzare tale strumento per pensionarsi all'età di 66 anni e 7 mesi. La risposta a tale quesito è negativa. Vediamo perchè.
Le condizioni richieste dalla legge per il cumulo
L'Inps ed il ministero del Lavoro hanno precisato, nella Circolare Inps 120/2013 che ci si possa avvalere del beneficio di accedere alla pensione di vecchiaia in regime di cumulo con il requisito contributivo di 15 anni solo se vengono cumulate gestioni contributive alle quali si applica la deroga di cui all'articolo 2, co. 3 del Dlgs 503/1992. Dunque per poter avvalersi del cumulo bisogna verificare se le singole gestioni coinvolte nel cumulo riconoscono, nel proprio ordinamento, la possibilità di pensionarsi con 15 anni di contribuzione invece che con 20 anni.
Le gestioni previdenziali che ammettono tale deroga sono delineate, come noto, nella Circolare Inps 16/2013. In tale documento è stato precisato che la facoltà di accedere alla pensione con 15 anni di contributi è riconosciuta solo nei confronti dei lavoratori dipendenti del settore privato, nelle gestioni dei dipendenti pubblici (ex inpdap), nonchè delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi e dei lavoratori iscritti al fondo di previdenza dello spettacolo e sportivi professionisti (ex enpals). In sostanza la facoltà di cumulo ai fini del pensionamento con 15 anni di contributi non può essere esercitata ove si intenda valorizzare contribuzione presso il Fondo FS, il fondo quiescenza poste, nella gestione separata dell'Inps o per chi svolge lavori saltuari. Negli altri casi, invece, il cumulo può essere utilizzato semprechè il lavoratore o la lavoratrice abbiano raggiunto 15 anni di contributi al 1992 o siano stati autorizzati ai versamenti volontari entro il 26 dicembre 1992. Dunque nel caso sopra prospettato, cioè di una lavoratrice che intende valorizzare contribuzione nella gestione separata al fine di raggiungere i 15 anni di versamenti minimi la risposta è negativa. La gestione separata, infatti, non prevede tale deroga essendo, peraltro, nata solo nel 1996 con la Riforma Dini.