Fonte:sole24ore di Vincenzo Giannotti
In caso di restituzione delle somme corrisposte in eccedenza, fermo restando l'obbligo di restituzione da parte del percettore, il problema che si pone riguarda il caso se il rimborso debba avvenire al lordo o al netto delle ritenute fiscali e previdenziali. Il Tar per la Toscana, nella sentenza 858/2017, evidenzia come il recupero debba avvenire al netto, motivandone più che adeguatamente le ragioni. L'interesse della sentenza, inoltre, risiede nella forte reprimenda dei giudici amministrativi nei confronti dell'amministrazione finanziaria e, in particolare, nelle risoluzioni sulla corretta applicazione del Testo unico dell'imposta sui redditi, in considerazione del fatto che le direttive, oltre a essere fuori da ogni logica giuridica, impongono una vessazione del contribuente fuori da ogni pur elementare logica. L'ultimo monito riguarda la corretta applicazione delle direttive anche al fine di evitare inutili quanto costosi contenziosi.
Il fatto
A fronte del ricorso di un pensionato che si era visto recuperare le somme corrisposte indebitamente al lordo delle ritenute Irpef, l'Avvocatura dello Stato aveva modo di precisare come l'Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 110 del 29 luglio 2005 e successivamente con la risoluzione n. 71/E del 28 febbraio 2008, aveva affermato che il recupero deve essere effettuato al lordo delle ritenute fiscali operate a carico del lavoratore, precisando che l'introduzione dell'articolo 10, comma 1, lettera d-bis) del Tuir, dal decreto legislativo 2 settembre 1997 n. 314, il quale prevede la possibilità di dedurre dal reddito complessivo «(...) le somme restituite al soggetto erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti». Motivando come questi chiarimenti si erano resi necessari proprio in quanto il sistema dei rapporti tra Erario, sostituto e sostituito, comporta che il recupero, a carico del contribuente, delle somme a suo tempo a lui erogate avvenga al lordo delle imposte che l'ente erogatore ha versato all'erario in qualità di sostituto.
Le decisioni del collegio amministrativo
Non solo i giudici amministrativi considerano le deduzioni dell'Avvocatura dello Stato non pertinenti, ma le ragioni del ricorrente sono talmente fondate che è sufficiente una sentenza in forma abbreviata. Infatti, secondo i giudici amministrativi costituisce ormai diritto vivente, consolidato e agevolmente conoscibile nell'esperienza del Consiglio di Stato che l'Amministrazione, nel procedere al recupero delle somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, deve eseguire questo recupero al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali. In altri termini, l'amministrazione non può, invece, pretendere di ripetere le somme al lordo delle predette ritenute, allorché, come di regola accade, le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (ex multis, Consiglio di Stato, sezione II, parere su richiesta straordinaria, n. 991, adunanza 5 aprile 2017; Consiglio di Stato, Sezione IV, 3 novembre 2015 n. 5010; Consiglio di Stato, sezione III, 21 gennaio 2015 n. 198; Consiglio di Stato, sezione IV, 12 febbraio 2015 n. 750; Consiglio di Stato, sezione IV, 20 settembre 2012 n. 5043; Consiglio di Stato, sezione III, 4 luglio 2011 n. 3984 e n. 3982; id., sezione VI, 2 marzo 2009 n. 1164).
Oltre al consolidato orientamento dei giudici amministrativi si collocano anche i giudici di legittimità, i quali hanno avuto modo di precisare come nel rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro versa al lavoratore la retribuzione al netto delle ritenute fiscali e, quando corrisponde per errore una retribuzione maggiore del dovuto, opera ritenute fiscali erronee per eccesso; per cui il medesimo datore di lavoro, salvi i rapporti con il fisco, può ripetere l'indebito nei confronti del lavoratore soltanto nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest'ultimo, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (ex plurimis, Cassazione Civile, sezione I, 4 settembre 2014, n. 18674; id., Sezione Lavoro, 2 febbraio 2012, n. 1464; idem, sezione Lavoro, 11 gennaio 2006 n. 239; idem, sezione Lavoro, 26 febbraio 2002 n. 2844).
Conclusioni
In considerazione della univocità di orientamenti della giustizia amministrativa e di quella ordinaria, il Collegio amministrativo si rivolge in modo particolare ai funzionari dell'Agenzia delle Entrate al fine di evidenziare la pervicace ostinazione nella non corretta interpretazione della norma. Si tratta di recuperi di somme spesso erogate per errore in eccesso da parte della Pa che non possono per tale verso costringere i dipendenti che hanno ricevuto le somme al netto, di restituirle al lordo. Spetterà all'amministrazione che ha errato trovare la soluzione fiscale che ne permetta il recupero di quanto versato in eccedenza al lavoratore (Irpef, contributi previdenziali) mentre potrà richiedere al lavoratore solo le somme che sono effettivamente entrate nella sua disponibilità.
Fonte: http://www.ediltecnico.it
Dal 1 luglio è obbligatorio fatturare con il meccanismo della scissione dei pagamenti. Il decreto 50/2017 del Ministero dell’Economia e delle Finanze ufficializza gli elenchi dei soggetti coinvolti
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con il decreto del 27 giugno, ha ufficializzato gli elenchi delle pubbliche amministrazioni, degli enti e delle società, nei cui confronti sarà obbligatorio fatturare con il meccanismo della scissione dei pagamenti dell’IVA a partire dal prossimo 1° luglio (domani).
Ricordiamo che lo split payment si articola così: il professionista incassa l’importo dovuto al netto dell’IVA dalla Pa o da enti e società autorizzate, poi queste ultime verseranno l’IVA l’ente di P.A. si occuperà di versare l’IVA indicata in fattura direttamente all’Erario al posto dei propri fornitori.
I soggetti interessati al meccanismo sono:
Nella relazione illustrativa del decreto si specifica che i suddetti elenchi, disponibili sul sito finanze.it potranno sempre essere aggiornati in modo da agevolare i fornitori nelle procedure di fatturazione con lo split payment. Infatti sarà compito del Ministero dell’Economia e delle Finanze rendere pubblico, entro il 20 ottobre di ogni anno, un primo elenco provvisorio rispetto al quale le società, entro 15 giorni, possano segnalare eventuali incongruenze. Entro il 15 novembre di ogni anno sarà poi reso noto, con decreto, l’elenco definitivo che avrà effetto dall’anno seguente.
Si precisa inoltre che se “il controllo o l’inclusione nell’indice FTS MIB si verifichi nel corso d’anno entro il 30 settembre, le nuove società controllate o include nell’indice, applicano lo split payment alle operazioni per le quali è emessa fattura a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo” nel caso l’inclusione nell’indice FTS MIB avvenga dopo il 30 settembre” si applicherà lo split payment alle operazioni per le quali è emessa fattura a partire dal 1° gennaio del secondo anno successivo”.
Al contrario se il controllo/inclusione nell’indice FTSE MIB viene a mancare in corso d’anno entro il 30 settembre sii continuerà ad applicare lo split payment a tutte le operazioni per le quali è stata emessa fattura fino al 31 dicembre dell’anno seguente.
Fonte: https://www.fiscoetasse.com
La Consulta ha affermato che l'esclusione del pubblico impiego dalla normativa sulla detassazione dei premi di risultato premi non è incostituzionale. Nella sentenza n. 153 del 27 giugno 2017, la Corte Costituzionale infatti considera che l’art. 2 del D.L. n. 93/2008, dell’art. 53, comma 1, del D.L. n. 78/2010 e dell’art. 26, comma 1, del D.L. n. 98/2011, rientrano nel potere discrezionale del Legislatore, che è censurabile solo per palese arbitrarietà o irrazionalità. In questo caso invece la decisione del legislatore è fondata e comprensibile. Si tratta, lo ricordiamo delle agevolazioni di natura fiscale sulle somme garantite ai dipendenti come premi di risultato dal datore di lavoro . Secondo la Consulta il settore privato ha caratteristiche peculiari in materia di finalizzazione utilitaristica ed economica non è riscontrabili in alcun comparto pubblico ove non possono essere fissati obiettivi finalizzati ad un incremento della competivita aziendale o all’incremento della produzione di utili.
La questione era nata su ricorso di un dipendente pubblico dell'Agenzia delle Entrate che chiedeva il rimborso per la differenza tra l'aliquota applicata e quella agevolata Il tribunale di genova rimetteva al questione alla Corte costituzionale in quanto la considerava non del tutto infondata , perché " le finalità del «fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività», istituito dal contratto collettivo nazionale di lavoro delle Agenzie fiscali, sarebbero le stesse che caratterizzano le somme erogate a favore dei lavoratori dipendenti del settore privato ex art. 53 del decreto-legge n. 78 del 2010. Le prime, infatti, sono dirette a «promuovere reali e significativi miglioramenti dell’efficacia ed efficienza dei servizi istituzionali, mediante la realizzazione, in sede di contrattazione integrativa, di piani e progetti strumentali e di risultato», mentre le seconde sono «correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale». L’assoggettamento dei soli compensi percepiti dai dipendenti privati all’aliquota agevolata, con applicazione dell’aliquota ordinaria agli analoghi compensi dei dipendenti pubblici, costituirebbe pertanto una irrazionale e irragionevole disparità di trattamento, in violazione degli artt. 3 e 53 Cost.".
La Consulta invece, analizzando il fondamento del beneficio previsto, sottolinea che "La detassazione in esame ha lo scopo, evidente, di incentivare la produttività del lavoro, ma il suo oggetto è ben delimitato dal legislatore, che non lo collega a un generico miglioramento delle prestazioni dei lavoratori dipendenti, bensì all’erogazione di somme «correlate a incrementi di produttività, collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale». Questo preciso collegamento tra l’agevolazione fiscale delle somme erogate ai lavoratori e l’esercizio da parte del datore di lavoro erogante di un’attività economica rivolta al mercato e diretta alla produzione di utili, intende quindi promuovere la competitività delle imprese nell’interesse generale. ,
Diversa è, secondo la Corte costituzionale invece la finalità del fondo per la competitivita cui attinge il ccnl delle Agenzie fiscali, in quanto il carattere di servizio istituzionale della loro attività non sarebbe collegato a finalità di incremento di utili e non permette il paragone con l'attività dell' impresa privata
Bando di selezione presso l’Anac
Fonte:ilpersonale
L’ANAC, al fine di rafforzare l’efficacia dell’azione amministrativa e potenziare le funzioni di prevenzione e contrasto della corruzione, tenuto conto di quanto previsto nel Piano di riordino approvato con Dpcm 1° febbraio 2016, intende chiedere, compatibilmente con i vincoli di bilancio, la destinazione in comando presso l’ANAC di dodici unità di personale con qualifica di Funzionario, dipendenti di ruolo di Autorità amministrative indipendenti ovvero di amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001.
Le domande dovranno pervenire all’Autorità Nazionale Anticorruzione, secondo le modalità indicate nell’avviso, entro il 18 luglio 2017
Parte Agenzia delle Entrate-Riscossione. Ecco che fine faranno i rapporti pendenti
Fonte:studiocataldi di Lucia Izzo
Dal 1° luglio il nuovo ente Agenzia delle Entrate-Riscossione manderà definitivamente in pensione Equitalia. E' stato pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale il decreto del presidente del consiglio dei ministri recante l'approvazione dello statuto del nuovo ente (sotto allegato). Così da domani, le società del gruppo Equitalia saranno ufficialmente sciolte e l'esercizio delle funzioni passerà in capo all'ente pubblico economico Agenzia delle Entrate-Riscossione.
Se al momento la maggiore attenzione è puntata alla "governance" dell'ente, dunque alla nomina dei membri del direttorio, sono ben altri i dubbi che attanagliano i contribuenti, ad esempio che fine faranno i propri debiti e cosa in concreto cambierà con questo passaggio di testimone.
È stato il decreto fiscale 193/2016, convertito nella Legge 225/2016, a disporre la soppressione di Equitalia, ma, "al fine di garantire la continuità e la funzionalità delle attività di riscossione", il nuovo ente subentrerà a titolo universale nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle società del Gruppo Equitalia".
Ciò significa che tutti i rapporti pendenti, comprese cartelle relative a tributi erariali o locali (Tasi, Imu, Tari e così via), le iscrizioni a ruolo e i procedimenti in corso non si estingueranno o spariranno in alcun modo, bensì saranno trasferiti ed "ereditati" dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione (per approfondimenti: Fisco: dal 1° luglio al via la nuova Agenzia delle Entrate-Riscossione).
Il nuovo ente si prospetta ben più "aggressivo" stante i suoi maggiori poteri che si concretizzeranno in modalità di riscossione semplificate e potenziate. L'Agenzia delle Entrate-Riscossione potrà utilizzare i dati già in suo possesso, "anche ai fini dell'esercizio delle funzioni relative alla riscossione nazionale", quindi potrà accedere alle banche dati dell'Anagrafe Tributaria (per approfondimenti: Conto Corrente: dal 1° luglio il Fisco pignora direttamente) e anche a quella dell'INPS, così da venire a conoscenza di tutti i dati sul rapporto di lavoro al fine di pignorare stipendi, pensioni, indennità, ecc.
Disciplina normativa, profili giurisprudenziali e strumenti di tutela
Fonte:studiocataldi Avv. Daniele Paolanti
L'interruzione del rapporto di lavoro può scaturire da molteplici circostanze. Tra queste la più nota è il licenziamento come conseguenza di una determinata condotta del lavoratore.
Con l'espressione licenziamento disciplinare si intende quella sanzione che viene applicata dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore laddove questi, con la sua condotta, violi determinate norme di legge, dei contratti collettivi o ancora il codice disciplinare dell'azienda cui appartiene. Quindi il licenziamento è un atto unilaterale che può conseguire a determinati comportamenti del lavoratore e che presenta determinati connotati. Vediamo quali.
Il licenziamento disciplinare può essere intimato per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. Si parla di giusta causa laddove il comportamento tenuto dal lavoratore sia contraddistinto da una gravità tale da escludere qualsiasi possibilità del recupero del rapporto di fiducia, che si spezza irrimediabilmente. Laddove il datore di lavoro decida di procedere al licenziamento per giusta causa non sarà tenuto a darne preavviso al lavoratore nei termini di legge, quindi non dovrà concedere quel numero minimo di giorni tra il momento del licenziamento e quello in cui il lavoratore cessa l'attività lavorativa. Normalmente i contratti collettivi prevedono delle ipotesi nelle quali si può addivenire ad una sanzione di tal fatta ma ciò non esclude che il datore di lavoro possa provvedere in tal senso se riesca a dimostrare la particolare gravità del fatto.
Le motivazioni: giustificato motivo soggettivo di licenziamento
Le differenze tra licenziamento disciplinare per giusta causa e licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo risiedono principalmente nella gravità della condotta tenuta dal lavoratore. Nelle ipotesi di giustificato motivo soggettivo la condotta tenuta dal lavoratore è sicuramente meno grave rispetto alla prima ipotesi ma comunque tale da rappresentare un'infrazione alle norme del codice disciplinare dell'azienda. Si tratta di comportamenti normalmente ripetuti nel tempo e puntualmente contestati i quali costringono il datore a dover interrompere il rapporto. Carattere distintivo di detto provvedimento è il necessario preavviso che deve essere concesso al lavoratore, ossia un congruo termine dall'emissione del provvedimento sino all'interruzione effettiva del rapporto. Il termine di preavviso è indicato nei contratti collettivi di riferimento.
Il licenziamento deve avere la forma scritta e deve dunque sostanziarsi in un atto che consenta al lavoratore di conoscere le ragioni per cui il rapporto si è interrotto. Questo significa che l'atto di licenziamento deve essere congruamente motivato così da consentire al lavoratore di muovere eventualmente le sue contestazioni. Dalle contestazioni del lavoratore può conseguire la conferma del provvedimento o la revoca dello stesso. Della contestazione ci occuperemo infra.
Per impugnare il licenziamento esistono dei termini posti a pena di decadenza dal legislatore ed in species: entro sessanta giorni questi potrà impugnare in via stragiudiziale la lettera di licenziamento ed avrà a disposizione ulteriori 180 giorni per poi presentare ricorso giudiziale.
Per approfondimenti sulle modalità di impugnazione del licenziamento leggi: "L'impugnazione del licenziamento"
Il licenziamento è illegittimo laddove manchi un giustificato motivo (sia esso oggettivo o soggettivo) ovvero una giusta causa. In tal caso al lavoratore sono garantiti adeguati strumenti di tutela. A tal riguardo illuminante è il disposto dell'art. 18 della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori) che però non trova più applicazione, a seguito del Jobs act, per i lavoratori che siano stati assunti dopo il 7 marzo 2015 con contratto a tempo indeterminato e per coloro che da questa data abbiano visto trasformato il proprio contratto di apprendistato o di lavoro a tempo determinato in un rapporto a tempo indeterminato, i quali abbiano subìto un licenziamento economico, collettivo o formalmente viziato (vedi guida "L'impugnazione del licenziamento").
Per tutti gli altri assunti, invece, l'art. 18 rimane valido per tutti quei licenziamenti discriminatori o illegittimi mentre negli altri casi è previsto un risarcimento in misura crescente e commisurato all'anzianità di lavoro.
È orientamento costante della Suprema Corte quello teso ad ammettere che "Le disposizioni dell'art. 5 della legge 20 maggio 1970, n. 300, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l'insussistenza della malattia o la non idoneità di quest'ultima a determinare uno stato d'incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l'assenza" (Cass. 26 novembre 2014 n. 25162). Inoltre la Corte di Cassazione ha ritenuto che il fatto che la sanzione sia stata imposta tenendo conto anche dei giorni di assenza continuata nel periodo di tempo intercorrente tra il momento della contestazione e quello del licenziamento non rappresenta una modifica dell'addebito disciplinare (Corte di Cassazione, sentenza n. 22127 del 2 novembre 2016).
Da PensioniOggi:
fonte:pensionioggi Scritto da Eleonora Accorsi
il Presidente dell'Inps chiamato a commentare le proposte di modifica dell'articolo 38 della Carta Fondamentale per assicurare una maggiore equità generazionale.
«C’è un problema generazionale molto forte nel modo in cui la sicurezza sociale ha affrontato i problemi dei giovani». Lo ha detto il presidente dell'Inps, Tito Boeri, nel corso di una audizione in commissione Affari Costituzionali della Camera sulle proposte di legge che recano modifiche all'articolo 38 della Costituzione per assicurare l'equità nei trattamenti previdenziali e assistenziali. All’Inps, questo problema «l’abbiamo già affrontato e abbiamo presentato delle proposte già nel 2015», ha ricordato Boeri, spiegando che anche per la disoccupazione la spesa per i sussidi «ha un profilo per età che tende a penalizzare le persone con meno di 35 anni». La commissione Lavoro della Camera ha, infatti, avviato l'esame del DDL 3478, un disegno di legge costituzionale che mira a modificare l'articolo 38 della Carta Fondamentale per assicurare il diritto ad una giusta pensione anche per i giovani penalizzati dal passaggio al sistema contributivo.
Secondo i Parlamentari promotori del DDL i trentenni di oggi potrebbero essere costretti ad andare in pensione a 75 anni per ricevere, se matureranno i requisiti, una pensione inferiore del 25 per cento rispetto a quanto ricevono i pensionati di oggi. Sul fronte contributivo, poi, giovani e donne scontano in maniera molto più pesante di altre categorie periodi di assenza dal lavoro, disoccupazione e inattività. A pesare, ricordano i firmatari, è comunque il quadro del mercato del lavoro che stenta ad uscire dalla crisi: il 26,9 per cento dei giovani tra 16 e 29 anni non sono infatti occupati né coinvolti nel sistema educativo o di formazione. Inoltre, il rischio di povertà si è di fatto già trasferito dagli anziani ai giovani: è povero il 15 per cento dei giovani tra 18 e 25 anni, mentre la percentuale tra gli over 65 è pari al 9 per cento. Il 12 per cento delle donne tra 25 e 49 anni è assente dal lavoro per motivi familiari, rispetto a meno dell'1 per cento degli uomini della stessa fascia di età. L'ingresso nel mondo del lavoro retribuito avviene poi con più di due anni di ritardo per le donne rispetto agli uomini.
La modifica all'articolo 38 della Costituzione
Per risolvere questa situazione - proseguono i firmatari del DDL 3478 - le azioni più importanti sono, naturalmente, quelle finalizzate, da un lato, alla crescita economica e, dall'altro, a un miglioramento del mercato del lavoro tale da assicurare il più semplice e rapido ricollocamento sul mercato alle persone che hanno perso il proprio impiego, soprattutto giovani e donne. La presente proposta di legge costituzionale intende dunque introdurre nella Costituzione nuovi princìpi cardine ai quali devono conformarsi gli istituti previdenziali e assistenziali previsti dalla Carta. Nel testo vigente, infatti, l'articolo 38 sancisce che ognicittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. Viene poi stabilito il diritto dei lavoratori a misure di previdenza e sicurezza sociale in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Ma non si può considerare equo un Paese nel quale il sistema pensionistico discrimina fra pensionati di generazioni diverse. Viene meno un caposaldo della Costituzione, il principio di uguaglianza. Per questo, nella proposta si prevede che gli istituti, previsti dall'articolo 38 della Costituzione e predisposti o integrati dallo Stato, devono essere informati ai princìpi di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni. L'obiettivo velato dei firmatari, in definitiva, è quello di inserire un principio nella Carta che possa fornire copertura costituzionale per intaccare i diritti acquisiti dai pensionati di oggi per dare più ai giovani.
Boeri: richiamo importante e condivisibile
La possibilità di inserire nella Costituzione un richiamo che assicuri l’equità nei trattamenti previdenziali e assistenziali «è un tema puntuale, ed è importante che questo principio venga interpretato dal Parlamento con estrema attenzione alle implicazioni che tutti i futuri provvedimenti in tema di protezione sociale e previdenza avranno sulle future generazioni», ha detto il presidente dell’Inps. Il presidente dell’Inps ha suggerito che si guardi «a una grandezza, finora ignorata, che è quella del debito implicito pensionistico ossia l’insieme degli impegni futuri, in valore attuale e a legislazione vigente, presi dallo Stato nei confronti dei cittadini in termini di prestazioni pensionistiche al netto dei contributi», ha concluso. «Quando si valutano provvedimenti di riforma sulle pensioni, le relazioni tecniche guardano spesso al breve periodo, ma sulle riforme previdenziali dobbiamo sempre guardare al lungo periodo», ha continuato Boeri.
Fonte:pensionioggiScritto da Cesare Damiano
"È una società stolta e miope quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga un'intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti". Queste parole di Papa Francesco adesso vengono universalmente condivise, anche dal centrodestra che ha imposto, al tempo del Governo Berlusconi, l'aggancio dell'età della pensione all'andamento della aspettativa di vita. La conseguenza sarà, se non si blocca il meccanismo, che dal 2019 l'età pensionabile salirà a 67 anni e nel (lontano?) 2050 a quasi 70 anni. Noi abbiamo fatto nel 2016 una campagna sulla flessibilità delle pensioni. Ve la ricordate?
"Agli anziani la pensione, ai giovani il lavoro". Abbiamo raccolto più di 30.000 firme on line, oltre a quelle cartacee, a sostegno della legge 857, primi firmatari Damiano e Gnecchi, che aveva come elementi essenziali la flessibilità previdenziale e il ripristino del diritto alla pensione con 41 anni di contributi. È stata una battaglia dura, che si è accompagnata a quella per le 8 "salvaguardie" e per Opzione Donna. Battaglia che ha aperto la strada al verbale sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Governo del settembre scorso. Adesso l'APE sociale sta avendo, come prevedevamo, un grande successo. La nostra iniziativa non ha portato a casa tutti gli obiettivi, ma ha aperto un varco importante e deve continuare per realizzare un sistema previdenziale più giusto.
I prossimi obiettivi saranno: aggiungere risorse per l'APE sociale se, come pare, i numeri saranno superiori alle previsioni. Attuare i Decreti anche per l'APE volontario e per i lavori usuranti. Aprire un confronto con le parti sociali per la Fase 2 del verbale firmato da Cgil, Cisl, Uil e Governo che propone di affrontare il tema della "pensione contributiva di garanzia" per i giovani e quello dell'innalzamento dell'età pensionistica in rapporto all'andamento della aspettativa di vita. Quest'ultimo argomento ha bisogno di una messa a punto: l'innalzamento continuo dell'età della pensione deve essere cancellato, o rallentato, o differenziato. Nell'ultima legge di Bilancio è stato cancellato per i lavori usuranti. Adesso si tratta di valutare se lo si blocca per tutti o almeno per i cosiddetti lavori "gravosi". In alternativa di può rallentare il meccanismo del dispositivo. L'anticipo della pensione a 63 anni dovrebbe diventare una misura strutturale e non solo una sperimentazione fino al 2018.
Fonte:pensionioggiScritto da Franco Rossini
La pubblicazione delle Circolari Inps 99 e 100 in materia di anticipi pensionistici confermano il perimetro ristretto delle agevolazioni per i lavoratori che faranno domanda nel profilo dedicato ai cd. disoccupati con esaurimento degli ammortizzatori sociali. Costoro possono, nell'ambito di risorse annualmente programmate, usufruire dell'APE Sociale se hanno compiuto i 63 anni di età e vantano un minimo di 30 anni di contribuzione oppure, se più favorevole, uscire a 41 anni di contributi, a prescindere dall'età anagrafica, se hanno svolto almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima dei 19 anni.
L'agevolazione, tuttavia, è garantita solo ai lavoratori in stato di disoccupazione a seguito della cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento (anche a seguito di procedura collettiva), dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell'ambito della procedura di conciliazione obbligatoria prevista dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (nell'ambito cioè delle conciliazione attivata dalle imprese che impieghino una forza lavoro complessivamente superiore ai 15 dipendenti attivata a seguito di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo), e all'ulteriore condizione che i lavoratori abbiano concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi. In sostanza il beneficio in parola sarà vincolato alla perdita di un rapporto di lavoro subordinato per licenziamento (sia a tempo determinato che indeterminato, anche a tempo parziale) e non per altre ragioni (in primis spicca l'assenza di tutela per scadenza del termine in un contratto a tempo determinato). Lo status di disoccupazione dovrà essere verificato tramite la consultazione della permanenza del richiedente nelle liste di disoccupazione presenti presso i centri per l’impiego.
Dal perimetro dell'agevolazione restano fuori, oltre ai lavoratori autonomi privi di occupazione, anche tutti coloro che non hanno i requisiti per accedere agli ammortizzatori sociali (es. non conteggiano 13 settimane di contribuzione nell'ultimo quadriennio). Sarebbe utile una precisazione, invero, per quanto riguarda i collaboratori che abbiano perso l'occupazione per iniziativa del committente e che hanno avuto diritto alla Dis-Coll. Tali soggetti, secondo una interpretazione letterale della norma, risultano esclusi ma il Ministero del Lavoro potrebbe giungere ad una considerazione diversa sulla base della progressiva equiparazione delle collaborazioni al lavoro dipendente avviata con il Jobs Act. Si vedrà.
L'Inps fornisce anche una ulteriore indicazione: se il lavoratore ha avuto accesso all'ASDI, l'assegno di disoccupazione che viene erogato, in presenza delle condizioni, al termine della Naspi per un massimo di sei mesi, dovrà attendere anche l'esaurimento dell'ASDI prima di poter chiedere l'indennità ape social o il pensionamento con 41 anni di contributi. Ove, invece, la durata dell'ASDI è inferiore a tre mesi resta ferma la necessità che siano trascorsi tre mesi dalla fruizione dell’intera prestazione di disoccupazione NASPI. Come dire che i tre mesi di vuoto economico possono essere, da un lato, coperti dall'ASDI ma se la durata dell'ASDI è superiore ai tre mesi l'accesso al pensionamento anticipato slitterà al termine di tale ammortizzatore sociale (senza però dover aggiungere in coda un ulteriore periodo di tre mesi).
Quanto alla procedura i lavoratori che si riconoscono in questo profilo di tutela dovranno effettuare domanda di verifica delle condizioni all'Inps entro il 15 luglio 2017 ove maturino tutti i requisiti entro il 2017 (il termine del trimestre di inoccupazione, nonchè i requisiti anagrafici e/o contributivi possono essere maturati anche in via prospettica, cioè dopo il 15 luglio 2017 purchè entro la fine dell'anno). Mentre l'anno successivo la domanda di verifica andrà prodotta entro il31 marzo 2018 (1° marzo 2018 per i lavoratori precoci). Ad esempio un lavoratore (già in possesso di 63 anni e 30 di contributi o di 41 anni di contributi) che termina la disoccupazione il 15 Agosto 2017 dovrà produrre istanza di verifica entro il 15 luglio 2017 in quanto il trimestre di inoccupazione scade il 15 novembre 2017, entro la fine dell'anno. Se la disoccupazione terminasse il 15 Novembre 2017 l'istanza di verifica andrebbe prodotta, invece, nel 2018 in quanto il trimestre di inoccupazione scadrebbe il 15 Febbraio 2018. La domanda di accesso alle prestazioni va, invece, prodotta alla maturazione di tutti i requisiti richiesti.
Nella domanda di verifica il lavoratore dovrà allegare, oltre ad una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà in cui indica il raggiungimento dei requisiti entro la fine dell'anno: 1) la lettera di licenziamento (se licenziato) e indicare quando ha terminato di godere della prestazione di disoccupazione; la lettera di dimissioni per giusta causa e indicare quando ha terminato di godere della prestazione di disoccupazione (se dimesso per giusta causa); il verbale di accordo stipulato ai sensi dell’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e indicare quando ha terminato di godere della prestazione di disoccupazione (se cessato per risoluzione consensuale).