Fonte:ilmessaggero
Nel nuovo contratto del pubblico impiego «per patologie gravi saranno riconosciute le giornate post terapia, oggi escluse. Nessuna stretta, piu' diritti». Lo precisa la ministra della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, in un tweet sulla direttiva per i rinnovi, intervenendo su alcune notizie riportate dalla stampa.
Oggi infatti non contano ai fini del calcolo dei giorni di malattia, ovvero del cosiddetto «comporto» e delle conseguenti decurtazioni economiche, i giorni di ricovero ospedaliero, di day-hospital e svolgimento delle terapie stesse. Una regola che non si estende attualmente ai giorni seguenti, anche se determinano incapacita' lavorativa.
Ecco perché si dà mandato all'Aran per includere anche i giorni di assenza collegati alle terapie salvavita, all'interno di un tetto massimo di giornate di assenza (a cui circoscrivere la disciplina di maggior favore).
CONTRATTI STATALI/ Dipendenti Pubblici, Madia: “col rinnovo Pa più diritti ai malati gravi”
FONTE:REPUBBLICA
Contratti statali, ultime notizie di oggi 13 giugno 2017: aumento stipendi e rinnovo Dipendenti Pubblici, le ultime novità sulla bozza di direttiva Aran, il tetto-permessi e la banca-ore
CONTRATTI STATALI, MADIA: “COL RINNOVO PA PIÙ DIRITTI AI MALATI GRAVI” (Il Ministro Marianna Madia ha annunciato le ultimissime novità sul fronte del rinnovo dei contratti statali, specie per le categorie che interessano malati, permessi e ambito sanitario. In un tweet la Ministro della Pubblica Amministrazione annuncia come «Nel nuovo contratto del pubblico impiego per patologie gravi saranno riconosciute le giornate post terapia, oggi escluse. Nessuna stretta, più diritti». Palazzo Vidoni avrebbe così dato mandato all’Aran di includere nell’atto di indirizzo anche i giorni di assenza collegati alle terapie cosiddette “salvavita”, all’interno di un tetto massimo di giornate di assenza, a cui si dovrebbe circoscrivere la disciplina di maggiore favore. Ora no resta che capire le tempistiche di queste ultime modifiche in modo da preservare la promessa di fine giugno fatta dalla stessa Madia ormai più di un mese fa.
CONTRATTI STATALI, IL RINNOVO E LA “BANCA DELLE OREI contratti statali a rinnovare restano uno dei punti più urgenti dell’attuale Governo, ora impegnato alla doppia “grana” delle Comunali e della Legge Elettorale, con le promesse del ministro Madia che rischiano di non essere mantenute, almeno a fine giugno. Il tempo per consegnare l’atto di indirizzo completo per far partire l’ultima fase di trattative era stato fissato entro fine giugno, ma ancora di elementi ufficiali non ne sono arrivati: mancano 15 giorni e di tempo da perdere non ve n’è. Come già anticipavamo a scorsa settimana, le principali novità sul generale rinnovo dei contratti PA riflettono ora la annosa situazione sui permessi e le assenze nella Pubblica Amministrazione. Stando alle prime bozze filtrate dall’Ansa, il ministro Madia sembra intenzionata ad introdurre una dura e ferrea disciplina per quanto riguarda ogni tipo di permesso a sfondo medico, terapeutico, famigliare o personale: la “banca delle ore” sarebbe la novità apportata dal Ministero Pa per questo nuovo corso dei Dipendenti Pubblici.
Trattasi di un istituto contrattuale che prevede di fatto l’accantonamento in un conto individuale e singolo, di un numero di ore “prestate” in eccedenza rispetto al normale orario di lavoro. In questo modo, la novità pensata dalla Madia andrà sempre più verso una «base di partenza per ulteriori avanzamenti nella direzione di una maggiore conciliazione e tra tempi di vita e di lavoro», si legge nella bozza della direttiva Aran, fonte Adnkronos. La direttiva prevede anche un "monte ore" annuale per la fruizione di tali permessi con l'indicazione che 6 ore di permesso corrispondono a un'intera giornata di lavoro.
Fonte:sole24ore di Gianluca Bertagna
La rubrica settimanale con le indicazioni sintetiche delle novità normative e applicative intervenute in tema di gestione del personale nelle pubbliche amministrazioni.
Festività soppresse: riposi entro l’anno
I giorni di riposo per festività soppresse vanno goduti entro l'anno. Sulla base della legge 937/1977, i giorni di riposo per le festività soppresse devono essere fruiti esclusivamente nell'anno di riferimento e, conseguentemente, non è possibile in alcun modo la trasposizione di quelli maturati in un anno nell'anno successivo. Sono queste le conclusioni dell'Aran contenute nel parere Ral_1934_Orientamenti Applicativi del 30 maggio 2017, che afferma innanzitutto che le quattro giornate di riposo di cui alla legge 937/1977 sono state sostanzialmente assimilate alle ferie. Tuttavia, l'articolo 18 del Ccnl del 6 luglio 1995 non ha operato una equiparazione piena tra il regime delle 4 giornate di festività soppresse e quello generale delle ferie, dato che questa è limitata solo ad alcuni particolari profili della disciplina (maturazione di giorni nel corso dell'anno; importo dovuto al lavoratore in caso di mancata fruizione). Ciò troverebbe conferma nella circostanza che lo stesso articolo 18 prende in considerazione separatamente le ferie (commi 1-5) e i giorni di «riposo» corrispondenti alle festività soppresse (comma 6). Ma, a parere dell'Aran, ciò che rileva principalmente è che proprio l'articolo 18, comma 6, espressamente stabilisce che i giorni di riposo per festività soppresse sono «da fruire nell'anno solare ai sensi ed alle condizioni previsti dalla menzionata legge n. 973/77».
Concetto di «convivenza» per assistenza del disabile
«In tema di assistenza al familiare portatore di handicap il concetto di convivenza non può essere ritenuto coincidente con quello di coabitazione poiché in tal modo si darebbe un'interpretazione restrittiva della disposizione che, oltre che arbitraria, sembra andare contro il fine perseguito dalla norma di agevolare l'assistenza degli handicappati, di talché sarebbe incomprensibile escludere dai suddetti benefici il lavoratore che conviva costantemente, ma limitatamente ad una fascia oraria della giornata, con il familiare handicappato al fine di prestargli assistenza in un periodo di tempo in cui, altrimenti, di tale assistenza rimarrebbe privo». Questo il principio ribadito dalla Corte di cassazione penale, sezione II, con la sentenza n. 24470/2017, relativamente al ricorso di un medico, dipendente di una ASL, che aveva dichiarato di essere convivente con la madre affetta da grave disabilità ed aveva, pertanto, ottenuto dall'ente un congedo straordinario retribuito per l'assistenza alla parente (mentre, al contrario, risiedeva solo anagraficamente presso la madre, ma di fatto abitava in un'altra casa e presso il genitore svolgeva la sua attività libero-professionale). Per tale motivo, dunque, era stato condannato per il reato di truffa aggravata ai danni della Asl. La Corte ha però ritenuto che non poteva ritenersi di per sé falsa l'indicazione di essere convivente con la madre, in quanto non necessariamente incompatibile con la diversa dimora del soggetto con moglie e figli, né con la legittima fruizione del congedo di cui all'articolo 42, comma 5, del Dlgs 151/2001, giacché quel che rileva è, comunque, la prestazione di un'assistenza assidua e continuativa alla portatrice di handicap, fattispecie che nel caso in esame si era verificata.
Calcolo della retribuzione in mobilità
Se non vi è dubbio che in caso di mobilità nel corso di un mese la retribuzione vada correttamente suddivisa in base ai giorni in cui il dipendente ha prestato servizio nell'ente di provenienza e di destinazione, possono accadere situazioni particolari che vanno esaminati caso per caso. L'Aran rispondendo a un quesito specifico su come suddividere la spesa in caso di mobilità nel mese di febbraio (che ha solo 28 giorni), fornisce un esempio pratico che potrebbe costituire, anche in casi analoghi, un buon principio di logica e razionalità.
Il caso: dipendente trasferito per mobilità, con decorrenza nel giorno 13 del mese febbraio, al quale l'ente cedente abbia corrisposto la retribuzione per 10/26 mentre l'ente di destinazione per 14/26. Con parere Ral_1931_Orientamenti Applicativi del 30 maggio 2017, viene svolto il seguente ragionamento:poiché a febbraio i giorni lavorativi (domeniche escluse) sono stati 24 e che ciascun Comune ha pagato tutti i giorni lavorativi in calendario di sua spettanza, ai fini della ripartizione degli oneri relativi agli ulteriori 2 giorni “aggiunti” tra i due Comuni, si potrebbe ipotizzare una metodologia di calcolo fondata sulle seguenti proporzioni:
- Comune A: 10:24=x:26 (dove x rappresenta il numero dei giorni lavorativi che complessivamente lo stesso avrebbe dovuto pagare ove il mese avesse avuto i 26 giorni lavorativi considerati dalla clausola contrattuale). Tale Comune, dunque, dovrà sostenere gli oneri relativi ad 11 giorni (10*26/24=10,83, che, con l'arrotondamento, diventa 11);
- Comune B: 14:24=y:26 (y equivale alla x del comune A); quindi, dovrà sostenere gli oneri relativi a 15 giorni (14*26/24=15,16, che, con l'arrotondamento, diventa 15).
In sostanza, entrambi i Comuni devono pagare un giorno in più.
Risoluzione per dichiarazione inabilità assoluta
Come si calcola l'indennità sostitutiva del preavviso da erogare ad un dipendente cessato, nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro a seguito di dichiarazione di inabilità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro (articolo 21, comma 4-bis, del Ccnl 6 luglio 1995), considerato che, al momento della cessazione, lo stesso era assente per malattia con trattamento economico pari al 50% della retribuzione?
L'Aran, con parere Ral_1935_Orientamenti Applicativi del 30 maggio 2017, ritiene che l'indennità sostitutiva del preavviso debba sempre essere calcolata sulla retribuzione teoricamente spettante al dipendente e non su quella effettivamente percepita (come nel caso in esame, ridotta del 50%). A parere dell'Aran, a tale conclusione si deve pervenire anche per i periodi di assenza non retribuiti di cui all'articolo 21, commi 2 e 7, lettera d), del medesimo Ccnl del 6 luglio 1995
L’ARAN sulla fruizione delle ferie
· Orientamenti applicativi ARAN 30/5/2017 n. RAL_1934
In un recente orientamento applicativo, l’ARAN chiarisce il tema della fruizione dei giorni di ferie degli anni precedenti e della possibilità di trasportarli nell’anno successivo.
Le quattro giornate di riposo previste dall’art.18, comma 6, del CCNL del 6.7.1995, ove non siano richieste né fruite dal dipendente nell’anno solare di maturazione, fermo restando che le stesse non possono essere retribuite sia perché la mancata fruizione non è avvenuta per ragioni di servizio, sia perchè non è possibile ricorrere all’istituto della monetizzazione per effetto della legge n.95/2012, possono essere trasportate nell’anno successivo, sulla base della loro assimilazione alle giornate di ferie?
In materia, si ritiene utile precisare quanto segue.
L’art.18 del CCNL del 6.7.1995, ha contrattualizzato gli effetti della legge n.937/1977, stabilendo che il dipendente ha diritto a fruire nel corso dell’anno solare, in aggiunta ai giorni di ferie, anche a ulteriori quattro giorni di riposo, da utilizzare ai sensi ed alle condizioni stabilite nella citata legge n.937/1977.
In tal modo, qualificando le quattro giornate della legge n.937/1977 come giornate di riposo, in virtù di tale art.18, le stesse sono state sostanzialmente assimilate alle ferie, come ritenuto anche dal Consiglio di Stato nel precedente assetto pubblicistico (Cons.Stato, VI, 20.10.1986, n.802, che qualificava tali giornate non come permessi ma piuttosto come congedo ordinario sia pure in presenza di un differente procedimento amministrativo predisposto ai fini della loro fruizione).
Tuttavia l’art. 18 del CCNL del 6.7.1995 non ha operato una equiparazione piena tra il regime delle 4 giornate di festività soppresse e quello generale delle ferie, dato che questa è limitata solo ad alcuni particolari profili della disciplina (maturazione di giorni nel corso dell’anno; importo dovuto al lavoratore in caso di mancata fruizione). Ciò trova conferma nella circostanza che lo stesso art. 18 del CCNL del 6.7.1995 prende in considerazione separatamente le ferie (commi 1-5) ed i giorni di “riposo” corrispondenti alle festività soppresse (comma 6).
Ma ciò che rileva principalmente è che proprio l’art. 18, comma 6, espressamente stabilisce che i giorni di riposo per festività soppresse sono: “….da fruire nell’anno solare ai sensi ed alle condizioni previsti dalla menzionata legge n.973/77”.
Proprio tale riferimento espresso consente di affermare che, sulla base di tale ultima legge, i giorni di riposo devono essere fruiti esclusivamente nell’anno di riferimento e che, conseguentemente, non è possibile in alcun modo la trasposizione di quelli maturati in un anno nell’anno successivo.
ANAC – Attività di vigilanza per l’anno 2017
Fonte:ilpersonale
Con comunicato del 12 giugno 2017 l’Autorità Nazionale Anticorruzione rende noto che il Consiglio ha approvato la direttivaprogrammatica sull’attività di vigilanza per l’anno 2017.
Il provvedimento individua le priorità di intervento e i mezzi attraverso i quali perseguire la prevenzione dei fenomeni corruttivi nei settori di competenza dell’Autorità. Sono tre le sezioni in cui si articola la direttiva e il conseguente piano ispettivo: vigilanza sulle misure anticorruzione, gli obblighi di trasparenza, le inconferibilità e incompatibilità; vigilanza sui contratti pubblici; vigilanza sul sistema di qualificazione.
LEGGI LA DIRETTIVA
Fra le varie disposizioni previste, il rafforzamento dei controlli sui soggetti aggregatori e sul ricorso al subappalto, le proroghe nel comparto dello smaltimento rifiuti, le verifiche sul rispetto del principio di rotazione per gli incarichi sotto soglia e il divieto di frazionamento degli appalti. Previsti specifici approfondimenti in tema di affidamenti diretti e apposite indagini o ispezioni in settori risultati particolarmente critici come i servizi di pulizia in ambito sanitario e quelli di facility management.
Aggiornamento linee guida ANAC
Fonte:ilpersonale
Con comunicato del 12 giugno 2017 l’Autorità Nazionale Anticorruzione rende noto che sono state poste in consultazione a partire dal 12/06/2017 fino al 28/06/2017 le seguenti linee guida:
Fonte:legge per tutti
Cambiano le regole sulla concessione dei permessi per chi assiste un familiare disabile col rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici.
Nuove regole per i cosiddetti permessi legge 104 [L. 104/1992.], ossia per la concessione dei permessi ai lavoratori che assistono un familiare con handicap grave: è quanto emerge dall’atto di indirizzo sui rinnovi contrattuali, che dovrà essere trasmesso dal ministro della P.a. Madia all’Aran (l’agenzia che rappresenta le pubbliche amministrazioni nella contrattazione collettiva in materia di lavoro).
La direttiva, peraltro, prevede una revisione generale dei permessi lavorativi: cambieranno le regole, dunque, non solo per i permessi retribuiti Legge 104, ma anche, ad esempio, per i permessi per donazione sangue. Quest’integrazione in materia di assenze retribuite si è resa necessaria per prevenire gli abusi e bilanciare i diritti dei lavoratori con le esigenza di funzionalità degli uffici pubblici.
Permessi dipendenti pubblici, che cosa prevedono le nuove regole
Per quanto riguarda i permessi per l’assistenza dei familiari disabili, la novità consiste nella previsione di un congruo preavviso, da fornire anche avvalendosi di una programmazione mensile, per fruire delle assenze.
La misura del congruo preavviso, ad ogni modo, dovrà essere decisa in sede di contrattazione con i sindacati.
Per quanto riguarda la generalità dei permessi per i dipendenti pubblici, come quelli per visite specialistiche, esami diagnostici, motivi familiari e personali, nella direttiva si propone la loro fruizione oraria e non giornaliera: in questo modo, si eviterebbe di ricorrere ad una assenza per l’intera giornata di lavoro. Dalla parte del lavoratore, i permessi rientrerebbero a far parte di un monte ore annuale, all’interno del quale non sarebbero previste penalizzazioni in busta paga.
Saranno più severe, inoltre, le sanzioni disciplinari per i casi di assenze ripetute oingiustificate, o fruite sistematicamente a ridosso di ponti eweekend: anche in questo caso, la misura delle sanzioni dovrà essere decisa dalla contrattazione collettiva.
Ma torniamo ai permessi Legge 104 e facciamo il punto della situazione attuale.
Permessi legge 104: a chi spettano
I permessi retribuiti mensili Legge 104 spettano al lavoratore dipendente, pubblico o privato, se il familiare assistito, portatore di handicap grave secondo la Legge 104, è:
Non bisogna dimenticare che i permessi Legge 104 possono essere fruiti anche dal lavoratore portatore di handicap grave.
Permessi legge 104: requisiti sanitari
Ricordiamo che, per fruire dei permessi retribuiti per l’assistenza del disabile, questi deve avere un handicap grave riconosciuto: deve dunque essere in possesso della certificazione medica rilasciata dall’apposita Commissione medica Asl.
Se il disabile è in attesa della pronuncia della Commissione Asl , possono essere effettuati degli accertamenti provvisori, da un medico specialista nella patologia denunciata: la certificazione provvisoria ha effetto fino all’accertamento definitivo da parte della Commissione Asl, ed è utile per fruire dei permessi.
La stessa Commissione Asl, previa richiesta motivata dell’interessato, può rilasciare un certificato provvisorio al termine della visita, che produce effetto fino all’emissione dell’accertamento definitivo.
Permessi Legge 104: retribuzione
L’Inps riconosce un’indennità per le assenze per l’assistenza ai disabili: l’indennità, tuttavia, èanticipata dal datore di lavoro, e solo in seguito rimborsata dall’Inps, tramite conguaglio coi contributi e relativa esposizione del credito nella dichiarazione mensile Uniemens.
Il trattamento è pagato direttamente dall’Inps solo per i seguenti soggetti:
Permessi legge 104: domanda
Il lavoratore, per ottenere i permessi retribuiti, deve inoltrare un’apposita domanda all’Inps, in quanto è l’Istituto a pagare l’indennità relativa.
La domanda può essere inviata:
È poi necessario inviare una domanda anche all’amministrazione/datore di lavoro; il datore di lavoro non può sindacare sulla spettanza dei permessi, ma può domandare al dipendente una programmazione dei 3 giorni di permesso, se:
Resta ad ogni modo ferma la facoltà, in capo al dipendente, di modificare unilateralmente le giornate di permesso, in base alle concrete esigenze del disabile, che prevalgono sulle esigenze aziendali.
Queste regole, come abbiamo detto, saranno probabilmente modificate dalla nuova contrattazione collettiva pubblica e sarà prevista una programmazione mensile dei permessi.
Ad ogni modo, il datore ha il dovere di verificare in concreto l’esistenza dei presupposti di legge per la concessione dei permessi.
Fonte:legge per tutti
Le imposte dei pensionati della gestione pubblica espatriati devono essere pagate in Italia o all’estero?
Il pensionato pubblico (ex dipendente di amministrazioni statali, enti locali, etc.) che scappa dall’Italia per non pagare le tasse, normalmente, non fa un buon affare: nella maggior parte dei casi, difatti, paga comunque le imposte sulla pensione nel nostro Paese, in base a quanto previsto da gran parte delle convenzioni in vigore tra l’Italia e i Paesi esteri.
Ci sono, però, degli accordi che prevedono la detassazione alla fonte, cioè l’esenzione dalle imposte in Italia nel caso in cui il pensionato risulti residente all’estero o cittadino dello Stato estero convenzionato: a tal proposito l’Inps, con un recente messaggio [Inps mess. n. 2205/2017], ha chiarito quali sono le condizioni da rispettare perché il pensionato non sia tassato in Italia.
Pensionato pubblico italiano residente all’estero: i requisiti per l’esenzione dalle tasse
Vediamo allora quali sono, nel dettaglio, i requisiti necessari perché il pensionato pubblico non residente in Italia non sconti le imposte alla fonte, in Italia, ma le paghi solo all’estero:
Residenza all’estero: quando?
Ma quando si può essere considerati residenti all’estero? Si è considerati residenti se si soddisfano le seguenti condizioni:
Se manca anche uno solo di questi requisiti si è considerati residenti fiscalmente in Italia.
Si è, inoltre, considerati residenti in Italia, salvo prova contraria, se si è cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati nei cosiddetti paradisi fiscali, cioè in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con apposito decreto del Ministro delle Finanze.
Pensionato pubblico italiano cittadino estero: i requisiti per l’esenzione dalle tasse
Alcune convenzioni permettono l’esenzione dalle tasse in Italia nel caso in cui il pensionato pubblico risulti non solo residente, ma addirittura cittadino dello Stato estero. In questi casi deve produrre un’autocertificazione, oppure un idoneo certificato di cittadinanza estera.
Il recupero delle somme avviene solo se l'indebita percezione è dovuta a dolo dell'interessato
Fonte:studiocataldi di Lucia Izzo–
Cosa accade al pensionato che abbia riscosso una prestazione pensionistica messa a pagamento erroneamente dall'INPS? La risposta non è univoca, poichè non sempre la risposta è quella della restituzione degli arretrati già corrisposti all'istituto.
L'art. 52, comma 2, della legge n. 88 del 1986, infatti, evidenzia che laddove state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato.
Un principio ribadito dall'art. 13 della legge 412/1991: in sostanza, la norma summenzionata va interpretata nel senso che la sanatoria prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all'interessato e che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all'ente erogatore, salvo, si precisa nuovamente, che l'indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato.
Ciò significa in sostanza che il pensionato o titolare di prestazioni previdenziali/assistenziali, è tutelato dalla rettifica del provvedimento errato effettuata dall'INPS: se le somme sono state da lui percepite in buona fede sulla base di un provvedimento definitivo dell'Ente, errato in senso peggiorativo o addirittura revocato, la restituzione non sarà dovuta. Le casistiche riguardanti la sanatoria, tuttavia, sono diverse e vanno valutate singolarmente.
Errori contestuali alla liquidazione o alla riliquidazione della pensione
Ferma restando la possibilità di rettificare in ogni momento il provvedimento errato, sono sanabili gli indebiti pagamenti effettuati in base a formale provvedimento definitivo, del quale sia stata data espressa comunicazione al pensionato, che risulti viziato da errore imputabile all'Istituto.
In tal caso, dunque, il pensionato non dovrà restituire gli importi indebitamente ottenuti e ciò avviene anche laddove l'errore consista nella mancata o erronea valutazione, ai fini del diritto o della misura della prestazione, di redditi che erano già conosciuti dall'Istituto.
Principio ribadito anche dalla giurisprudenza, ex multis la recente sentenza n. 482/2017 con cui la Cassazione ha precisato che, secondo il principio generale ex art. 52 L. n. 88/1989, "le pensioni possono essere in ogni momento rettificate dagli enti erogatori in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione o di erogazione della pensione, ma non si fa luogo al recupero delle somme corrisposte, salvo che l'indebita prestazione sia dovuta a dolo dell'interessato" (per approfondimenti: Pensioni pagate in più, l'Inps non può chiedere indietro i soldi).
Diverso è il caso in cui l'errore non sia imputabile all'INPS, bensì al comportamento doloso dell'interessato oppure di una omessa o incompleta segnalazione da parte dell'interessato di fatti, anche diversi dalle situazioni reddituali, incidenti sul diritto o sulla misura delle prestazione, che non siano già conosciuti dall'Istituto (cfr. Circolare INPS, n. 31/2006). In tal caso, le somme indebitamente erogate in conseguenza di tale errore,saranno integralmente recuperabili.
La stessa regola vale anche in caso di errori successivi al provvedimento definitivo di liquidazione o di riliquidazione: salva la rettifica, se l'Istituto ha errato o mancato di valutare fatti sopravvenuti al provvedimento, di cui era a conoscenza (es. scadenza della contitolarità della pensione ai superstiti, liquidazione di pensione al minimo a titolare di altra pensione al minimo, scadenza dell'assegno di invalidità, scadenza della pensione di reversibilità etc.) le somme non si dovranno restituire.
Indebiti a causa di situazioni reddituali
Diverso il caso in cui la modifica in senso peggiorativo sia dovuta a situazioni reddituali che si manifestano successivamente alla liquidazione della pensione. L'INPS procede annualmente all'emissione di moduli di dichiarazione di dati reddituali al fine di verificare le situazioni reddituali dei pensionati non conosciute che incidono sulla misura o sul diritto delle prestazioni.
Qualora venga accertato un indebito pensionistico a seguito di verifica sulla situazione reddituale che incide sulla misura o sul diritto delle prestazioni, l'Istituto procederà al recupero delle somme indebitamente erogate nei periodi ai quali si riferisce la dichiarazione reddituale.
Ciò solo qualora la notifica dell'indebito avvenga entro l'anno successivo a quello nel corso del quale è stata resa la dichiarazione da parte del pensionato. Il recupero delle somme riguarderà anche quelle indebitamente erogate che si riferiscono a periodi successivi alla data in cui è stata resa la dichiarazione da parte del pensionato.
Ove la notifica dell'indebito non sia effettuata entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello nel quale è stata resa la dichiarazione reddituale le somme erogate indebitamente non sono ripetibili, ferma restando la rideterminazione del trattamento pensionistico in virtù della nuova situazione reddituale.
Prescrizione del diritto dell'INPS a ripetere le somme
Tuttavia, anche laddove sussistano le condizioni per la ripetibilità da parte dell'Istituto delle somme indebitamente erogate, il relativo diritto di credito soggiace al termine ordinario di prescrizione decennale.
Questo significa che, trascorsi 10 anni, l'Ente non potrà comunque richiedere indietro i soldi: il termine inizia a decorrere dalla data in cui è stato effettuato il pagamento indebito oppure, qualora l'indebito sia da ricollegare a situazioni che devono essere comunicate dall'interessato, il termine di prescrizione decorre dalla data della comunicazione.
Inoltre, il recupero delle somme indebitamente erogate può essere effettuato mediante compensazione con le somme arretrate dovute all'interessato, ad esempio tramite trattenute sulle prestazioni pensionistica, oppure tramite pagamento diretto della somma da parte del pensionato, con possibilità di dilazionare le somme.
FONTE:PENSIONIOGGI
Lo chiede in una interrogazione parlamentare in Commissione Lavoro alla Camera l'Onorevole PD: "la posizione dell'Inps è assurda in quanto l'anticipo è costo zero per le casse dello Stato"
Estendere l'isopensione, cioè la facoltà per le aziende dimensionate al di sopra di 15 dipendenti di collocare anticipatamente in quiescenza i lavoratori a cui mancano non più di 4 anni dal raggiungimento della pensione di vecchiaia o della pensione anticipata anche alle lavoratrici che utilizzano l'opzione donna, la totalizzazione nazionale e il cumulo dei periodi assicurativi. Lo chiede in una interrogazione parlamentare l'Onorevole Maria Luisa Gnecchi (PD) depositata questa settimana presso la Commissione Lavoro della Camera al Governo (5-11535).
L'articolo 4, commi da 1 a 7-ter, della legge n. 92 del 28 giugno 2012, rubricata «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita», prevede la possibilità, nei casi di eccedenza di personale, di stipulare accordi tra i datori di lavoro che impieghino mediamente più di 15 dipendenti e le organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello aziendale, al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori più prossimi al trattamento di pensione (isopensione).
Il meccanismo consente un anticipo dell'età pensionabile sino ad un massimo di 4 anni rispetto alla normativa vigente, a patto che l'azienda esodante corrisponda, con oneri interamente a suo carico, un assegno ai lavoratori per l'intero periodo di esodo, sino al perfezionamento dei requisiti per il pensionamento. L'azienda in questo caso dovrà versare, oltre all'assegno, anche la relativa copertura contributiva (cioè la contribuzione correlata), utile a garantire ai lavoratori la copertura pensionistica fino al raggiungimento del diritto all'assegno di quiescenza definitivo, senza dunque che la procedura determini alcuna penalità sulla pensione per il lavoratore e alcun costo per l'Inps.
La questione, puntualizza l'Onorevole Pd, "è che l'Inps ha ritenuto di escludere dall'accesso all'isopensione , coloro che durante il suddetto periodo perfezionerebbero il diritto a pensione con: opzione sperimentale donne con il sistema contributivo di cui alla legge n. 243 del 2004; totalizzazione di cui al decreto legislativo n. 42 del 2006 (sia vecchiaia che anzianità); cumulo ex lege n. 228 del 2012 e legge n. 232 del 2016 (sia vecchiaia che anzianità); computo ai sensi del decreto ministeriale n. 282 del 1996; cumulo ai sensi della legge n. 184 del 1997.
La posizione dell'Inps, a giudizio degli interroganti, "risulta veramente incomprensibile perché neanche 1 euro tra l'uscita dall'azienda e la maturazione del diritto a pensione è pagato dall'Inps, che deve certificare il diritto a pensione entro i 4 anni. L'Inps nega quindi la certificazione del diritto a pensione se il lavoratore ha contributi in diversi fondi, ma se il lavoratore lavorasse, anziché accedere all'isopensione, l'Inps la liquiderebbe. Come è noto, rispetto al passato, sono sempre di più i lavoratori e le lavoratrici che hanno la necessità di valorizzare contributi versati in diversi fondi previdenziali per accedere al trattamento pensionistico ed è quindi evidente che questi soggetti risultano ancor più penalizzati dal comportamento dell'istituto".
Una situazione del tutto analoga interessa i lavoratori che accedono all'assegno straordinario di solidarietà a carico dei fondi di solidarietà settoriale (che possono, come noto, godere di un anticipo della pensione sino a 60 mesi in caso di perdita del lavoro).
A tale fine gli interroganti chiedono al Governo di intervenire per superare la problematica, che nega l'accesso all'isopensione e ai fondi di solidarietà proprio a quei soggetti che, nella maggior parte dei casi, hanno dovuto cambiare forzatamente attività lavorativa e quindi obbligatoriamente versare i contributi in diverse gestioni previdenziali.
Fonte:pensionioggi Scritto da Eleonora Accorsi
Le risorse potrebbero arrivare dal sottoutilizzo dei fondi stanziati dalla Legge di Bilancio per il 2016 in esito alla procedura di monitoraggio attesa entro il 30 settembre.
Puntano alla proroga della possibilità di accedere alla pensione con 57 anni e 35 anni di contributi con il ricalcolo contributivo dell'assegno sino al 31 dicembre 2018. Lo chiedono in una petizione online sulla piattaforma Change.Org le lavoratrici del Comitato ‘opzione donnaproroga al 2018’ che in pochi giorni grazie al tam tam sul web hanno raggiunto oltre 2000 adesioni. Un risultato eccezionale sottolineano le coordinatrici del Gruppo a testimonianza di quanto sia sentita la questione tra le dirette interessate.
La speranza è che il Governo ed il Parlamento raccolgano l'invito ed estendano ulteriormente questo canale di uscita anche in favore dellelavoratrici nate dopo il 1958, su base volontaria. Il Comitato, ricorda, come lo strumento legislativo già sia disponibile e come possa avvenire senza l'utilizzo di ulteriori risorse dalle casse pubbliche: la legge di bilancio per il 2016 ha, infatti, istituito un contatore che monitori i risparmi derivanti dall'utilizzo delle risorse messe a disposizione per la sperimentazione, 2,5 miliardi di euro una cifra verosimilmente superiore al reale utilizzo. Entro il 30 settembre di ogni anno l'esecutivo deve, quindi, inviare i risultati del predetto monitoraggio al Parlamento il quale ha l'ultima parola circa la possibilità di stabilire una proroga della sperimentazione oltre il 31 dicembre 2015 o un intervento di natura simile.
Dunque se ci fosse la volontà politica la proroga potrebbe avvenire in tempi piuttosto brevi, entro la fine dell'anno. Cinque le ragioni che stanno alla base di un simile intervento, scrivono le promotrici del Comitato che comunque non è indolore in quanto comporta spesso una decurtazione piuttosto sensibile del reddito pensionistico:
Sostegno ai nostri anziani, figli e nipoti: la legge Opzione Donna 243/2004 ha permesso a molte lavoratrici di poter conciliare famiglia e mondo del lavoro. Le donne in Italia, ancora oggi, rivestono un ruolo di caregiver come unico ammortizzatore sociale in un welfare praticamente inesistente. Potersi quindi dedicare ai nipoti, familiari disabili, genitori anziani, uscendo anticipatamente dal lavoro con la certezza di un reddito fisso, rimane tuttora un’esigenza. A 57/58 anni diventa difficile poter continuare a svolgere bene entrambe le mansioni dentro e fuori casa. Opzione Donna sarebbe dunque l'unica ancora di salvezza per le lavoratrici che sono in queste situazioni particolari o che hanno esse stesse problemi di salute.
Dignità alle disoccupate: l’estensione di Opzione Donna consentirebbe a chi non ha più un lavoro certo di preservare la propria dignità e non dover diventare un peso per la società, dal momento che, concedendo la pensione a 57 anni, si eviterebbero eventuali sussidi di disoccupazione o ammortizzatori sociali;
Risparmio per lo Stato: quest’ultimo andrebbe incontro a notevoli risparmi nel medio-lungo periodo poiché si tratta di una misura che non grava sul bilancio pubblico: essa, infatti, si basa su un calcolo che riguarda unicamente il sistema contributivo, rinunciando in modo permanente a circa il 30% dell’assegno pensionistico.
Lavoro ai nostri giovani: si darebbe il via a un ricambio generazionale, quel turnover tra anziani e giovani adesso più che mai indispensabile. Riteniamo che uno Stato lungimirante abbia il dovere di pensare anche e soprattutto alle nuove generazioni, che continuando a lavorare con contratti sempre più flessibili, non potranno mai crearsi un progetto di vita.
Libertà di scelta: si concederebbe la possibilità di avere libertà di scelta. Le donne della nostra generazione sono state sicuramente le più penalizzate dall’attuale Riforma Fornero, principalmente a causa dell’abolizione delle pensioni di anzianità e l’introduzione del pensionamento anticipato, per il quale la soglia del requisito contributivo parte da 41 anni e 10 mesi – soglia destinata ad aumentare nei prossimi anni per effetto dell’allungamento dell’aspettativa di vita.
Fonte:pensionioggi Scritto da Valerio Damiani
In arrivo la direttiva Madia con all'interno nuove indicazioni in materia di malattia, permessi ed assenze. Ok al passaggio delle competenze dalle Asl all'Inps, che già vigila sui dipendenti privati.
Il Governo punta "una lente di ingrandimento su assenze per malattia" nel pubblico impiego all'interno dell'atto di indirizzo generale predisposto dal ministro della Funzione pubblica Marianna Madia per il rinnovo dei contratti. Dopo l'approvazione del decreto legislativo che riforma il testo unico del pubblico impiego con all'interno la stretta sui licenziamenti e la lotta alle assenze anomale e ripetute, la Direttiva Madia che darà impulso, entro l'estate, al rinnovo dei contratti bloccati da oltre sette anni inserirà anche alcune novità sul fronte dei permessi, assenze e malattia dei pubblici dipendenti. Un tema delicato che da settembre sarà affidato ai controlli dell'Inps secondo quanto previsto dal nuovo testo unico del pubblico impiego.
Le disposizioni di dettaglio saranno negoziate tra Aran e sindacati a seconda dei vari comparti lavorativi di riferimento e tra i punti salienti spicca la presenza di un tetto massimo di assenze per malattia durante l'anno che si estende anche in caso di gravi patologie che richiedono terapie salvavita quali chemioterapia ed emodialisi. La direttiva Madia conferma, inoltre, una disciplina specifica sui permessi orari per visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici fruibili a giorni e addirittura a ore. Ma anche permessi brevi a recupero, permessi per motivi familiari e riposi connessi alla 'banca delle ore' che viene indicata come "base di partenza per ulteriori avanzamenti nella direzione di una maggiore conciliazione e tra tempi di vita e di lavoro".
Anche in questi casi vengono confermati i paletti già in larga parte presenti negli attuali CCNL. L'assenza deve essere giustificata con un'attestazione rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privata, che ha svolto la visita o la prestazione o trasmessa all'amministrazione presso cui lavora il dipendente pubblico. La direttiva prevede anche un "monte ore" annuale per la fruizione di tali permessi con l'indicazione che6 ore di permesso corrispondono a un'intera giornata di lavoro. Infine, si prevede un periodo di servizio minimo nell'arco della giornata almeno pari alla metà dell'orario e, salvi casi d'urgenza, adeguati periodi di preavviso.
Lotta alle assenze strategiche
Le misure si abbinano alla stretta contro i cd. 'furbetti' del weekend (coloro che saltano ripetutamente il lunedì e il venerdì): i contratti nazionali dovranno impedire incrementi dei trattamenti accessori a livello di amministrazione nei casi di rivelazioni di assenze 'strategiche', quelle cioè che si concentrano in periodi critici per i servizi o in continuità con le giornate festive e di riposo superiori ai dati medi nazionali o di settore. In caso di "anomale e ripetute" assenze i contratti dovranno inoltre lesanzioni disciplinari che possono arrivare, nel peggiore dei casi, al licenziamento. Sino ad ora, secondo la Legge Brunetta, le assenze erano sanzionabili, ma dietro ci doveva essere la falsa attestazione della presenza oppure una non valida giustificazione per un certo numero di giorni, anche non continuativi (oltre tre nell'arco di un biennio).
Pensioni, Sindacati: "inaccettabili i ritardi su Ape e precoci"
Fonte:pensionioggi
I sindacati tuonano contro la mancata pubblicazione in Gazzetta Ufficiale a distanza di oltre tre settimane dalla loro approvazione dei decreti attuativi su APE sociale e precoci
"La situazione è insostenibile. A un mese dalla scadenza dei termini per la presentazione delle domande per accedere all’Ape sociale e alle misure per i lavoratori precoci, ancora non sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale i relativi decreti". Così il segretario confederale della CGIL, Roberto Ghiselli, sollecita il governo a dare corpo ai provvedimenti operativi per il pensionamento anticipato di alcune categorie di lavoratori.
"In questo modo - spiega - si rischia di compromettere l'accesso al diritto a decine di migliaia di lavoratori, tutti con alle spalle lunghi anni di lavoro, disoccupati, invalidi o che assistono persone non autosufficienti. Per non parlare - continua - dei disagi che la ristrettezza dei tempi comporterà per i lavoratori, le loro imprese e le strutture dei servizi, per la predisposizione della documentazione".
E non solo "la fase uno del confronto sulle pensioni non si riesce a chiudere in modo positivo" ma nei fatti, denuncia ancora Ghiselli, "non decolla neanche la fase due in cui si dovrà parlare di giovani, flessibilità in uscita, lavoro di cura, previdenza complementaree di rivalutazione delle pensioni, trovando anche soluzioni definitive per altre annose situazioni ancora non risolte".
UIL, Imbarazzo crescente: Meno di 30 giorni per le istanze
"A tre settimane dalla firma del premier Gentiloni dei decreti attuativi di Ape sociale e pensione anticipata per i quota 41, questi non sono stati ancora pubblicati sulla gazzetta ufficiale. È un fatto molto grave che necessita di una riflessione urgente sul funzionamento delle magistrature e delle burocrazie dello Stato italiano" ha detto anche il segretario confederale Uil, Domenico Proietti, in una nota. "Tale ritardo comporta un danno per migliaia di cittadini che vedono ristretti i tempi per presentare la domanda e accedere alle opportunità che la nuova normativa previdenziale, varata con l’ultima legge di bilancio, introduce. Si impone a tutti - conclude - uno sforzo per dare il massimo delle informazioni ai lavoratori ed alle lavoratrici al fine di colmare i disagi che questo inspiegabile ritardo sta comportando". Il ritardo, peraltro, è ancora più grave considerando che ad oggi non è arrivato neanche il via libera al decreto sull'Ape volontario (e quindi della RITA) e manca ancora il provvedimento che consenta il cumulo dei periodi assicurativi con le casse professionali.
FONTE:PENSIONIOGGI
L'Agenzia di riscossione Fiscale sta inviando una lettera in cui informa l'accoglimento o il rigetto dell'adesione alla definizione agevolata.
È partita la fase due della cosiddetta rottamazione di Equitalia che, come previsto dalla legge, sta inviando le comunicazioni con cui risponde ai contribuenti che hanno aderito alla definizione agevolata, partita a novembre 2016 e conclusa il21 aprile scorso. Comunicazioni che stanno arrivando per posta raccomandata o attraverso la posta elettronica certificata per chi ha indicato, al momento della richiesta di rottamazione di cartelle e avvisi (dl 193/2016, convertito in legge 225/16), l’indirizzo di pec sul modulo di adesione. E per guidare i contribuenti a comprendere meglio i dettagli e le dinamiche delle comunicazioni, ma anche per limitare al minimo i possibili errori, la società di riscossione avvisa gli utenti circa alcune novità.
La lettera informa sull’accoglimento o l’eventuale rigetto della adesione, così come su possibili debiti che per legge non possono rientrare nella definizione agevolata, e quindi sugli importi da pagare e sulla data entro cui effettuare il pagamento. La comunicazione contieneanche i bollettini di pagamento in base alla scelta effettuata (da una ad un massimo di 5 rate) dal contribuente al momento della compilazione del modulo di richiesta, oltre al modulo per l’addebito in conto corrente.
"Comunicazione somme dovute
Dal 16 giugno, nell’area riservata del sito della società di riscossione, i contribuenti che hanno aderito alla definizione agevolata potranno trovare copia della risposta di Equitalia (Comunicazione delle somme dovute). Un servizio voluto dai vertici della società di riscossione per andare incontro a quei cittadini che, per diversi motivi (vacanze, notifica postale non andata a buon fine, smarrimento della risposta inviata ecc.) non entreranno in possesso della comunicazione originaria. In questo modo sarà loro possibile utilizzare la copia, coi relativi bollettini e codici Rav, e procedere a pagare nei termini previsti dalla legge.
Equitalia ha predisposto 5 comunicazioni per differenti tipologie di casi. La prima (AT - Accoglimento totale della richiesta) riguarda coloro che hanno un importo da pagare per i debiti "rottamabili" e non hanno invece nulla da pagare per eventuali debiti non "rottamabili"; una seconda tipologia (AP - Accoglimento parziale) riguarda quei contribuenti che hanno importi da pagare per debiti "rottamabili", ma hanno anche debiti non "rottamabili"; il terzo caso-tipo (identificabile con le lettere AD) per coloro che non devono pagare nulla né per i debiti "rottamabili", né per eventuali debiti non "rottamabili"; ancora, un quarto tipo (identificabile con le lettere AX) per quei contribuenti che hanno debiti "rottamabili" e non devono pagare nulla, mentre hanno un debito residuo da pagare per debiti non "rottamabili"; ultima tipologia (identificabile con RI), riguarda le adesioni alla definizione agevolata che vengono rigettate in quanto i debiti indicati nella dichiarazione di adesione non sono "rottamabili" e quindi l’importo deve essere pagato senza agevolazioni.
Prospetto di sintesi
Ogni comunicazione contiene un prospetto con l’elenco delle cartelle/avvisi e l’indicazione dettagliata del totale del debito residuo (sia definibile, sia escluso dalla definizione); del debito residuo oggetto di definizione; dell’importo da pagare per la definizione agevolata del debito; del debito residuo escluso dalla definizione: in questo caso (debiti non rottamabili), è riportato nella comunicazione un ulteriore prospetto con l’elenco dei "carichi non definibili" con l’evidenza delle specifiche motivazioni di esclusione.
Come effettuare il pagamento
È possibile farlo presso la propria banca, agli sportelli bancomat (ATM) degli istituti di credito che hanno aderito ai servizi di pagamento CBILL, con il proprio internet banking, agli uffici postali, nei tabaccai aderenti a ITB e tramite i circuiti Sisal e Lottomatica, sul nostro portale e con l'App Equiclick tramite la piattaforma PagoPa e, infine, direttamente ai nostri sportelli. Per aderire al servizio di addebito diretto su conto corrente è necessario che la richiesta di attivazione del mandato, nel rispetto delle procedure e degli adempimenti previsti dal sistema interbancario, venga presentata alla banca del titolare del conto almeno 20 giorni prima della scadenza della rata. Per esempio, per la scadenza rata del 31 luglio 2017, il servizio andrà richiesto entro e non oltre l’11 luglio. Nel caso il servizio venga richiesto oltre tale data, l‘addebito diretto sul conto corrente sarà attivo dalla rata successiva. In quest’ultimo caso il pagamento dellarata in scadenza il 31 luglio 2017 dovrà essere eseguito con una delle altre modalità.
Attenzione ai pagamenti
La legge prevede che con il pagamento della prima rata della definizione agevolata verranno revocati eventuali piani di rateizzazione precedenti. In caso di mancato, insufficiente o tardivo pagamento della prima/unica rata della definizione agevolata, anche limitatamente a quei carichi contenuti nella comunicazione che si è scelto di non pagare, la stessa non produce effetti e non è possibile ottenere nuovi provvedimenti di rateizzazione salvo che per le cartelle e gli avvisi notificati da meno di 60 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione di adesione. Potranno invece essere ripresi i pagamenti delle rateizzazioni in essere alla data di presentazione della domanda di definizione agevolata e in regola con i precedenti pagamenti. In caso di mancato, insufficiente o tardivo pagamento delle rate successive alla primanon sarà invece più possibile proseguire eventuali precedenti rateizzazioni in quanto già revocata al pagamento della prima rata.
FONTE:PENSIONIOGGI Scritto da Bernardo Diaz
Anche le categorie dei lavoratori addetti alle mansioni particolarmente usuranti come definite dal decreto legislativo 67/2011 potranno godere dell'uscita a 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica.
Anche i lavoratori addetti alle mansioni particolarmente faticose e pesanti e i lavoratori notturni potranno uscire con 41 anni di contributi, indipendentemente dall'età anagrafica, se hanno lavorato almeno 12 mesi, anche non continuativi, prima del 19° anno di età. La Legge di Bilancio ha previsto l'estensione dell'agevolazione, garantita però solo entro precise risorse annuali, non solo agli addetti alle professioni gravose definite dalla stessa legge, agli invalidi, a chi assiste familiari con disabilità grave e ai lavoratori disoccupati a seguito di licenziamento ma anche alle categorie di lavori usuranti e notturni come attualmente già definite nel Dlgs 67/2011 che, come noto, consentono il pensionamento anticipato ai lavoratori dipendenti del settore privato o del pubblico impiego che abbiano svolto determinate mansioni riconosciute per l'appunto usuranti.
Da quest'anno, pertanto, oltre al pensionamento con la quota 97,6 (valore che può essere centrato alternativamente con 61 anni e 7 mesi di età e 36 di contributi oppure con 62 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi) senza più l'applicazione della finestra mobile i lavoratori addetti a lavori faticosi e pesanti di cui all'articolo 2 del decreto del ministero del lavoro del 19 Maggio 1999 ; i lavoratori addetti alla cosiddetta «linea catena» ;i conducenti di veicoli adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo di capienza non inferiore a nove posti; i lavoratori notturni con almeno 64 notti lavorate l'anno potranno utilizzare, se più favorevole alla disciplina delle quote,il pensionamento anticipato a 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica. Unica condizione aver lavorato almeno 12 mesi prima del 19° anno di età. Questa tipologia di pensionamento, è bene ricordarlo, non porterà alcuna penalità sulla misura dell'assegno pensionistico. La tavola sottostante riepiloga, pertanto, le novità in arrivo per gli addetti alle mansioni usuranti.
Gli usuranti e i notturni possono in sostanza godere, ricorrendo le condizioni sopra esposte, sino ad un anticipo massimo di 5 anni sulla normale pensione di vecchiaia (61 anni e 7 mesi contro 66 anni e 7 mesi) se in possesso di 36 anni di contribuzione, o di un anno e dieci mesi (dieci mesi le donne) sulla pensione anticipata se hanno lavorato almeno 12 mesi prima del 19° anno di età (41 anni di contribuzione contro i 42 anni e 10 mesi di contributi previsti sulla pensione anticipata, 41 anni e 10 mesi le donne). Resta inteso che ove non scattino i predetti benefici l'età pensionabile resta agganciata ai requisiti standard per la pensione di vecchiaia (66 anni e 7 mesi, 65 anni e 7 mesi le donne) o 42 anni e 10 mesi di contributi, a prescindere dall'età anagrafica (41 anni e 10 mesi le donne). Chi intende usufruire dell'uscita con 41 anni di contributi (a condizione che raggiunga tale requisito entro il 31 dicembre 2017) dovrà produrre istanza all'Inps volta all'accertamento dei requisiti entro il prossimo 15 luglio 2017 (una volta che sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale il relativo decreto attuativo), ed attendere la risposta dell'Istituto entro il prossimo 15 Ottobre 2017. I lavoratori che raggiungeranno i 41 anni di contributi nel 2018 dovranno produrre istanza, invece, entro il1 marzo 2018.
La documentazione da produrre
Contestualmente all'istanza il lavoratore dovrà produrre la documentazione descritta dal Decreto del Ministero del Lavoro del 20 settembre 2011 (tabella A). In particolare, la documentazione consisterà nella produzione del libro matricola o del libro unico del lavoro/libretto di lavoro o delle comunicazioni di assunzione/cessazione/variazione prodotte al Centro per l'Impiego e del contratto di lavoro individuale con indicazione dell'inquadramento e delle mansioni del lavoratore nonchè (per i lavoratori notturni) il prospetto di paga con indicazione delle maggiorazioni per il lavoro notturno. Si ricorda inoltre che parte di queste informazioni sarà disponibile già presso l’Istituto in virtù del modello LAV_US inviato dai datori di lavoro entro il 31.03 dell’anno successivo a quello di competenza del modello inviato (secondo le specifiche diramate dal Ministero del Lavoro con Nota 28.11.2011).
Si rammenta che per godere della normativa in parola da quest'anno è più agevole dimostrare di aver svolto l'attività usurante: basterà che sia risultato impiegato per un periodo di tempo ameno pari a sette anni negli ultimi dieci di attività lavorativa, senza più il vincolo di impiego in attività usurante nell’anno di raggiungimento del requisito, oppure che abbia effettuato l’attività particolarmente usurante per un numero dianni almeno pari alla metà dell’intera vita lavorativa.