FONTE: https://www.fiscoetasse.com
In una direttiva approvata dal dipartimento della Funzione pubblica emergono le linee guida per l'applicazione dello smart working per i lavoratori del pubblico impiego.
Le istruzioni generali prevedono innazitutto che ogni ente organizzi autonomamente per i proprio personale e che, come previsto dalla legge in attesa di pubblicazione in Gazzetta, non si possano avere disparità economiche o di avanzamento di carriera per i lavoratori che lo richiedono . Altre linee indirizzo riguardano:
Si evidenziano inoltre potenziali criticità nella fornitura di strumenti di lavoro informatici , contrapposta agli strettissimi vincoli di bilancio, per cui si invita a prevedere l'utilizzo di mezzi informatici del dipendente a meno che le amminsitrazioni interessate non riescano proprio con il telelavoro a realizzare risparmi da destinare a questo scopo . Altro problema da non sottovalutare a questo proposito anche la necessità di assicurare la totale sicurezza informatica .
Pubblica amministrazione, smart working anche per i dirigenti
fonte:sole24ore di Giampiero Falasca
Lo smart working nella pubblica amministrazione trova una regola di riferimento nella direttiva del dipartimento funzione pubblica approvata ieri in conferenza unificata Stato-Regioni e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. La direttiva fissa modalità e criteri di utilizzo del lavoro agile, oggetto di una legge recentemente approvata dal Parlamento e anch’essa in attesa di pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
La fissazione di tali criteri è indispensabile, in ragione del grande spazio negoziale che la legge sul lavoro agile lascia a datore di lavoro e dipendente circa le modalità di attuazione di questa forma di lavoro.
La direttiva si applica a tutte le amministrazioni pubbliche statali (come definite dall’articolo 1, comma 2, del Testo unico pubblico impiego) mentre per le altre amministrazioni pubbliche l’atto non ha natura vincolante.
Quanto ai dipendenti che possono essere utilizzati con il lavoro agile, viene chiarito che nessuna categoria o tipologia contrattuale può essere esclusa in via preventiva. In questo modo si apre la strada al coinvolgimento dei dirigente, anche se spetterà alle singole amministrazioni introdurre eventuali criteri selettivi.
Al fine di attuare in concreto il lavoro agile, si prevede l’impegno per le amministrazioni a modificare l’organizzazione spazio-temporale della prestazione di lavoro e viene fatto un riferimento specifico alla necessità di tutelare le “cure parentali”. Questa indicazione si traduce nell’invito alle amministrazioni a sperimentare lo smart working, non limitandosi a utilizzare il telelavoro, verso quei dipendenti che hanno esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
La riorganizzazione del lavoro non deve riguardare solo gli spazi fisici: l’atto ricorda la necessità di diffondere l’uso delle tecnologie digitali a supporto della prestazione lavorativa svolta a distanza.
La direttiva tiene anche conto del rischio che il lavoro agile venga utilizzato come strumento improprio per marginalizzare alcuni dipendenti. A tal fine viene ricordato che l’adesione allo smart working non deve comportare rischi di discriminazione in termini di sviluppo della professionalità dei soggetti coinvolti. Questo invito si traduce nell’impegno - a carico dei dirigenti - a promuovere specifici percorsi formativi e informativi per i lavoratori agili, che consentano loro di restare coinvolti nel contesto produttivo, nei processi di innovazione e nei percorsi di crescita professionale.
Viene ribadita la necessità di un accordo scritto, nel quale devono essere definite le modalità concrete di svolgimento della prestazione all’esterno dei locali pubblici. La direttiva invita le parti a definire uno spazio “stabile” all’esterno del luogo abituale. Quanto all’orario di lavoro, si ipotizza l’introduzione di forme di controllo e di fasce di reperibilità, da un lato, ma anche la valorizzazione dell’attività per obiettivi, dall’altro.
Infine è individuato un obiettivo minimo di diffusione: al termine di un periodo di sperimentazione, almeno il 10% del personale dovrà poter utilizzare, su richiesta, il lavoro agile.
Fonte: http://www.lagazzettadeglientilocali.it/
La Conferenza delle Regioni ha dato parere positivo, nella Conferenza Stato-Regioni svoltasi nella giornata di ieri 25 maggio, alla direttiva sul lavoro agile del ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia. La direttiva delinea la possibilità per i dipendenti della PA di svolgere parte delle mansioni di lavoro non in ufficio ma da remoto o con il telelavoro.
Massimo Garavaglia, coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni spiega che “sul lavoro agile diamo l’ok”, e aggiunge: “Noi in Lombardia abbiamo già iniziato, è molto interessante”, facendo riferimento all’opportunità contenuta nella direttiva di svolgere lavoro da casa o comunque fuori dall’ufficio.
Il ministro Madia annuncia di essere pronta a firmare la direttiva: “Ritengo che sia una sperimentazione importante nella Pubblica Amministrazione. I tempi per l’entrata in vigore sono immediati, visto appunto che si tratta di una direttiva che dovrà essere formalizzata solo da me, cosa che farò in tempi rapidissimi”.
Il ministro poi prosegue: “Noi abbiamo fissato la percentuale al 10% in ogni amministrazione, ovviamente è un valore facoltativo, nel senso che è il dipendente che deve farne richiesta, quindi se nessuno lo chiederà non ci sarà lavoro agile”.
Il lavoro agile sarà inoltre “oggetto di valutazione nell’ambito dei percorsi di misurazione della performance organizzativa e individuale all’interno delle amministrazioni pubbliche”. Nella direttiva è previsto che non ci saranno “penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera”.
Consulta anche l’articolo Lavoro agile nella Pubblica Amministrazione: 3 punti fondamentali.
Alla direttiva saranno allegate le linee guida per aiutare le amministrazioni ad adeguarsi alle novità:telelavoro, smartworking, ma anche convenzioni con asili nido e scuole dell’infanzia e altri servizi di supporto alla genitorialità.
“Entro trenta giorni” dall’adozione della direttiva sul lavoro agile nella PA sarà costituito presso la presidenza del Consiglio dei ministri un gruppo di monitoraggio di durata biennale.
La cabina di regia sarà tenuta a:
– fornire supporto alle pubbliche amministrazioni destinatarie della direttiva nella fase di sperimentazione delle misure;
– monitorare e verificare l’attuazione;
– formulare eventuali proposte per la modifica o integrazione della direttiva.
>> Consulta la Pagina speciale dedicata alla RIFORMA MADIA.
Fonte: http://www.orizzontescuola.it di Avv. Marco Barone
La Cassazione Sezione Lavoro con la Sentenza n. 8722 del 4/4/2017 accoglie il ricorso di una Azienda ULSS che aveva provveduto a licenziare il suo direttore amministrativo poichè non aveva provveduto alla rimozione di una causa di incompatibilità, come richiestogli dalla Azienda.
Ciò ha comportato una grave lesione del vincolo fiduciario come sussistente tra le parti. La Cassazione con la Sentenza che ora segue evidenzia la differenza che sussiste tra l’azione disciplinare nel settore privato e quello pubblico, rimarcando il carattere dell’obbligatorietà dell’azione disciplinare nel PI, dunque anche nella scuola, visto che si tratta di norme che trovano applicazione anche nel settore scolastico.
Osserva al riguardo il Collegio che “il potere disciplinare del datore di lavoro pubblico, sebbene fondato dopo la contrattualizzazione del rapporto di impiego sul contratto e, quindi, sottratto alle regole del procedimento amministrativo, conserva un carattere di specialità rispetto all’analogo potere del datore di lavoro privato, perché la qualità del soggetto che lo esercita incide sulle finalità alla cui realizzazione l’esercizio del potere deve essere indirizzato. L’art. 2106 cod. civ., applicabile anche all’impiego pubblico contrattualizzato in forza del richiamo contenuto nell’art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001, consacra il potere del datore di lavoro di reagire unilateralmente alle condotte tenute dal prestatore in violazione degli obblighi contrattuali.
Detti obblighi, peraltro, nell’impresa privata sono funzionali alla redditività dell’impresa stessa e vengono imposti dal datore di lavoro nell’esercizio della libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 cost.; nelle amministrazioni pubbliche, invece, le regole di condotta devono assicurare il rispetto dei principi, di rilievo costituzionale, di buon andamento, imparzialità e legalità dell’azione amministrativa.
Il potere, quindi, sebbene di natura privatistica, è condizionato dalla presenza di interessi che trascendono quelli del singolo datore di lavoro e ciò giustifica la specialità della disciplina e la non estensibilità all’impiego pubblico contrattualizzato di quei principi, affermati per il procedimento disciplinare dell’impiego privato, che non siano compatibili con il perseguimento degli interessi di cui si è detto.
Fra questi va annoverato quello della discrezionalità dell’esercizio del potere disciplinare, giacché se il datore di lavoro privato è libero di valutare la opportunità e la convenienza dell’iniziativa e anche di tollerare comportamenti che potrebbero essere ritenuti disciplinarmente rilevanti, non altrettanto può dirsi per il dirigente pubblico, che deve ispirare costantemente la propria condotta alla tutela degli interessi generali sopra evidenziati e, quindi, in nessun caso può consentire che rimangano impunite condotte poste in essere dall’impiegato in violazione delle regole di comportamento imposte dalla legge o dal contratto collettivo, nei limiti consentiti dalla nuova formulazione dell’art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001.
Non a caso l’art. 55 sexies del richiamato decreto, inserito dal d.lgs. n. 150 del 27.10.2009, ha previsto, al comma 3, la responsabilità del dirigente per il ritardo o l’omissione della iniziativa disciplinare, evidentemente ritenuta doverosa dal legislatore. E’ anche significativo rilevare che in occasione dell’intervento riformatore sono stati sensibilmente ristretti i limiti del cosiddetto patteggiamento disciplinare, escluso per le condotte più gravi punite con la sanzione espulsiva, e inoltre limitato al quantum della misura, essendo preclusa la applicazione concordata di una pena di natura diversa da quella prevista dalla legge o dal contratto.
Non vi è dubbio, quindi, che, quantomeno a seguito della entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009, nell’impiego pubblico contrattualizzato l’azione disciplinare sia caratterizzata dalla obbligatorietà.
Da ciò discende che nel rapporto alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche l’inerzia nella repressione del comportamento contrario ai doveri di ufficio può solo rilevare quale causa di decadenza dall’esercizio dell’azione, ove comporti il mancato rispetto dei termini perentori imposti dal legislatore, ma non può mai fare sorgere un legittimo affidamento nella liceità della condotta vietata, perché il principio dell’affidamento incolpevole presuppone che il potere del datore sia discrezionale, di modo che l’inerzia possa essere interpretata dal lavoratore subordinato come rinuncia all’esercizio del potere medesimo e come valutazione in termini di liceità della condotta.
Anche i doveri posti a carico del dipendente pubblico dalla legge, dal codice di comportamento, dalla contrattazione collettiva tengono conto della particolare natura del rapporto che pone l’impiegato al «servizio della Nazione» e, quindi, lo impegna a ispirare la propria condotta ai principi di cui sopra si è detto, efficacemente riassunti nell’ultima versione dell’art. 54 del d.lgs. n. 165 del 2001 con il richiamo ai « doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico ».
La consapevole violazione di detti doveri, strettamente connessi a interessi di carattere generale, non può essere scriminata dalla colpevole inerzia del soggetto tenuto alla segnalazione dell’illecito, inerzia che lascia inalterata la rilevanza disciplinare della condotta”
Fonte: http://www.lagazzettadeglientilocali.it/
Privacy negli Enti locali, prosegue il cammino verso l’entrata in vigore delle nuove regole in materia: in vista dell’applicazione del Regolamento europeo sulla protezione dati – prevista a partire dal 25 maggio 2018 (esattamente tra 1 anno) – il Garante per la protezione dei dati personali ha lanciato una serie di iniziative volte a fornire ai soggetti pubblici e privati indicazioni utili e accompagnare il processo di adeguamento alle nuove norme.
Sono partite nella giornata di ieri le lettere indirizzate ai vertici delle Amministrazioni centrali, agli Enti pubblici, alle Regioni, alle Province autonome, alle Autorità indipendenti e ad altri organismi rappresentativi con le quali viene preannunciato dal Garante un piano operativo che prevede un ciclo di incontri. Tre incontri verranno svolti entro il prossimo mese per un primo confronto con i soggetti pubblici e ai quali si chiederà di rappresentare le azioni che hanno già messo in atto e le eventuali esigenze di chiarimento e saranno condivisi gli approfondimenti svolti e le riflessioni eventualmente già maturate.
A questi incontri ne seguiranno ulteriori, a partire dal mese di ottobre, nei quali il Garante per la privacy fornirà indirizzi e assicurerà il supporto agli Enti nell’opera di implementazione del Regolamento, aiutando ad individuare le soluzioni più efficaci per una corretta transizione verso le nuove regole. Analoghe iniziative di collaborazione sono state avviate nei confronti del mondo delle imprese rivolte in particolare con Abi, Ania e Confindustria con le quali si sta definendo un calendario di incontri.
L’Autorità sta collaborando attivamente, in sinergia con le altre Autorità privacy europee, alla definizione di linee guida e contributi per facilitare l’applicazione del nuovo quadro regolatorio e delle importanti novità introdotte. Sul portale del Garante sono infatti già state pubblicate le Linee guida sul Responsabile della protezione dati (RPD) e sul diritto alla portabilità dei dati e una Guida all’applicazione del Regolamento Ue. Il lavoro di supporto proseguirà nei prossimi mesi con l’elaborazione di ulteriori atti di indirizzo.
Ricordiamo che dopo un iter durato oltre quattro anni, il 24 maggio 2016 è ufficialmente entrato in vigore il Regolamento 2016/679/UE sulla protezione dei dati personali che dispiegherà la propria completa efficacia a partire dal prossimo 25 maggio 2018 quando dovrà essere garantito il perfetto allineamento fra la normativa nazionale in materia di protezione dati e le disposizioni del Regolamento.
Rimane pertanto un anno per prepararsi a questa importante scadenza. Per approfondire il tema consulta l’approfondimento redatto dai nostri esperti intitolato Protezione dati personali: come giungere preparati alla scadenza del 25 maggio 2018.
La Consulta promuove il tetto di 240mila euro per i dirigenti pubblici
Fonte:sole24ore di Vittorio Nuti
La Consulta promuove il “tetto” di 240mila euro lordi annui per gli stipendi dei dirigenti pubblici, oggetto negli ultimi anni di molte polemiche e, in casa Rai, di una controversa delibera del Cda sull'applicazione del limite di legge ai compensi artistici. Con la sentenza 124/2017 (redattore Silvana Sciarra), la Corte costituzionale ha infatti respinto al mittente, dichiarandole infondate, una serie di questioni di legittimità costituzionale sul limite retributivo e sul divieto di cumulo retribuzione-pensione presentati dal Tar Lazio a partire dal 2015 sulla base dei ricorsi di 11 magistrati contabili e 9 giudici del Consiglio di Stato. Il limite massimo ai compensi dei dipendenti pubblici, introdotto nel nostro ordinamento dalla manovra Monti del 2011 e dalla legge di Stabilità 2014 - si legge nella pronuncia «persegue finalità di contenimento e complessiva razionalizzazione della spesa, in una prospettiva di garanzia degli altri interessi generali coinvolti, in presenza di risorse limitate» e al tempo stesso «trascende la finalità di conseguire risparmi immediati e si inquadra in una prospettiva di lungo periodo». Non solo. Il limite contestato non si applica alla sola magistratura (le toghe ricorrenti chiedevano al Tar di dichiarare illegittimo il vincolo che impedisce di cumulare pensioni e retribuzioni a carico dell'erario oltre il “tetto”) ma ha via via esteso il suo campo d'azione all'intera amministrazione pubblica. Quindi amministrazioni statali, autorità indipendenti, società partecipate e da ultimo anche «agli amministratori, al personale dipendente, ai collaboratori e ai consulenti» della Rai. La disciplina ha quindi una evidente «valenza generale». «Nel settore pubblico - ricorda la Consulta - non è precluso al legislatore dettare un limite massimo alle retribuzioni e al cumulo tra retribuzioni e pensioni, a condizione che la scelta, volta a bilanciare i diversi valori coinvolti, non sia manifestamente irragionevole». Inoltre «la disciplina del limite alle retribuzioni pubbliche si configura come misura di contenimento della spesa» (approvata dalla stessa Corte dei conti nel 2012, come sottolineano con velata ironia i giudici costituzionali) ed è assimilabile ai tagli mirati decisi nel tempo in molti altri settori. Il “tetto” pone anche «rimedio alle differenziazioni, talvolta prive di una chiara ragion d'essere, fra i trattamenti retributivi delle figure di vertice dell'amministrazione». Il limite dei 240mila euro lordi anni, pari al compenso previsto per legge per il primo presidente della Cassazione, conclude la Corte, «non è inadeguato, in quanto si raccorda alle funzioni di una carica di rilievo e prestigio indiscussi». Quindi «non svilisce l'apporto professionale delle figure più qualificate, ma garantisce che il nesso tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro svolto sia salvaguardato anche con riguardo alle prestazioni più elevate».
Fonte:DPL
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota n. 4619 del 24 maggio 2017, ha dettato alcuni chiarimenti concernenti la video sorveglianza alla luce del nuovo articolo 4 della legge n. 300/1970, come modificato dal decreto legislativo n. 151/2015.
Questi i punti essenziali:
– la procedura autorizzativa dell’Ispettorato territoriale del Lavoro è successiva al mancato accordo verificatosi in sede aziendale con gli organismi sindacali interni;
– l’autorizzazione rilasciata dall’ITL può essere sostituita da un successivo accordo sindacale;
– le organizzazioni sindacali deputate al raggiungimento dell’accordo sono la RSU o la RSA e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale;
– le intese raggiunte ex art. 8, comma 2, della legge n. 148/2011 in materia di video sorveglianza debbono trovare il proprio fondamento negli obiettivi indicati al comma 1. Gli accordi, derogatori rispetto all’art. 4, debbono garantire il rispetto della Costituzione, delle norme comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia di lavoro;
– l’accordo viene ritenuto valido se raggiunto con la sola maggioranza della RSA (nota del Ministero del Lavoro n. 2975 del 5 dicembre 2015).
Cassazione: nullità del divieto di altro lavoro nel part-time
FONTE:DPL
Con sentenza n. 13196 del 25 maggio 2017, la Corte di Cassazione ha affermato l’assoluta nullità di un regolamento aziendale che preveda l’impossibilità per un lavoratore a tempo parziale di svolgere altra attività lavorativa che non interferisca con lo svolgimento della prima.
La Suprema Corte ha tenuto a distinguere tale ipotesi dalla circostanza della valutazione relativa alla inconciliabilità della nuova prestazione rispetto al primo vincolo contrattuale, laddove si dovesse ravvisare una incompatibilità della seconda con gli interessi dei quali è portatore il primo datore di lavoro.
INL: Testo Unico 81/2008 su Salute e Sicurezza – ed. maggio 2017
FONTE:DPL
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha pubblicato il testo del Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81, edizione maggio 2017, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, integrato con circolari, accordi Stato Regioni, interpelli ed altre fonti normative ed amministrative.
Per il Tribunale di Udine non c'è mobbing se la condotta del datore di lavoro non è volontariamente diretta a danneggiare il dipendente
FONTE:STUDIO CATALDI di Marina Crisafi
Non si può parlare di mobbing senza la volontà di danneggiare il lavoratore. A sostenerlo è il tribunale di Udine con la recente sentenza n. 51/2017 , rigettando il ricorso di un neurochirurgo avverso l'Asl di appartenenza.
Il medico denunciava una serie di condotte mobbizzanti, da parte del primario e della struttura, tra cui il mancato finanziamento di studi, la perdita di responsabilità di reparto, il mancato rinnovo di un incarico in chirurgia, il trasferimento ad altra unità, ecc.
L'azienda però dalla sua evidenziava che ogni scelta era stata motivata dall'opportunità e dall'applicazione regolare delle norme.
Il tutto veniva suffragato anche dalle testimonianze dei colleghi che parlavano dei comportamenti del ricorrente tali da generare ormai un clima di sfiducia e conflitto irreversibile con tutti.
Da qui, i necessari interventi adottati dalla direzione sanitaria al fine di assicurare la concreta funzionalità della struttura e non certo tesi a danneggiare il medico.
Per il tribunale, le tesi sono convincenti. Deve obiettivamente escludersi che, nel caso di specie, si legge in sentenza, "possano ravvisarsi gli estremi di una condotta vessatoria da parte del responsabile del reparto, suscettibile di essere ascritta nell'ambito del cd. 'mobbing'".
L'illecito in esame, infatti, può ritenersi sussistente solo "in quanto risulti che l'unica ragione della condotta datoriale era quella consistita nel procurare un danno al lavoratore, nel mentre bisogna escluderla in caso contrario, indipendentemente dall'eventuale prevedibilità ed occorrenza in concreto di effetti simili o altrimenti sovrapponibili".
Ciò è a dirsi, conclude il tribunale rigettando il ricorso, in quanto il mobbing "rappresenta una specificazione del divieto - costituente canone generale dell'ordinamento giuridico e fondamento della exceptio doli generalis - di agire intenzionalmente a danno altrui, per cui devono necessariamente essere escluse dall'orbita della fattispecie tutte quelle vicende in cui fra datore di lavoro e lavoratore si registrano semplicemente posizioni divergenti o perfino conflittuali, affatto connesse alla fisiologia del rapporto di lavoro".
FONTE:ILPERSONALE
Come anticipato nell’articolo pubblicato sul nostro sito, il 25 maggio 2018 entrerà in vigore il Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali.
Il Garante lancia una serie di iniziative per fornire ai soggetti pubblici e privati indicazioni utili e accompagnare il processo di adeguamento alle nuove norme.
Sono già partite le lettere indirizzate ai vertici delle Amministrazioni centrali, agli Enti pubblici, alle Regioni, alle Province autonome, alle Autorità indipendenti e ad altri organismi rappresentativi con le quali viene preannunciato dal Garante un piano operativo che prevede un ciclo di incontri. Tre incontri verranno svolti entro il prossimo mese per un primo confronto con i soggetti pubblici e ai quali si chiederà di rappresentare le azioni che hanno già messo in atto e le eventuali esigenze di chiarimento e saranno condivisi gli approfondimenti svolti e le riflessioni eventualmente già maturate.
A questi incontri ne seguiranno altri, a partire dal mese di ottobre, nei quali il Garante fornirà indirizzi e assicurerà il supporto all’opera di implementazione del Regolamento, aiutando ad individuare le soluzioni più efficaci per una corretta transizione verso le nuove regole. Analoghe iniziative di collaborazione sono state avviate nei confronti del mondo delle imprese rivolte in particolare con Abi, Ania e Confindustria con le quali si sta definendo un calendario di incontri.
L’Autorità sta collaborando attivamente, in sinergia con le altre Autorità privacy europee, alla definizione di linee guida e contributi per facilitare l’applicazione del nuovo quadro regolatorio e delle importanti novità introdotte. Sul sito del Garante sono infatti già state pubblicate le Linee guida sul Responsabile della protezione dati (RPD) e sul diritto alla portabilità dei dati e una Guida all’applicazione del Regolamento Ue. Il lavoro di supporto proseguirà nei prossimi mesi con l’elaborazione di ulteriori atti di indirizzo.
FONTE:GAZZETTA ENTI LOCALI
Mediante comunicato emesso lo scorso 25 maggio 2017 ANCI Lombardia rende noto che la riforma del catasto si configura come necessaria e strategica: tuttavia, per essere efficace deve essere condotta seguendo il principio ineludibile dell’invarianza fiscale e del pieno coinvolgimento dei Comuni.
Lo ha affermato il sindaco di Ascoli Piceno e presidente IFEL con delega ANCI alla finanza locale, Guido Castelli, al termine dell’audizione alla Camera dove ANCI è stata ascoltata in merito al processo di revisione del catasto immobiliare.
“Una riforma – ha spiegato Castelli – che contribuisce alla modernizzazione del Paese eliminando quei disallineamenti che sul piano fiscale causano iniquità tra città e città e molto spesso all’interno delle città stesse. Risulta evidente – ha proseguito il sindaco di Ascoli – che l’aspetto centrale di questa riforma deve essere quello dell’invarianza fiscale, affinché il cittadino possa percepire la riforma non come un aumento surrettizio della pressione fiscale sul patrimonio immobiliare, bensì come uno strumento efficace di rilevazione e registrazione dei dati sulle abitazioni; abbiamo tutti i mezzi tecnologici per sviluppare un lavoro ben fatto e in tempi relativamente rapidi”.
Per far questo tuttavia, secondo il delegato ANCI “occorre un coinvolgimento profondo dei Comuni che devono affiancarsi all’Agenzia delle Entrate. Al tempo stesso dovremo tendere ad una riforma del catasto dinamica e quindi suscettibile di continui aggiornamenti, al fine di evitare che le iniquità possano riproporsi con il passare del tempo. Non è accettabile – ha rimarcato a tal proposito il presidente Ifel – che un appartamento nel centro di Roma abbia ancora un valore catastale più basso di una casa in periferia”.
Un ulteriore tema è quello della conoscenza. “In Italia – ha ricordato Castelli – non abbiamo ancora un quadro adeguato del nostro patrimonio immobiliare il che complica ulteriormente il processo di riforma”. A tutte queste osservazioni, consegnate ai commissari tramite un documento dettagliato, il sindaco di Ascoli ha aggiunto infine un’altra richiesta che l’Associazione sollecita da tempo ovvero quella di una riforma generale della finanza locale. “Tutte queste criticità, iniquità e disallineamenti – ha detto – influiscono inevitabilmente sul sistema di fiscalità locale che deve essere rivisitato e migliorato. E’ questo un aspetto fondamentale da perseguire non calandolo dall’alto ma attraverso la condivisione e la partecipazione di Comuni ed Enti locali”, ha concluso il delegato ANCI.
Da PensioniOggi:
Fonte:pensionioggiScritto da Valerio Damiani
Le domande per l'APE agevolato e per l'anticipo dei lavoratori precoci potranno essere presentate a partire dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei DPCM sino al prossimo 15 Luglio 2017. E l'Inps avrà tempo sino al 15 ottobre 2017 per comunicare l'accoglimento o meno dell'istanza di accesso. Sono queste le due novità contenute nei decreti approvati dal Consiglio dei Ministri che attendono nelle prossime ore la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. L'anno successivo le istanze di accesso potranno essere presentate dal 1° gennaio 2018 sino al 31 marzo 2018 (1° marzo 2018 per i precoci) e l'Inps avrà tempo sino al 30 giugno 2018 per comunicare l'accettazione o meno dell'istanza. Resta inteso che l'accettazione delle istanze sarà riconosciute solo nell'ambito di specifici vincoli di bilancio annuali a seguito di procedura di monitoraggio.
Come già anticipato su pensionioggi.it nei giorni scorsi gli interessati avranno dunque una doppia scadenza: prima dovranno produrre l'istanza di accesso (entro il 15 luglio per l'appunto) per dimostrare di trovarsi in uno dei profili di tutela individuati dalla legge (cioè trovarsi in stato di disoccupazione a seguito di licenziamento; assistere da almeno sei mesi un familiare convivente con handicap grave; invalidità civile almeno al 74%; svolgere un’attività gravosa o usurante). L’Inps a quel punto verificherà se ci sono le condizioni oggettive per la concessione degli strumenti (APE o quota 41) inclusa la disponibilità dei fondi e comunicherà al lavoratore (entro il 15 ottobre) la prima decorrenza della prestazione (se i fondi sono insufficienti viene confermato l'accesso alle misure ma verrà posticipata la decorrenza della prestazione) o il rifiuto della stessa per mancanza dei requisiti. A quel punto l'interessato, in caso di risposta positiva da parte dell'Inps, potrà produrre la domanda di pensionamento (con 41 anni di contributi o con l'ape sociale) a ridosso della prima decorrenza utile comunicata dall'Inps ed accedere alla pensione dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda. Ove la prima decorrenza utile sia anteriore alla data di ricezione della comunicazione il soggetto avrà garanziadella retroattività del trattamento dal primo giorno del mese successivo a quello di perfezionamento dei requisiti (che tuttavia non potrà essere antecedente al 1° maggio 2017) a condizione, però, che presenti la domanda entro il 30 novembre 2017.
Si rammenta che i requisiti oggettivi per il conseguimento delle prestazioni devono sussistere al momento dell'istanza di accesso (in particolare lo stato di disoccupazione per licenziamento, invalidità non inferiore al 74%, assistenza al disabile, svolgimento di mansioni gravose o usuranti); tuttavia i requisiti contributivi e anagrafici possono essere maturati successivamente, entro l’anno di riferimento. Si tratta dei 63 anni (per l'ape sociale), del minimo contributivo (30 o 36 anni, 41 anni per i precoci), ma anche dei tre mesi dal termine del sussidio di disoccupazione (per i disoccupati), della condizione di aver svolto per almeno 6 anni negli ultimi 7 un’attività gravosa (lavori gravosi). Tali requisiti possono maturare entro il dicembre dell'anno in cui si presenta l'istanza di accesso. In sostanza in questi casi il lavoratore può prenotarsi il diritto alle prestazioni. Ad esempio un disoccupato in possesso dei 63 anni e 30 anni di contributi che termina i tre mesi dalla scadenza della disoccupazione il 10 ottobre 2017 dovrà, comunque, presentare l'istanza entro il 15 luglio e poi riceverà l'APE social, previo accertamento dei requisiti suddetti, dal 1° novembre 2017. Il termine del 15 Luglio non è però perentorio: i DPCM stabiliscono, infatti, che gli interessati possono produrre l'istanza entro il 30 novembre di ogni anno (2017 e 2018 per l'ape sociale, anche negli anni successivi per i precoci atteso che nei loro confronti la misura è strutturale) ma in tal caso la domanda sarà accettata solo a fronte di risorse residue.
L'accettazione delle domande volte a conseguire sia l'ape sociale che il pensionamento con 41 anni di contributi, come detto, sono soggette ad un vincolo di bilancio annuo. I due DPCM prevedono che qualora dal monitoraggio delle domande presentate ed accolte, emergerà il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, del numero di domande rispetto alle risorse finanziarie la decorrenza del pensionamento anticipato verrà differita dall'Inps, con criteri di priorità in ragione della maturazione dei requisiti di pensionamento e, a parità degli stessi, in ragione della data (e ora) di presentazione della domanda. Dunque nella presentazione delle istanze occorrerà anche fare presto perchè, se le risorse saranno insufficienti, ad entrare in graduatoria saranno coloro che hanno presentato per prima la domanda.
Fonte:pensionioggiScritto da Valerio Damiani
Gli anticipi pensionistici contenuti nella legge di bilancio per il 2017 in favore degli ultra 63enni e dei lavoratori precoci in condizione di difficoltà sono pronti. I provvedimenti sono stati approvati da Palazzo Chigi questa settimana ed attendono ora la pubblicazione definitiva in Gazzetta Ufficiale. A fondo pagina rendiamo disponibili, pertanto, in anteprima gli schemi dei due DPCM approvati che confermano quanto già anticipato sulle pagine di questo giornale nei giorni scorsi.
Le categorie dei beneficiari sono quelle individuate dalla legge di bilancio senza gli ulteriori ampliamenti richiesti dalla parte sindacale negli ultimi giorni. In particolare non c'è l'estensione ai disoccupati a seguito di licenziamento che non hanno i requisiti per la disoccupazione e l'apertura per agevolare l'accesso alle prestazioni ai lavoratori agricoli. I beneficiari sono compresi in quattro categorie: disoccupati a seguito di licenziamento con esaurimento da almeno tre mesi degli ammortizzatori sociali, gli invalidi non inferiore al 74%, i caregivers che assistono il coniuge o parenti entro il primo grado in condizione di disabilità e gli addetti a mansioni gravose o usuranti. Tali soggetti, in definitiva, potranno utilizzare due canali di pensionamento aggiuntivi rispetto a quanto prevede la legge Fornero. Uscire a 63 anni se in possesso di almeno 30 anni di contributi (36 per chi svolge mansioni gravose da almeno sei anni in via continuativa); o con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica se possono vantare almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del 19° anno di età (lavoratori precoci). Senza incorrere in penalità sulla pensione. Ai fini del perfezionamento della contribuzione i due provvedimenti consentono il cumulo della contribuzione mista, cioè quella accreditata presso diverse gestioni pensionistiche obbligatorie (è una apertura importante che era in dubbio sino all'ultimo). L'accertamento delle condizioni di accesso è demandato ad una doppia fase, già anticipata su pensionioggi.it (si veda qui per dettagli). Da notare che, per quanto riguarda l'APE sociale, il DPCM contrariamente a quanto affermato dall'Inps (e correttamente da un punto di vista giuridico-sostanziale) non prevede la circostanza che il beneficiario debba trovarsi a non più di 3 anni e sette mesi dalla pensione di vecchiaia, una condizione non prevista dalla legge di bilancio che avrebbe finito per penalizzare i nati tra il 1954 ed il 1955.
Tempi più lunghi, invece, saranno necessari per l’Ape volontario. Anche in questo caso è necessario un Dpcm, contenente diversi dettagli per far partire lo strumento. Inoltre, poiché il meccanismo di anticipo si basa su un prestito che deve essere poi restituito con rate sulla pensione, vanno chiuse le convenzioni con le banche che erogheranno il finanziamento e le compagnie di assicurazione per il premio a copertura del decesso del pensionato prima della conclusione del piano ventennale di rimborso. Assieme all'APE volontario slitta anche l'erogazione della Rita (cioè la rendita integrativa temporanea anticipata) che a ben vedere ha poco a che fare con i predetti strumenti dato che il contributo economico viene erogato dai fondi di previdenza complementare a cui il lavoratore ha contribuito. Purtroppo per un cavillo di legge è sempre l’Inps che deve certificare i requisiti per accedere all’operazione (tra cui almeno 63 anni di età, 20 anni di contributi, pensione di vecchiaia non più lontana di 3 anni e 7 mesi) e, pertanto, in mancanza della piattaforma sull'APE non si può chiedere neanche la RITA.
fonte:pensionioggi
Per il riconoscimento del diritto all'assegno al nucleo familiare e all'assegno sociale, le prestazioni assistenziali come l'assegno di cura erogato dalle Regioni, gli assegni mensili erogati dai Comuni a titolo di sostegno per le persone anziane o invalide, ed altri contributi economici aventi tali finalità previsti da leggi regionali o provinciali, nel caso delle province autonome, devono essere escluse dal calcolo dei redditi. Lo precisa l’Inps, da ultimo, con il messaggio numero 1985 del 12 maggio 2017, rispondendo rispettivamente ad alcuni quesiti posti dalla sede della provincia autonoma di Bolzano.
Gli assegni di cura, come noto, sono prestazioni di natura squisitamente assistenziale erogate dalle normativa territoriale nei confronti delle persone non autosufficienti a prescindere dal requisito reddituale. A tal fine l’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, interpellato dall’Istituto, con nota del Direttore generale n.68 del 3/11/2016, in merito alla natura dei suddetti strumenti si è pronunciato con parere del 17/01/2017 riconoscendo che, l’assegno di cura spettante ai soggetti residenti nella Provincia di Bolzano indicati nell’articolo 1, comma 2, della legge provinciale n.9/2007, costituisce una misura aggiuntiva e ulteriore di sostegno rivolta alle persone non autosufficienti, sostanzialmente analoga nella ratio e nella finalità di consentire una vita dignitosa, all’indennità di accompagnamento provinciale, nonché alla medesima indennità prevista dalla legislazione vigente nel resto del territorio nazionale ed erogata in misura fissa dall’Inps.
In particolare secondo il Dicastero di Via Veneto "l’assegno di cura appare del tutto assimilabile, quanto a contenuto e funzioni, all’indennità di accompagnamento e pertanto debba essere escluso dal computo del reddito rilevante ai fini della percezione dell’assegno sociale". Alla luce di tale interpretazione l'Inps spiega, pertanto, che tali somme non devono essere computate nel reddito dichiarato ai fini dell’assegno per il nucleo familiare oltre che all'assegno sociale nè, è logica conseguenza di ciò, all'interno dei redditi da considerare ai fini delle maggiorazioni sociali.
A supporto della esclusione delle prestazioni assistenziali connesse ad uno stato di invalidità dal calcolo dei redditi è intervenuto anche il Consiglio di Stato lo scorso anno con la sentenza numero 838/2016 in cui è stato ribadito che le finalità delle prestazioni indennitarie “servono non a remunerare alcunché, né certo all’accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un’oggettiva ed ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione di inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale”.
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UIL NOTIZIE
Loy(UIL): rivedere le norme sulla CIG per evitare di veder crescere il numero dei disoccupati
4° Rapporto sulla Cassa integrazione
Nel mese di aprile sono state autorizzate 23,9 milioni di ore di cassa integrazione, in forte flessione rispetto allo stesso mese dell’anno scorso (-58,1%) e con un calo del 38,9% su marzo. Dato che interessa - illustra Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL - le tre gestioni (cigo, cigs e deroga) e le tre macro aree. La gestione straordinaria è, in valori assoluti, lo strumento che assorbe il maggior numero di ore autorizzate (14,5 milioni). Complessivamente, nel mese, la cassa integrazione ha “salvato” circa 141 mila posti di lavoro.
Dal cumulo delle ore autorizzate nel I quadrimestre si ottengono 129 milioni di ore (di cui il 69% assorbito dalla cassa integrazione straordinaria), in flessione del 43,1% rispetto allo stesso periodo del 2016. Anche in questo caso il calo delle ore autorizzate è registrato per tutte le gestioni e le tre macro aree.
Ovviamente - osserva Guglielmo Loy -la media nazionale non deve offuscare alcuni dati regionali e territoriali fortemente preoccupanti che indicano come, purtroppo, i processi di ristrutturazione e di difficoltà di molte imprese ancora si manifestano. È il caso, ad esempio, della Calabria (+34,7%), Liguria (+18,8%), delle Province Autonome di Trento (+3,9%) e Bolzano (+0,2%) e, tra le altre, delle provincie di Savona (+333,9%), Reggio Calabria (+218,8%), Brindisi (+208,4%), Belluno (+123%) e Benevento (+121%)
Va sempre considerato che dai “numeri”, che mensilmente diffonde l’Inps, restano ancora totalmente assenti i dati relativi al FIS (Fondo di integrazione salariale) che dovrebbe proteggere i lavoratori di imprese, prevalentemente piccole e piccolissime, che non sono tutelati da altri strumenti.
In controtendenza, rispetto alla flessione di cassa integrazione, la crescita delle domande di Naspi che deve spingerci, essendo questo uno strumento che protegge chi il lavoro lo ha perso, a fare una riflessione sul tema se il venir meno di alcuni istituti di politica passiva (indennità di mobilità) e le restrizioni su altri (cassa integrazione), apportate dalla riforma del lavoro, concorrano, insieme alla insufficiente crescita, a tale aumento.
Monitorare e valutare gli effetti delle riforme - conclude Guglielmo Loy- è necessario per comprendere “se” e “dove” intervenire per prevenire impatti negativi sul mercato del lavoro. Fino a considerare se e come rivedere le norme sulla cassa integrazione in senso meno restrittivo per evitare di veder crescere il numero dei disoccupati.
>> Nel link sottostante lo studio completo in Pdf