Anticorruzione, la prescrizione non cancella la confisca
Fonte:sole24ore di Giovanni Negri
Confisca confermata. Anche se è intervenuta la prescrizione. Basta la condanna di primo grado. Il pacchetto anticorruzione approvato dal governo giovedì introduce la possibilità di conservazione della misura patrimoniale anche quando, dopo il giudizio di primo grado, è decorsa la prescrizione oppure è intervenuta un’amnistia.
Si tratta di un intervento che prende atto, si sottolinea nella relazione al disegno di legge, dell’evoluzione della giurisprudenza soprattutto internazionale e del dibattito sulla «confisca senza condanna». E l’obettivo è di assicurare effettività e forza deterrente alle misure di contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione anche sul versante dell’aggressione ai patrimoni accumulati in maniera almeno sospetta. «L’intervento – si osserva –, infatti, potenzia uno strumento ablatorio di natura reale che, impedendo l’accumulazione e il reinvestimento di capitali illeciti, si è rivelato arma particolarmente efficace (e temuta) nella prevenzione e repressione del malaffare».
Le norme sinora applicabili escludono la possibilità di continuare ad applicare il blocco sui beni anche per reati come la corruzione, la concussione, l’abuso d’ufficio. Si tratta di una strada che oggi l’autorità giudiziaria può percorrere soprattutto nella guerra alle organizzazioni criminali, applicando la cosiddetta confisca allargata quando cioè il patrimonio in possesso della persona sospetta appare del tutto sproporzionato rispetto al reddito dichiarato, risultando così arduo dimostrarne la provenienza. A questa ipotesi se ne aggiunge poi una più particolare in materia di attività di repressione del traffico di stupefacenti.
Ma erano soprattutto le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo a sconsigliare l’estensione: in particolare la sentenza Varvara contro Italia del 2013, con la quale si concludeva che l’applicazione della confisca urbanistica nelle ipotesi di proscioglimento per estinzione del reato costituisce una violazione del principio di legalità. Con questa pronuncia, la Corte europea dei diritti dell’uomo sembrava affossato definitivamente la confisca urbanistica «senza condanna».
La Corte costituzionale, però, con la sentenza n. 49 del 2015 aveva ridimensionato il precedente Varvara, valorizzando invece l’esistenza di un pieno giudizio di responsabilità, dopo il contraddittorio con le parti, che dimostrasse al di là di ogni ragionevole dubbio la colpevolezza della persona soggetta a confisca.
Da ultimo, poi, la recentissima sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 28 giugno scorso, pur riaffermando come elemento chiave quello della natura sostanziale di «pena» della confisca, riconosciuto peraltro anche dalla nostra Cassazione, e della conseguente necessità di accertare la colpevolezza di colui che la subisce, condivide le conclusioni della Consulta e, escludendo che violi l’articolo 7 Cedu lo Stato che, accertata la colpevolezza all’esito del giudizio, dichiari estinto il reato per prescrizione, ma ugualmente disponga la confisca urbanistica, proprio in forza del predetto accertamento. Una correzione di rotta oggi sfruttata dalla manovra anticorruzione.
Telecamere: non basta il consenso dei lavoratori
Il datore di lavoro commette il reato artt. 4 e 38 legge n. 300/1970 anche se ottiene il consenso dei dipendenti per installare le telecamere
ALLEGATA LA SENTENZA
Fonte:studio cataldi di Annamaria Villafrate
Con la sentenza n. 38882/2018 (allegata) la Cassazione ribadisce che il datore di lavoro commette comunque il reato previsto dagli artt. 4 e 38 dello Statuto dei lavoratori se, anche con il consenso dei dipendenti, installa un impianto di videosorveglianza in una gelateria. Per installare le telecamere infatti la legge richiede un preventivo accordo tra datore e rappresentanze sindacali o, in assenza, la preventiva autorizzazione amministrativa della Direzione territoriale del lavoro.
La vicenda processuale
Nel 2017 la titolare di un gelateria viene condannata in primo grado alla pena dell'ammenda di 800,00 euro per il reato ex artt. 4 e 38 Statuto dei lavoratori perché installava quattro telecamere, connettendole a uno schermo LCD e a un apparato informatico, che gli permetteva di avere la visione e il controllo di tutti i luoghi in cui i dipendenti svolgevano le rispettive mansioni.
L'imputata propone appello, trasmesso in Cassazione perché qualificato dalla Corte come ricorso, perché il giudice avrebbe escluso ingiustificatamente la scriminante del consenso dei lavoratori all'installazione delle videocamere che, viste le ridotte dimensioni dell'attività, poteva sostituire l'accordo sindacale richiesto.
Il consenso del lavoratore non scrimina l'installazione delle videocamere
La Cassazione, con sentenza n. 38882/2018 respinge il ricorso ritenendolo infondato in quanto priva di fondatezza "la doglianza relativa al mancato riconoscimento dell'assenso dei lavoratori come causa esimente della contravvenzione ex artt. 4 e 38 Legge 300 del 1970 (tutela penale del divieto di operare controlli a distanza con impianti, strumenti e apparecchiature non preventivamente autorizzate confermata anche dall'art. 23, c 2 D.Igs n. 151 del 2015, che ha modificato l'art. 171 D.Igs n. 196 del 2003)."
La fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 4 legge n. 300/1970 infatti è integrata con la semplice installazione di telecamere in grado di controllare l'attività dei lavoratori, anche quando, in assenza di preventivo accordo con le organizzazioni sindacali, autorizzata per iscritto dai dipendenti. La legge prevede infatti che il datore, prima d'installare un impianto di videosorveglianza nei luoghi di lavoro, è tenuto ad accordarsi in tal senso con le rappresentanze sindacali o, in mancanza di accordo, a ottenere l'autorizzazione amministrativa della Direzione territoriale competente. I lavoratori infatti, in quanto parte debole del contratto di lavoro, non possono autorizzare il datore in tal senso.
In conclusione, "il consenso del lavoratore all'installazione di un'apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma (scritta od orale) prestato, non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalla fattispecie incriminatrice".
Leggi anche:
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Installazione impianti di videosorveglianza: non basta il consenso dei lavoratori
Con una doppia sentenza la Corte di Cassazione ribadisce l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale non basta ottenere il consenso dei lavoratori per l’installazione degli impianti di videosorveglianza.
Fonte: https://www.lavoroediritti.
La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in merito all’annosa questione dell’installazione degli impianti di videosorveglianza nelle aziende che intendono introdurre strumenti di controllo dei lavoratori. Con una doppia sentenza (nn. 38882 e 38884 entrambe depositate il 24 agosto 2018) della Corte di Cassazione sono stati sanciti due principi fondamentali che rafforzano a tal proposito il vigente orientamento giurisprudenziale.
Innanzitutto, per poter installare impianti di videosorveglianza per il controllo dei lavoratori non basta ottenere il consenso dei lavoratori stessi. Tale forma di consenso, in qualsiasi forma sia stata prestata, non può a prescindere sostituire l’obbligo da parte delle aziende di dover avviare le pratiche per l’accordo sindacale o l’autorizzazione ministeriale.
Ciò vale anche se gli strumenti di controllo risultano fuori uso (non funzionanti) o comunque spenti. In ogni caso se l’azienda, successivamente all’accesso ispettivo, regolarizzi la propria posizione mediante la c.d. “prescrizione obbligatoria”, rimuovendo tutti gli apparecchi non autorizzati o comunque avvii le procedure per la sottoscrizione dell’accordo o richiesta autorizzazione, si estingue a tout court il reato anche se già perfezionato.
Autorizzazione videosorveglianza dipendenti, sentenza n. 38882/2018
La prima sentenza citata (n. 38882/2018) riguarda un bar-gelateria, condannato a una ammenda di 800 euro per aver installato quattro telecamere, disponendole in vari punti dello stabilimento, connesse ad uno schermo LCD e a un apparato informatico, in modo da avere il controllo visivo di tutti i luoghi di lavoro dove i dipendenti svolgevano le mansioni loro attribuite ed averne il controllo a distanza. Per il Tribunale di Chieti, infatti, essi hanno violato gli artt. 4 e 38 della L. 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori).
Il titolare del bar aveva presentato ricorso sostenendo che il giudice non aveva tenuto conto dell’assenso dei lavoratori che, in una realtà lavorativa così piccola, poteva legittimamente sostituire l’autorizzazione sindacale necessaria.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati i motivi addotti dal datore di lavoro. Infatti, gli Ermellini evidenziano nella succitata sentenza come accordo sindacale e autorizzazione ministeriale non possono essere sostituiti dall’accordo dei lavoratori in quanto “soggetti deboli” del rapporto di lavoro subordinato.
Ciò risulta perfettamente in linea con la ratio di cui all’art. 4 della L. n. 300 del 1970, secondo cui l’installazione di apparecchiature (da impiegare esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale ma dalle quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori) deve essere sempre preceduta da un accordo tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali dei lavoratori.
Laddove l’accordo non è raggiunto, il datore di lavoro deve far precedere l’installazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo da parte dell’autorità amministrativa (Direzione territoriale del lavoro) che faccia luogo del mancato accordo con le rappresentanze sindacali dei lavoratori, cosicché, in mancanza di accordo o del provvedimento alternativo di autorizzazione, l’installazione dell’apparecchiatura è Illegittima e penalmente sanzionata.
Prescrizione obbligatoria videosorveglianza dipendenti, sentenza n. 38884/2018
Con la sentenza n. 38884/2018, invece, la Corte di Cassazione si pronuncia sulla validità di un provvedimento di “prescrizione obbligatoria” impartito ai sensi del D.Lgs n.124/2004 nel corso di un’ispezione a carico di un negoziante per avere installato illecitamente degli impianti audiovisivi per il controllo a distanza dei lavoratori dipendenti.
Sul punto, i giudici della Suprema Corte rilevano come la rimozione delle telecamere o sottoscrizione accordo o richiesta autorizzazione estingue il reato anche se già perfezionato. Ciò vale anche dopo l’intervento in materia da parte del Jobs Act.
Permessi Legge 104 per dipendenti part time
Fonte: https://www.money.it/ di Noemi Secci
I permessi mensili retribuiti spettanti per l’assistenza di un familiare disabile devono essere ridotti per chi lavora a tempo parziale? Scopriamolo.
Hai un contratto di lavoro dipendente che prevede un orario part-time, cioè ridotto rispetto all’orario ordinario (pari a 40 ore, per la maggior parte dei contratti collettivi), e assisti un familiare con un handicap grave?
Devi sapere che puoi aver comunque diritto ai permessi retribuiti per l’assistenza di familiari disabili, i cosiddetti permessi Legge 104, nonostante la riduzione dell’orario lavorativo: in alcuni casi, tra l’altro, i dipendenti part time hanno diritto ai permessi retribuiti per intero, ossia nella stessa misura spettante ai lavoratori a tempo pieno.
Secondo due recenti sentenze della Corte di Cassazione (Cass. Sent. n. 4069/2018 e n. 22925/2017), difatti, il diritto del disabile all’assistenza non può essere compromesso dalla riduzione dell’orario di lavoro, ma si deve garantire una tutela effettiva al portatore di handicap: in base alle pronunce, quando il dipendente svolge la propria attività in regime di part time verticale (ossia soltanto alcune giornate nella settimana), e presta servizio per più della metà delle giornate settimanali, i permessi retribuiti mensili non devono essere riproporzionati.
Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto sui permessi Legge 104 per dipendenti part time: chi ne ha diritto, come si calcolano, quando possono essere ridotti.
Chi ha diritto ai permessi Legge 104?
Ricordiamo innanzitutto chi ha diritto ai permessi retribuiti mensili per l’assistenza dei disabili. I permessi Legge 104 spettano:
· al lavoratore dipendente portatore di handicap in situazione di gravità, in prima persona;
· al lavoratore dipendente che assiste un familiare portatore di handicap grave.
I familiari che hanno diritto ai permessi retribuiti, nel dettaglio, sono:
i genitori;
· il coniuge, o il partner dell’unione civile, o il convivente more uxorio;
· i parenti e affini entro il 2° grado;
· i parenti e affini entro il 3° grado, se i genitori o il coniuge/ la parte dell’unione civile/ il convivente del disabile hanno compiuto i 65 anni, oppure sono anch’essi affetti da patologie invalidanti a carattere permanente, o sono deceduti o mancanti.
Quanti giorni di permessi Legge 104 spettano al mese?
Nella generalità dei casi, ai lavoratori a tempo pieno spettano 3 giorni al mese di permessi retribuiti Legge 104: questi permessi possono essere frazionati anche a ore.
Quanti giorni di permessi Legge 104 spettano ai lavoratori in part time orizzontale?
Chi ha un contratto di lavoro in regime di part time orizzontale, cioè chi lavora tutti i giorni, ma per un numero di ore inferiori all’orario giornaliero ordinario, ha ugualmente diritto a 3 giorni di permesso al mese, per l’assistenza di familiari disabili.
In relazione a ogni giornata, tuttavia, le ore di permesso spettanti sono di meno, così come risultano di meno le ore lavorate: questa non è una discriminazione, considerando che il diritto ai permessi retribuiti non viene tolto, ma viene riproporzionato in base alla quantità del lavoro prestato.
In pratica, se il lavoratore presta servizio per tutte le giornate lavorative della settimana, ma per un numero minore di ore giornaliere, ad esempio per 4 ore al giorno, le 3 giornate di permessi Legge 104 gli sono comunque riconosciute: si tratta, però, di 3 giornate da 4 ore, quindi ad orario ridotto.
Quanti giorni di permessi Legge 104 spettano ai lavoratori in part time verticale?
Il discorso è notevolmente più complesso per quei dipendenti che si trovano in regime di part time verticale, ossia che lavorano per un numero limitato di giornate.
Sia in caso di part-time verticale con attività lavorativa (ad orario pieno o ridotto) limitata ad alcuni giorni del mese, sia in caso di riduzione dell’attività lavorativa coincidente con un periodo di integrazione salariale, difatti, il numero dei giorni di permesso spettanti deve essere ridimensionato proporzionalmente.
Il risultato numerico viene arrotondato all’unità inferiore o a quella superiore, a seconda che la frazione sia fino allo 0,50 o superiore (come specificato nel messaggio Inps n. 26411/2009).
Part time verticale: formula di calcolo dei giorni di permesso Legge 104 spettanti
Per calcolare quante sono le giornate di permesso retribuito per assistenza disabili spettanti nel mese, nel dettaglio, bisogna procedere con la seguente proporzione:
giorni di permesso spettanti: numero dei giorni di lavoro effettivi= 3 giorni di permesso teorici: giorni lavorativi.
Se, ad esempio, un lavoratore in part time verticale presta servizio per 10 giornate mensili, su un totale di 24 giorni lavorativi teoricamente eseguibili, il calcolo da svolgere è:
x:10 = 3 :24
Perciò:
x = 30:24;
x = 1,25 giorni di permesso, che devono essere arrotondati per difetto a 1, in quanto la frazione è inferiore a 0,50.
Nel mese considerato spetta quindi un solo giorno di permesso.
Permessi Legge 104 part time verticale: quando non devono essere ridotti?
Ci sono delle ipotesi, però, in cui, nonostante il regime di part time verticale, i permessi Legge 104 non devono essere riproporzionati.
Nello specifico, se il dipendente presta servizio per oltre la metà delle giornate lavorative settimanali, ad esempio se lavora almeno 4 giorni su 6, i 3 giorni di permesso Legge 104 spettano per intero: la spettanza per intero ha lo scopo di riconoscere, come chiarito dalla Cassazione, l’importanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività di tutela del disabile.
I permessi Legge 104 si riducono se il lavoratore si assenta?
Nessuna riduzione dei permessi retribuiti Legge 104 può aver luogo, invece, se il richiedente nel corso del mese ha legittimamente beneficiato di altre tipologie di permessi o congedi (come il congedo per maternità o malattia). La finalità di garantire un’assistenza adeguata al disabile non può difatti essere limitata dalla fruizione di assenze con scopi differenti, purché meritevoli di tutela (le assenze ingiustificate, ad esempio, danno luogo alla riduzione dei permessi spettanti).
I permessi Legge 104 si riducono per chi è assunto nel corso del mese?
Se il dipendente è assunto nel corso del mese, ad esempio il giorno 20, i giorni di permesso spettanti devono essere ridotti, come chiarito dall’Inps e dal ministero del Lavoro (Circolare Inps n.128/2003; ministero del Lavoro, Risposta ad Interpello n.24/2012).
In questi casi, i 3 giorni di permesso mensili devono essere riproporzionati in ragione di una giornata ogni 10 giorni di assistenza continuativa.
Orari visite fiscali 2018: fasce di reperibilità per dipendenti pubblici e privati
Gli orari delle visite fiscali cambiano a seconda del settore di appartenenza; i dipendenti pubblici, infatti, devono essere reperibili per 7 ore al giorno, mentre i lavoratori del settore privato solo per 4.
Fonte: https://www.money.it/
Gli orari delle visite fiscali - ovvero le fasce orarie in cui i lavoratori devono rispettare l’obbligo di reperibilità - sono state confermate anche per il 2018, nonostante l’obiettivo annunciato dal Decreto Madia di far coincidere le fasce orarie dei dipendenti pubblici con quelle dei dipendenti privati.
Anche quest’anno quindi i dipendenti pubblici che si assentano per malattia hanno l’obbligo di farsi trovare in casa per 7 ore al giorno, 4 la mattina e 3 nel pomeriggio; per i dipendenti privati, invece, l’orario è ridotto a 4 ore totali, 2 la mattina e altrettante nel pomeriggio.
Tuttavia, grazie alle novità introdotte dal Decreto Madia non ci sono altre differenze per le visite fiscali nei confronti dei dipendenti pubblici e privati visto che d’ora in avanti la gestione di entrambi è affidata al Polo Unico dell’Inps.
A tal proposito ricordiamo che coloro che non si rendono reperibili negli orari delle visite fiscali rischiano di dover pagare una pesante sanzione. La legge, infatti, riconosce al dipendente che si ammala di non andare a lavoro per il periodo necessario per curarsi; tuttavia questo può essere sottoposto al controllo del medico con il quale viene verificato il suo stato di salute. Ad esempio, se il medico che ha eseguito la visita fiscale si rende conto che il paziente è guarito, può disporre del rientro anticipato a lavoro rispetto alla data indicata nel certificato medico.
Il dipendente non può rifiutarsi di essere sottoposto alla visita fiscale, ma questa deve essere effettuata esclusivamente negli orari indicati dalla legge. Se il medico si presenta presso l’indirizzo indicato nel certificato medico fuori dagli orari delle visite fiscali, infatti, il paziente può rifiutarsi di farlo entrare senza incorrere in sanzioni.
Quindi se vi assentate dal lavoro a causa di una malattia non siete obbligati a restare in casa per tutto il giorno, ma solo negli orari delle fasce di reperibilità indicate dalle legge, che variano per i dipendenti pubblici e privati.
Quindi, per evitare di incorrere in una sanzione è molto importante conoscere perfettamente gli orari delle visite fiscali in vigore nel 2018; ecco una guida con tutto quello che c’è da sapere per dipendenti pubblici e privati.
Orari visite fiscali per dipendenti pubblici: le regole per il 2018
Chi lavora nel settore pubblico ha l’obbligo di reperibilità per 7 ore al giorno.
Nel dettaglio, il controllo del medico può esserci dalle 09:00 alle 13:00 della mattina e dalle 15:00 alle 18:00 nel pomeriggio.
L’obbligo di reperibilità non viene meno neppure nei weekend o nei giorni festivi: se compresi nel periodo di malattia, infatti, il controllo medico può avvenire anche di sabato, di domenica o in un giorno segnato in rosso sul calendario.
Inoltre, è bene ricordare che per i dipendenti pubblici la visita fiscale viene disposta obbligatoriamente nel primo giorno di assenza dal lavoro qualora questa si verifichi a ridosso di una giornata non lavorativa.
Le visite fiscali possono essere ripetute
Come anticipato con l’approvazione del Decreto Madia è l’Inps - tramite il Polo Unico - l’unico organo di controllo incaricato di effettuare gli accertamenti medico legali su tutti i dipendenti che si assentano dal servizio: nessun cambiamento per il settore privato, mentre per il pubblico impiego non è più l’ASL a gestire i controlli.
Un’altra importante novità riguarda la ripetitività dei controlli per malattia: prima della riforma, infatti, era prevista una sola visita fiscale per lo stesso periodo di malattia. Di conseguenza una volta che il lavoratore malato aveva ricevuto il controllo da parte del medico incaricato non doveva più preoccuparsi di rispettare l’obbligo di reperibilità nei suddetti orari.
Per limitare i comportamenti poco corretti da parte dei dipendenti “furbetti”, però, è stato deciso di eliminare questa disposizione stabilendo che d’ora in avanti la visita fiscale potrà essere ripetuta più volte anche nello stesso periodo di malattia indicato nel certificato medico.
I provvedimenti conclusivi del procedimento disciplinare, sanzione o archiviazione, perchè la motivazione è necessaria.
ALLEGATO
Qui! Group dichiarata fallita, debiti per oltre 325 milioni; caos buoni pasto
Fonte:il messaggero
Qui! Group, fino a poche settimane fa il principale operatore italiano dei buoni pasto con una quota di mercato del 20%, è stata dichiarata fallita. Con sentenza 104/2018, depositata oggi, il tribunale fallimentare di Genova - dove la società ha sede - ha rifiutato la richiesta di amministrazione straordinaria presentata dai vertici del Gruppo, accogliendo invece l'istanza di fallimento del procuratore aggiunto Francesco Pinto e del pm Patrizia Petruzziello. I debiti ipotizzato ammontano ad «oltre 325 milioni di euro».
Sono centinaia gli esercizi commerciali, in tutta Italia, che vantano crediti per migliaia di euro nei confronti dell'azienda genovese che fa capo all'imprenditore Gregorio Fogliani per via delle decine di buoni pasto raccolti e mai saldati. E migliaia sono i lavoratori, soprattutto quelli della pubblica amministrazione, che si ritrovano tra le mani 'mazzettè di ticket che non sanno come spendere perché rifiutati dalla piccola e dalla grande distribuzione. Lo scorso 13 luglio la stessa Consip, la centrale d'acquisti della pubblica amministrazione, aveva detto stop ai buoni pasto della società risolvendo la convenzione in Piemonte, Liguria, Valle d'Aosta, Lombardia e nel Lazio. «Reiterato, grave e rilevante inadempimento delle obbligazioni contrattuali» la motivazione. Lo scorso 7 agosto scorso anche Poste Italiane ha annullato il contratto di fornitura.
«Vedere gli sforzi di un settore così mortificati - sottolinea il direttore di Epat Torino, Claudio Ferraro -, fa male a tutti e deve indurre le forze politiche e il governo a riprendere con una normativa efficace, che curi l'interesse delle piccole imprese ed impedisca fenomeni e sviluppo di mercati, come quello dei buoni pasto, ormai allo scoperto e privi di ogni tutela». Chiede l'apertura di un tavolo di crisi al ministero Andrea Dameri, di Confesercenti Genova, secondo cui «l'accoglimento della tesi della procura apre scenari che vanno ben al di là della mera insolvenza». La preoccupazione è anche per gli oltre cinquecento dipendenti di Qui! Group, oltre duecento soltanto a Genova. In occasione dell'ultima assemblea, prima di Ferragosto, avevano deciso di non proclamare lo stato di agitazione e neppure una o più giornate di sciopero. Ma in una lettera ai vertici societari si erano detti «preoccupati» per la situazione
Visita fiscale Inps: usare Facebook in orario medico, rischio licenziamento?
Fonte: https://www.termometropolitico.it
Visita fiscale Inps: usare Facebook in orario medico, rischio licenziamento?
In merito alla visita fiscale Inps si può stare al sicuro una volta avvenuto l’accertamento? Va ricordato che la visita fiscale può partire non solo dal primo giorno di malattia, ma può essere ripetuta anche più volte nello stesso giorno o nello stesso periodo della malattia. Non solo, il rispetto delle fasce orarie di reperibilità è un obbligo da non contraddire e su questo abbiamo già scritto molto. Ma cosa succede al di là di questi orari?
Visita fiscale Inps: occhio a Facebook
Mettiamo caso che un dipendente riceva la visita fiscale per una malattia che gli impedisce di lavorare. E che magari quella sera vada a una festa e posti le foto su Facebook. Che succede in questo caso? Semplicemente vale il principio secondo il quale se la condotta del dipendente malato è tale da pregiudicarne la riabilitazione, questi può incappare nel licenziamento disciplinare per giusta causa. E a fare la spia, stavolta, non sarebbe un collega, né tantomeno l’irreperibilità alla visita fiscale; bensì proprio Facebook. Un danno alla privacy? No, essendo stata quella foto resa volontariamente pubblica. L’avvento del digitale e la sua rapida evoluzione nel nostro Paese sta investendo senza dubbio anche la giurisprudenza e ultimamente molte sentenze che hanno a che fare con il digitale e i suoi usi sono emerse dalla nebbia interpretativa.
Visite fiscali: dipendenti pubblici e privati, orario e guida.
Visita fiscale Inps: il ruolo di Facebook, cosa dice la Cassazione
Rivelatoria in tal senso è la sentenza n. 10955/15 della Corte di Cassazione, che ha stabilito come il datore di lavoro sia legittimato a creare un profilo Facebook falso per controllare i comportamenti dei suoi dipendenti. In particolar modo, valutare se utilizzano eccessivamente il social network durante l’orario di lavoro anziché adempiere alle proprie mansioni. È stato il caso di un operaio abruzzese, licenziato proprio per essere stato “spiato” dal capo su Facebook.
La Cassazione ha pertanto giustificato questo tipo di comportamento da parte del datore di lavoro. Affermando anche che tale opera di controllo “difensivo” possa essere effettuato anche da agenti esterni, come ad esempio le agenzie di investigazioni. La finalità deve comunque rientrare nell’accertamento “di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa”.
In merito al datore di lavo, questi “ha posto in essere un’attività di controllo che non ha avuto a oggetto l’attività lavorativa e il suo esatto adempimento; bensì l’eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente, poi effettivamente riscontrati, e già manifestatisi nei giorni precedenti”. Nel caso specifico, per la Corte si è trattato di un controllo difensivo atto a sanzionare un comportamento capace di ledere il patrimonio aziendale. Anche la creazione del falso profilo Facebook rientra nella modalità di accertamento dell’illecito commesso dal dipendente, “non invasiva né induttiva all’infrazione”.
Legge 104 e indennità di maternità sono compatibili, come averle entrambe
Fonte: https://www.termometropolitico.it
Come avere la Legge 104 e l’indennità di maternità
Congedo straordinario per Legge 104 e indennità di maternità sono compatibili? La risposta è affermativa. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, che ha di fatto sancito la compatibilità tra il congedo straordinario riservato all’assistenza del parente disabile e l’indennità di maternità. La Corte ha infatti dichiarato illegittimo il Testo Unico Maternità Paternità, considerato incostituzionale nella parte in cui non considera il congedo straordinario Legge 104 tra le esigenze di tutela. Il fatto sta tutto nel pregiudizio dell’eventuale madre, costretta a scegliere tra i diritti da fruire per l’assistenza al coniuge/parente disabile e l’indennità di maternità. Tale pregiudizio ha fatto sì che congedo straordinario 104 e indennità di maternità siano dunque compatibili.
Indennità di maternità: cos’è e come funziona
L’indennità di maternità è il beneficio che spetta alle lavoratrici dipendenti durante la gravidanza e il puerperio. Possono usufruire di questo congedo le lavoratrici dipendenti e comprende un periodo di 5 mesi totali: 2 mesi prima della presunta data del parto e i 3 mesi seguenti allo stesso. Si tratta pertanto di un congedo obbligatorio che può essere anche flessibile, a discrezione della lavoratrice dipendente. A patto che sia rispettato l’obbligo di astensione dal lavoro per 1 mese prima della data del parto. In questo caso i mesi di astensione obbligatoria dal lavoro dopo il lavoro aumenterebbero a 4. Il periodo risulta comunque allungabile qualora l’ambiente di lavoro possa essere penalizzante per la salute della madre. Il congedo di maternità funziona anche nei casi di adozione o affidamento nazionale o internazionale di minore; non varia il periodo di astensione, che ammonta sempre a 5 mesi.
Nel periodo di astensione obbligatoria, la madre lavoratrice percepisce dunque un’indennità finanziata dall’Inps. E che corrisponde “all’80% della retribuzione media globale giornaliera moltiplicata per il numero delle giornate indennizzabili comprese nel periodo di astensione”. Inoltre, come ricorda l’Inps, “spetta l’accredito dei contributi figurativi”. In caso di contratti collettivi, spicca anche un’integrazione economica di cui si fa carico il datore di lavoro e che permette alla lavoratrice di percepire il totale della retribuzione media giornaliera.
La domanda va presentata prima dei 2 mesi precedenti alla data presunta del parto. Prima che inizi il periodo di congedo, la lavoratrice dovrà inoltrare all’Inps il certificato medico di gravidanza tramite medico SSN o di un istituto a esso convenzionato. Entro 30 giorni dal parto, la lavoratrice dovrà comunicare la data di nascita del figlio, nonché le sue generalità.
Indennità di maternità: Gestione Separata Inps, la circolare.
Congedo straordinario Legge 104: cos’è e come funziona
Il congedo straordinario garantito dalla Legge 104 consiste in un periodo di assenza dal lavoro che viene retribuito. E che è riservato a tutti quei lavoratori dipendenti che assistono familiari affetti da disabilità grave. C’è un ordine gerarchico di figure alle quali spetta il congedo straordinario retribuito Legge 104. Queste sono, nell’ordine:
· Coniuge convivente / Parte civile convivente;
· Genitori;
· Figli conviventi;
· Fratelli e sorelle conviventi;
· Parenti entro il terzo grado.
Il congedo straordinario retribuito ha una durata massima di 2 anni, che sono da considerarsi nell’intero arco della vita lavorativa. I giorni festivi e i weekend non saranno contati solo nel caso in cui il soggetto non prenda giorni di congedo straordinario a ridosso degli stessi. Esclusi dal calcolo i giorni di ferie e di malattia.
Il congedo straordinario retribuito Legge 104 prevede un’indennità. Quest’ultima corrisponde alla retribuzione ricevuta nell’ultimo mese di lavoro prima del congedo, “entro un limite massimo di reddito rivalutato annualmente” in base alle variazioni Istat. Dal computo vengono escluse le voci che non risultano fisse e continuative.
I periodi di congedo non rientrano nel calcolo della maturazione di ferie, tredicesima o Tfr, ma rientrano nel calcolo dell’anzianità assicurativa. Infine, il congedo vanta la copertura della contribuzione figurativa ai fini della pensione, anch’essa rivalutata in base ai dati Istat.
Congedo straordinario e permessi: come non contare i giorni.
Per chiedere il congedo straordinario Legge 104 bisogna essere lavoratori dipendenti (anche part-time). E assistere un familiare in condizione di disabilità grave, secondo l’art. 3, comma 3 della Legge 104. Per ottenere il congedo bisognerà presentare apposita domanda al servizio online Inps dedicato; oppure telefonare ai numeri del Contact Center; oppure agire tramite patronato e intermediari dell’istituto.
Da PensioniOggi:PRO
Visite Fiscali, Lo stop imposto dal Garante della Privacy aiuta i furbetti
· Fonte:pensionioggi Scritto da Bernardo Diaz
I dati sono stati forniti ieri dal Presidente dell'Inps alla Commissione Lavoro del Senato. L'impossibilità di procedere alle visite di controllo con il sistema del data-mining ha recato un danno all'Inps per 4 milioni di euro annui con un un calo del 25% dei casi scoperti.
Pensioni, Per i militari arruolati dagli anni '80 la Corte di Conti apre ad un calcolo più vantaggioso
· Fonte:pensionioggi Scritto da Franco Rossini
La sezione giurisdizionale della Corte dei Conti della Regione Calabria ha accolto il ricorso contro l'Inps di un maresciallo della Guardia di Finanza che chiedeva l'applicazione di aliquote di rendimento per i primi 15 anni di servizio superiori a quelle previste dall'Inps.
Quando si può ricorrere al cumulo gratuito dei contributi [Guida]
Dal 2017 i lavoratori che hanno contributi in diverse gestioni previdenziali possono cumulare i periodi assicurativi al fine di conseguire la pensione di vecchiaia o anticipata senza dover ricorrere alla ricongiunzione onerosa.
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NOTIZIE UIL
Proietti(UIL): aprire un confronto con le parti sociali
Studio UIL: con Flat Tax a 3 aliquote, maggior guadagno per il 2% dei lavoratori
DICHIARAZIONE DI DOMENICO PROIETTI - SEGRETARIO CONFEDERALE UIL
Se l´ipotesi di riforma fiscale strutturata su 3 aliquote venisse confermata, saremmo di fronte a un approccio profondamente diverso rispetto alla versione originaria della “flat tax”. In questo modo, infatti, si manterrebbe, in parte, un principio di progressività, previsto, tra l’altro, dalla carta costituzionale. Tuttavia il carico fiscale sui redditi medio bassi resterebbe, comunque, elevato.
La Uil ha simulato l’impatto di queste nuove aliquote evidenziando ancora un vantaggio significativamente maggiore per i redditi medio alti: il beneficio più consistente, infatti, pari a 1.680€ annui, andrebbe a circa il 2% dei lavoratori.
Per la Uil è, quindi, decisivo pensare a una riforma fiscale che preveda, contemporaneamente, detrazioni significative per lavoratori dipendenti e pensionati, i soggetti a più alta fedeltà fiscale. Agendo in questo modo si darebbe più reddito a milioni di italiani, contrastando così, il calo dei consumi recentemente registrato dall’Istat.
Sull’insieme di questi temi, la UIL chiede al Governo deve al più presto aprire un confronto con le parti sociali.
CONFRONTO IPOTESI IRPEF ATTUALE E IPOTESI D’INTERVENTO DEL GOVERNO
Ipotesi di riduzione a 3 il numero delle aliquote Irpef
Di seguito abbiamo confrontato l’ipotesi di una revisione dell’Irpef per i redditi da lavoro dipendente e assimilati con una riduzione a 3 del numero delle aliquote:
- 21% per lo “scaglione” di reddito compreso tra i 15.000 € e i 28.000 €;
- 38% per lo “scaglione” di reddito compreso tra i 28.000 € e i 75.000 €;
- 43% per lo “scaglione” di reddito superiore ai 75.000 €.
>>Nel link lo studio completo in pdf >> Lo studio completo in pdf