P.a: nuovo fornitore buoni pasto agosto
È un primo passo in avanti significativo
ANSA - "Seguo con attenzione l'evoluzione dei buoni pasto Qui Ticket mantenendo un contatto costante con le strutture competenti del ministero dell'Economia e di Consip.
Oggi si registra un primo passo avanti sicuramente significativo: entro i primi giorni di agosto ci sarà un nuovo fornitore che erogherà i buoni pasto". Così il ministro per la P.A, Giulia Bongiorno, in una nota.
Collocamento obbligatorio, ferie non godute, prove d’esame
Fonte:sole24ore di Gianluca Bertagna
La rubrica settimanale con le indicazioni sintetiche delle novità normative e applicative intervenute in tema di gestione del personale nelle pubbliche amministrazioni.
Indicazioni in materia di collocamento obbligatorio
Con la nota congiunta del 10 luglio 2018, n. 7571, il ministero del Lavoro e il dipartimento della Funzione pubblica forniscono indicazioni in merito al collocamento obbligatorio per le pubbliche amministrazioni alla luce delle novità introdotte dal Dlgs 75/2017. In particolare, vengono forniti chiarimenti in relazione:
• alla trasmissione del prospetto informativo e della comunicazione contenente tempi e modalità di copertura della quota di riserva;
• alle modalità di copertura delle quote di riserva;
• al computo delle quota di riserva presso le Unioni di Comuni;
• agli effetti collegati alla mancata osservanza degli adempimenti previsti dalle disposizioni.
Monetizzazione ferie non godute
«Il diritto al compenso sostitutivo delle ferie non godute dal pubblico dipendente, anche in mancanza di una norma espressa che preveda la relativa indennità, discende direttamente dallo stesso mancato godimento delle ferie, in armonia con l'articolo 36 della Costituzione, quando sia certo che tale vicenda non sia stata determinata dalla volontà del lavoratore e non sia a lui comunque imputabile, in quanto il carattere indisponibile del diritto alle ferie non esclude l'obbligo della stessa Amministrazione di corrispondere il predetto compenso per le prestazioni effettivamente rese, non essendo logico far discendere da una violazione imputabile all'Amministrazione il venir meno del diritto all'equivalente pecuniario della prestazione effettuata». Questo è il principio che il Tar Puglia, sezione I, nella sentenza n. 848/2018richiama per rigettare la domanda di un lavoratore diretta ad ottenere la monetizzazione del periodo di ferie non godute, prima di andare in pensione. Il lavoratore, infatti, non ha dimostrato che le ferie siano state esplicitamente richieste ed espressamente rinviate a causa di insuperabili problemi organizzativi dell'amministrazione.
Assegnazione punteggi prove d'esame
Come si calcola il punteggio finale in un concorso in cui ci sono due prove scritte ed una prova orale? Il consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n. 3719/2018, ha accolto il ricorso di un candidato a una procedura selettiva (per titoli ed esami). Il ricorrente ha lamentato l'errata modalità di calcolo del proprio punteggio in ragione della necessità di considerare la media dei punti conseguiti nelle prove scritte e non il voto complessivo di queste prove, ai fini della somma con il punteggio conseguito nell'esame orale e con la valutazione dei titoli.
I giudici ricordano che «il 4° comma dell'articolo 8 del Dpr 487/1994 deve essere interpretato nel senso che nei concorsi per titoli ed esami il punteggio complessivo è costituito dalla somma del punteggio conseguito per la valutazione dei titoli, dalla media del punteggio realizzato nelle prove scritte e dal punteggio attribuito alla prova orale». Infatti, anche se l'articolo 8 non prevede espressamente la disposizione della media dei voti riportati nelle prove scritte - esplicitamente richiamata invece dall'articolo 7, comma 3, per i concorsi per soli esami - tuttavia non esclude che questo criterio debba applicarsi anche ai concorsi per titoli ed esami.
Incarico esterno di addetto stampa
Costituisce danno erariale il conferimento di un incarico di addetto stampa, a un giornalista professionista esterno, da parte dell'amministratore di un ente pubblico. Il danno scatta, secondo i giudici, per la non riferibilità alla professione di giornalista e alla correlata funzione di informazione dell'incarico, in ragione delle limitate competenze dell'ente, con prevalenti oneri di comunicazione (non di competenza dell'addetto stampa) piuttosto che di informazione.
Con questo principio la Corte di cassazione, sezioni Unite civili, con la sentenza n. 17121/2018, ha respinto il ricorso dell'amministratore di un ente contro la decisione dei giudici contabili che avevano ravvisato un danno erariale per l'illegittimo conferimento di un incarico a un giornalista esterno alla pubblica amministrazione.
I magistrati ricordano che, in via generale, l'amministrazione pubblica deve provvedere ai suoi compiti con mezzi, organizzazione e personale propri e quindi, la Corte dei conti può valutare se gli strumenti scelti dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei rispetto al fine pubblico. Inoltre la verifica della legittimità dell'attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti.
Il Collegio, da ultimo, conferma la condanna, ravvisando la sostanziale inutilità dell'incarico di addetto stampa conferito al giornalista esterno, tenuto conto:
• delle limitate competenze dell'amministrazione e della conseguente attività di comunicazione (piuttosto che d'informazione);
• che, per quanto riguarda l'informazione, si tratterebbe di ente assoggettato, per la propria attività, a forme di pubblicità legale;
• che le attività imputate all'addetto stampa apparivano, nella quasi totalità, ben lungi dal costituire attività di informazione, ma perfettamente inquadrabili nelle attività di comunicazione di competenza dell'ufficio relazioni con il pubblico (articolo 8 della legge 150/2000).
Permessi 104: dalla Cassazione sì alla maturazione delle ferie
Fonte:leggioggi
I periodi di assenza dal lavoro – usufruite tramite permessi 104 – per assistere un familiare portatore di handicap concorrono alla maturazione delle ferie. Ad affermarlo la Cassazione con sentenza n. 14468 pubblicata il 6 giugno scorso.
Secondo la Suprema Corte negare l’incidenza dei permessi sui giorni di ferie andrebbe contro le esigenze di protezione e di tutela dei familiari cui i permessi stessi sono finalizzati. Non solo, disincentiverebbe i dipendenti dal richiederli, per il semplice fatto di evitare una decurtazione delle ferie.
Consulta lo speciale su Legge 104
La Cassazione ha ribadito l’orientamento ormai consolidato per cui può escludersi la maturazione di ferie e mensilità aggiuntive a fronte di assenze per permessi ex L. 104, solo ogni qual volta gli stessi si cumulino con il congedo parentale o per malattia del figlio, risultando detta interpretazione, affermano i giudici di legittimità, idonea “ad evitare che l’incidenza sulla retribuzionepossa essere di aggravio della situazione dei congiunti del portatore di handicap e disincentivare l’utilizzazione del permesso”.
Sul punto si segnala anche il messaggio INPS n. 7014 del 6 marzo 2006 con si comunicava che il Ministero del Lavoro con lettera circolare aveva portato a conoscenza dello stesso istituto il parere del Consiglio di Stato “in merito all’incidenza dei permessi di cui all’art. 33 della Legge 104/92 su ferie e tredicesima mensilità”. Secondo il Tribunale amministrativo non sono “soggette a decurtazione le ferie e la tredicesima mensilità quando i riposi ed i permessi” previsti dall’articolo 42 del Dlgs. 151/2001 (disciplinante le assenze per figli con handicap grave) non siano “cumulati con il congedo parentale”.
Si rammenta che a differenza dei permessi L. 104 (e della maternità obbligatoria), per espressa previsione di legge (articolo 34 Dlgs. 151/2001) durante i periodi di congedo parentale è esclusa la maturazione delle ferie e della tredicesima mensilità.
Sul punto, la Cassazione ha avuto modo di escludere nella sentenza in parola qualsiasi disparità di trattamento a danno delle lavoratrici madri rispetto ai soggetti che assistono un familiare affetto da handicap grave. Come già chiarito in altre sentenze (Cassazione n. 15345/2014) a differenza “dei permessi previsti dall’art. 33, commi 2 e 3, che hanno sempre durata limitata, il congedo parentale e l’astensione facoltativa possono essere richiesti per un periodo più prolungato, tale da determinare una significativa sospensione della prestazione e da giustificare un diverso trattamento”.
La controversia giunta all’ultimo grado di giudizio trae le mosse dalla sentenza della Corte d’Appello che aveva accolto la domanda avanzata da un dipendente di un’azienda di trasporti, diretta al riconoscimento dell’illegittimità della decurtazione operata dal datore di lavoro dei giorni di permesso L. 104 nel computo delle ferie.
Nel rigettare il ricorso datoriale, la Cassazione accoglie le argomentazioni del giudice di seconde cure, in base alle quali “sulla scorta del rilievo costituzionale del diritto alle ferie, degli obiettivi di tutela e protezione per i disabili della L. 104/92 e del principio di non discriminazione” si è ritenuto che nel caso specifico “i permessi, accordati per l’assistenza di un familiare portatore di handicap, concorressero nella determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato”.
A dirimere ogni incertezza, continua la Suprema Corte, contribuisce oltre alla normativa interna (Costituzione) anche quella internazionale (Direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000 e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata con L. 18/2009).
In particolare, secondo la Cassazione, la Convenzione ONU “prevede il sostegno e la protezione da parte della società e degli Stati non solo per i disabili, ma anche le loro famiglie, ritenute strumento indispensabile per contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità”
Prescrizione contributi dipendenti pubblici, scadenza il 31 dicembre 2018: come recuperarli
Fonte: https://www.money.it/
Il 31 dicembre 2018 è l’ultimo giorno per recuperare i contributi persi con il passaggio da INPDAP a INPS; ecco come fare per non perderli in vista della scadenza dei termini della prescrizione.
Mancano pochi mesi al termine della prescrizione per i contributi previdenziali dei dipendenti pubblici; come confermato dall’INPS nella circolare 169/2017, infatti, i contributi precedentemente accreditati presso l’INPDAP (l’Istituto nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica soppresso dal 2012) non presenti nell’estratto conto INPS verranno definitivamente persi.
Con la soppressione dell’INPDAP avvenuta nel gennaio del 2012, infatti, i fondi previdenziali dei dipendenti pubblici sono stati trasferiti all’INPS; in questo passaggio, però, è possibile che alcuni contributi previdenziali siano andati persi.
Nessun problema perché è possibile recuperarli segnalando la mancanza all’INPS, ma ciò dovrà essere fatto entro il termine improrogabile del 31 dicembre 2018; dopo questa data, infatti, i contributi non accreditati sul vostro fondo INPS saranno persi per sempre.
Capire come fare per rilevare eventuali errori e per segnalarli all’INPS prima della scadenza dei termini della prescrizione è molto importante, così da non perdere i contributi riconosciuti per gli anni effettivamente lavorati.
Per questo motivo abbiamo pensato di scrivere una guida utile per i dipendenti pubblici, nella quale faremo chiarezza su come recuperare i contributi persi durante il passaggio da INPDAP a INPS.
Quando si perdono i contributi
I contributi previdenziali cadono in prescrizione dopo 5 anni; è stato l’articolo 3 - commi 9 e 10 - della legge 335/1995, infatti, a ridurre i termini della prescrizione per i contributi portandoli da 10 a 5 anni.
Visto quanto stabilito dalla normativa, quindi, i termini per recuperare i contributi ex INPDAP non accreditati dovrebbero essere già scaduti; l’Istituto nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell’amministrazione, infatti, è stato soppresso dal 1° gennaio 2012 e di conseguenza la scadenza dovrebbe essere fissata al 31 dicembre 2017.
Ebbene sarebbe stato così se nel frattempo non fosse intervenuta la proroga annunciata dalla circolare INPS 169/2017 con la quale il nuovo termine è stato fissato al 31 dicembre 2018. I dipendenti pubblici, quindi, hanno ancora qualche mese di tempo per non recuperare all’eventuale perdita dei contributi, dopodiché - salvo una nuova, ma al momento improbabile proroga - non sarà più possibile rimediare.
Come recuperare i contributi
Visto quanto appena detto consigliamo ai dipendenti pubblici di accedere al sito INPS nell’area “La mia pensione” utilizzando il codice fiscale e il PIN, o in alternativa l’identità SPID.
A questo punto seguendo il percorso “Fascicolo previdenziale del cittadino”-> “Posizione assicurativa” potete procedere con il vostro estratto conto contributivo; grazie a questo strumento, infatti, potete consultare tutti i contributi accreditati sul fondo INPS, così da accorgervi eventualmente della mancanza di alcuni periodi contributi relativi al periodo precedente al 2012. Mancanza che appunto potrebbe essere motivata da errori - o anche ritardi - insorti con il passaggio dall’INPDAP all’INPS.
Se mancano contributi non disperate; questi possono essere recuperati con il versamento da parte dell’ente datore di lavoro, purché non si vada oltre alla data del 31 dicembre 2018.
Per recuperare agli errori basta segnalare l’errore all’INPS, attivando una richiesta di variazione e integrazione della posizione assicurativa nella quale indicherete i periodi mancanti e allegando, qualora fosse possibile, la documentazione necessaria a sostegno della vostra tesi.
Per farlo dovete utilizzare la funzionalità “richieste di variazione alla posizione assicurativa RVPA”, o in alternativa potete telefonare al numero INPS 803 164 (purché siate in possesso del PIN).
Come andare in pensione: guida ai requisiti e alla domanda INPS
Il sistema pensionistico italiano è molto articolato, ecco perché è importante capire bene come fare per andare in pensione se non si vuole ritardare più del previsto l’uscita dal lavoro.
FONTE: https://www.money.it/c
Sono già molti anni che lavori e ti stai chiedendo come andare in pensione? Allora sei nel posto giusto, perché qui trovi tutte le informazioni necessarie sia su quando potrai farlo che sulle procedure che dovrai seguire una volta che raggiungerai l’età pensionabile.
Il sistema pensionistico italiano è piuttosto complesso poiché ci sono diversi strumenti con i quali potete andare in pensione, per ognuno dei quali ci sono delle condizioni differenti da rispettare. Fortunatamente se da una parte è piuttosto complicato capire quando andare in pensione, non lo è altrettanto comprendere come fare: come vedremo di seguito, infatti, inviare la domanda all’INPS è molto semplice.
Vediamo quindi come andare in pensione oggi e quali sono i requisiti richiesti; prima di andare avanti però è importante ricordare che dal prossimo anno ci saranno dei cambiamenti poiché i requisiti per la pensione nel 2019saranno rivisti al rialzo a causa dell’adeguamento con le aspettative di vita.
Come andare in pensione
Per andare in pensione nella maggior parte dei casi bisogna soddisfare due requisiti: uno anagrafico (età del lavoratore) che un altro contributivo (anni di lavoro).
Nel dettaglio, l’INPS riconosce al lavoratore di smettere di lavorare una volta raggiunta l’età pensionabile, che per il 2018 è pari a 66 anni e 7 mesi sia per gli uomini che per le donne. Per la pensione di vecchiaia sono richiesti 20 anni di contributi.
In alternativa c’è la pensione anticipata alla quale potete accedere indipendentemente dall’età anagrafica, al raggiungimento di 42 anni e 10 mesi (se uomini) o 41 anni e 10 mesi (se donne). C’è poi una forma ridotta di pensione anticipata alla quale possono accedere i lavoratori precoci, ovvero coloro che avendo iniziato a lavorare da quando erano molto giovani hanno maturato 12 mesi di contributi prima del compimento dei 19 anni d’età: questi, grazie alla Quota 41, possono andare in pensione con 41 anni totali di contributi.
Ci sono poi due forme di pensione di tipo contributivo, ovvero per coloro che hanno cominciato a maturare contributi dopo il 1° gennaio 1996. La prima è la pensione di vecchiaia contributiva, per la quale è richiesta un’età anagrafica di 70 anni e 7 mesi oltre a 5 anni di contributi; la seconda, invece, è quella anticipata contributivacon la quale potete andare in pensione a 63 anni e 7 mesi se avete maturato 20 anni di contributi.
Se invece vi state chiedendo come andare in pensione con la Quota 100 o la Quota 41, strumenti dei quali si parla molto negli ultimi giorni poiché fanno parte del piano con cui il Governo intende modificare la Legge Fornero, dovete sapere che questi al momento non possono essere ancora richiesti dal lavoratore.
La Quota 41, infatti, come vi abbiamo anticipato può essere richiesta oggi solamente dai lavoratori precoci; la Quota 100, ovvero lo strumento con cui andare in pensione quando la somma dell’età anagrafica (che non potrà essere inferiore a 64 anni) con l’anzianità contributiva dà come risultato 100, invece sarà introdotta solamente nel 2019 grazie alle risorse che dovrebbero essere stanziate con la prossima Legge di Bilancio.
Quindi se volete anticipare l’accesso alla pensione smettendo di lavorare prima del raggiungimento dei suddetti requisiti, l’unica soluzione per voi è quella di accedere ad una delle forme di prepensionamentooggi riconosciute, come ad esempio l’Ape Sociale e Volontario, o anche l’isopensione per le aziende con più di 15 dipendenti.
Come fare domanda di pensione
Una volta raggiungi i requisiti per accedere ad una delle suddette tipologie di pensione, dovete presentare domanda all’INPS.
La domanda può essere inviata tramite l’area “Domanda web di pensione” disponibile nella sezione “servizi per il cittadino” del sito INPS; per l’invio telematico della domanda di pensione - che può essere utilizzato esclusivamente per le pensioni dirette di anzianità o di vecchiaia - è però necessario iscriversi al sito INPS, ottenendo così il PIN per accedere.
Alla domanda di pensione, poi, bisogna allegare i seguenti documenti:
· copia del documento d’identità;
· autocertificazione stato civile e di famiglia;
· dati anagrafici e codice fiscale del coniuge;
· informazioni sulla situazione assicurativa non presenti nell’estratto contributivo;
· dichiarazione di cessazione di qualsiasi tipo di attività di lavoro alle dipendenze di terzi. Non si può andare in pensione, infatti, se prima non si smette di lavorare.
Come anticipato, chi ha difficoltà nell’utilizzare il PC può comunicare personalmente la propria decisione di andare in pensione. Ci si può rivolgere, infatti, alla sede dell’INPS competente sul vostro territorio, presentando personalmente il modello preposto insieme agli altri documenti da allegare.
La domanda potrà essere inviata anche per mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno all’indirizzo della sede INPS competente; inoltre, per avere un supporto nell’invio della domanda potete anche rivolgervi ad un patronato.
Mancata assunzione disabili: la sanzione è immediata
In caso di mancata assunzione di disabili entro i termini di legge, si applica immediatamente la sanzione al datore di lavoro
Fonte: https://www.lavoroediritti.com/
Il datore di lavoro che non ottempera agli obblighi di legge sul collocamento mirato (Legge 66/1999), ovvero per la mancata assunzione di disabili, è soggetto alla sanzione di cui all’articolo 15, comma 5 della predetta legge. La disposizione normativa del collocamento obbligatorio prevede che se entro 60 giorni dall’insorgenza dell’obbligo il datore di lavoro non procede con l-assunzione del lavoratore disabile, è soggetto ad una sanzione amministrativa di 153,20 euro. La sanzione si applica per ciascun lavoratore disabile che risulta non occupato nella medesima giornata.
Sul tema l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la Nota n. 6316 del 18 luglio 2018 ha specificato che in questi casi la condotta del datore di lavoro integra la fattispecie illecita dell’omissione, in quanto non viene eseguito un comportamento doveroso entro i termini di legge. Pertanto, la sanzione si applica dal 61esimo giorno successivo dall’insorgenza dell’obbligo, ossia dal giorno seguente in cui spira il termine previsto dalla legge.
Collocamento obbligatorio, legge 68/1999
La Legge numero 68/1999 sul collocamento obbligatoriodisciplina l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro mediante l’aiuto di servizi ad hoc e collocamenti mirati. In particolare, la Legge è rivolta:
· alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%;
· persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33%, accertata dall’INAIL;
· alle persone non vedenti o sordomute;
· persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni.
Assunzione obbligatoria disabili
Per facilitare l’ingresso delle predette categorie svantaggiate nel mondo del lavoro, l’art. 3 della L. n. 68/1999 prevede che tutti i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad impiegare nell’organico aziendale dei lavoratori disabili nella seguente misura:
· 7% dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti;
· 2 lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti;
· 1 lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti.
Mancata assunzione disabili: sanzioni
Originariamente, l’art. 15, co. 5 della Legge sul collocamento obbligatorio stabiliva che la sanzione per mancata assunzione di un soggetto appartenente alla categoria protetta si applicava una volta trascorsi 60 giorni da quando sorge l’obbligo.
La sanzione amministrativa, ovviamente, si consumava esclusivamente per cause imputabili al datore di lavoro, ed era pari a lire 100.000 (euro 62,77) al giorno per ciascun lavoratore disabile che risultava non occupato nella medesima giornata.
Successivamente, il Decreto correttivo al Jobs Act (D.Lgs. n. 185/2016) ha sostituito l’importo sanzionatorio, con quello del contributo esonerativo di cui all’articolo 5, comma 3-bis della L. n. 68/1999 (30,64 euro) e moltiplicato per cinque volte. Quindi, dall’8 ottobre 2016 la sanzione risulta essere di 153,20 euro (30,64 euro moltiplicato per 5) per ogni giorno lavorativo di “scopertura”.
Sanzioni collocamento obbligatorio 2018
Sul punto, l’INL in un recente nota (n. 6316/2018) ha ritenuto opportuno precisare che l’illecito va configurato come “istantaneo ad effetti permanenti”; ciò in conseguenza del fatto che l’omissione si ha nel preciso instante in cui spira il termine previsto dalla legge (ossia il 60esimo giorno).
Pertanto, la condotta illecita si protrae fino a quando il datore di lavoro non adempie all’obbligo di assunzione. Da notare che per gli illeciti commessi prima dell’8 ottobre 2016, i cui effetti si protraggono anche dopo la predetta data, troverà applicazione la sanzione vigente al momento della consumazione dell’illecito.
INL: nota prot. n. 6316 18 luglio 2018
Alleghiamo in ultimo la nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro prot. n. 6316 18 luglio 2018 per una completa lettura del documento di prassi.
Link: Nota INL prot. n. 6316 18 luglio 2018
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Fonte: https://www.lavoroediritti.com/leggi-e-prassi/mancata-assunzione-disabili-sanzioni#ixzz5M5IHc3jG
Disabili: assunzioni senza concorso nella pubblica amministrazione
· Fonte:leggioggi
Se gli enti della Pubblica amministrazione non assolvono al loro dovere di garantire, nei concorsi indetti, una quota di riserva per i lavoratori disabili o se non rispettano le altre disposizione di legge, allora spetterà ai centri per l’Impiego collocare queste persone, secondo graduatoria.
In sostanza, il centro per l’impiego prende il posto dell’amministrazione inadempiente o ritardataria e colloca il disabile.
Per altre informazioni sulla disabilitàconsulta lo speciale Legge 104
È una nota siglatada Ministero del lavoro, Anpal, presidenza del consiglio dei ministri a stabilirlo con chiarezza (la nota numero 7571 del 10 luglio 2019), sul monitoraggio dell’applicazione della legge 68 del 12 marzo 1999, sulle Norme per il diritto al lavoro dei disabili.
In particolare la nota del Ministero vuole dare chiarimenti su come applicare correttamente la legge, alla luce delle novità introdotte dal recente decreto n. 75 del maggio 2017 sul collocamento obbligatorio dei disabili nella Pubblica amministrazione, dopo la Riforma madia.
Vediamo un po’ più in dettaglio i doveri inderogabili della Pa richiesti dalla normativa.
lavoratori disabili: obbligo invio del prospetto informativo
Innanzitutto è richiesto l’invio da parte della Pubblica amministrazione di un Prospetto informativo che riassuma tutte le modalità attraverso cui le amministrazioni sono tenute a dare attuazione alla legge. E questo prospetto va inviato al Dipartimento della funzione pubblica della presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero del lavoro e al Centri per l’impiego territorialmente competente.
Entro i successivi sessanta giorni le amministrazioni pubbliche trasmettono, in via telematica, al servizio inserimento lavorativo disabili territorialmente competente, al Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali una comunicazione contenentetempi e modalità di copertura della quota di riserva per lavoratori disabili. In tale comunicazione sono indicati, tra l’altro, eventuali bandi di concorso per specifici profili professionali per i quali non è previsto il solo requisito della scuola dell’obbligo.
Queste informazioni sono trasmesse per consentire una completa verifica della disciplina delle quote di riserva, in rapporto anche a quanto previsto per le vittime del terrorismo, della criminalità organizzata e del dovere. Le informazioni sono anche trasmesse alla Consulta nazionale per l’integrazione in ambiente di lavoro delle persone con disabilità.
Se questi obblighi di invio non vengono rispettati, scatta l’intervento del centro per l’impiego, che avvia i lavoratori disabili a lavoro, attingendo alla graduatoria vigente con profilo professionale generico, dando comunicazione delle inadempienze al Dipartimento della funzione pubblica della presidenza del Consiglio dei ministri.
L’invio del prospetto informativo spetta anche ai datori di lavoro pubblici. E in questo prospetto devono essere inseriti l numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero e i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva di cui all’articolo 3 della stessa legge, nonché i posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori disabili. In base alla medesima previsione normativa se, rispetto all’ultimo prospetto inviato, non avvengono cambiamenti nella situazione occupazionale tali da modificare l’obbligo o da incidere sul computo della quota di riserva, il datore di lavoro non è tenuto ad inviare il prospetto.
Visite fiscali: quanti controlli in un giorno? ALLEGATO*
Fonte:legge per tutti
*Il lavoratore dipendente in malattia può essere sottoposto a due controlli nell’arco della stessa giornata? Dopo la prima visita si può uscire di casa?
La visita fiscale può passare due volte? ALLEGATO*
Fonte:legge per tutti
*Accertamenti per malattia dipendenti pubblici e privati: l’Inps o il datore di lavoro possono chiamare il medico fiscale due volte?
Parolacce e volgarità verso i superiori, no al licenziamento
Fonte: http://www.diritto-lavoro.com
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 19460 del 2018ha reso il seguente principio di diritto: “Non è licenziabile il lavoratore che dica parolacce o comunque utilizzi espressioni volgari se queste non si concretizzino in ingiurie gravi nei confronti dei superiori” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore).
Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 19460/2018.
Con sentenza del 7 aprile 2017, la Corte di Appello di Roma, in sede di reclamo ex art. 1, comma 54, L.n. 92/2012, confermava la decisione resa dal Tribunale di Velletri ed accoglieva la domanda proposta da … nei confronti della .. s.a.s., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli per successive varie inadempienze, sancendo, ai sensi del novellato art. 18, comma 4, L.n. 300/1970, il diritto del … alla reintegra nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno nel limite di 12 mensilità.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto provato soltanto il primo degli addebiti contestati, peraltro, tale da legittimare, in base al codice disciplinare di cui al CCNL, l’irrogazione di una mera sanzione conservativa, derivandone la dichiarata illegittimità e l’applicazione dell’indicato regime sanzionatorio.
Per quel che qui interessa la società censurava la sentenza laddove la Corte aveva ritenuto che le parolacce e volgarità dette dal lavoratore quale reazione all’ordine impartitogli di effettuare lavoro straordinario, non rivestissero carattere ingiurioso e diffamatorio e non fossero perciò tali da legittimare l’applicazione della sanzione espulsiva, in coerenza con il disposto delle clausole del CCNL.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la società datrice di lavoro che veniva dichiarato inammissibile dalla Corte Suprema.
Permessi, nella stessa giornata posso cumulare 104 e motivi familiari? Risposta ARAN
Fonte:orizzontescuola
L’ARAN interviene con suo orientamento applicativo che pur riguardando il settore delle Funzioni Centrali, i principi come affermati ivi interessano tutto il settore del P.I.
Questo il quesito posto:
Qual è il comportamento corretto da tenere nel caso in cui, nell’arco della stessa giornata lavorativa, dopo aver fruito di un permesso retribuito ex art. 32 del CCNL Funzioni Centrali, si rendesse necessario ricorrere anche ai permessi previsti dall’ art. 33 della legge 104/92 o dall’art. 39 del d.lgs. 151/2001, considerato che l’art. 32 prevede il divieto di cumulo con altri permessi fruibili ad ore
La risposta:
In merito alla clausola di cui al comparto ivi citato rileva, l’ARAN, che in materia di divieto di cumulo (art. 32, comma 2, lett. d), questa è finalizzata ad evitare che, attraverso la fruizione nell’arco della stessa giornata dei permessi per motivi personali e familiari, unitamente ad altre tipologie di permessi, l’assenza del dipendente si protragga per l’intera giornata o per buona parte di essa, con conseguenze negative in termini di efficienza ed efficacia dell’attività dell’amministrazione e dei servizi erogati.
Preliminarmente, si osserva che tale clausola consente certamente la fruizione, nella stessa giornata, di più di un permesso per motivi personali e familiari (ad esempio, fruizione di un permesso di un’ora, seguito da rientro al lavoro e dalla fruizione di altro permesso della medesima tipologia di un’altra ora). Infatti, il limite ivi previsto alla fruizione nella stessa giornata, congiuntamente ad altri permessi, riguarda solo “altre tipologie di permessi fruibili ad ore” e, quindi, non anche altri permessi della medesima tipologia.
In ogni caso, pur confermando che le corrette modalità di applicazione debbano tendere a non snaturare la ratio e le finalità dell’istituto, si è dell’avviso che le amministrazioni possano individuare alcuni spazi di flessibilità applicativa, tenuto conto che il limite alla fruizione è posto al fine di tutelare un interesse organizzativo delle stesse.
In tale ottica, sulla base di modalità definite in modo uniforme per tutti i lavoratori, si ritiene possibile consentire, ad esempio, la fruizione del permesso per motivi personali e familiari – ferme restando, in ogni caso, le valutazioni di compatibilità con le esigenze di servizio – anche nei casi in cui, nella stessa giornata, il dipendente abbia fruito o intenda fruire di altra tipologia di permesso orario, che configuri un suo diritto soggettivo, non limitato da alcuna valutazione di compatibilità con le esigenze di servizio, come nel caso dell’art. 33 della legge n. 104/1992 o dell’art. 39 del d. lgs. n. 151/2001.
La normale attività di servizio non può essere considerata concausa della malattia
Fonte:sole24ore di Gianni La Banca
Ai fini del riconoscimento di una patologia come dipendente dal servizio prestato nel corso degli anni, è necessario che il dipendente provi, concretamente, che quella malattia sia determinata da condizioni di lavoro “eccezionali” che non possono essere ricomprese nell’ordinaria attività quotidiana. Così ha affermato il Tar Lazio, Roma, con la sentenza 6980/2018.
Tentativo obbligatorio di conciliazione, in mancanza il licenziamento è illegittimo
Fonte: http://www.diritto-lavoro.com/2
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 19341 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: “in mancanza del tentativo di conciliazione il licenziamento è illegittimo” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 23.7.2018).
Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 19341/2018.
Con sentenza del 17 maggio – 1 agosto 2016 numero 1533 la Corte d’Appello di Bari rigettava l’appello proposto dalla società … srl avverso la sentenza del Tribunale di Foggia, che aveva accolto la domanda di … per la dichiarazione di nullità del licenziamento intimatole durante il periodo di gravidanza.
Per quanto in questa sede rileva, la Corte territoriale respingeva il motivo di appello con il quale la società eccepiva preliminarmente l’improcedibilità della domanda giudiziaria per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione, eccezione fondata sulla assenza della lavoratrice all’incontro fissato presso la Direzione Provinciale del Lavoro di Foggia.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società datrice di lavoro che veniva rigettato dalla Corte Suprema con il principio di diritto sopra enunciato.
Ad avviso della datrice di lavoro, infatti, la sentenza di appello aveva errato laddove aveva ritenuto che da un lato riconosceva che la lavoratrice non aveva presenziato all’incontro fossato per il tentativo di conciliazione, dall’altro riteneva infondato l’appello sull’erroneo assunto che fosse sufficiente, ai fini della procedibilità della domanda, la mera proposizione della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Secondo la Corte Suprema, invece, il ragionamento della sentenza di appello era immune da vizi, infatti la Corte d’appello aveva ritenuto sufficiente ad assolvere l’adempimento di cui all’articolo 412 bis cpc la mera presentazione della richiesta del tentativo di conciliazione e non anche la comparizione della parte istante all’incontro fissato dinanzi alla Commissione di Conciliazione.
Precisava ancora sul punto la Cassazione che – secondo un orientamento consolidato – la questione della procedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di conciliazione obbligatorio è sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa al potere-dovere del giudice del merito, da esercitarsi solo nella prima udienza di discussione, con la conseguenza che, ove la improcedibilità dell’azione non venga rilevata dal giudice entro tale termine, l’azione giudiziaria prosegue e la questione non può essere riproposta nei successivi gradi di giudizio in ossequio al principio del giusto processo.
Da PensioniOggi:
Cure Termali, Chi ha diritto al rimborso dall'Inps
Ai rimborsi per le prestazioni di cure termali possono accedere i lavoratori dipendenti, autonomi e parasubordinati assicurati presso l'AGO affetti da malattie reumatiche o da malattie delle vie respiratorie.
I rimborsi per cure termali sono prestazioni che l'Inps riconosce lavoratori dipendenti, autonomi e parasubordinati nonchè ai lavoratori licenziati in mobilità per curarsi da alcuni stati morbosi debitamente certificati in alcune strutture termali annualmente comunicate dall'Istituto di Previdenza. Tramite il rimborso il lavoratore ha la possibilità di curarsi per talune patologie con oneri interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale e dell'INPS. Nello specifico il SSN passa le cure mentre l'Inps rimborsa all'assicurato le spese di vitto e alloggio in un albergo di almeno tre stelle (sono a carico del lavoratore il ticket sanitario nonchè le spese di viaggio).
Hanno diritto al rimborso Inps i lavoratori iscritti presso l'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi e degli assicurati presso la gestione separatache posseggano i requisiti contributivi necessari per il conseguimento delle prestazioni di invalidità previdenziale. Occorre cioè avere almeno 5 anni di assicurazione e 3 anni di contributi versati nel quinquennio precedente alla domanda. Oltre a ciò è necessario soddisfare un requisito sanitario consistente nel risultare affetto da malattie Reumatiche: Osteoartrosi ed altre forme degenerative, reumatismi extra-articolari), oppure da malattie delle vie respiratorie: bronchiti croniche semplici o accompagnate da componente ostruttiva (con esclusione dell’asma e dell’enfisema avanzato, complicato da insufficienza respiratoria grave o da cuore polmonare cronico).
La domanda
Dopo l'invio del referto da parte del medico di parte e il successivo controllo dell'apparato sanitario INPS gli uffici trasmetteranno agli interessati l'elenco degli stabilimenti termali, tra i quali l'assistito può scegliere, contattando direttamente la struttura, quello più adatto ai suoi bisogni. Il medico Inps una volta ricevuta la richiesta dovrà accertare che la cura termale porti un reale beneficio all'interessato consistente nel differimento dell’erogazione delle prestazioni di invalidità/inabilità ovvero al superamento dello stato invalidante già realizzatosi.
A tal fine per essere autorizzato dall'Inps l’assicurato dovrà esibire, obbligatoriamente e a propria cura, la seguente documentazione: certificazione specialistica attestante la patologia e l’indicazione terapeutica del trattamento termale; esami strumentali che documentino adeguatamente la patologia attestata (immagini radiologiche, esami di tipo funzionale quali la spirometria, ecc.); visita cardiologica ed esame elettrocardiografico recenti e comunque non precedenti a tre mesi. L'Inps controllerà che il processo morboso si trovi nella cosiddetta “fase termale”. In altri termini, la patologia deve essere in uno stadio clinico in cui le cure termali possano comportare un reale beneficio ai fini della prevenzione della condizione di invalidità pensionabile. L'Inps esclude quindi il rimborso per le patologie in fase del tutto iniziale o in fase avanzata per le quali le cure termali non avrebbero efficacia.
La cura
La cura deve iniziare entro 90 giorni della comunicazione inps. Ogni turno dura 2 settimane da un lunedì fino al sabato della seconda settimana, in pratica sono 12 giorni completi di cure su 13 giorni. Le cure sono riconosciute per un massimo di 5 cicli (a partire dal 2017 non è più ammessa alcuna ulteriore deroga) fermo restando che gli ultimi due cicli sono autorizzabili solo qualora sia oggettivamente documentato il reale beneficio conseguito con i precedenti trattamenti. I rimborsi per cure termali non vengono concessi alle persone che sono in pensione, fatta eccezione per i titolari di assegno ordinario di invaliditào pensione di inabilità, nè a coloro che semplicemente familiari degli assicurati da assistere.
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Pensione Anticipata, dal 2019 occorreranno 43 anni e 3 mesi di contributi
· FONTE:PENSIONIOGGI Scritto da Franco Rossini
Anche i requisiti per la nuova pensione di anzianità introdotta dalla Legge Fornero cresceranno di cinque mesi a causa della speranza di vita. Un anno in meno per le donne.
Lo scatto dell'aspettativa di vita dal prossimo anno farà salire non solo i requisiti per la vecchiaia ma anche i requisiti contributivi per la pensione anticipata. Attualmente, come noto, i lavoratori assicurati presso forme di previdenza pubbliche obbligatorie (cioè presso l'Inps) possono uscire a prescindere dall'età anagrafica e senza penalità alcuna al raggiungimento di un requisito contributivo pari a 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi le donne).
Dal prossimo anno, se non ci saranno interventi in materia, i requisiti saliranno di altri cinque mesi portandosi a 43 anni e 3 mesi di contributi per gli uomini e a 42 anni e 3 mesi per le donne. I nuovi requisiti saranno validi per un biennio, sino al 31 dicembre 2020; dal 1° gennaio 2021 subiranno un ulteriore incremento che, tuttavia, secondo l'ultimo scenario demografico Istat (anno 2016) sarà più lieve rispetto a quanto ipotizzato in passato con un incremento solamente di un mese. Dal prossimo anno occorrerà dunque lavorare cinque mesi in più. L'aumento interesserà anche il requisito contributivo ridotto per i lavoratori precociche da 41 anni passerà a 41 anni e 5 mesi.
L'indicato meccanismo che lega la data di pensionamento nel regime pubblico obbligatorio all'andamento demografico è stato, comunque, rivisto parzialmente dal legislatore con l'ultima legge di bilancio (legge 205/2017). E' stata, infatti, stabilita la dispensa dal prossimo adeguamento nei confronti dei lavoratori dipendenti addetti alle attività definite gravose (che passano da quest'anno da undici a quindici abbracciando anche gli agricoli, marittimi, pescatori e siderurgici, si veda la tavola sottostante). Il beneficio della dispensa sarà concesso a condizione che tali attività risultino svolte per almeno sette anni negli ultimi dieci prima del pensionamento unitamente ad un requisito contributivo minimo di 30 anni. E' richiesta anche l'ulteriore condizione di non risultare titolari dell'ape socialeal momento del pensionamento. La sospensione dell'adeguamento riguarderà sia i requisiti per la pensione di vecchiaia(che resterà pertanto a 66 anni e 7 mesi sino al 31 dicembre 2020) che quelli per la pensione anticipata (che resterà pertanto pari a 42 anni e 10 mesi di contributi; 41 anni e 10 mesi le donne sino al 2020). In sostanza queste categorie di lavoratori avranno uno sconto di cinque mesi sull'età pensionabiledal 2019.
Hanno conseguito l'esonero dal prossimo adeguamento anche i lavoratori addetti alle mansioni usuranti e notturni di cui al Dlgs 67/2011con riferimento sia ai requisiti per la pensione di vecchiaia e per la pensione anticipata. Per ottenere l'esonero tali soggetti dovranno aver svolto l'attività usurante o notturna per almenosette anni negli ultimi dieci antecedenti il pensionamento o, in alternativa, per almeno metà della vita lavorativa fermo restando un requisito contributivo minimo di 30 anni. Si rammenta che gli usuranti e notturni hanno già ottenuto sino al 2026 la sospensione dell'adeguamento dei requisiti di pensionamento agevolato (le cd. quote).
Pensioni, A settembre la quattordicesima ad altri 48mila pensionati
· FONTE:PENSIONIOGGI
Coinvolti i pensionati che hanno prodotto in ritardo le dichiarazioni dei redditi. I chiarimenti in una nota dell'Istituto di Previdenza.
A luglio l’Inps ha pagato d’ufficio 3 milioni e 280 mila quattordicesime e a settembre ne liquiderà altri48mila a nuovi soggetti che hanno presentato in ritardo le dichiarazioni sui redditi. Lo comunica una nota dell’Istituto di previdenza , spiegando che a seguito della campagna Inps lo scorso mese di giugno è stato possibile registrare i redditi 2015 trasmessi dagli interessati oltre i termini stabiliti: la disponibilità di questi dati ha consentito di effettuare un’ulteriore lavorazione d'ufficio per attribuire la quattodicesima in occasione del mese di settembre. Gli interessati riceveranno nei prossimi giorni la comunicazione.
Liquidazione d'Ufficio
La somma aggiuntivaviene attribuita d’ufficio dall'Inps in occasione del pagamento della mensilità della pensione di luglio, senza presentazione di alcuna domanda da parte dell'assicurato, in presenza di tutti gli elementi necessari per la verifica reddituale di ammissione al beneficio. Tale modalità consente una forte semplificazione nell'erogazione dell'emolumento consentendo nel contempo una maggiore tempestività.
Per le elaborazioni d'ufficio, sono utilizzati in automatico i redditi da prestazione memorizzati nel Casellario centrale dei pensionati presenti al momento della lavorazione. Per i redditi diversi, invece, sono presi in esame quelli dell'anno 2017. In assenza delle informazioni relative all'anno 2017, per i redditi diversi da quelli da prestazione sono stati provvisoriamente utilizzati i redditi delle ultime campagne reddituali elaborate, quindi, i redditi del 2015 e, in subordine, del 2014. È per tale ragione che la somma aggiuntivaviene corrisposta in via provvisoria e la sussistenza del diritto sarà verificata a consuntivo sulla base della dichiarazione dei redditi.
A seguito della campagna dell’Inps per il sollecito della presentazione delle dichiarazioni dei redditi, nello scorso mese di giugno è stato, inoltre, possibile registrare i redditi 2015 trasmessi dagli interessati oltre i termini stabiliti: la disponibilità di questi dati ha consentito di effettuare un'ulteriore lavorazione d'ufficio per attribuire la quattordicesimaa nuovi soggetti non pagati nel mese di luglio proprio per assenza di tali dichiarazioni.
Alle posizioni prive di notizie reddituali successive all'anno 2013 non è stato quindi possibile attribuire il beneficio. Qualora un pensionato ritenga di avere diritto al beneficio e non sia stato raggiunto da queste elaborazioni d'ufficio può presentare domanda di ricostituzione.
La misura
Come noto dallo scorso anno il bonus riconosciuto con la mensilità di luglio di ogni anno ai pensionati Inps con più di 64 anni è stato incrementato del 30% per i pensionati con redditi inferiori a 1,5 volte l'importo del trattamento minimo vigente nell'assicurazione generale obbligatoria (cioè circa 507 euro al mese) ed è stato esteso, nei confronti dei pensionati con redditi inferiori a 2 volte il predetto trattamento minimo (poco più di 1.010 euro al mese). L'importo della quattordicesimaoscilla così tra i 336 e i 655 euro a seconda del reddito annuo del percettore (non rileva quello del coniuge) e della contribuzione sulla base della quale è stata liquidata la pensione (si veda sotto la tabella con l'articolazione della nuove fasce vigenti nel 2018).
Amianto, L'accertamento della malattia professionale da' diritto alla riliquidazione della pensione
Quando al pensionato già titolare di pensione diretta viene riconosciuta una malattia professionale asbesto correlata, può aver diritto anche ai benefici previdenziali con importanti rivalutazioni sulla propria pensione.
Come è noto la maggiorazione per l’ esposizione all’amianto consente di ottenere dei benefici previdenziali per raggiungere prima la pensione ed aumentare il relativo assegno pensionistico. Ma che cosa succede nel caso in cui ad un pensionato venga riconosciuta l’esposizione all’amianto solo dopo aver già conseguito il diritto a pensione? La circostanza non è infrequente posto che le patologie asbesto correlate possono manifestarsi dopo un lungo periodo di latenza e quindi ben può accadere, quindi, che lo sfortunato sia già andato in pensione senza aver goduto dei benefici previsti dalla legge per tali patologie.
Si pensi, ad esempio, ad un pensionato titolare di pensione diretta a carico del Fondo pensione lavoratori dipedenti, che durante tutta la sua carriera lavorativa è stato a contatto con materiali contenenti amianto svolgendo la mansione di carpentiere in ferro. Purtroppo, come ormai sappiamo, l’amianto è davvero deleterio, infatti all’età di 70 anni il soggetto a seguito di una visita pneumologa scopre di avere delle placche ai polmoni. Essendo dovuta presumibilmente da un esposizione in ambito lavorativo, il pensionato decide di chiedere un risarcimento all’INAIL tramite domanda di malattia professionale per vedersi riconosciuto quanto meno un indennizzo economico. L’Inail accertato che la malattia ha un nesso eziologico con la prolungata esposizione alla sostanza morbigena riconosce la tecnopatia (placche pleuriche) e gli liquida la rendita mensile.
Nei casi di riconoscimento di malattia professionale per esposizione all’amianto (placche pleuriche, asbestosi,mesotelioma,ecc), viene rilasciata, su richiesta dall'Inail anche la certificazione del periodo di esposizione che può essere fatta valere ai fini pensionistici ai sensi di quanto previsto dall'articolo 13, co. 7 della legge 257/1992. In altre parole la sua pensione potrà essere ricalcolata per 10 anni indietro dalla data di presentazione della domanda di ricostituzione della pensione con il riconoscimento di una maggiorazione del 50% dei periodi di lavoro prestato con esposizione all'amianto. Si immagina bene che su una pensione mensile lorda di 849 € gli arretrati che vengono fuori sono un vero e proprio tesoretto. Nel caso in questione si parla di 16.000€ di arretrati ed un aumento pensionistico di circa 140€ mensili.
In pratica dopo che l’INAIL riconosce la malattia professionale, è opportuno farsi rilasciare una certificazione del periodo di esposizione e successivamente presentare una ricostituzione contributiva all'Inps allegando la documentazione Inail.
Di seguito ecco un elenco delle malattie professionali asbesto correlate che l’INAIL riconosce ed indennizza più frequentemente: Asbestosi polmonare (I.4.03); Placche pleuriche (I.4.03); Ispessimenti pleurici (I.4.03); Mesotelioma pleurico (I.4.03); Mesotelioma pericardico (I.6.03); Mesotelioma peritoneale (I.6.03); Mesotelioma della tunica vaginale del testicolo (I.6.03); Tumore del polmone (I.4.03); Tumore della laringe (I.6.03); Tumore alle ovaie (I.6.03).
La Corte Europea promuove il decreto Poletti sulle pensioni
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha definito "irricevibile" il ricorso di 10.059 pensionati italiani contro il decreto Poletti del maggio 2015, che ha riguardato la perequazione delle pensioni per il 2012 e 2013
La Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo ha bocciato la class action dei 10.059 pensionati contro il decreto Poletti del maggio 2015, che ha riguardato la mancata perequazionedelle pensioni per il 2012 e 2013. Secondo la Corte Europea il decreto legge 65/2015convertito con legge 125/2015 non ha violato i diritti dei pensionati italiani in quanto le disposizioni incriminate non hanno avuto un impatto significativo per gli anni in questione: per il 2012 l'impatto negativo delle disposizioni criticate, che è nullo per le pensioni inferiori a circa 1.500 euro, sale al 2,7% per le pensioni di oltre 3.000 euro; un risultato simile può essere calcolato sul 2013".
Secondo i giudici è trascurabile il depauperamento dell'assegno prodotto dal cd. effetto trascinamento dovuto dalla minore base di perequazione dato che sono stati interessati da questi effetti solo le pensioni superiori a 3 volte il trattamento minimo. Importante è stato l'aver predisposto un meccanismo di salvaguardia delle pensioni minime che, per l'appunto, non sono state toccate dalla misura. Ciò è sufficiente, scrivono i giudici, a salvaguardare le aspettative ed il reddito pensionistico delle classi meno abbienti e, pertanto, la class action italiana è stata respinta.
Sulla vicenda anche la Corte Costituzionale italiana lo scorso anno si era espressa riconoscendo la legittimità del decreto legge poletti. In quella occasione la Consulta aveva riconosciuto come il decreto Poletti fosse stato adottato nell'ambito della discrezionalità lasciata al legislatore nazionale che ha il compito di equilibrare diversi principi costituzionalmente riconosciuti.
La vicenda
Il decreto legge 201/2011("Salva Italia", varato dal governo Monti) ha bloccato la perequazione (rivalutazione) automatica delle pensioni superiori a tre volte il minimo (fissato per il 2011 a 467,43 euro lordi) per il 2012 e il 2013. La legge 147 /2013 (Legge di stabilità 2014, governo Letta) ha superato parzialmente il blocco, introducendo una perequazione differenziata per fasce. La Corte Costituzionale (sentenza 70/2015) ha giudicato incostituzionale la norma del decreto legge 201/2011, sancendo il diritto dei pensionati alla restituzione degli importi non corrisposti (pari in totale a 17,7 miliardi). Il governo Renzi (decreto legge 65/2015) stabilì quindi una restituzione della rivalutazione, ma non totale per tutti per arginare gli effetti della Sentenza della Corte costituzionale: Il 100% è stato previsto solo per le pensioni fino a 3 volte il minimo Inps; a quelle da 3 a 4 volte è stato concesso il 40%, che scende al 20% per gli assegni superiori di 4-5 volte il minimo, e al 10% per quelli tra 5-6 volte. Chi percepisce una pensione superiore a 6 volte il minimo Inps è stato escluso dalla restituzione.
Ok definitivo al decreto legge sulle aree terremotate. Ecco cosa Cambia
In Gazzetta Ufficiale il testo della legge di conversione. All'interno del provvedimento trova spazio, oltre alla proroga della sospensione degli adempimenti tributari e previdenziali un intervento straordinario di cassa integrazione guadagni di sei mesi.
Via libera definitivo al decreto legge per le zone terremotate. L'Aula della Camera ha approvato la scorsa settimana in seconda lettura la legge di conversione al decreto legge numero 55/2018 senza modifiche rispetto al testo uscito dall'esame del Senato. Il provvedimento contiene una serie di misure a carattere tributario, previdenziale e assistenziale a sostegno dei lavoratori e delle aziende coinvolte nelle aree del sisma degli anni 2016-2017 (Umbria, Marche, Abruzzo e Lazio).
Più tempo per il pagamento dei contributi sospesi
Tra le principali novità c'è la modifica della disciplina degli adempimenti e dei versamenti tributari prevista a favore dei contribuenti interessati dai predetti eventi sismici. In particolare il provvedimento dispone la ripresa della riscossione dei tributi sospesi in favore dei soggetti diversi dai titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo, nonché dagli esercenti attività agricole, decorra dal 16 gennaio 2019, anziché dal 31 maggio 2018, con la contestuale rateizzazione del versamento delle somme oggetto di sospensione in sessanta rate mensili di pari importo, invece delle ventiquattro. In caso di insufficiente, tardivo o omesso pagamento di una o più rate, il contribuente può evitare l'iscrizione a ruolo avvalendosi del ravvedimento, beneficiando della riduzione delle sanzioni. Per quanto riguarda la parte previdenziale viene prorogata, dal maggio 2018 al 31 gennaio 2019, il termine per gli adempimenti e i versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria sospesi, prevedendo che le somme dovute potranno essere rateizzate fino a un massimo di sessanta rate mensili, in luogo delle ventiquattro mensilità previste prima della novella.
E' prorogata al 1° gennaio 2019 la sospensione dei termini per la notifica delle cartelle di pagamento e per la riscossione delle somme risultanti dagli atti di accertamento esecutivo e delle somme dovute all'INPS, nonché per le attività esecutive da parte degli agenti della riscossione, e dei termini di prescrizione e decadenza relativi all'attività degli enti creditori, compresi quelli degli enti locali.
Altre sospensioni
Si prevede poi la sospensione del pagamento del canone di abbonamento alle radioaudizioni dal 1° gennaio 2018 fino al 31 dicembre 2020 e il recupero delle somme oggetto di sospensione – senza applicazione di sanzioni e interessi – dal 1° gennaio 2021, nonché il rimborso degli importi già versati fra il 1° gennaio 2018 e il 29 maggio 2018. Sonodifferiti i termini disospensione del pagamento delle fatture relative ai servizi energetici ed idrici, assicurazioni e telefonia. E' affidato alle Autorità di regolazione competenti in materia di energia elettrica, acqua e gas, assicurazioni e telefonia il compito di introdurre, con propri provvedimenti, specifiche esenzioni fino alla data del 31 dicembre 2020 a favore delle utenze localizzate in una "zona rossa", istituita mediante apposita ordinanza sindacale nel periodo compreso tra il 24 agosto 2016 e la data di entrata in vigore della novella.
Sostegno al reddito
Nel corso dell'esame al Senato, sono state inserite due disposizioni volte aprevedere in via transitoria, con riferimento a determinate aree ed imprese, la possibilità di una deroga ai limiti massimi di durata del trattamento straordinario di integrazione salariale , nonché a prevedere l'estensione dal 2017 al 2018 della possibilità di impiego delle risorse già destinate alla concessione, in favore di alcuni lavoratori interessati da eventi sismici, della proroga dell'indennità speciale di sostegno al reddito.
In particolare l'art. 1, comma 6-quater della legge di conversione prevede per l'anno 2019, in deroga agli articoli 4 e 22, comma 1, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, entro il limite massimo di spesa complessivo di 10 milioni di euro per il medesimo anno 2019, per imprese con organico superiore a 400 unità lavorative, ubicate nei comuni coinvolti nel sisma e contestualmente in un'area di crisi industriale complessa, che presentino processi di riassetto produttivo con connesse problematiche occupazionali, previo accordo stipulato in sede governativa, la concessione di un intervento straordinario di integrazione salariale, con causale di riorganizzazione aziendale,sino al limite massimo di sei mesi. L'intervento straordinario di integrazione salariale è subordinato all'erogazione da parte della Regione interessata di misure di politica attiva finalizzata al reimpiego dei lavoratori sospesi.
L'altra modifica riguarda (art 1-ter) la proroga per tutto il 2018 della concessione del sostegno al reddito in favore dei lavoratori dipendenti già previsto dall'articolo 45, co. 1 del decreto legge 189/2016 nei limiti delle risorse disponibili. L'indennità, come si ricorderà, è concessa dei lavoratori del settore privato, compreso quello agricolo, impossibilitati a prestare l'attivita' lavorativa, in tutto o in parte, a seguito del predetto evento sismico, dipendenti da aziende o da soggetti diversi dalle imprese operanti in uno dei Comuni coinvolti nel sisma per i quali non trovano applicazione le vigenti disposizioni in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro o , impossibilitati a recarsi al lavoro, anche perche' impegnati nella cura dei familiari con loro conviventi, per infortunio o malattia conseguenti all'evento sismico. La misura dell'intervento di sostegno al reddito è concessa nella misura pari al trattamento massimo di Cig ed è assistita dacopertura figurativa ai fini pensionistici.