Dipendenti pubblici senza buoni pasto - Giulia Bongiorno: «Soluzioni in fretta»
Fonte:sole24ore di Gianni Trovati
Centinaia di migliaia di dipendenti pubblici in cinque Regioni si sono trovati in portafoglio carta straccia invece dei buoni pasto a cui hanno diritto. La questione ha scatenato i sindacati, e ora sul tema interviene direttamente la ministra della Pa Giulia Buongiorno promettendo «soluzioni in tempi brevi» a un problema giudicato «intollerabile».
La questione esplode qualche giorno fa, quando la Consip, la centrale acquisti delle pubbliche amministrazioni, ha revocato la convenzione con il fornitore, il gruppo Qui!. Ma si trascina da mesi, perché la crisi finanziaria della società di buoni pasto aveva creato buchi crescenti nei rimborsi agli esercenti che accettano i ticket. E che di conseguenza hanno cominciato a respingerli.
La crisi
Il fatto è che i buoni Qui! dominano in tante amministrazioni, da Palazzo Chigi al ministero dell'Economia, dalla Giustizia all'Anac, fino a molte amministrazioni locali di Lazio, Lombardia, Piemonte, Valle D'Aosta e Liguria, dove ha sede la società. Le segnalazioni dei mancati rimborsi, nonostante un 2017 che la società ha chiuso con un fatturato consolidato da 560 milioni e un'Ebitda in crescita del 19%, hanno costretto la Consip a chiudere per inadempienze i contratti con il gruppo. Ma il problema ora è duplice.
I dipendenti pubblici hanno diritto per contratto ai buoni pasto, che quindi devono essere trovati in fretta senza aspettare i tempi lunghi di una nuova gara Consip. Ma a pesare è anche l'arretrato, perché i ticket già erogati non hanno ovviamente alcun valore quando non vengono accettati da baristi, ristoratori e supermercati.
Doppio problema
Le amministrazioni potrebbero correre ai ripari con acquisti diretti, che però devono rimanere sotto le soglie comunitarie: livelli minimi che non bastano a risolvere il problema negli enti più grandi, mentre quelli piccoli hanno ovvie difficoltà operative nella ricerca del fornitore. Il problema, insomma, è chiaro, la soluzione meno. Anche perché un intervento “risarcitorio” a favore delle amministrazioni ha dei costi: tutti da quantificare, e da coprire.
Pa, impronte digitali anti-furbetti. Ministra Bongiorno ‘Sono a prova di privacy’
FONTE:https://www.key4biz.it/
La ministra Giulia Bongiorno, parla per la prima volta alla Camera della sua idea di ricorrere alle impronte digitali o al rilevamento dell’iride contro i furbetti del cartellino nella PA: ‘E' intenzione del governo prevedere l'obbligo di sistemi di rilevazione biometrica delle presenze perché sono compatibili con la legge sulla Privacy’.
Dall’annuncio si passerà a breve all’obbligo di ricorrere alle impronte digitali o al rilevamento dell’iride contro i furbetti del cartellino nella Pa. L’idea è di Giulia Bongiorno, ministra per la Pubblica amministrazione, che per la prima volta ha parlato dell’iniziativa in Parlamento, rispondendo ieri alla Camera a un’interrogazione (dal minuto 5:34) di Simona Bordonali (Lega):
“È intenzione del governo”, ha detto la ministra, “prevedere l’obbligo di sistemi di rilevazione biometrica delle presenze che già sono stati sperimentati con risultati lusinghieri”. Key4biz ha scovato, nel Salernitano, il primo ospedale che utilizza da due anni, con successo, le impronte digitali per i dipendenti.
L’assenteismo costituisce sicuramente un ostacolo al buon funzionamento della Pubblica amministrazione, incrina il rapporto di fiducia che deve sussistere con il cittadino e getta discredito sulla Pa, a danno dei dipendenti che regolarmente vanno a lavoro. Per questo motivo l’obiettivo del governo è di contrastare questo fenomeno anche attraverso l’applicazione di più efficaci misure di rilevazione delle presenze e controllo del rispetto dell’orario di lavoro.
Bongiorno ha anche fatto presente che“sono compatibili con la legge sulla Privacy”, perché, come il caso dell’ospedale in provincia di Salerno, il Garante Privacy ha dato il suo ok, anche se vincolato a una serie di condizioni.
Nell’ottica della prevenzione e repressione dell’assenteismo ha aggiunto Bongiorno, l’Ispettorato della Funzione pubblica e la Guardia di Finanza hanno già avviato negli ultimi mesi del 2017 verifiche presso comuni e aziende sanitarie e, “l’attuale governo ha dato rinnovato impulso a questa attività, in un’ottica non solo di scoprire le condotte sleali ma anche di verificare attraverso la ricognizione di quelle realtà, la causa dei principali elementi di debolezza della pubblica amministrazione”. Il ministro della Pa però non intende “inondare l’ordinamento con nuove disposizioni” ma fare “interventi chirurgici”. Fra questi “ci sarà quello che focalizza l’attenzione sulle valutazioni delle performance dei dirigenti e il tema essenziale della digitalizzazione”. “Quest’ultima sarà inclusiva”, ha concluso la ministra Bongiorno, concetto già espresso nel suo piano per la Pa digitale.
Consiglio di Stato: Quando è legittimo bandire un nuovo concorso in presenza di una pregressa graduatoria valida
Fonte:QPA
Il caso di una Azienda ospedaliera risolto con una interessante pronuncia.
Un dipendente di un’Azienda Ospedaliera, con la qualifica di collaboratore amministrativo, aveva partecipato nel 2006 ad un concorso pubblico per un posto da Dirigente Amministrativo, bandito da altra Azienda Ospedaliera, classificandosi al decimo posto: la relativa graduatoria ha conservato validità, per effetto del comma 368 dell’art. 1 della legge n. 232 del 2016, sino a tutto il 31 dicembre 2017 e, nel corso di detto intervallo di tempo, è stata utilizzata per l’assunzione degli idonei, ma limitatamente a coloro che si erano collocati sino al settimo posto. Nel 2017 l’Ente bandiva un nuovo concorso per la copertura di tre posti di Dirigente Amministrativo.
Il dipendente gravava dinanzi al TAR tale decisione, ritenendo che occorresse dar priorità allo scorrimento della graduatoria, ancora vigente alla data di pubblicazione del bando.
Il TAR Lazio, dopo aver disatteso le avverse eccezioni di difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo e di carenza di interesse del ricorrente (essendo, viceversa, evidente l’interesse di quest’ultimo, decimo classificato, allo scorrimento della graduatoria per l’assunzione di ulteriori tre unità) ha ritenuto fondato il ricorso.
L’Azienda ospedaliera ha proposto appello, sostenendo l’erroneità della pronuncia.
Il Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza 3 luglio 2018 n. 4078, ha accolto il gravame e respinto il ricorso proposto in primo grado dal dipendente.
In primo luogo è stata riaffermata la giurisdizione in materia del Giudice amministrativo, alla stregua della giurisprudenza consolidatasi, per la quale la pretesa al riconoscimento del diritto allo “scorrimento” della graduatoria del concorso espletato, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, facendosi valere, al di fuori dell’ambito della procedura concorsuale, il “diritto all’assunzione”; mentre ove, come nella specie, la pretesa al riconoscimento del suddetto diritto sia consequenziale alla negazione degli effetti del provvedimento di indizione di una nuova procedura concorsuale, la contestazione investe l’esercizio del potere dell’Amministrazione, a cui corrisponde una situazione di interesse legittimo.
In via incidentale, poi, il Collegio (in linea con una recentissima decisione della medesima Sezione III, del 31 maggio 2018, la n. 3273) ha escluso che la proroga delle graduatorie derogatoria del limite della loro efficacia triennale (deroga introdotta dall’art. 1, comma 4 del decreto legge del 29.12.2011 n. 216 e successivamente più volte reiterata), possa trovare applicazione rispetto all’Amministrazione sanitaria, non più soggetta a “limitazioni delle assunzioni” (limiti rimossi, rispetto ai dipendenti del S.S.N., dall’art. 1, comma 565, della legge n. 296 del 2006): e ciò, in quanto (cfr. lett. “IV” del capo 3.4.) l’individuazione dell’ambito operativo della proroga va effettuata secondo criteri di interpretazione restrittiva, stante che detta proroga nasce come eccezione al principio generale della efficacia triennale della graduatorie concorsuali.
Peraltro ha osservato il Supremo Consesso che sulla generale questione dell’opzione – esercitabile dall’Amministrazione – tra scorrimento delle graduatorie e indizione di un concorso/avviso pubblico per il reclutamento del proprio personale, occorre rifarsi alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 14 del 28 luglio 2011.
Orbene, la decisione n. 14 del 2011 della Plenaria ha, sì, affermato il principio della prevalenza dello scorrimento delle graduatorie e dell’obbligo motivazionale, in capo all’Amministrazione, delle ragioni di una eventuale scelta contraria nel senso della indizione del pubblico concorso, ma – al par. 51 – ha anche sottolineato che tale prevalenza non è assoluta ed incondizionata, essendo “individuabili casi in cui la determinazione di procedere al reclutamento del personale, mediante nuove procedure concorsuali, anziché attraverso lo scorrimento delle preesistenti graduatorie risulta pienamente giustificabile, con il conseguente ridimensionamento dell’obbligo di motivazione”.
Tra i casi in cui si manifesta l’opportunità, se non la necessità di procedere all’indizione di un nuovo concorso, pur in presenza di graduatorie ancora efficaci si riconosce rilievo, ad esempio, all’intervenuta modifica sostanziale della disciplina applicabile alla procedura concorsuale, rispetto a quella riferita alla graduatoria ancora efficace, con particolare riguardo alle prove di esame e ai requisiti di partecipazione; così come si attribuisce risalto determinante anche all’esatto contenuto dello specifico profilo professionale per la cui copertura è indetto il nuovo concorso e alle eventuali distinzioni rispetto a quanto descritto nel bando relativo alla preesistente graduatoria.
Al riguardo, la Plenaria n. 14/2011 ha sottolineato come nella vicenda sottoposta al suo esame rilevasse la circostanza che i nuovi posti messi a concorso riguardassero “precisamente, le strutture di alcune delle Facoltà universitarie e di altre strutture didattiche dell’Ateneo, mentre la procedura concorsuale approvata il 28 dicembre 2005 era riferita ad un diverso posto, istituito presso la Direzione amministrativa”.
Allo stesso modo, la successiva sentenza della Sez. VI n. 1517/2018, ha desunto la sussistenza di analoghe fattispecie derogatorie, giustificanti l’indizione del concorso pubblico (nel caso, del 2011) in luogo dello scorrimento della graduatoria del precedente concorso (riservato, del 2007), da elementi quali:
– le prove di esame della nuova selezione, i cui contenuti denotavano un accertamento più puntuale ed esaustivo delle competenze del soggetto da assumere, in tal modo palesando l’esigenza di selezionare personale maggiormente qualificato rispetto a quello di cui al concorso riservato di qualche prima e la necessità di ricoprire il posto dirigenziale all’esito di un accertamento diretto ad una più penetrante selezione delle capacità del candidato rispetto a quanto avvenuto nel precedente concorso interno, funzionale all’esigenza di reperire una maggiore qualificazione del nominando nell’interesse di un più efficiente esercizio della funzione dirigenziale;
– il raffronto tra i due rispettivi bandi, da cui risultava che il profilo professionale oggetto del nuovo concorso pubblico era ben più preciso e definito rispetto a quello previsto nel concorso riservato.
Gli elementi sopra evidenziati valgono a ridimensionare, secondo l’insegnamento tracciato dall’Adunanza Plenaria, l’obbligo di motivazione gravante sull’Amministrazione, se non addirittura ad integrare ex se i presupposti, senza necessità di un particolare onere motivazionale a carico dell’Amministrazione, per fare ricorso alla selezione pubblica anziché allo scorrimento della graduatoria.
Nel caso oggi all’esame l’Azienda Ospedaliera ha comunque fornito adeguata motivazione della determinazione assunta di procedere ad una nuova selezione pubblica, allegando:
a) una esigenza di carattere evidentemente contingente e straordinario, fronteggiata coerentemente con assunzioni a tempo determinato (sino al 31.12.2019), in sostituzione di altrettanti dirigenti amministrativi in aspettativa senza retribuzione per una durata superiore al biennio;
b) una tempistica stringente, che giustifica ampiamente la necessità di acquisire personale già formato in relazione alle specifiche competenze occorrenti, senza dover mettere in conto tempi più o meno lunghi di adattamento/apprendimento/formazione da parte di soggetti privi di esperienze e conoscenze già acquisite “sul campo”.
La critica politica, se non è gratuita, esclude la diffamazione
FONTE:QPA
Il rispetto della verità, in caso di esercizio del diritto di critica politica, assume un rilievo limitato.
Un cittadino veneto veniva tratto a giudizio per diffamazione, per aver offeso la reputazione del Sindaco del proprio Comune, avendo provveduto a stampare ed a distribuire volantini nei quali affermava che il comportamento del Sindaco era “scandaloso” atteso che costui “stava vendendo a terzi il Comune” ed accusandolo di “nascondere” la verità con un contegno arrogante.
In primo grado l’imputato veniva condannato mentre, in appello, era stato assolto, avendo la Corte riconosciuto l’esimente del diritto di critica politica.
Il Sindaco, allora, decideva di ricorrere per cassazione, ai soli effetti della responsabilità civile, censurando la decisione di assoluzione per aver, il giudice di secondo grado, nel momento in cui ribaltava la sentenza di condanna, omesso di offrire una motivazione puntuale e adeguata, in grado di fornire una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata in primo grado.
La Suprema Corte, Sezione Quinta, con sentenza n. 32668 del 16 luglio 2018, ha rigettato il ricorso.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, giudice di appello ha fatto buon governo dei principi vigenti in materia di continenza delle espressioni lessicali utilizzate, rispondendo la relativa decisione al canone della "motivazione rafforzata", proprio perché si è adeguatamente confronta con la soluzione offerta del primo giudice, ribaltandola sulla scorta di un solido e articolato impianto argomentativo.
La Corte, dopo aver ricordato il principio generale secondo il quale l'esimente del diritto di critica presuppone, per sua stessa natura, la manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui, la cui offensività possa, tuttavia, trovare giustificazione nella sussistenza del diritto di critica, a condizione che l'offesa non si traduca in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto passivo ma sia "contenuta" nell'ambito della tematica attinente al fatto dal quale la critica ha tratto spunto (fermo restando che, entro tali limiti, la critica, siccome espressione di valutazioni puramente soggettive dell'agente, può anche essere pretestuosa ed ingiustificata, oltre che caratterizzata da forte asprezza), ha rilevato che le espressioni rivolte a mezzo del volantino non investivano in maniera gratuita il nucleo essenziale della personalità morale della persona offesa, che non risultava aggredita nel sé, come persona, ma veniva chiamata in causa per il suo operato politico-amministrativo, peraltro in modo non generico, ma in relazione ad un episodio specifico (l'iniziativa di avviare un progetto di costruzione di un plesso scolastico).
Ed il giudice di appello, secondo la Corte Suprema, ha correttamente evidenziato come il Tribunale non abbia tenuto in debito conto che in riferimento all'esercizio del diritto di critica politica, il rispetto della verità del fatto assume un limitato rilievo, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica.
Concorsi: nuovi titoli valutabili per i dirigenti pubblici
FONTE:LEGGIOGGI
È operativa dal 12 luglio, grazie al decreto approvato lo scorso 16 aprile in gazzetta ufficiale, la norma che stabilisce i nuovi titoli valutabili nei concorsi per la selezione dei dirigenti pubblici. Il decreto in questione è il numero 78 del 2018 e quello che introduce sono novità su due fronti principali:
Vediamo in dettaglio cosa stabilisce la normativa entrata in vigore.
Concorsi dirigenti pubblici: quali titoli valutabili
Ai fini dell’accesso ai Concorsi sono valutabili le seguenti categorie di titoli:
Concorsi dirigenti pubblici: quali punteggi
Il valore complessivo dei titoli è determinato in massimo 120 punti. Il punteggio conseguito all’esito della valutazione dei titoli è sommato al punteggio complessivo del candidato determinato sommando i voti riportati in ciascuna prova scritta ed il voto riportato nella prova orale.
Per quanto riguarda i titoli di studio universitari, possono essere attribuiti al massimo 41 punti. Altri titoli, solo se attinenti alle prove d’esame, possono essere valutati per un massimo di 9 punti. Per ciascun titolo ecco i punteggi:
Tutti questi titoli sono valutabili esclusivamente se conseguiti o svolti presso le istituzioni universitarie pubbliche, le università non statali legalmente riconosciute, nonché le istituzioni formative pubbliche o private, autorizzate e o accreditate dal Ministero dell’istruzione, università e ricerca,
Nel caso diconcorsi per l’accesso alla dirigenza tecnica, qualora l’amministrazione preveda nel bando di concorso una terza prova scritta obbligatoria, volta alla verifica dell’attitudine all’esercizio degli specifici compiti connessi al posto da ricoprire, il valore dei titoli è determinato in massimo 160 punti e, a tal fine, i punteggi massimi indicati nel presente decreto sono aumentati di un terzo.
Infine, Le abilitazioni professionali, per le quali può essere attribuito un punteggio complessivo di punti 12, sono valutabili, solo se attinenti alle materie delle prove d’esame.
Pensioni, Quota 41: ecco chi ne ha già diritto
FONTE:LEGGIOGGI Da Daniele Bonaddio
L’inasprimento dei requisiti pensionistici, sia contributivi che anagrafici, imposti dalla c.d. “Manovra Salva-Italia” del 2011 (L. n. 214/2011) ha indotto il Legislatore ad intervenire per rendere il pensionamento dei lavoratori più flessibile, mediante l’introduzione di alcune misure che consentono di anticipare di qualche anno la data del primo assegno previdenziale: uno degli strumenti previsti è la c.d. “quota 41”, che consente di agevolare il pensionamento maturando esclusivamente 41 anni di contributi, anziché 42 anni e 10 mesi per il 2018.
Ma non tutti possono accedere indistintamente a tale agevolazione, in quanto trattasi appunto di una deroga ai requisiti generali. Quali sono dunque i soggetti che hanno diritto? Chi ha già diritto alla quota 41? Vediamo nel dettaglio tutto quello che c’è da sapere nelle seguenti righe.
Consulta lospeciale su Pensione anticipata
Quota 41: soggetti interessati
Per prima cosa, bisogna sapere che per poter accedere alla “quota 41” bisogna essere un “lavoratore precoce”. Ma chi sono i lavoratori precoci? Trattasi di persone che hanno iniziato a lavorare prima della maggiore età, ossia che non hanno compiuto 19 anni d’età. Per tali soggetti, la Legge di Bilancio del 2017 (Legge n. 232/2016) all’art. 1, co. 199 ha introdotto una norma – successivamente adottata con Dpcm n. 87 del 23 maggio 2017, che consente a determinate categorie di soggetti in difficoltà di accedere alla pensione anticipata – a decorrere dal 1° maggio 2017 – con uno sconto rispetto alle regole ordinarie.
Si ricorda che attualmente per accedere alla pensione anticipata bisogna maturare:
Il requisito contributivo aumento di ulteriori 5 mesi nel biennio 2019-2020, attestandosi a 43 anni e 3 mesi.
Possono accedere alla pensione anticipata, se si trovano nelle condizioni previste, i lavoratori:
Quota 41: requisiti oggettivi
La norma menzionata ha quindi previsto un nuovo canale di uscita dal mondo del lavoro, ma esclusivamente per i lavoratori precoci, ossia coloro i quali hanno iniziato a versare i contributi (bisogna osservare il primo accredito contributivo nell’estratto contro contributivo) prima del 19esimo anno d’età, per almeno 12 mesi in modo effettivo anche non continuativi. Dunque, la carriera assicurativa deve essere di almeno un anno di contribuzione, per periodi di lavoro effettivo, svolti prima del compimento del 19° anno di età. La data di inizio assicurazione deve essere almeno pari al compimento del 18° anno di età. Inoltre, sono ammessi alla pensione i lavoratori assicurati prima del 1° gennaio 1996, con anzianità contributiva sia inferiore che superiore a diciotto anni, anche nel caso di esercizio della facoltà di opzione (art. 1, comma 23, della legge 8 agosto 1995, n. 335).
Ma come si calcolano i 12 mesi di lavoro effettivo?
In sostanza, bisogna considerare la sola contribuzione obbligatoria dovuta per i periodi di prestazione effettiva di lavoro espressa in mesi, settimane o giorni riferita all’anzianità contributiva utile per il diritto e la misura secondo le rispettive discipline vigenti presso le varie forme assicurative previdenziali.
Quota 41: condizioni sociali
Oltre ai requisiti appena citati, è necessario che l’interessato si riconosca in almeno uno dei seguenti profili di tutela:
1. stato di disoccupazionea seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale, e hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi;
2. assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge, la persona in unione civile o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della Legge 5 febbraio 1992, n. 104;
3. hanno una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, di grado almeno pari al 74%;
4. lavoratori dipendenti addetti alle cd. attività gravose (categoria che dal 1° gennaio 2018 include 15 attività professionali dalle 11 precedenti) e che svolgono tali attività da almeno sette anni negli ultimi dieci o da almeno sei anni negli ultimi sette prima del pensionamento;
5. sono lavoratori usuranti che soddisfano e condizioni di cui all’articolo 1, commi da 1 a 3 del decreto legislativo del 21 aprile 2011, n. 67.
Quota 41: applicabile anche nel sistema contributivo puro?
Infine, vale la pensa sottolineare che il beneficio d’accesso alla pensione con “quota 41”, non è applicabile per quei lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996, ossia i c.d. “contributivi puri”. Tuttavia, si ricorda, che tali lavoratori possono comunque godere dell’agevolazione prevista dall’art. 1 co. 7 della L. n. 335/1995, che attribuisce l’incremento del 50% della contribuzione versata per i periodi lavorativi svolti durante la minore età.
Da PensioniOggi:
Come ottenere il ribaltamento del trattamento minimo sulla pensione di importo più favorevole
Nel caso di concorso di due o più pensioni l’integrazione spetta soltanto su una sola pensione ma non sempre viene applicato su quella più favorevole per il pensionato.
Come noto la percezione del trattamento minimo spetta qualora il reddito personale e/o coniugale non superi determinate soglie reddituali annualmente ricalcolate. Nel caso di concorso di due o più pensioni l’integrazione spetta soltanto su una sola pensione ma talvolta l'integrazione non viene applicata sulla pensione che porta i maggiori benefici per il pensionato. Tale circostanza si verifica frequentemente nei casi in cui viene a mancare il coniuge, ed il superstite acquisisce il diritto alla pensione di reversibilità e/o indiretta e di conseguenza si trova ad avere una doppia titolarità pensionistica.
Nei casi in cui entrambe le pensioni non superano l’importo mensile del trattamento minimo ( 507 € per il 2018) e sono soddisfatti i limiti reddituali annuali personali del superstite, l’INPS provvede ad applicare in automatico l’integrazione soltanto su una prestazione (articolo 6, comma 3 del decreto legge 638/1983).
Vale la pena, al fine di ricevere un importo mensile più cospicuo ed eventualmente degli arretrati da capogiro, verificare se l’Istituto di previdenza abbia applicato l’integrazione sulla pensione corretta. In questo articolo analizzeremo un caso studio di una pensionata titolare di due pensioni che a seguito del ribaltamento del trattamento minimo da una pensione all’altra si è vista aumentare l’importo pensionistico di circa 170€ mensili e corrispondere degli arretrati di circa 11.000€.
Il caso in questione prende in esame una pensionata vedova dall’01/2002 che diventa titolare di pensione di reversibilità SOCOM a causa della morte del coniuge di importo pari a 477 euro. Nel 03/2007 ottiene l’accesso alla pensione di vecchiaia VOCOM di importo inferiore a quella di reversibilità del marito (303 euro), diventando cosi titolare di doppia prestazione previdenziale, entrambe con un’ importo a calcolo inferiore al trattamento minimo.
Nella fattispecie l’INPS attribuisce erroneamente l’integrazione sulla pensione di reversibilità (SOCOM), probabilmente perché già dal 01/2002 la pensionata rientrava nei limiti reddituali stabiliti. È opportuno specificare che l’integrazione nel caso di bititolarità a carico della stessa gestione (COMMERCIANTE) è regolamentata dalla circolare INPS 125/2000 (Integrazione al minimo in caso di titolarità di due o più pensioni. Deliberazione del Consiglio di Amministrazione n. 324 del 13 giugno 2000), che specifica che l’integrazione al minimo, qualora le due pensioni sono a carico della stessa gestione, deve essere attribuita sulla pensione diretta e non su quella ai superstiti (per maggiori informazioni). Sulla base di quanto detto sopra, al momento del pensionamento l’INPS avrebbe dovuto attribuire l’integrazione sulla pensione diretta VOCOM di importo inferiore e toglierla dalla reversibilità SOCOM, ma cosi non è stato e tale situazione si è protratta fino al 2017.
In questi casi è necessario presentare una domanda di ricostituzione reddituale con trasferimento del trattamento minimo sulla pensione desiderata. In fase di ricostituzione, la pensione sarà ricalcolata in base alle norme vigenti al momento della decorrenza originaria e subirà una variazione in aumento o in diminuzione. Nel nostro caso sarà in aumento, con corresponsione degli arretrati per ben 5 anni indietro (circa 11.000€), poiché in linea generale per tali casistiche il termine prescrizionale è quinquennale.
Per la complessità delle circolari, non è insolito che l’INPS possa sbagliare il calcolo dell’importo pensionistico, pertanto è sempre opportuno controllare la posizione attraverso il certificato di pensione ObisM.
Previdenza Complementare, Ecco le nuove regole per i lavoratori UE
In Gazzetta ufficiale il decreto legislativo che recepisce la direttiva UE relativa ai requisiti minimi per accrescere la mobilità dei lavoratori tra Stati membri migliorando l’acquisizione e la salvaguardia di diritti pensionistici complementari.
Ok al miglioramento della previdenza complementare per i lavoratori che si spostano in ambito UE. E' stato infatti pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 13 luglio ildecreto legislativo numero 88 del 21 giugno 2018 con il quale l'Italia ha recepito la direttiva n. 2014/50/UE che stabilisce le norme minime per la tutela dei diritti pensionistici complementari dei lavoratori dipendenti che si spostano da un paese europeo all'altro (cd. lavoratori in uscita).
Il provvedimento, in vigore dallo scorso 14 Luglio 2018, introduce alcune disposizioni nel Dlgs 252/2005 volte ad accrescere la mobilità dei lavoratori tra gli Stati membri e migliorare l'acquisizione e la salvaguardia dei diritti pensionistici complementari.
Lavoratori all'estero
In particolare il provvedimento dispone che la partecipazione quinquennale alla forma pensionistica complementare, requisito necessario per l' acquisizione del diritto della prestazione pensionistica (al momento della maturazione dei requisiti stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza)sia ridotta a tre anni per il lavoratore il cui rapporto di lavoro in corso cessi per motivi indipendenti dal fatto che lo stesso acquisisca il diritto ad una pensione complementare e che si sposti tra Stati membri della UE.
La riduzione del termine da cinque a tre anni consentirà, ad esempio, al lavoratore licenziato in Italia che trovi un'occupazione in altro stato europeo di ottenere la corresponsione della rendita previdenziale integrativa dopo soli tre anni (anzichè cinque) di iscrizione al fondo di previdenza integrativo presso cui ha contribuito. Obiettivo rimuovere gli ostacoli all'erogazione del trattamento pensionistico complementare per i lavoratori che hanno maturando più esperienze lavorative in diversi paesi UE. Per i lavoratori "nazionali" resta, invece, il termine di cinque anni di iscrizione alla forma di previdenza complementare per maturare il diritto alla rendita.
Ok al mantenimento della posizione
Con un'altra modifica nel corpus normativo del Dlgs 252/2005 il decreto prevede che, nel caso in cui vengano meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare, gli statuti e regolamenti stabiliscano anche la possibilità del mantenimento della posizione individuale in gestione presso la forma pensionistica complementare, anche in assenza di ulteriore contribuzione. Tale opzione è applicata automaticamente, in mancanza di scelta diversa da parte dell'iscritto e fatta salva l'ipotesi di valore della posizione individuale maturata non superiore all'importo mensile dell'assegno sociale (453 euro ai valori 2018). In questi casi, pertanto, l'iscritto avrà la possibilità di mantenere in gestione la posizione individuale oppure trasferirla ad altra forma pensionistica o ancora riscattarla.
Non si tratta, quest'ultima, di una vera e propria novità dato che diverse delibere Covip hanno già fissato l'obbligo del mantenimento della posizione individuale alle forme di previdenza complementari; la modifica si è resa necessaria per recepire a livello primario disposizioni attualmente fissate solo a livello amministrativo. A questo riguardo viene previsto altresì l'obbligo per le forme pensionistiche complementari diinformare l'iscritto (conformemente alle istruzioni della COVIP) della facoltà di esercitare il trasferimento ad altra forma pensionistica complementare, ovvero di richiedere il riscatto della propria posizione. Il decreto rafforza, infine, gli obblighi di informazione nei confronti degli iscritti attivi con riferimento ai diritti pensionistici complementari.