Fonte: https://www.termometropolitico.it
La Legge 104 garantisce una serie di importanti agevolazioni a chi ne fruisce. Tra queste figura il congedo straordinario. Si tratta di una sospensione temporanea dal lavoro, ma comunque retribuita. E spetta ai caregiver che assistono un familiare affetto da disabilità grave. Il beneficio è volto a compensare le problematiche del caregiver, diviso tra lavoro e assistenza al familiare. Oltre ai permessi retribuiti, dunque, il soggetto in possesso dei requisiti potrà fruire anche del congedo straordinario retribuito. Scopriamone le caratteristiche principali.
Come ormai è noto, delle agevolazioni garantite dalla Legge 104/92 possono usufruire sia i soggetti disabili, sia i caregiver; ovvero coloro che curano e assistano il familiare disabile. Tra i benefici, oltre ai permessi retribuiti, abbiamo visto che va annoverato anche il congedo straordinario retribuito. Questo spetta prevalentemente a chi assiste il familiare a disabile. L’ordine di parentela segue una scaletta prioritaria. Il primo beneficiario è il coniuge convivente. In assenza di questo, il genitore, anche adottivo o affidatario. Oppure il figlio convivente, mentre un gradino più sotto il fratello o la sorella convivente. E infine il parente o affine entro il terzo grado. In ogni caso, deve sempre sussistere il requisito di convivenza.
Il congedo straordinario retribuito ha una durata di 2 anni. Ma questo lasso temporale può essere spalmato durante tutto l’arco della vita lavorativa. Quindi ciò significa che il congedo può essere frazionabile in giornate. Ma come vengono calcolati i giorni? A chiarirlo ci ha pensato l’Inps con la circolare n. 64 del 15 marzo 2001 per il settore privato; mentre per il settore pubblico la circolare Inpdap n. 31 del 12 maggio 2004.
Come contare i giorni? Qualora ci si assenti dal posto di lavoro il martedì, questo sarà considerato 1 giorno singolo. Se invece si prendono più giorni consecutivi intervallati da un fine settimana, allora anche i giorni festivi (sabato e domenica) saranno contati. Pertanto, qualora ci si assenti il giovedì e si torni il mercoledì, i giorni contati nel congedo straordinario non saranno 4 (giovedì, venerdì, lunedì, martedì); bensì 6, perché nel conteggio saranno inclusi anche il sabato e la domenica. Esclusi dal conteggio saranno invece i giorni festivi, le ferie e gli eventuali periodi di malattia.
Visita fiscale Inps: rientro anticipato e stop certificato medico. Chi rischia
Fonte: https://www.termometropolitico.it
Parlando di visita fiscale Inps, ci sono diversi aspetti da approfondire. Come ad esempio la possibilità del rientro anticipato e dunque la segnalazione all’Inps e al datore di lavoro della fine di malattia. Che di fatto interrompe la relativa indennità. Sulla questione è da segnalare il chiarimento dell’Inps, tramite la circolare n. 79/2017. In questa si ribadisce l’obbligatorietà dell’invio telematico del certificato medico da parte del dottore curante all’Inps e al datore di lavoro. L’invio cartaceo è permesso solamente in casi di emergenza; come ad esempio malfunzionamento della rete. In sostanza, sia i medici sia i lavoratori dovranno prestare molta attenzione ai nuovi adempimenti, per non incorrere in sanzioni.
Visita fiscale Inps: malattia prolungata, cosa succede?
Nella suddetta circolare l’Inps ricorda che tutte le informazioni contenute nel certificato telematico rivestono una fondamentale importanza. Tra le informazioni più importanti va annoverata la data di fine prognosi. La quale, qualora una certificazione supplementare sia assente, “costituisce il termine ultimo ai fini dell’erogazione della prestazione economica di malattia”. Tuttavia, la specifica è che si tratta di un elemento “previsionale” e quindi risulta suscettibili di modifiche. In breve, la data può essere prolungata o ridotta, in base al decorso della malattia. Nell’ipotesi di prolungamento il lavoratore dovrà farsi rilasciare dal medico curante uno o più certificati di continuazione, indispensabili per continuare a garantire gli strumenti di tutela prevista. Ma in caso di guarigione anticipata cosa succede?
Visita fiscale Inps: rientro anticipato, cosa dice l’Inps
L’ipotesi può riguardare anche una guarigione anticipata, che quindi consentirebbe il rientro anticipato a lavoro. Anche in questo caso il lavoratore sarà chiamato a farsi rilasciare una rettifica del certificato vigente. La finalità è quella di documentare anche temporalmente il periodo di incapacità di tornare al lavoro, al fine di avvisare l’Inps per l’interruzione dell’indennità. L’obbligo di comunicazione è anche verso il datore di lavoro; perché la fine della malattia prevede un rientro anticipato al lavoro.
L’Istituto precisa che in presenza di certificato con prognosi ancora in corso, il datore di lavoro non può consentire al lavoratore la ripresa dell’attività lavorativa. Ciò nel rispetto della normativa sulla salute e sicurezza dei posti di lavoro. Il datore di lavoro ha infatti l’obbligo di tutelare l’integrità fisica dei lavoratori. Proprio per questo motivo il lavoratore assentatosi per malattia e guarito in anticipo dovrà farsi rilasciare un ulteriore certificato dal medico curante che attesti l’avvenuta guarigione.
Visita fiscale Inps: rientro anticipato non comunicato, le sanzioni
La suddetta circolare si è resa necessaria visto il mancato rispetto delle disposizioni finora elencate segnalato in diversi casi. Se un lavoratore effettua un rientro anticipato a lavoro e non lo comunica, l’Inps può inviare un medico per una visita fiscale a domicilio. Ovviamente perché pensa che il soggetto sia ancora a casa per malattia. E debba dunque farsi trovare nelle fasce di reperibilità previste. Senza dimenticare il discorso economico, con l’erogazione di prestazioni effettivamente non dovute.
Pertanto, in caso di mancata o tardiva comunicazione della ripresa anticipata dell’attività lavorativa, il lavoratore sarà sanzionato secondo la normativa vigente in caso di assenza ingiustificata a visita fiscale Inps.
PA digitale, accordo Inail-Sogei
Condivisione di studi, soluzioni e competenze tecnologiche
ANSA - Il direttore generale dell'Inail, Giuseppe Lucibello, e l'amministrazione delegato di Sogei, Andrea Quacivi, hanno sottoscritto questa mattina un protocollo d'intesa di durata triennale per lo scambio di esperienze e conoscenze in ambito IT, come auspicato nel Piano triennale per l'Informatica nella pubblica amministrazione. Lo rende noto l'Inail precisando che "l'obiettivo è l'integrazione e il miglioramento della qualità dei servizi offerti alla PA, attraverso l'ottimizzazione delle risorse umane, economiche e tecnologiche".
"L'avvio di questa collaborazione - ha spiegato il direttore generale dell'Inail, Giuseppe Lucibello - risponde alla convinzione che occorra accelerare la trasformazione digitale delle pubbliche amministrazioni per meglio soddisfare i bisogni emergenti dei cittadini, cogliendo le opportunità offerte dall'evoluzione tecnologica nel rispetto di logiche di approccio omogenee e integrate".
Buoni pasto, sempre più ticket vengono rifiutati dagli esercizi commerciali: ecco perché
La Qui Ticket, uno dei colossi del settore, causa crisi di liquidità ha dovuto sospendere il rimborso dei buoni pasto, provocando non pochi disagi ai dipendenti titolari dei buoni pasto perché molti esercizi commerciali, visto il rischio, hanno smesso di accettarli come forma di pagamento. La revisione delle regole sui tocket, inoltre, ha comunque reso più difficile l’utilizzo dello strumento e rispetto al passato i buoni pasto non possono più essere usati al di fuori dell’orario di lavoro, per esempio.
Fonte: https://www.fanpage.it/ di Charlotte Matteini
I dipendenti che percepiscono buoni pasto potrebbero trovare difficoltà a utilizzarli per mangiare o fare la spesa. La Qui Ticket, uno dei colossi del settore, versa in condizioni economiche preoccupanti e causa crisi di liquidità ha dovuto sospendere il rimborso dei buoni pasto, provocando non pochi disagi: complice il rischio, infatti, molti commercianti hanno iniziato a non accettare più i buoni Qui e i dipendenti che per contratto percepiscono quei buoni pasto difficilmente riescono a usufruirne, l'utilizzo è ormai quasi impossibile. Molte aziende, contestualmente, hanno anche iniziato a rescindere i contratti sottoscritti, nel tentativo di correre ai ripari.
Come spiega Business Online, "cè il rischio che gli esercizi commerciali smettano di accettare qualunque tipo di ticket? Norme alla mano, l'ultimo governo ha aumentato lo spettro d'utilizzo a mercati, agriturismi e spacci aziendali , oltre che presso bar, ristoranti e supermercati. A dimostrazione di come il mercato sia fiorenti, le ultime statistiche riferiscono come in media si utilizzano tre o quattro buoni pasto insieme. A cercare di ricostruire la vicenda ci ha provato Luca Palermo, amministratore delegato di Edenred, la società che emette i Ticket Restaurant, secondo cui è arrivato il momento di fare chiarezza. Il manager fa presente come ci sia una società che sta attraversando una fase problematica, ma il mercato dei buoni pasto sarebbe comunque in ottima salute".
Secondo le norme approvate negli scorsi mesi, qualunque sia la società di emissione, quindi a prescindere dalla vicenda della Qui Ticket, i buoni pasto sono divenuti non cedibili, commercializzabili, cumulabili o convertibili in denaro e non possono essere adoperati al di fuori dell'orario di lavoro, quindi diventa praticamente impossibile usarli per fare la spesa al supermercato o pagare il pranzo o la cena al ristorante nei fine settimana come invece accadeva prima della revisione della normativa. Rispetto al passato, i buoni elettronici sono tracciabili per cui eventuali usi impropri verrebbero rilevati e sanzionati immediatamente. "Una delle regole che potrebbe cambiare punto a questo punto è la richiesta di maggior solvibilità e garanzia depositate dalle varie società, altrimenti verranno escluse. Perchè il rischio di una situazione a catena è concreto", spiega Business Online.
continua su: https://www.fanpage.it/buoni-pasto-sempre-piu-ticket-vengono-rifiutati-dagli-esercizi-commerciali-ecco-perche/
Buoni pasto, la crisi di Qui non spaventa il mercato. Ma è un benefit ancora per pochi
Fonte: https://it.businessinsider.com di Giuliano Balestreri
Un anno fa il governo aveva di fatto liberalizzato i buoni pasto permettendone il cumulo fino a otto alla volta. I buoni pasto, che sostituiscono il servizio mensa per i lavoratori del settore pubblico o privato, si possono infatti utilizzare anche presso mercati, agriturismi e spacci aziendali oltre che presso i supermercati, i bar e i ristoranti come già in passato. L’esecutivo regolamentò in questo modo una situazione già cristallizzata nella realtà, visto che molti ristoratori e punti della Grande distribuzione erano soliti permettere il cumolo di più buoni. In media, come ha scritto Repubblica, se ne usano tre o quattro insieme.
Una prassi che era però formalmente negata, come riportavano i vecchi buoni cartacei che avevano stampata la dicitura “non cumulabile”. La nuova configurazione apre così a una maggiore diffusione dello strumento, come testimonia la volontà di un colosso come Esselunga di aprire le porte ai buoni, finora non ammessi.
A complicare la situazione, nelle ultime settimane, è arrivata la grana Qui Ticket, uno dei colossi del settore che sta attraversando una crisi di liquidità, scandita da ritardi nei pagamenti. Il risultato è che decine di esercizi hanno smesso di accettare i ticket della società genovese, molte aziende hanno stralciato i contratti e tra i consumatori cresce la diffidenza.
“E’ fondamentale fare chiarezza. C’è una società che sta attraversando una fase problematica per difficoltà sue, ma il mercato dei buoni paso è in ottima salute” dice Luca Palermo, 47 anni, ad di Edenred, la società che emette i Ticket Restaurant, che poi aggiunge: “Il nostro è un settore in forte evoluzione, soprattutto tecnologica, ma per nulla in difficoltà. Secondo una ricerca che abbiamo appena condotto per capire il livello di apprezzamento verso lo strumento buono pasto da parte della rete degli esercenti, emerge che si tratta di uno strumento indispensabile per incrementare il giro d’affari del locale”.
I dipendenti temono che Qui sia la punta dell’iceberg e che presto gli esercizi commerciali smettano di accettare qualunque tipo di ticket.
E’ semplicemente impossibile. Oggi sono meno di 4 milioni i dipendenti che hanno i buoni pasto: è un numero destinato a crescere, grazie anche all’aumento della soglia di defiscalizzazione. Peraltro si tratta di uno strumento che spinge a consumare nel locali di prossimità.
C’è sempre qualcuno che chiede di sostituire i buoni pasto con soldi contanti.
Non avrebbe molto senso. I contanti in busta paga farebbero cumulo sul reddito venendo tassati, fuori busta non sarebbero controllati e poi magari non verrebbero spesi. Io dico che anzi bisognerebbe aumentare il valore dei buoni pasto, perché rappresentano consumi sicuri: sono fondi prefinalizzati a una spesa alimentare che risponde a un bisogno primario dell’individuo. Bisogna incentivare gli esercenti, anche di prossimità, ad accettarli.
Il governo Renzi ha provato a spingere i consumi con gli 80 euro in busta paga, esentasse, ma non ha funzionato.
Perché gli 80 euro non avevano una destinazione di spesa predefinita. Qualcuno li avrà usati per pagare le bollette, altri per saldare arretrati e altri per consumi alimentari. Con i buoni pasto non c’è alcun dubbio sulla finalizzazione della spesa.
Gli esercenti citano il caso Qui per lamentare il ritardo nei pagamenti.
Per Edenred e per gli altri emettitori sani la correttezza e la trasparenza nei pagamenti è prassi, è fuori discussione. Abbiamo anche dei servizi aggiuntivi che danno la possibilità di incassare anche in 5 giorni, certo c’è una commissione perché anche noi dobbiamo gestire i nostri flussi di cassa, ma in questo modo la liquidità non è più un problema. E’ chiaramente una scelta dell’esercente quella di aderire a questo servizio: una possibilità in più per far essere il sistema virtuoso e portare valore a tutte le sue componenti.
Allora perché tanta diffidenza?
Non confondiamo singoli episodi, che d’altronde accadono in ogni mercato, con “diffidenza”. In realtà i buoni pasto sono un’opportunità per tutti. Per lo Stato perché si sostengono i consumi che alimentano la domanda interna, per i dipendenti perché possono mangiare in modo sano o comprare gli alimenti che preferiscono e per gli esercizi commerciali perché si aprono a una clientela che altrimenti non avrebbero. E noi stiamo studiando soluzioni per aumentare la fidelizzazione delle persone.
Per esempio?
Lavoriamo per integrare i buoni pasto con altri sistemi di pagamento, pensiamo anche a strumenti di cashback e cerchiamo di aumentare la collaborazione con gli esercenti. Si può fare molto: il mercato è sano.
Professionisti, anche dalla Pa il contributo del 4% sulla parcella
FONTE:SOLE24ORE di Federica Micardi
Il Consiglio di Stato dà ragione alla Cassa di previdenza pluricategoriale (Epap), guidata da Stefano Poeta, e riconosce legittima l’applicazione del contributo integrativo al 4% anche per la pubblica amministrazione. Si tratta di una pronuncia storica che elimina – dopo anni – una disparità di trattamento tra settore pubblico e privato che, di fatto, pesava sulle future pensioni dei professionisti che lavorano in prevalenza o in esclusiva per la Pa.
Un disparità di trattamento che non riguardava tutte le professioni ordinistiche, ma in particolare quelle nate con il Dlgs 103/96. Quindi se commercialisti, avvocati e ingegneri applicano da anni un contributo integrativo superiore al 2% a tutte le commesse, senza distinzione tra pubblico e privato, questo non era permesso a biologi, psicologi, infermieri, geologi, chimici, attuari, dottori agronomi e forestali e periti industriali.
A mettere la parola fine a questa “ingiustizia” è la sentenza 4062/2018del Consiglio di Stato del 3 luglio che boccia il ricorso presentato dai ministeri del Lavoro e del’'Economia contro la sentenza del Tar del Lazio 966/2016.
Una querelle cominciata nel 2013 con il ricorso dell'Epap al Tar per la mancata approvazione della delibera che aumentava l’integrativo al 4% senza escludere la Pa e che vede le sue radici nella legge Lo Presti (legge 133/2011) che consentiva agli enti di previdenza dei professionisti nati con il Dlgs 103/1996 (Enpab, Enpap, Enpapi, Epap, ed Eppi) di elevare il contributo integrativo, che viene applicato su ogni parcella e addebitato al cliente, fino a un valore massimo del 5% invece del precedente 2%; questo contributo, che fino al 2011 andava a finanziare la sola gestione dell’ente, per un quarto poteva integrare le pensioni degli iscritti. Una legge introdotta perché le Casse nate con il “103” applicano il sistema di calcolo contributivo, che ha il vantaggio di garantire l’equilibrio finanziario dell’ente ma ha il grosso problema di erogare pensioni molto basse. La legge 133/2011 puntava proprio a creare le condizioni per pensioni un po’ più elevate, ma era stata approvata con la clausola di non generare «nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», un inciso che, per come interpretato fino ad oggi, commenta il Consiglio di Stato ha permesso «un'ingiustificabile ed insanabile disparità di trattamento che finirebbe per rendere peraltro recessiva, la finalità .. di garantire al libero professionista… un trattamento pensionistico adeguato».
FONTE:LEGGE PER TUTTI
Permessi per la malattia del figlio: come fare quando il bambino ha più di 8 anni e non è possibile sfruttare i giorni consentiti dalla legge.
Tuo figlio si è ammalato: ieri ti hanno chiamato dalla scuola pomeridiana perché scottava. In pochi minuti la febbre è salita a 38 e, durante la notte, è ulteriormente aumentata. Hai chiamato il pediatra che gli ha dato una cura di antipiretici e antibiotici. Nel frattempo, alla febbre si è aggiunta anche la tosse e il raffreddore. Ora bisognerà tenerlo riguardato in casa: ci vorrà non meno di una settimana affinché la malattia di tuo figlio passi definitivamente e lui possa dirsi davvero guarito. E visto che i tuoi genitori sono anziani, mentre tuo marito non può assentarsi dal lavoro, a badare a lui dovrai essere tu. Lo fai di buon grado: non c’è niente di più bello che stare accanto a lui, accarezzarlo e coccolarlo. Magari vi metterete insieme nel lettore a vedere qualche cartone animato. Il tuo problema è però un altro: come giustificare la tua assenza dal lavoro? Esistono dei permessi speciali? Cosa deve fare il lavoratore dipendente in caso di malattia di un figlio?
In questo articolo ti daremo le istruzioni per giustificare la tua assenza dal lavoro tutte le volte in cui un familiare stretto è ammalato. Ti spiegheremo come funziona, nel dettaglio, il congedo per la malattia del figlio, previsto per i casi meno gravi (come appunto la febbre) e, per i casi più gravi, il «congedo non retribuito per gravi motivi» e i «permessi retribuiti per grave infermità», senza poi tralasciare le norme previste per la tutela dei figli disabili.
Indice
Sia il padre che la madre hanno diritto ad assentarsi dal lavoro quando il figlio sta male. La legge non impone particolari limiti in merito al tipo di malattia del figlio, sicché deve ritenersi che il permesso spetti anche quando non si tratti di patologia particolarmente grave. Sono però previste delle condizioni in merito al numero di giorni fruibili nell’arco dell’anno e all’età del bambino; ne parleremo qui di seguito. Vediamo dunque come funziona il permesso per malattia del figlio.
Il permesso spetta alternativamente o al padre o alla madre. Non possono cioè assentarsi entrambi dal lavoro.
Il permesso per malattia del figlio inoltre non è retribuito. Non si ha quindi diritto alla retribuzione per i giorni in cui non si va a lavorare per prestare assistenza al bambino.
Il permesso spetta entro i seguenti limiti:
Tuttavia, se, all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore ha un’età compresa tra i 6 e i 12 anni, il congedo può essere fruito nei primi 3 anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
Dunque, a partire da 9 anni in su del bambino, il lavoratore non ha più diritto al permesso per malattia del figlio, a meno che ricorrano le seguenti condizioni. Comunque anche quando il figlio è grande, al limite si possono utilizzare i permessi generici, come le ex festività o riduzione orario di lavoro, o ancora banca ore, o ancora si possono prendere ferie.
Ad ogni dipendente spettano massimo tre giorni all’anno di permessi retribuiti in caso di decesso o documentata grave infermità del coniuge, dei figli, di un parente entro il 2° grado, di un soggetto componente la famiglia anagrafica.
L’interessato deve comunicare previamente al datore di lavoro l’evento che dà titolo al permesso ed i giorni nei quali esso sarà utilizzato.
Tutte le volte che un grave motivo personale ti impedisce di andare al lavoro puoi usufruire di un congedo non retribuito. Il motivo può riguardare te stesso, il tuo coniuge o il convivente (sempre che la convivenza risulti da certificazione anagrafica), i figli anche adottivi (o, in loro mancanza, i nipoti),i parenti o gli affini entro il 3° grado (anche non conviventi). All’elenco si aggiungono anche gli adottanti, i genitori e le nuore, il suocero o la suocera, i fratelli e le sorelle.
Il congedo può essere richiesto in presenza di uno dei seguenti “gravi motivi”:
Sono inoltre tutelate le patologie dell’infanzia e dell’età evolutiva aventi le caratteristiche sopra elencate o per le quali il programma terapeutico e riabilitativo richiede il coinvolgimento dei genitori o del soggetto che esercita la potestà.
Il congedo dura massimo due anni sfruttabili nell’arco di tutta la vita lavorativa del dipendente e può essere utilizzato per un periodo continuativo (cioè tutto in una volta) o frazionato. Di tale tempo si tiene conto ai fini dell’anzianità di servizio.
Durante il congedo il dipendente non può svolgere alcun altro tipo di attività lavorativa.
Per presentare la richiesta di congedo e per la relativa procedura devi confrontare il tuo contratto collettivo nazionale di lavoro: è lì che troverai l’intera disciplina. Il datore di lavoro è tenuto, entro 10 giorni dalla richiesta del congedo, a esprimersi sulla stessa e a comunicarne l’esito al dipendente.
La famosa legge 104 del 1992 riconosce ai familiari di persone disabili il diritto di fruire, in presenza di determinate condizioni, di permessi retribuiti o di congedi per la cura e l’assistenza del disabile.
Al genitore di un figlio disabile, a prescindere dall’età di questi, spettano 3 giorni di permesso retribuiti al mese. Al figlio devono essere stato riconosciuto lo stato di portatore di handicap ai sensi della legge 104, per cui deve essere sottoposto alla visita della commissione medica dell’Asl che deve pronunciarsi entro 90 giorni dalla data di presentazione della relativa domanda.
Se la Commissione non si pronuncia entro 45 giorni dalla presentazione della domanda, l’accertamento è provvisoriamente effettuato da un medico specialista (o da medici specialisti) nella patologia denunciata, in servizio presso l’ASL da cui è assistito l’interessato.
FONTE:LAVOROE DIRITTI
Numero Verde INPS: contatti telefonici del call center da cellulare, fisso e internet. Orari in cui INPS risponde su Naspi, pensione, richiesta pin e altro
Call center INPS numero verde
INPS numero verde è il servizio di contact center (o call center) messo a disposizione dall’Istituto Previdenziale per svolgere molteplici servizi via telefono.
In questa guida andremo a vedere come contattare il numero verde INPS da cellulare e da fisso, da Italia e da Estero, gli orari, l’elenco dei servizi disponibili via telefono per disoccupazioni, rilascio del PIN, maternità, ex Inpdap, ex Enpals, ex iPost, domande di pensione ecc. Vedremo infine altri servizi e contatti tipo INPS risponde per chiedere informazioni all’Istituto via internet.
Il call center INPS può essere raggiunto sia da rete mobile che da fisso. I numeri da comporre e il costo della telefonata però sono differenti, infatti se da fisso la telefonata è gratuita, da mobile si segue la tariffazione applicata dai diversi gestori.
Discorso a parte inoltre per i Numeri Verdi INPS Europei, infatti è possibile contattare l’INPS al numero verde da tutta Europa, ma a numeri differenti che andiamo ad elencare in seguito.
Il numero verde INPS da cellulare è 06 164 164, come detto anche se si tratta di un numero verde, la telefonata però non è gratuita. Per parlare con l’INPS da mobile infatti, si segue la tariffa applicata dalle diverse compagnie telefoniche.
Il numero verde INPS da fisso è 803 164, si tratta di un numero di telefono verde e in questo caso la telefonata è completamente gratuita. Per parlare con l’INPS da telefono fisso quindi l’utente non paga nessuna tariffa al minuto, come nel caso della telefonata da mobile.
INPS numero verde ovvero il Contact center o call center dell’Istituto Previdenziale è attivo nei seguenti orari:
Ovviamente anche se il call center INPS è raggiungibile da tutta Europa si fa riferimento all’ora italiana.
Oltre che ai contatti telefonici su elencati l’INPS risponde anche via internet (Voip), via Skype e via email:
Il Contact Center dell’Istituto risponde a richieste di informazione e assistenza da parte di lavoratori e pensionati INPS, di lavoratori assicurati all’INAIL e di utenti diversamente abili.
Si possono avere servizi informativi: sui contributi, sulla pensione, sulle domande di disoccupazione NASpI, indirizzi e orari degli uffici INPS, sul proprio cassetto previdenziale, su malattia e maternità ed altre prestazioni temporanee.
Servizi diretti: come richiesta di rilascio PIN, informazioni, domanda di NASpI, domanda di pensione, attivazione dei voucher, maternità e congedo parentale ecc.
Vi sono poi una serie di servizi automatici, per controllare lo stato di avanzamento delle pratiche presentate, ad esempio domande di naspi, maternità ecc, servizio automatico per la verifica dello stato dei pagamenti effettuati, Servizio automatico per la comunicazione del MAV per i contributi del lavoro domestico.
Potete trovare un elenco completo dei servizi tramite call center INPS nel file che alleghiamo a fondo pagina.
Segnaliamo infine INPS Risponde, l’ottimo servizio di assistenza online dell’Istituto messo a disposizione degli utenti registrati con PIN personale per ricevere informazioni.
Il servizio è rivolto a:
Dopo aver selezionato la categoria di appartenenza comparirà un ulteriore menù a tendina, dal quale si potrà scegliere l’argomento di cui si parla. Quindi si potrà compilare un campo di testo con la propria richiesta, ben dettagliata e specifica. Alla domanda potranno anche essere allegati dei documenti di supporto fino ad un massimo di 4 MB di grandezza.
Infine dopo aver compilato tutti i campi si potrà inoltrare la richiesta di servizio INPS Risponde, che verrà prontamente protocollata. Entro qualche giorno un consulente dell’Istituto provvederà a rispondere al quesito in maniera dettagliata. Ci sentiamo di consigliare questo servizio in quanto è veramente molto utile e ben fatto.
Come anticipato andiamo a fornire l’elenco dei numeri verdi per contattare INPS numero verde da tutta Europa e l’elenco completo e aggiornato dei servizi call center INPS (integrato INAIL).
Elenco servizi INPS Contact Center
» 37,9 KiB - 1.758 hits - 19 dicembre 2017
Elenco numeri INPS Europei
» 11,8 KiB - 496 hits - 19 dicembre 2017
Da PensioniOggi:
Sulla riforma delle pensioni il Governo prende tempo in attesa di trovare la quadra su regole, condizioni e risorse disponibili per la flessibilità in uscita. Come noto recentemente è stata presentata la proposta (in via ufficiosa) del consulente della Lega, Antonio Brambilla, tarata sul meccanismo di un'uscita con 64 anni e 36 di contributi oppure con 41 anni (e 5 mesi) di contributi a prescindere dall'età anagrafica senza il blocco del meccanismo degli adeguamenti alla speranza di vita e con un tetto alla contribuzione figurativa valorizzabile massimo di 2 o 3 anni (qui i dettagli).
La proposta ha suscitato diverse polemiche perchè abbina l'abolizione dell'ape sociale e, dunque, come più volte evidenziato rischia di avere un effetto boomerang proprio sulle categorie sociali più deboli che a fatica sono riuscite a trovare un minimo ristoro con l'assegno ponte gratuito dai 63 anni. Lavoratori con lunghe carriere discontinue o intervallate da periodi di integrazioni salariali e disoccupazione indennizzata difficilmente riuscirebbero a trovare beneficio dall'intervento in questione. Anzi potrebbero essere danneggiate. Per questo è necessario agire con prudenza. La proposta agevola sicuramente, invece, coloro che hanno lunghe carriere lavorative stabili e che guadagnerebbero un ulteriore canale di uscita a 64 anni.
La proposta della Lega avrebbe però una penalità per i lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995; il documento prevede un ricalcolo dei versamenti con il sistema contributivo di tutte le anzianità maturate successivamente al 1995. Il calcolo è meno impattante rispetto all'opzione al sistema contributivo di cui all'articolo 1, co. 23 della legge 335/1995 in quanto le anzianità maturate sino al 31 dicembre 1995 resterebbero comunque determinate con il sistema retributivo (a differenza di un'adesione pura al contributivo). In sostanza queste coorti sarebbero trattate come se non avessero raggiunto 18 anni di contributi al 1995; ottenendo il calcolo retributivo sino al 1995 e contributivo dal 1996 al pensionamento (con la Legge Dini e Fornero questi soggetti mantengono il sistema di calcolo retributivo sulle anzianità maturate sino al 31 dicembre 2011 e contributivo solo per la quota post 2011). Nessuna sforbiciata, invece, per quei soggetti che hanno meno di 18 anni di contributi al 1995 (e non sono pochi): per loro non cambierebbe nulla rispetto alle regole attuali.
Difficile fare i conti a priori sulla convenienza o meno di una simile proposta; dipende dalla carriera lavorativa dell'assicurato. E' luogo comune pensare che chi ha redditi alti ci perde e chi ha redditi bassi no. Non è detto. Nel sistema retributivo esistono, infatti, dei tetti che abbattono gradualmente la retribuzione pensionabile al di sopra di una determinata fascia reddituale (circa 46mila euro); questi tetti, in sostanza, agiscono nel senso di ridurre il "rendimento" della pensione per chi percepisce redditi molto elevati; il sistema contributivo, invece, si caratterizza per l'assenza di qualsiasi meccanismo di abbattimento della retribuzione pensionabile con la conseguenza che, quindi, si può tradurre in pensione l'intera retribuzione imponibile percepita.
Già in occasione della Legge Fornero che aveva sancito il passaggio al contributivo dal 2012 per chi aveva 18 anni di contributi al 31.12.1995 il legislatore dovette intervenire introducendo un tetto (articolo 1, co. 707 della legge 190/2014) che in sostanza bloccava la crescita della quota contributiva pensione al di sopra di un certo limite. Per non premiare paradossalmente dirigenti, magistrati, professori universitari e alte cariche dello stato. In definitiva chi ha avuto retribuzioni elevate e stabili dal 1996 in poi potrebbe addirittura guadagnarci da un intervento di questo tipo. Per tutti gli altri assicurati il calcolo sarà meno favorevole e dovranno lasciare qualcosa per strada in cambio dell'uscita anticipata.
Pensioni, ecco quando possono essere neutralizzate le ultime retribuzioni
Un vademecum utile dopo le ultime sentenze della giurisprudenza che hanno rinvigorito il principio secondo il quale gli ultimi anni a stipendio ridotto non possono svalutare la quota retributiva dell'assegno.
Come noto molti lavoratori si chiedono gli ultimi anni di lavoro a stipendio ridotto possano e in che misura svalutare l'importo della pensione futura. Si tratta di una questione ci portiamo dietro dal passato allorchè con il sistema retributivo la misura della pensione veniva determinata in funzione degli stipendi percepiti negli ultimi cinque o dieci anni a seconda dei casi prima della decorrenza della pensione. Così che una riduzione degli stipendi o della retribuzione pensionabile prima dell'accesso alla pensione, magari determinata da eventi figurativi come la disoccupazione, un'integrazione salariale, o la prosecuzione volontaria dell'assicurazione IVS o ancora un cambio di lavoro, avrebbe determinato un effetto negativo sull'importo da liquidare.
Che il tema era delicato lo si avvertì sin da subito dato che il legislatore nel codificare le regole del sistema retributivo con la legge 297/1982 e con il Dlgs 503/1992 non ebbe a preoccuparsi lasciando la materia interamente in mano alla giurisprudenza costituzionale e di legittimità. I giudici sin dalla fine degli anni '80 furono chiamati più volte a valutare la conformità di questo meccanismo precisando i limiti a tutela della pensione del lavoratore.
Le regole attualmente fissate dalla giurisprudenza costituzionale sono orientate ormai nel senso che l'eventuale contribuzione riferita ad anzianità successive alla maturazione del diritto a pensione possono essere sterilizzate su richiesta del lavoratore all'Inps se determinano un detrimento nella misura della pensione. In altre parole una volta raggiunto il requisito contributivo minimo per accedere alla pensione di vecchiaia o alla pensione di anzianita' (ora pensione anticipata) l'eventuale ulteriore contribuzione accreditata può essere neutralizzata, su richiesta dell'assicurato, ove il suo conteggio produca un nocumento sulla quota retributiva della pensione.
Le principali casistiche
La predetta facoltà è stata riconosciuta in particolare entro il limite massimo delle ultime 260 settimane contributive nel caso di rioccupazione del lavoratore a retribuzione inferiore (Corte Cost. 264/1994, Circ Inps 133/1997; Messaggio inps 12002/2006) o nel caso di disoccupazione indennizzata (Corte Cost. 82/2017) e, anche a prescindere dal limite massimo delle ultime 260 settimane contributive, nel caso di periodi figurativi di integrazione salariale (Corte Cost. 388/1995; Circ Inps 158/1996) nonchè nei casi di contribuzione volontaria (Corte Cost. 432/1999; Circ Inps 127/2000). La predetta facoltà, valida per la generalità dei lavoratori dipendenti del settore privato, nel caso di pensione di anzianita' può essere esercitata, peraltro, anche al compimento dell'età pensionabile da parte degli interessati (Corte Cost. 428/1992; Circ Inps 155/1993).
In forza di questo principio, ad esempio, un lavoratore che va in pensione di vecchiaia con 66 anni e 25 anni di contributi di cui gli ultimi 2 anni con retribuzioni più basse causate dal cambio dell'attività lavorativa dipendente può chiedere che la parte retributiva della pensione venga calcolata senza tener conto degli ultimi due anni di contributi ove l'importo così sia più favorevole. Attenzione ad un fattore però. Se il periodo per il quale si chiede lo scomputo è necessario per l'acquisizione del diritto alla pensione la neutralizzazione non può operare. Ad esempio se il lavoratore andasse in pensione di vecchiaia con 66 anni e 20 anni di contributi di cui gli ultimi due derivanti da retribuzioni ridotte lo scomputo non può aver luogo essendo tale contribuzione necessaria a far maturare il diritto a pensione. La sterilizzazione, inoltre, ha effetto solo sulle quote di pensione soggette al sistema retributivo; non opera sulla parte contributiva della pensione non potendo questa quota risultare danneggiata dal predetto meccanismo.
Ape Volontario, Chi può optare per il finanziamento supplementare
Le coorti dei nati dopo il 1953 dovranno scegliere, al momento della domanda di accesso all'APE, se ottenere un finanziamento supplementare in caso di successivo spostamento della data di pensionamento causa speranza di vita.
Anticipo pensionistico più costoso per i nati dopo il 31 dicembre 1953. Colpa della speranza di vita che rende incerta la data di pensionamento di vecchiaia e, quindi, non consente di determinare a priori la durata del prestito. Il prossimo 1° gennaio 2021 è, infatti, in calendario un nuovo adeguamento alla speranza di vita che secondo le stime attuali dovrebbe essere di tre mesi; l'adeguamento porterà l'età di vecchiaia dai 67 anni (che scatteranno il 1° gennaio 2019) a 67 anni e 3 mesi. Riverberandosi inevitabilmente sull'operazione prestito pensionistico allungandone la durata e, quindi, il costo per il pensionando.
La questione interessa le coorti dei nati dal 1° gennaio 1954 dato che i nati prima della predetta data conoscono già l'età di pensionamento di vecchiaia intervenendo questa nel biennio 2019-2020. Per risolvere la questione il DPCM 150/2017 ha previsto la possibilità per i lavoratori di chiedere, al momento della presentazione della domanda di accesso all'anticipo con garanzia pensionistica all'Inps, la corresponsione di un finanziamento supplementare da parte dell'intermediario finanziario pari alla durata del prossimo adeguamento istat quando sarà comunicato.
In questo modo il lavoratore percettore dell'Ape non rischierà di restare senza redditi per il periodo di slittamento tra la cessazione dell'erogazione del prestito, secondo la data stabilita al momento della domanda, e quella di effettivo pensionamento.
Un esempio può aiutare a comprendere il meccanismo. Marco è un assicurato nel Fpld nato il 15 gennaio 1954 che presenta domanda di anticipo agli inizi del 2019. A legislazione vigente il pensionamento di vecchiaia è previsto il 1° febbraio 2021 al compimento di un'età anagrafica di 67 anni. E pertanto la durata del prestito pensionistico è tarata per cessare a gennaio del 2021. Se nel 2020 l'Istat comunicasse un ulteriore slittamento di tre mesi dell'età pensionabile dal 1° gennaio 2021 per Marco l'età di accesso alla pensione, e quindi di inizio restituzione del prestito, si sposterebbe di altri tre mesi al maggio 2021. Il DPCM 150/2017 concede la scelta, quindi, a Marco se farsi o meno erogare il prestito anche per questi ulteriori tre mesi o meno.
Nella prima ipotesi il prestito si interromperà ad Aprile del 2021 assicurandogli continuità di reddito sino al pensionamento; nella seconda ipotesi il prestito si interromperà comunque a gennaio 2021 e Marco resterà tre mesi senza prestito sino alla maturazione della nuova età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia. Per questo motivo al momento di presentazione della domanda di accesso all'Ape Marco dovrà indicare se accedere al finanziamento supplementare nell'ipotesi in cui la data di pensionamento slitti nel periodo di erogazione dell'Ape oppure meno. Naturalmente se si sceglie per il prolungamento i costi di restituzione saranno ben più elevati perchè si dovrà ammortizzare il peso di altre tre mensilità di anticipo, l'allungamento del piano di accumulo e la rideterminazione del premio per la polizza assicurativa e la commissione di accesso al fondo di garanzia statale. Anche se rifiuta il finanziamento supplementare Marco dovrà comunque sottostare ad un piano di ammortamento più costoso rispetto a quello preventivato al momento della domanda a causa dell'allungamento dei tempi di restituzione del prestito che inizieranno con un ritardo di tre mesi. In definitiva qualunque sia la scelta i costi del prestito pensionistico saranno rivisti al rialzo.
Soltanto nell'ipotesi in cui nel 2021 lo slittamento dell'età pensionabile si rivelasse nullo (o venisse posticipato da successivi interventi legislativi) non ci sarà alcuna rideterminazione del piano di ammortamento.
Buste Paga, Così le sanzioni per chi paga in contanti dal 1° Luglio
Dal 1° luglio i datori di lavoro e committenti sono tenuti a erogare ai lavoratori retribuzione e compensi, nonché ogni acconto di essi, solo attraverso una banca oppure un ufficio postale facendo uso di specifici mezzi di pagamento.
Sanzioni in chiaro per chi non rispetti l'obbligo della tracciabilità del pagamento degli stipendi. I datori di lavoro che corrispondano la paga in contanti dal 1° luglio 2018 saranno oggetto di una sanzione da 1.000 a 5.000 euro per ogni mensilità di paga per la quale sia stato consumato l'illecito, a prescindere dal numero dei lavoratori che ne sono stati interessati. Lo ha precisato ieri l'INL, l'ispettorato nazionale del lavoro nella nota protocollo n. 5828/2018.
Come noto a seguito della legge di bilancio per il 2018 dal 1° luglio 2018 è scattato l'obbligo per i datori di lavoro e per i committenti di erogare ai lavoratori retribuzione e compensi, nonché ogni acconto di essi, solo attraverso una banca oppure un ufficio postale facendo uso di specifici mezzi di pagamento. I trasgressori saranno puniti con l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 a 5.000 euro. Con alcuni quesiti indirizzati all'Inl è stato chiesto di sapere come si calcola la nuova sanzione.
Il calcolo della sanzione
Secondo l'INL il regime sanzionatorio deve essere riferire alla totalità dei lavoratori in forza presso il singolo datore di lavoro; di conseguenza, la sua applicazione prescinde dal numero di lavoratori interessati dalla violazione. Se si tratta di un solo dipendente o di mille cui sia stata erogata la retribuzione in moneta contante, la sanzione per la violazione sarà sempre calcolata nell'importo compreso da 1.000 a 5.000 euro. Tuttavia, aggiunge l'Inl, in relazione alla consumazione dell'illecito, il riferimento all'erogazione della retribuzione (che per lo più avviene a cadenza mensile) comporta l'applicazione di tante sanzioni quante sono le mensilità per cui si è protratto l'illecito. Ad esempio, se la violazione è stata protratta per tre mensilità con riferimento a due lavoratori, la sanzione calcolata ai sensi dell'art. 16 della legge n. 689/1981 sarà pari a: euro 1.666,66 (importo sanzione mensile) x 3 (mesi per i quali c'è stata violazione) = 5.000 euro. L'INL rammenta che, ai sensi dell'art. 16, è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta pari alla terza parte del massimo o, se più favorevole e se è stabilito un minimo della sanzione edittale, pari al doppio del minimo entro il termine di 60 giorni. Poiché, come detto, la sanzione è svincolata dal numero di lavoratori per i quali c'è stata violazione, l'importo di 5.000 andrà versato per i tre mesi per i quali c'è stata violazione anche se i lavoratori interessati sono in numero minore o maggiore di due, rispetto all'esempio.
Modalità di pagamento
Circa gli strumenti elettronici di pagamento richiesti dalla nuova norma, l'Inl spiega che vi rientra la carta di credito prepagata intestata al lavoratore anche se non collegata a un Iban; in tal caso, per consentire l'effettiva tracciabilità dell'operazione eseguita, il datore di lavoro è tenuto a conservare le ricevute di versamento anche ai fini della loro esibizione agli organi di vigilanza. A tal proposito, l'Inl rammenta che la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell'avvenuto pagamento della retribuzione.
In relazione a soci lavoratori di cooperativa che siano anche "prestatori" (ovvero intrattengano con la cooperativa un rapporto di prestito sociale) appare altresì conforme alla ratio della norma il pagamento delle retribuzioni attraverso versamenti sul "libretto del prestito", aperto presso la medesima cooperativa, a condizione che: tale modalità di pagamento sia stata richiesta per iscritto dal socio lavoratore "prestatore"; il versamento sia documentato nella "lista pagamenti sul libretto" a cura dell’Ufficio paghe e sia attestato dall’Ufficio prestito sociale che verifica l’effettivo accreditamento il giorno successivo alla sua effettuazione.
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Le parti sociali e datoriali hanno raggiunto lo scorso 4 Luglio l'accordo che aggiorna ed integra il Fondo di solidarietà di settore per gli autoferrotranvieri. Ne da' notizia un comunicato stampa congiunto diffuso Asstra, Anav, Agens e Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Faisa-Cisal e Ugl-Fna. L'accordo si è reso necessario per adeguare lo statuto del Fondo ai diversi aggiornamenti legislativi che hanno modificato il sistema degli ammortizzatori sociali a seguito del Dlgs 148/2015 (Riforma del Job Act).
Come noto il Fondo settoriale, istituito l'8 Luglio 2013 e regolato nel DI numero 86985 del 9 gennaio 2015 successivamente modificato dal DI numero 97510 del 17 Ottobre 2016, ha lo scopo di sostenere il reddito dei lavoratori del settore, in caso di crisi aziendali che possono determinare la sospensione temporanea o la cessazione dell'attività lavorativa, in particolare, di: assicurare ai lavoratori una tutela in costanza di rapporto di lavoro mediante l’erogazione di un assegno ordinario nei casi di riduzione o sospensione temporanea dell’attività lavorativa per le causali previste per la cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria; una prestazione integrativa per i lavoratori che già ricevono l'indennità di disoccupazione (Naspi); l'accesso a programmi di riconversione o riqualificazione professionale del personale in esubero attraverso apposite convenzioni con i fondi interprofessionali; assegni straordinari per il sostegno al reddito nell’ambito di programmi di incentivo all’esodo.
Il nuovo accordo, recepisce i diversi aggiornamenti legislativi che hanno modificato il sistema degli ammortizzatori sociali a seguito del Dlgs 148/2015. In particolare grazie al nuovo accordo le prestazioni ordinarie del Fondo potranno essere erogate anche nel caso in cui le Aziende attivino contratti di solidarietà (attualmente fuori dal perimetro di intervento) e sarà rafforzata l’integrazione della NASpI, dovuta in relazione a cessazioni collettive o individuali del rapporto di lavoro per ragioni aziendali ovvero per risoluzione consensuale a seguito della procedura prevista per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. L'accordo prevede che l'integrazione della disoccupazione indennizzata sia assicurata per tutta la durata della prestazione della NASpI in misura pari al massimale della naspi (cioè nell’importo riconosciuto per i primi tre mesi) maggiorato di euro 250 mensili per tutto il periodo di fruizione della NASpI (attualmente l'importo aggiuntivo riconosciuto è pari a 173 euro). L'accordo dovrà essere recepito dal Ministero del Lavoro e pubblicato in apposito decreto attuativo.