Parere Aran sulle modalità di fruizione dei permessi orari
Fonte:ARAN
È possibile consentire la fruibilità dei permessi orari retribuiti di cui all’art. 32 del CCNL Funzioni centrali del 12/2/2018 anche a minuti, per i periodi eccedenti la prima ora? (Comparto funzioni centrali)
La previsione contenuta nel comma 2, lett. b) dell’art. 32 è finalizzata ad evitare una eccessiva frammentazione dei permessi, che potrebbe essere determinata da un utilizzo dell'istituto periodico o frequente, anche se temporalmente circoscritto nella durata.
Coerentemente con tale finalità, evitando al contempo problematiche applicative non facilmente gestibili, si ritiene che l'espressione "non sono fruibili per frazione di ora" possa essere interpretata nel senso che i permessi in questione non sono fruibili per un arco temporale inferiore ad una sola ora.
Conseguentemente, il dipendente non potrà fruirne per 20 o anche per 50 minuti, mentre si ritiene possibile, in coerenza con la finalità ricordata, l'utilizzo per periodi composti da un'ora o da un numero intero di ore, seguiti da frazioni di ora (ad esempio, un'ora e quindici minuti, un'ora e trenta, due ore e venti ecc.).
Qual è il comportamento corretto da tenere nel caso in cui, nell'arco della stessa giornata lavorativa, dopo aver fruito di un permesso retribuito ex art. 32 del CCNL Funzioni Centrali, si rendesse necessario ricorrere anche ai permessi previsti dall' art. 33 della legge 104/92 o dall'art. 39 del d.lgs. 151/2001, considerato che l’art. 32 prevede il divieto di cumulo con altri permessi fruibili ad ore? (Comparto funzioni centrali)
La clausola in materia di divieto di cumulo (art. 32, comma 2, lett. d) è finalizzata ad evitare che, attraverso la fruizione nell'arco della stessa giornata dei permessi per motivi personali e familiari, unitamente ad altre tipologie di permessi, l'assenza del dipendente si protragga per l'intera giornata o per buona parte di essa, con conseguenze negative in termini di efficienza ed efficacia dell'attività dell'amministrazione e dei servizi erogati.
Preliminarmente, si osserva che tale clausola consente certamente la fruizione, nella stessa giornata, di più di un permesso per motivi personali e familiari (ad esempio, fruizione di un permesso di un’ora, seguito da rientro al lavoro e dalla fruizione di altro permesso della medesima tipologia di un’altra ora). Infatti, il limite ivi previsto alla fruizione nella stessa giornata, congiuntamente ad altri permessi, riguarda solo “altre tipologie di permessi fruibili ad ore” e, quindi, non anche altri permessi della medesima tipologia.
In ogni caso, pur confermando che le corrette modalità di applicazione debbano tendere a non snaturare la ratio e le finalità dell'istituto, si è dell'avviso che le amministrazioni possano individuare alcuni spazi di flessibilità applicativa, tenuto conto che il limite alla fruizione è posto al fine di tutelare un interesse organizzativo delle stesse.
In tale ottica, sulla base di modalità definite in modo uniforme per tutti i lavoratori, si ritiene possibile consentire, ad esempio, la fruizione del permesso per motivi personali e familiari - ferme restando, in ogni caso, le valutazioni di compatibilità con le esigenze di servizio - anche nei casi in cui, nella stessa giornata, il dipendente abbia fruito o intenda fruire di altra tipologia di permesso orario, che configuri un suo diritto soggettivo, non limitato da alcuna valutazione di compatibilità con le esigenze di servizio, come nel caso dell'art. 33 della legge n. 104/1992 o dell'art. 39 del d. lgs. n. 151/2001.
Prolungamento congedo parentale: è fruibile frazionato ad ore?
Il prolungamento del congedo parentale può essere fruito ad ore?
FONTE:INVESTIRE OGGI di Patrizia Del Pidio,
Buonasera,
con la presente per chiederle gentilmente, se il prolungamento congedo parentale per figlio in disabilità legge 104 art.3 comma3 è fruibile a ore come il normale congedo parentale di mesi 6. In attesa di una vostra risposta porgo cordiali saluti.
Il prolungamento del congedo parentale è un ulteriore astensione facoltativa dal lavoro che si somma al congedo parentale ordinario qualora i genitori lavoratori dipendenti abbiano figli minori di 12 anni in situazione di handicap grave così come previsto dall’articolo 33 della legge 104/92.
Il prolungamento del congedo parentale può essere fruito sia in maniera continuativa che frazionata per un periodo (comprensivo del congedo parentale ordinario) non superiore a 3 anni. Il prolungamento può essere utilizzato in maniera frazionata a giorni, settimane o mesi ma non, come il congedo parentale ordinario, ad ore.
I genitori possono utilizzare il prolungamento del congedo parentale entro il compimento del dodicesimo anno di vita del bambino per un massimo di 3 anni comprensivi anche del congedo parentale ordinario. Il prolungamento decorre dalla conclusione del normale congedo parentale.
Quindi per rispondere alla sua domanda non può fruire del prolungamento del congedo parentale ad ore, ma soltanto con la frazionabilità a giorni, settimane o mesi.
Licenziamento nullo se l’iter è sbagliato
FONTE:SOLE24ORE di Vincenzo Giannotti
È nullo il licenziamento di un dipendente pubblico che, nel procedimento disciplinare, non abbia avuto le garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori del diritto alla difesa; la nullità si verifica nonostante l'interessato abbia fornito un'autocertificazione non veritiera al momento dell'assunzione, sostenendo di non svolgere altro lavoro o professione, mentre era dipendente a tempo indeterminato presso altro ente pubblico. Le indicazioni arrivano dalla sentenza n. 13667/2018della Cassazione.
Falsa timbratura del cartellino, dipendente in obbligo con la Pa anche senza condanna penale
FONTE:SOLE24ORE di Domenico Irollo
Il dipendente pubblico che attesti falsamente la propria presenza in servizio deve risarcire alla propria amministrazione il danno all'immagine, a prescindere dalla condanna in sede penale. A chiarirlo la Corte dei Conti della Sardegna con la sentenza n. 111/2018
Pa, si allungano i tempi dei pagamenti
Fonte: http://www.adnkronos.com
Da inizio anno ad oggi sono tornati ad aumentare i tempi medi di pagamento della nostra Amministrazione pubblica. Se nel 2017 il compenso veniva corrisposto dopo 95 giorni dall'emissione della fattura - contro i 30 stabiliti dalla normativa europea che possono salire a 60 per alcune tipologie di forniture, come quelle sanitarie - nell'anno in corso la media è salita a 104 giorni. E' quanto emerge da una elaborazione dell'Ufficio studi della Cgia. La stima, al netto della quota riconducibile ai ritardi fisiologici (ovvero entro i 30/60 giorni come previsto dalla legge), è che le imprese fornitrici vanterebbero circa 30 miliardi di crediti dalla Pa.
IN EUROPA - Sul fronte dei dati sui tempi medi di pagamento, il confronto con i risultati dei principali paesi europei è impietoso. Mentre in Italia i giorni medi necessari riferiti al 2018 sono saliti a 104, in Spagna e in Francia ci vogliono rispettivamente 56 e 55 giorni per liquidare i fornitori. In Germania, invece, il dato è salito a 33 giorni, mentre nel Regno Unito si è attestato a 26.
"Siamo maglia nera in Ue e nonostante le promesse fatte in questi ultimi anni - dichiara Paolo Zabeo coordinatore dell'Ufficio studi - gli enti pubblici continuano a liquidare i propri fornitori con ritardi inammissibili, mettendo in seria difficoltà soprattutto le imprese di piccola dimensione che, da sempre, sono sottocapitalizzate e a corto di liquidità. E sebbene da almeno 3 anni chi lavora per il pubblico ha l'obbligo di emettere la fattura elettronica, ancora adesso il sistema informatico messo a punto dal ministero dell'Economia non è in grado di stabilire a quanto ammonta complessivamente il debito commerciale della nostra Pa; una situazione surreale" osserva.
SPLIT PAYMENT E IVA - La Cgia sottolinea poi che dall'inizio del 2015 ha fatto il suo "debutto" lo split payment. Questa misura obbliga le amministrazioni centrali dello Stato (e dal 1° luglio 2017 anche le aziende pubbliche controllate dallo stesso) a trattenere l'Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all'erario. L'obbiettivo è stato quello di contrastare l'evasione fiscale, ovvero, evitare che una volta incassata dal committente pubblico, le aziende fornitrici, che secondo Banca IFIS nel 2017 sono state circa 1 milione, non la versino al fisco.
Il meccanismo ha però provocato molti problemi finanziari a tutti coloro che con l’evasione, invece, nulla hanno a che vedere. Vale a dire la quasi totalità delle imprese. "La nostra Pa - afferma il segretario della Cgia Renato Mason - non solo paga con un ritardo inaudito e quando lo fa non versa più l'Iva al proprio fornitore".
Pertanto, le imprese che lavorano per lo Stato, oltre a subire tempi di pagamento spesso irragionevoli, scontano anche il mancato incasso dell'Iva che, "pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidità per fronteggiare i pagamenti correnti. Questa situazione, associandosi alla contrazione degli impieghi bancari nei confronti delle imprese in atto in questi ultimi anni, ha peggiorato la tenuta finanziaria di moltissime piccole aziende", conclude.
Da PensioniOggi:
Così si ridurranno le pensioni dal 2019 a causa della speranza di vita
E' l'effetto occulto della pubblicazione dei nuovi coefficienti di trasformazione dei montanti contributivi. Per agganciare il medesimo valore della pensione occorrerà lavorare di più.
I lavoratori che andranno in pensione dal 1° gennaio 2019 riceveranno assegni leggermente più bassi a causa della revisione dei coefficienti di trasformazione dei montanti contributivi. Come già anticipato da Pensioni Oggi la riduzione scatterà dal prossimo anno in occasione dell'aumento della speranza di vita di cinque mesi per gli assicurati presso forme di previdenza pubbliche obbligatorie.
I nuovi coefficienti, in tabella sono riportati i nuovi valori, faranno registrare una riduzione che a seconda dell’età di accesso alla pensione, che oscilla tra l'1 ed il 2% a seconda dell'età di pensionamento con picchi più elevati al crescere dell'età alla decorrenza della pensione. Va sempre detto che la riduzione si riferisce alla sola quota contributiva dell'assegno (cd. quota C); nessuna riduzione si verifica rispetto alla quota retributiva che non risente di tale meccanismo di calcolo.
Quanto si è perso un ventennio
La tavola mostra anche la riduzione complessiva dei coefficienti dal momento in cui sono stati introdotti, con la Riforma Dini del 1995, al prossimo biennio. Come si nota dal 1996 al 2019 la riduzione media è risultata superiore al 12% con picchi del 16% nella fascia di età tra i 64 e i 65 anni. La diminuzione risulta inferiore per chi si pensiona ad un'età superiore ai 65 anni perchè la Legge Fornero del 2011 ha previsto la fissazione di coefficienti di trasformazione per l'età tra i 66 e i 70 anni prima assenti.
Come era stato già spiegato su Pensioni Oggi significa teoricamente un assicurato che deve tradurre in pensione il montante contributivo accumulato all'età di 57 anni nel 2019 otterrà una prestazione inferiore del 12,25% rispetto a quanto avrebbe ottenuto se fosse uscito nel 2000 alla medesima età anagrafica. Perchè la pensione dovrà essere erogata per un periodo di tempo superiore (neutralità attuariale) rispetto a quanto era previsto nel 2000 sulla base della nuova aspettativa di vita. Per riagganciare il medesimo valore il lavoratore dovrebbe pensionarsi non più a 57 anni ma a 61 anni, ben quattro anni più tardi, per compensare l'effetto della speranza di vita. Se il pensionato avesse avuto nel 2000 un'età di 61 anni per tramutare in pensione la stessa cifra nel prossimo biennio dovrebbe attendere i 67 anni pena una riduzione dell'assegno del 14,16%.
Dal 1° gennaio 2018 le attività gravose sono diventate 15 e guadagnano anche l'esenzione dal prossimo scatto di cinque mesi della speranza di vita.
Le Agevolazioni per i lavori cd. Gravosi
Il dizionario di PensioniOggi.it
La Legge di bilancio per il 2018 ha rafforzato, a partire dal 1° gennaio 2018, i benefici pensionistici in favore dei soggetti che svolgono attività particolarmente gravose o difficoltose. La categoria dei lavori gravosi, come noto, è stata declinata dalla legge 232/2016 (la cd. finanziaria 2017) a seguito del confronto tra governo e parti sindacali del settembre 2016 per dare un ristoro parziale a quei soggetti che svolgono lavori faticosi e pesanti in misura tale, tuttavia, non poter godere dei benefici, ben più robusti, previsti per i lavori usuranti di cui al decreto legislativo numero 67 del 2011.
Le caratteristiche delle attività gravose
Gli allegati C ed E alla predetta legge 232/2016 come attuati dai DPCM numero 87 e dal DPCM numero 88 del 16 Giugno 2017 hanno incluso all'interno delle suddette attività "gravose" undici categorie professionali di lavoratori dipendenti tra cui: 1) gli operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; 2) conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni; 3) conciatori di pelli e di pellicce; 4) conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante; 5) conduttori di mezzi pesanti e camion; 6) personale delle professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni; 7) addetti all’assistenza di persone in condizioni di non autosufficienza; 8) insegnanti della scuola dell’infanzia ed educatori degli asili nido; 9) facchini, addetti allo spostamento merci e assimilati; 10) personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia; 11) operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti.
A queste categorie dal 1° gennaio 2018 la legge di bilancio ha aggiunto ulteriori quattro attività (i cui dettagli sono contenuti nel decreto del ministero del lavoro del 5 febbraio 2018). Si tratta dei: 12) siderurgici di prima e seconda fusione e lavoratori del vetro addetti a lavori ad alte temperature non già ricompresi nel perimetro dei lavori usuranti; 13) Operai dell'agricoltura, della zootecnia e pesca; 14) Pescatori della pesca costiera, in acque interne, in alto mare dipendenti o soci di cooperative; 15) Marittimi imbarcati a bordo e personale viaggiante dei trasporti marini ed acque interne (l'attestazione dello svolgimento dell'attività gravosa deve essere prodotta dal datore di lavoro attraverso il modulo Ap116 recentemente aggiornato dall'Inps).
La Legge di bilancio per il 2018 ha allentato, inoltre, alcuni requisiti che nel 2017 hanno determinato il respingimento di molte istanze. Dal 1° gennaio 2018 è stato infatti stabilito che, per avere diritto ai benefici di cui a breve si dirà, il lavoratore deve aver svolto le predette attività in un periodo di tempo pari almeno a sei anni negli ultimi sette oppure per almeno sette anni negli ultimi dieci anni prima del pensionamento. Dal 1° gennaio 2018, viene inoltre meno il vincolo di una tariffa inail per la specificità professione svolta non inferiore al 17 per mille. Con riferimento agli operai agricoli si precisa, infine, che l'anno di lavoro intero si considera raggiunto con 156 giornate di lavoro.
Gli anticipi pensionistici
Nel 2018 le categorie di lavoratori sopra indicate hanno facoltà di chiedere l'APe sociale se in possesso di almeno 63 anni e almeno 36 anni di contributi, oppure, se più favorevole, la facoltà di ritirarsi con la pensione anticipata al raggiungimento di 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica a condizione, però, di vantare almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del 19° anno di età. In sostanza dal 1° gennaio 2018 questi due ordini di benefici, introdotti dal 1° maggio 2017 con la legge 232/2016, vengono estesi alle ulteriori quattro categorie di lavoratori sopra individuate. Dal 1° gennaio 2018 il requisito contributivo per l'ape sociale (36 anni) può, inoltre, essere ridotto per le donne di un anno per ogni figlio entro un massimo di due anni.
L'accesso ai due ordini di benefici resta sempre ancorato ad un vincolo di bilancio annualmente stabilito: nel caso le risorse risultassero insufficienti all'accoglimento di tutte le domande in possesso dei requisiti previsti dalla legge l'Inps comunicherà, in esito ad una procedura di monitoraggio, il posticipo della data di decorrenza del beneficio.
Lo sconto di cinque mesi sulla pensione
Oltre a questi benefici la legge di bilancio per il 2018 ha disposto l'esenzione dal prossimo adeguamento alla speranza di vita (che scatterà dal 1° gennaio 2019) per la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata a condizione di aver aggiunto un minimo di 30 anni di contribuzione e di non risultare titolare, al momento del pensionamento, dell'Ape sociale. In sostanza le predette 15 categorie professionali sopra individuate potranno continuare ad accedere alla pensione di vecchiaia con 66 anni e 7 mesi invece che 67 anni e con la pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi le donne) invece che rispettivamente 43 anni e 3 mesi e 42 anni e 3 mesi, uno sconto di cinque mesi che si trascinerà poi anche per il periodo successivo al 2020. L'esenzione dall'adeguamento non riguarda il beneficio contributivo ridotto di 41 anni per i cd. lavoratori precoci.
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Pensioni d'oro, Damiano: Ok al taglio degli assegni superiori a 5mila euro netti
Ma l'intervento sia effettuato introducendo un contributo di solidarieta'. "Impossibile procedere al ricalcolo con il contributivo"
È giusto che si intervenga nuovamente sulle pensioni d’oro e che il ministro Di Maio accolga la nostra proposta di soglia al di sopra della quale intervenire: cioè, i 5.000 euro netti mensili”. Lo dice Cesare Damiano, del Partito Democratico, a proposito delle parole del ministro Luigi Di Maio sulle pensioni d’oro.
Poi, ricorda: “Nel passato per queste pensioni era già stato adottato il contributo di solidarietà e, inoltre, quando sono stato ministro del Lavoro, ho congelato per un anno l’indicizzazione delle pensioni nella parte superiore alle 8 volte il minimo, cioé 4.000 euro lordi mensili. Quindi, niente di nuovo sotto il sole. Il punto è il metodo che si adotta per fare questo tipo di intervento. Se è quello del ricalcolo delle pensioni in essere, continuo a non essere d’accordo perché si sdogana un principio che potrebbe, in seguito, essere applicato alle pensioni più basse, quelle degli operai, come via più facile per fare, all’occorrenza, un bel po’ di cassa. Come sappiamo le pensioni sono state utilizzate nel passato come mucca da mungere per risanare il debito. Meglio non correre nuovamente il rischio. Sarebbe paradossale che un governo che si è fatto paladino, nella propaganda elettorale, del miglioramento del sistema pensionistico, aprisse il varco a un intervento che potrebbe portare al ricalcolo delle pensioni in essere. L’alternativa che noi proponiamo, già sperimentata, è ancora quella di un congruo contributo di solidarietà che porti lo stesso risultato di risparmio. Faccio notare, inoltre, che le pensioni dei dipendenti pubblici si basano sull’ultimo stipendio: quindi, se i calcoli non esistono non si possono fare i ricalcoli. È sufficiente rileggere le dichiarazioni, a questo proposito, dei dirigenti dell’Inps nelle audizioni alla Commissione Lavoro della Camera nella scorsa legislatura. Facciamo il ricalcolo solo per i dipendenti privati?”. Infine, conclude: “Tagliare le pensioni d’oro non deve essere una mossa propagandistica: se si applicasse la flat tax, ai pensionati più ricchi, si restituirebbe molto più di quello che si dichiara di voler togliere”.
Damiano sfida poi M5S e Lega sulla flessibilità in uscita. La proposta che si è affacciata negli ultimi giorni (64 anni e 36 anni di contributi) è troppo rigida e rischia di lasciare fuori molti lavoratori. Meglio puntare, sostiene Damiano, alla proroga dell'opzione donna, la nona salvaguardia pensionistica per gli esodati, l'ampliamento e la stabilizzazione dell'Ape sociale (scade il 31 dicembre 2018), la pensione di garanzia per i giovani ed il riconoscimento del lavoro di cura ai fini pensionistici.
L'APE Sociale non è cumulabile con la Salvaguardia Pensionistica
Gli assicurati che hanno ottenuto sia la certificazione di salvaguardia pensionistica che quella per l'ape sociale dovranno optare per uno dei benefici.
Il ministero del Lavoro e l'Inps chiudono alla possibilità di cumulare la salvaguardia pensionistica con l'Ape sociale. Nel messaggio Inps 1481/2018 l'Istituto di previdenza ha sciolto la riserva mettendo nero su bianco che gli interessati devono scegliere quale dei due trattamenti conseguire.
La questione interessa quei soggetti che sono risultati beneficiari sia della salvaguardia pensionistica sia dell'ape sociale e avrebbero voluto teoricamente optare per l'ape sociale ove la decorrenza della pensione in regime di salvaguardia pensionistica fosse risultata successiva alla prima decorrenza dell'ape sociale. Nel silenzio della legge, come più volte anticipato su PensioniOggi, era dubbia tale possibilità.
Carlo, ad esempio, ci scrive raccontandoci la sua esperienza. E' un lavoratore con contribuzione mista (dipendente ed autonomo) nato nel giugno 1955 la cui mobilità è scaduta il 15 febbraio 2018 e che ha raggiunto i requisiti anagrafici per la pensione di anzianità con la "vecchia" quota (62 anni e 7 mesi di età unitamente a 38 anni di contributi) il 7 gennaio 2018. L'Inps gli ha comunicato l'accoglimento della domanda di pensione in ottava salvaguardia a partire dal 1° agosto 2019 decorsi cioè 18 mesi di finestra mobile come previsto dal decreto legge 78/2010 convertito con legge 122/2010.
Nelle more della comunicazione di accoglimento della salvaguardia Carlo ha prodotto anche domanda di Ape sociale nel profilo dedicato ai lavoratori disoccupati a causa di licenziamento collettivo con esaurimento integrale dell'ammortizzatore sociale (la mobilità nel caso di specie). Ne' è risultato parimenti beneficiario a partire dal 1° luglio 2018 - cioè decorsi tre mesi dal termine dell'indennità di mobilità ed avendo ormai già raggiunto i 63 anni di età, il requisito anagrafico chiesto per l'ape social.
Carlo avrebbe voluto chiedere l'Ape sociale dal 1° luglio 2018 sino al 1° agosto 2019 in attesa di maturare la pensione (in salvaguardia) coprendo così il periodo di vuoto reddituale corrispondente alla finestra mobile. Ma non potrà farlo. Avrà due alternative: 1) prendersi l'Ape sociale dal 1° luglio 2018 sino alla pensione di vecchiaia standard (cioè sino all'età di 67 anni più eventuali adeguamenti alla speranza di vita) abbandonando la salvaguardia pensionistica, oppure; 2) rinunciare all'Ape sociale e attendere sino 1° agosto 2019 per andare in pensione con la salvaguardia.
Nella scelta peseranno sicuramente le disponibilità economiche personali. Cioè se Carlo avrà la possibilità di restare per un anno senza stipendio e senza pensione in attesa della salvaguardia. Fortunatamente in questa situazione non si troveranno che poche centinaia di lavoratori. Nella maggior parte dei casi infatti all'età anagrafica richiesta per l'ape sociale, 63 anni, i beneficiari della salvaguardia hanno già maturato il diritto alla decorrenza della pensione. Cosicchè la facoltà di scelta concretamente può operare solo in poche specifiche situazioni. Chi avrà il diritto d'opzione sarà convocato dalla sede Inps territorialmente competente e dovrà indicare per iscritto quale dei due benefici ottenere.