Assunzioni, malattia, licenziamento per scarso rendimento e lavoro flessibile
Fonte:sole24ore di Gianluca Bertagna
La rubrica settimanale con le indicazioni sintetiche delle novità normative e applicative intervenute in tema di gestione del personale nelle pubbliche amministrazioni.
Utilizzo dei resti del triennio precedente per la capacità assunzionale
Qual è il presupposto per individuare a ritroso il triennio su cui calcolare i resti delle relative capacità assunzionali rimaste inutilizzate? Condeliberazione n. 18/2018/Par, la Corte dei conti della Sardegna, ritiene che per individuare il «triennio precedente» ai fini dell'utilizzo dei resti delle capacità assunzionali si deve avere riguardo alla programmazione del fabbisogno di personale.
È, infatti, in questo contesto che l'ente verifica quali sono le esigenze di personale, la ricorrenza dei presupposti per procedere a nuove assunzioni, il rispetto dei vincoli di spesa.
Trattandosi di una programmazione triennale, per individuare il «triennio precedente» si dovrà assumere a riferimento il primo esercizio finanziario dell'orizzonte temporale preso in considerazione dalla medesima programmazione.
Ne consegue che l'approvazione del programma del fabbisogno di personale per il triennio 2017/2019 consente, con riguardo al 2017 (primo esercizio della programmazione), di individuare nel triennio precedente 2014/2016 il periodo a cui riferirsi per verificare la sussistenza di capacità assunzionali inutilizzate (per effetto di cessazioni intervenute nel periodo 2013/2015).
Produzione di certificazione medica inidonea e/o incompleta
Non si configura la simulazione della malattia nell'ipotesi in cui il lavoratore si assenti per l'intera giornata documentando un impedimento di sole due ore e senza inviare una certificazione, neppure successiva, della patologia da cui è affetto.
È quanto affermato dalla corte di Cassazione - civile, sezione lavoro - con l’ordinanza n. 10086/2018, con la quale ha rigettato il ricorso di un datore di lavoro, volto ad ottenere l'accertamento della legittimità di una sanzione disciplinare (sospensione dal servizio) irrogata a un dipendente che si era assentato dal lavoro per una giornata, presentando poi una certificazione medica incompleta, atta a giustificare solo due ore di assenza. La Cassazione censura la condotta del dipendente, tuttavia, escludendo, in assenza di altre prove, la fattispecie della simulazione di malattia.
Deroga al limite del lavoro flessibile per valore “irrisorio”
La sezione autonomie con deliberazione n. 1/sezaut/2017/aut ha affermato che «ai fini della determinazione del limite di spesa previsto dall'articolo 9, comma 28, del Dl 78/2010, l'ente locale che non abbia fatto ricorso alle tipologie contrattuali ivi contemplate né nel 2009, né nel triennio 2007-2009, può, con motivato provvedimento, individuare un nuovo parametro di riferimento, costituito dalla spesa strettamente necessaria per far fronte ad un servizio essenziale per l'ente».
Un Comune ha chiesto alla Corte dei conti del Veneto se il principio si possa estendere al caso in cui, anziché nessuna spesa, vi siano state nell'anno 2009 pochissime somme di lavoro flessibile. Con deliberazione n. 180/2018/Qmig, la sezione, però, ha sospeso la pronuncia e ha sottoposto al Presidente della Corte dei conti la valutazione sull'opportunità di deferire alla sezione delle autonomie, la questione di massima in ordine alle problematiche interpretative.
Prestazioni occasionali
L'Inps, con il messaggio n. 2121/2018, ha informato che sulla piattaforma Inps delle prestazioni occasionali è stata rilasciata un'apposita funzionalità per consentire il rimborso agli utilizzatori delle somme versate e non utilizzate.
Possono essere oggetto di rimborso solo le somme effettivamente versate dall'utilizzatore, essendo esclusa la possibilità di rimborso delle somme di cui si ha la titolarità nel portafoglio in seguito alla concessione di benefici o bonus.
Licenziamento per scarso rendimento
«Lo scarso rendimento può consistere nella inadeguatezza qualitativa o quantitativa della prestazione ma a tali fini deve tenersi conto delle sole diminuzioni di rendimento determinate da imperizia, incapacità e negligenza e non anche di quelle determinate dalle assenze per malattia e permessi». Questa in sintesi è la linea con cui la corte di Cassazione civile, sezione lavoro, con l'ordinanza n. 10963/2018, ha confermato l'illegittimità del licenziamento irrogato ad un lavoratore per «scarso rendimento» come individuato dall'articolo 27, lettera d), dell'allegato A, del Regio decreto 148/1931.
L'azienda aveva licenziato il dipendente per via di una serie di assenze giustificate da certificati di malattia ma che, per numero e successione temporale, erano state ritenute sufficienti a considerare completamente inadeguata la prestazione del dipendente «sul piano delle esigenze organizzative e produttive aziendali». In sintesi la corte ha confermato il suo orientamento secondo cui «”lo scarso rendimento è caratterizzato da colpa del lavoratore”, per cui, ove il recesso sia intimato “per scarso rendimento dovuto essenzialmente all'elevato numero di assenze, ma non tali da esaurire il periodo di comporto”, il licenziamento è da considerarsi ingiustificato».
Orientamento Aran: part time e recupero festività infrasettimanale
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Nel caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, ove una festività infrasettimanale coincida con la giornata del sabato nella quale il lavoratore titolare di tale tipologia di rapporto di lavoro non è tenuto ad alcuna prestazione lavorativa, lo stesso può recuperare la festività, spostandola in altro giorno?
In ordine alla problematica esposta, si ritiene opportuno evidenziare che, attualmente, non risultano vigenti disposizioni legislative o contrattuali che consentano il recupero, in altra giornata della festività infrasettimanale o anche di quella del santo patrono, ove in presenza di un rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, le stesse ricadano in giorno nel quale, in virtù della distribuzione dell’orario di lavoro settimanale concordato in sede di stipulazione del contratto di rapporto di lavoro a tempo parziale, il lavoratore non sia tenuto ad alcuna prestazione lavorativa.
In proposito, si deve sottolineare anche che la scrivente Agenzia, nei propri orientamenti applicativi, ha già escluso tale possibilità di recupero anche nella fattispecie, analoga, nella quale, in presenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno e di un orario di lavoro ordinario articolato su 5 giorni settimanali, la festività infrasettimanale o quella del Santo Patrono ricadano nella giornata di sabato non lavorativo.
Privacy e lavoro: trattamento di dati dei lavoratori tramite GPS aziendale
Fonte:lavoro e diritti
Una azienda di vigilanza e trasporto valori vuole dotare i lavoratori dipendenti di GPS aziendale per la geolocalizzazione. Il Garante Privacy ritiene il trattamento dei dati lecito, necessario e proporzionato. Prescrive però alcune regole, oltre che una informativa adeguata e un accordo sindacale.
Nell’ultima newsletter del 29 maggio, il Garante Privacy ha ribadito la possibilità per le aziende di trattare i dati personali dei lavoratori tramite l’utilizzo di sistemi di geolocalizzazione GPS, con le dovute tutele per la riservatezza.
Nel caso di specie, il Garante ha dato l’ok all’uso del GPS aziendale per i lavoratori di una società specializzata in servizi di vigilanza privata e trasporto valori, mediante uno strumento disponibile su smartphone e tablet. Al contempo però il Garante privacy ha prescritto misure a tutela della riservatezza dei lavoratori, oltre che una adeguata informativa e un accordo sindacale o autorizzazione da parte dell’INL.
Trattamento di dati personali dei lavoratori tramite GPS aziendale
Attraverso l’installazione e l’utilizzo di una apposita applicazione, una azienda prevede di garantire:
Come noto però i sistemi GPS consentono di raccogliere anche altri dati, fra i quali le coordinate del dispositivo e la velocità del veicolo. A tutela di questi dati l’azienda prevede di conservarli per un periodo limitato di 24 ore. Inoltre il trattamento dati cesserà al termine dell’attività lavorativa con la riconsegna a fine servizio dei dispositivi aziendali da parte dei dipendenti.
Infine le guardie giurate non potranno mai essere direttamente identificate dal sistema; l’accesso in tempo reale alla geolocalizzazione sarà effettuato esclusivamente dal personale autorizzato della centrale operativa e sarà inoltre previsto solo in caso di necessità ed emergenza.
Sì all’uso del GPS aziendale, ma con previsione di tutela della riservatezza dei dati del lavoratore
L’Autorità garante ha stabilito che in questo caso il trattamento dei dati da parte dell’azienda è lecito, necessario e proporzionato. Vista anche la specifica disciplina in materia di protezione per il trasporto di contanti.
Viene però richiesto all’azienda di posizionare sul dispositivo un’icona che dovrà indicare quando e se la localizzazione è attiva; il sistema dovrà infine essere configurato in modo tale da oscurare la posizione geografica dei dipendenti dopo un periodo di inattività dell’operatore sul monitor della centrale operativa.
A maggiore tutela dei lavoratori inoltre i dati raccolti dal sistema potranno essere consultati solo dal personale autorizzato (centrale operativa e sviluppo software) tramite apposite credenziali di accesso, soprattutto relativamente all’estrazione dei predetti dati. Infine deve essere chiaro che a tutela dei lavoratori dipendenti questi dati non potranno essere usati per il controllo dei lavoratori o per scopi disciplinari. Infine, ma non per ultimo, l’azienda dovrà fornire un’idonea informativa che consenta l’esercizio dei diritti per i vigilanti.
In base allo Statuto dei lavoratori l’azienda procederà alla convocazione delle rappresentanze sindacali per sottoscrivere uno specifico accordo; oppure, in mancanza dell’accordo, procederà a richiedere apposita autorizzazione da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Addio alla Fornero: ecco la nuova riforma delle pensioni
Il Governo giallo verde annuncia la riforma graduale delle pensioni con l'introduzione della quota 41, quota 100 e opzione donna. Guida alle principali novità in arrivo
Fonte:studiocataldi di Annamaria Villafrate
Il nuovo Governo sta già elaborando le prime misure per riformare la materia delle pensioni. La promessa di abolire la legge Fornero è tra le finalità di questo esecutivo, anche se dal punto di vista pratico il passaggio al nuovo regime sarà graduale. Le novità più importanti? La quota 100 che permette di andare in pensione se la somma dell'età del lavoratore e degli anni di contributi versati è pari a 100, la quota 41 che tiene conto solo degli anni contributivi, la proroga di opzione donna che anticipa i tempi della pensione delle lavoratrici e infine la nona salvaguardia che conserva le regole dell'ottava per determinate categorie di lavoratori.
Pensioni: cosa dice il contratto Lega Nord – M5S
"Occorre provvedere all'abolizione degli squilibri del sistema previdenziale introdotti dalla riforma delle pensioni cd. "Fornero", stanziando 5 miliardi per agevolare l'uscita dal mercato del lavoro delle categorie ad oggi escluse. Daremo fin da subito la possibilità di uscire dal lavoro quando la somma dell'età e degli anni di contributi del lavoratore è almeno pari a 100, con l'obiettivo di consentire il raggiungimento dell'età pensionabile con 41 anni di anzianità contributiva, tenuto altresì conto dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti. Inoltre è necessario riordinare il sistema del welfare prevedendo la separazione tra previdenza e assistenza. Prorogheremo la misura sperimentale "opzione donna" che permette alle lavoratrici con 57-58 anni e 35 anni di contributi di andare in quiescenza subito, optando in toto per il regime contributivo. Prorogheremo tale misura sperimentale, utilizzando le risorse disponibili."
Legge Fornero: abolizione graduale
Una delle promesse più importanti fatte dal Governo giallo verde è l'abolizione graduale della legge Fornero. Diversi e mirati gli interventi da mettere a punto, con l'obiettivo di superare le disuguaglianze, senza alterare l'architettura dell'attuale disciplina delle pensioni. Non verranno infatti toccate:
Si procederà però al loro adeguamento, visto che nel frattempo sono cambiate le speranze di vita. Si passerebbe infatti, per la pensione di vecchiaia a a 67 anni di età, mentre per quella anticipata si sposterebbe a 43 anni e 3 mesi di contributi il requisito contributivo necessario per la richiesta.
Addio legge Fornero: cosa cambia?
L'abolizione o la disapplicazione ad alcune categorie della legge Fornero compererebbero:
Riforma pensioni: le principali novità
Gli aspetti innovativi della riforma pensionistica sono quelli relativi alla quota 100, alla quota 41, all'opzione donna, alla nona salvaguardia e all'Ape. Le novità relative alla quota 100 e alla quota 41 sono ancora nebulose. In generale queste misure consentono di andare in pensione qualche anno prima, rispetto a quanto previsto dalla disciplina attuale, tenendo conto della carriera personale di ogni lavoratore. Potrebbe accadere però che inizialmente, le misure siano rivolte solo ad alcune categorie di lavoratori o che siano introdotte penalizzazioni. La nona salvaguardia è destinata agli esodati, mentre la proroga dell'opzione donna, in cambio del ricalcolo contributivo permette alle lavoratrici di andare in pensione in largo anticipo.
Pensione a quote: come funziona?
Il calcolo della quota si ottiene sommando all'età dell'interessato gli anni di contributi versati. Nel caso in cui il risultato della somma non corrisponde a una cifra esatta, per calcolare la quota i mesi devono essere trasformati in decimi. La quota 100 prevede infatti la possibilità di andare in pensione se la somma tra età pensionabile e gli anni di contributi versasti restituisce il risultato di 100. La quota 41 invece permette di andare in pensione se il lavoratore ha versato 41 anni di contributi.
Pensione anticipata quota 41
la "quota"41, che affianca il meccanismo della quota 100 offre la possibilità di andare in pensione dopo se il lavoratore ha provveduto a versare 41 anni di contributi. L'età del lavoratore, ai fini del calcolo della quota 41 non rileva. Si tratta quindi non di un vero e proprio sistema a quote, perché in questo caso rilevano solo gli anni di contributi versati. Naturalmente la pensione quota 41 sarà essere adeguata alla speranza di vita, con aumenti nella misura di 3 mesi ogni ogni due anni. Diciamo che la possibilità di andare in pensione con un certo numero di anni di contributi è attualmente prevista, anche se è limitata ai lavoratori che:
Proroga opzione donna
La proroga opzione donna è una pensione agevolata riservata alle lavoratrici. In questo modo viene data la possibilità alle donne di uscire anticipatamente dal mondo del lavoro in cambio del ricalcolo contributivo della pensione. Oggi, le donne che vogliono andare in pensione in anticipo possono farlo se:
Attraverso questa misura l'obiettivo è rendere questo trattamento strutturale, per consentire alle lavoratrici con 35 anni di contributo e con 57 anni e 7 mesi o 58 anni e 7 mesi di età (da adeguare in futuro all'aspettativa di vita) di andare in pensione con un certo anticipo.
Nona salvaguardia
La nona salvaguardia prevede il ritorno delle vecchie regole pensionistiche per impedire che si producano oltre tempo gli effetti negativi della legge Fornero è stata ipotizzata anche la proroga delle salvaguardie. Il nome "nona salvaguardia" nasce dal fatto che, dal 2012 (data di entrata in vigore della Riforma Fornero) sono stati emanati otto decreti di salvaguardia sulle pensioni. La salvaguardia del nuovo Governo non dovrebbe modificare le categorie che hanno beneficiato dell'ottava ossia tutti i lavoratori:
Ape social: verso l'abolizione?
L'abolizione dell'Ape social, misura di cui possono usufruire solo certe categorie di lavoratori in difficoltà (cassaintegrati, disoccupati o che svolgono mansioni gravose) è prevista a partire dal 2019. Occorre infatti recuperare risorse se si vogliono mettere in atto tutte le misure pensionistiche in programma.
Pensioni e quota 100, Boeri: “Pronti a collaborare, ma annunci del governo siano precisi”
Fonte:ilfattoquotidiano
Il presidente dell'Inps: "Se si parla di quota 100, vuol dire che un lavoratore che ha 60 anni di cui 40 di contributi potrà andare in pensione, stiamo creando questa aspettativa. Se invece si vuole porre una condizione anagrafica di 64 anni, questo è diverso, ed è bene essere chiari"
Il presidente dell’Inps mette subito le mani avanti sui primi proclami del neo ministro del Lavoro: “Siamo pronti a collaborare a mettere in atto le decisioni che verranno prese. L’unica cosa che chiedo è che gli annunci siano precisi – ha detto Tito Boeri a SkyTg24 a proposito delle ultime dichiarazioni di Luigi di Maio -: se si parla di quota 100, vuol dire che un lavoratore che ha 60 anni di cui 40 di contributi potrà andare in pensione, stiamo creando questa aspettativa. Se invece si vuole porre una condizione anagrafica di 64 anni, questo è diverso, ed è bene essere chiari perché le famiglie si fanno delle aspettative”.
Intanto dai numeri degli Osservatori statistici dell’Inps riferiti all’inizio del 2018, emerge come siano 406.942 le pensioni liquidate prima del 1980 e che sono quindi pagate da oltre 38 anni con un vantaggio significativo rispetto ai contributi versati. Sono invece oltre 1,7 milioni gli assegni che durano da oltre 30 anni (quindi liquidati dal 1988 o prima). Si includono naturalmente solo le pensioni di vecchiaia, anzianità e superstiti mentre sono escluse invalidità e assegni sociali. Le pensioni private antecedenti il 1980 sono 355.335 i trattamenti pubblici 51.607.
L’età alla decorrenza delle pensioni liquidate prima del 1980 per la gestione dei dipendenti pubblici era di 49 anni per la vecchiaia e di 45,7 per i trattamenti di anzianità contributiva. Per i superstiti da assicurato era di 41,1 anni mentre per i superstiti da pensionato era di 45 anni. La cifra media risente del fatto che sono passati moltissimi anni e quindi le persone rimanenti con pensioni così “vecchie” sono quelle che sono andate a riposo prima e dopo 38 anni sono ancora in vita.
Per i pensionati del settore privato l’età è un po’ più alta per i trattamenti di vecchiaia (compresa l’anzianità) con 54,5 anni, mentre è più bassa per i superstiti con appena 40,2 anni al momento della liquidazione della pensione. Il dato dei pubblici risente chiaramente delle pensioni “baby” e quindi delle uscite dal lavoro con 20 anni di contributi o meno (14 anni sei mesi e un giorno per le donne con figli).
Se per le pensioni del settore privato l’importo medio degli assegni liquidati prima del 1980 è largamente inferiore a mille euro al mese (818 euro mensili i trattamenti di vecchiaia, 529 euro quelli ai superstiti) per le pensioni del settore pubblico l’importo medio supera i 1.650 euro mensili per i trattamenti di vecchiaia e i 1.466 euro per quelli di anzianità. Per le pensioni ai superstiti da assicurato risalenti a prima del 1980 la pensione media ammonta a 1.134 euro mentre gli assegni ai superstiti da pensionato valgono 1.200 euro al mese in media.
Quota 100, Damiano avverte: rischi se si cancella l'ape sociale
· Fonte:pensionioggi
L'Ex ministro del Lavoro favorevole anche alla proroga dell'opzione donna. Ma avverte: se si cancella l'Ape sociale e quello volontario ci saranno conseguenze peggiorative.
Anche l'ex Ministro del Lavoro, Cesare Damiano, plaude alla proposta di Lega e Cinque Stelle sulla flessibilità in uscita. Il progetto rilanciato lo scorso weekend da Di Maio con l'insediamento alla guida del Dicastero di Via Veneto si basa sulla proroga dell'Opzione Donna (prepensionamento per donne di 57 anni se dipendenti e 58 se autonome, con 35 anni di contributi), l'introduzione della Quota 100, e sui 41 anni di contributi per tutti i lavoratori.
Superare la legge Fornero è un obiettivo che condivido e che ho praticato nella passata legislatura, coadiuvato da tutti i partiti, compresi Movimento 5 Stelle e Lega”. “Ora il testimone – dice l’ex presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano – passa a Di Maio e ci permettiamo di dargli qualche suggerimento. “Su Opzione Donna la cui sperimentazione andrebbe proseguita oltre il 31 dicembre 2015, condivido – dice Damiano -: volevamo farlo anche noi. Bisogna solo trovare le risorse”.
“Su Quota 100 (cioè della possibilità per i lavoratori di andare in pensione quando la somma dell’età anagrafica e degli anni di contributi versati è pari almeno a 100), se fosse vero che parte da 64 anni di età, questa scelta rappresenterebbe una penalità per chi svolge attività gravose perché questi lavoratori possono andare in pensione a 63 anni con Quota 99 (63 più 36 di contributi) – afferma Damiano -. Non solo, per chi è disoccupato o ha un familiare disabile a carico, i contributi scendono a 30 anni (Quota 93). Per le donne, poi, c’è uno sconto ulteriore di un anno per ogni figlio (massimo 2 anni), che porta i contributi necessari a 28 anni (Quota 91).
Inoltre, non bisogna dimenticare sempre per queste 15 categorie di lavoratori – prosegue l’esponente del Pd -, che svolgono attività gravose, c’è anche il blocco dell’aggancio dell’età della pensione all’aspettativa di vita. Eliminare l’Ape sociale sarebbe, dunque, molto dannoso per una vasta platea di lavoratori. Si tratterebbe, al contrario, di renderla strutturale”. “Se poi questa scelta dovesse cancellare anche l’Ape volontaria, che prevede alcune penalizzazioni, toglieremmo la possibilità di andare in pensione a 63 anni con soli 20 di contributi. È una possibilità che favorisce chi ha svolto lavori discontinui, in particolare le donne – dice Damiano -. Come si vede, le pensioni vanno maneggiate con cura, altrimenti si può peggiorare la situazione. Infine, per quanto riguarda i 41 anni di contributi, sono d’accordo. Era una norma contenuta nella proposta di legge Damiano-Gnecchi che ha trovato nella scorsa legislatura una risposta parziale”.
Damiano incalza il nuovo esecutivo anche a realizzare la nona e definitiva salvaguardia per gli esodati; a intervenire sul Jobs Act rendendo strutturali gli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato, e rendere più cari i licenziamenti illegittimi individuali, portando il minimo delle mensilità di risarcimento da 4 a 8.
Da PensioniOggi:
Quota 100, Ecco i nodi da sciogliere del programma Lega-M5S
Il nuovo esecutivo dovrà chiarire, tra l'altro, come raccordare la nuova flessibilità in uscita con l'ape sociale e l'ape volontario.
L'avvio dell'esecutivo a guida Movimento 5 Stelle e Lega mette in cantiere una revisione della Legge Fornero in tempi rapidi. Il primo banco di prova sarà il voto di fiducia che si terrà tra oggi e domani in Parlamento e che segnerà l'avvio dei lavori della nuova legislatura; il nuovo esecutivo potrebbe sbottonarsi sui tempi in occasione della presentazione della relazione programmatica sui temi che saranno affrontati dall'esecutivo.
Già nei giorni scorsi il neo ministro del Lavoro, Luigi di Maio, ha indicato che il tema della revisione della Fornero con l'introduzione della quota 100 e del pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica saranno tra i primi capitoli, assieme al reddito di cittadinanza, sul tavolo di Palazzo Chigi.
La prima questione da chiarire riguarda la quota 100: il nuovo Governo dovrà indicare quale sarà il mix tra anzianità contributiva ed anagrafica necessaria (si parla di un minimo di 64 anni e 36 di contributi ma per il momento è solo un'ipotesi assieme ad altre combinazioni possibili) e se i lavoratori dovranno o meno accettare una penalità sull'assegno (5 miliardi appaiono pochi per sostenere l'intero pacchetto sulla flessibilità in uscita a meno che non si vada in deficit). C'è poi la questione della proroga dell'opzione donna, altro tema all'interno del programma di Governo. Qui si tratta di comprendere quali saranno le coorti della lavoratrici incluse. Resta incerto, inoltre, se ci sarà spazio per una nona salvaguardia pensionistica.
Pronto, invece, il taglio dei vitalizi degli ex-parlamentari per i quali sarebbe già stata incardinata una delibera presso gli uffici di presidenza di Camera e Senato ora "controllati" dalla nuova maggioranza. C'è poi il delicato tema dell'innalzamento progressivo dell'età pensionabile, che come noto dal prossimo anno schizzerà a 67 anni di età per effetto dell'aumento di 5 mesi già comunicato dall'Istat e dal Ministero del Lavoro a dicembre. Il programma di Governo non dice nulla al riguardo, dunque il rischio è che venga confermato l'attuale sistema che vede dal prossimo anno aumenti biennali.
Il raccordo con la flessibilità del 2017
Il programma di Governo apre poi una serie di questioni non secondarie. Come gestire il periodo di transizione verso la quota 100 o la quota 41 rispetto agli attuali strumenti di flessibilità introdotti dal 2017 dal Governo Renzi (ape sociale e ape volontario). A seconda infatti di come sarà calibrato l'intervento il destino di questi strumenti potrebbe cambiare sensibilmente.
A preoccupare maggiormente sono le categorie destinatarie dell'ape sociale che attualmente possono contare su un "pensionamento" gratuito con 63 anni e 30 o 36 anni di contributi. Quindi con una "quota" oscillante tra 93 e 99 a seconda dei casi. Se lo strumento, pur con tutte le sue difficoltà applicative, venisse abrogato tout court dalla quota 100 paradossalmente queste coorti risulterebbero danneggiate rispetto alla normativa vigente dovendo maturare un requisito per il pensionamento superiore. Stessa circostanza per l'Ape volontario che se venisse abolito chiuderebbe l'anticipo della pensione tramite un prestito bancario per i lavoratori con 63 anni e 20 di contributi. La nuova flessibilità in uscita dovrà, quindi, predisporre delle misure per salvaguardare i risultati già portati a casa con l'accordo del settembre 2016 con la parte sindacale. E si dovrà decidere in fretta dato che l'ape sociale scade il prossimo 31 dicembre 2018.
Scadenza al 'cambio di guardia' nei ministeri. In ballo premi
ANSA - E' scattato il countdown per l'uscita delle 'pagelle' sull'attività svolta dagli uffici pubblici.
Manca infatti meno di un mese alla scadenza stabilita per legge.
E i passaggi da compiere sono diversi. Il ministero della P.a già a fine marzo aveva spedito un alert, una circolare per ricordare il da farsi. D'altra parte in ballo ci sono i premi, la parte della retribuzione che forma il salario accessorio. Una fetta che copre circa il 22% della busta paga dello statale tipo.
Il documento da presentare è una sorta di scheda, detta relazione sulla performance, che evidenzia a consuntivo, quindi si fa riferimento al 2017, i risultati organizzativi, da cui dipendono quelli individuali, raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati. Si dovrà capire se è tutto in linea o se ci sono scostamenti. Entro il 30 giugno la relazione deve essere stata messa a punto, approvata dall'organo di indirizzo politico-amministrativo e validata dall'Oiv, l'organismo che vigila sulla valutazione.
Istituto Piepoli: Pubblica amministrazione comunica anche con i social network. Il Miur sceglie Telegram
Fote:orizzontescuola di Elisabetta Tonni
Cara vecchia circolare, addio. Anche la comunicazione ufficiale della Pubblica Amministrazione oramai passerà per il web e per i social network. Telegram è il canale con cui il ministero dell’Istruzione manda comunicazioni ufficiali ai suoi iscritti.
E’ quanto emerge da un’indagine dell’Istituto Piepoli che sarà presentata il 6 giugno in 17 città contemporaneamente per il PA Social Day.
Prima la televisione, poi la Rete
Secondo la ricerca, come si legge in un lancio di agenzia Ansa, la televisione è ancora il mass media da cui ci aspetta di essere informati (64%) e che si ritiene affidabile (51%), ma a ridosso arriva la Rete. Nel 47% dei casi è questo il canale preferito per sapere che cosa accade con una fiducia sulla veridicità al 42%; è comunque migliore del 40% di credibilità affidata ai giornali. Le percentuali variano con la fascia di età. Il 59% che preferisce la Rete ha fino a 35 anni.
Secondo Francesco Di Costanzo, presidente dell’associazione PA Social, che ha organizzato l’iniziativa, “E’ ormai evidente che web, social network, chat, sono straordinari strumenti di servizio pubblico, mezzi scelti dagli italiani per informazioni e servizi nella quotidianità. L’Italia è piena di ottime pratiche“.
Il Miur sceglie Telegram
Porta anche l’esempio del Miur che si avvale “del canale Telegram, chat pubblica dove viaggiano circolari, bandi e molte altre informazioni con 4.800 iscritti, da studenti a presidi“.
Altri esempi portati da Di Costanzo riguardano alcuni comuni o strutture della pubblica amministrazione che hanno scelto di comunicare attraverso altri canali social.
Inps: sospensione dall’impiego e integrazione contributi
Fonte:legge per tutti Articolo tratto dalla consulenza resa dalla dott.ssa Noemi Secci
Sono un ufficiale sospeso dal servizio per un procedimento penale in corso. Percepisco, da dopo la sospensione, ai sensi dell’art. 920 del decreto legislativo 66/2010 la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo. Agli effetti della pensione il tempo trascorso in sospensione dal servizio è computato per metà. Posso ai fini pensionistici chiedere all’Inps l’autorizzazione al versamento di contributi volontari al fine di integrare la seconda metà degli anni di sospensione, iniziando a versare ad esempio per gli anni 2016 e 2017? La presenza di un rapporto lavorativo esclude la possibilità del versamento? Nella circolare inps 50/2008 si legge che l’interessato deve aver cessato o interrotto il rapporto di lavoro. La mia sospensione non è da considerarsi una “interruzione” del rapporto di lavoro? L’assicurazione infatti non può essere proseguita volontariamente da coloro che svolgono rapporti di lavoro dipendente, para subordinato o autonomo stante il divieto recato dall’art.6 del Dlg184/1997 per periodi coincidenti da un punto di vista temporale.
È possibile, in base a quanto disposto dal D.lgs 184/1997, richiedere l’autorizzazione ai contributi volontari quando viene interrotto il rapporto di lavoro: “L’assicurato, qualora sia interrotto o cessi il rapporto di lavoro che ha dato luogo all’obbligo delle assicurazioni per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e per la tubercolosi, ai sensi dell’art. 37 del RDL 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modificazioni e integrazioni, può rispettivamente conservare i diritti derivanti dalle assicurazioni predette o raggiungere i requisiti per il diritto alla pensione mediante il versamento di contributi volontari base e a percentuale nell’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti e nell’assicurazione contro la tubercolosi.”
Nel caso specifico si tratta proprio di interruzione del rapporto di lavoro. Tanto più che l’Inps, nel portale, specifica: “Il lavoratore che ha cessato o interrotto l’attività lavorativa può accedere al versamento volontario dei contributi per perfezionare i requisiti di assicurazione e di contribuzione per raggiungere il diritto alla pensione e per incrementare l’importo del trattamento pensionistico, se sono già stati perfezionati i requisiti contributivi richiesti”, distinguendo la casistica di cessazione del rapporto di lavoro da quella dell’interruzione.
Vero è che il lettore non è assicurato presso la gestione Inps dipendenti FPLD, ma presso la gestione ex Inpdap.
Tuttavia, il D.lgs. 184/1997, all’art.5, ha esteso il regime della prosecuzione volontaria Inps (Dpr 1432/1971 e L.47/1983) alle altre forme di previdenza, in particolare ai fondi sostitutivi ed esclusivi dell’assicurazione generale obbligatoria, tra cui rientra anche l’ex Inpdap, ed alla gestione separata.
In buona sostanza, secondo la normativa, anche gli iscritti alle gestioni al di fuori dell’assicurazione generale obbligatoria (Ago) possono versare i contributi volontari per l’accesso alla pensione.
Peraltro, il D.lgs 564/1996 ha riconosciuto ai lavoratori dipendenti la possibilità di utilizzare la contribuzione volontaria anche per coprire periodi di sospensione del rapporto di lavoro o svolti in regime di part-time. Si tratta di una facoltà riconosciuta dal citato decreto a partire dal 1° gennaio 1997 nei confronti di tutti i lavoratori, sia del settore privato che del pubblico impiego.
In buona sostanza, sino al 1996 l’autorizzazione era concessa solo in caso di cessazione o interruzione del rapporto di lavoro: dal 1997, invece, per effetto del DLgs. n. 564/96, è possibile chiedere la prosecuzione volontaria anche nei casi seguenti:
– sospensione del rapporto di lavoro prevista da specifiche disposizioni di legge o contrattuali e priva di copertura assicurativa (aspettativa non retribuita, sciopero, interruzione del rapporto di lavoro con diritto alla conservazione del posto, congedo per formazione o per gravi e documentati motivi familiari…);
– formazione professionale, studio e ricerca, privi di copertura assicurativa e finalizzati alla riqualificazione professionale;
– non effettuazione dell’attività di lavoro all’interno di un rapporto di lavoro part time di tipo orizzontale, verticale o ciclico;
– periodi intercorrenti tra un rapporto di lavoro e l’altro nel caso di lavori discontinui, stagionali, temporanei (in questa ipotesi il lavoratore deve provare però l’iscrizione nelle liste di disoccupazione ed il mantenimento dello stato di disoccupato oltre a non aver altra contribuzione figurativa accreditata per il medesimo periodo).
In queste circostanze l’autorizzazione al versamento volontario è alternativa all’esercizio della facoltà di riscatto, alla quale l’interessato deve necessariamente ricorrere per coprire tali periodi nel caso in cui siano trascorsi i termini per effettuare i relativi versamenti.
Inoltre, l’autorizzazione ai versamenti volontari può essere concessa anche se il rapporto di lavoro dipendente non è cessato (si pensi al part-time o alla sospensione del rapporto di lavoro per la fruizione dei congedi), ad integrazione di una contribuzione da lavoro o figurativa già riconosciuta, in modo da far raggiungere una pensione più elevata.
Bisogna comunque ricordare che, per ottenere l’autorizzazione, il lavoratore deve poter far valere almeno 5 anni di contributi; in assenza di contributi per 5 anni ne sono sufficienti 3, purché presenti negli ultimi 5 anni precedenti la domanda di autorizzazione.
In base a quanto osservato (possibilità di richiedere l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari sia in caso di cessazione che di sospensione del rapporto di lavoro, possibilità di versare i contributi ad integrazione), si ritiene che il lettore abbia diritto a richiedere l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari. Si noti, però, che non è possibile versare i contributi volontari retroattivamente, ma possono essere versati solo fino alla copertura dei 6 mesi che procedono la data della domanda. Per i periodi precedenti, si può chiedere il riscatto.
La domanda di contributi volontari non si può presentare in carta libera, quindi non è possibile stendere una bozza della domanda di autorizzazione al versamento di contributi volontari, ma va richiesta in forma telematica all’Inps, se si possiedono le credenziali di accesso (pin dispositivo, Spid, carta nazionale dei servizi), oppure tramite patronato, secondo il form di domanda predisposto.
Questo il link per richiedere i contributi volontari all’interno del sito web dell’Inps.
https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=50123
Salute e sicurezza: valutazione dei rischi per PMI con OiRA
Fonte: https://www.lavoroediritti.com/
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha recepito e reso disponibile un nuovo strumento di valutazione dei rischi per PMI denominato OiRA. Vediamo di cosa si tratta e come usarlo per la redazione di un DVR per la salute e sicurezza delle piccole e medie imprese.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto ministeriale numero 61 del 23 maggio con il quale recepisce e rende disponibile un nuovo strumento di valutazione dei rischi per PMI denominato OiRA.
OiRA (Online interactive Risk Assessment) è un applicativo telematico gratuito, messo a disposizione degli Stati membri dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha).erve ad aiutare, soprattutto le piccole e medie imprese, nel processo di valutazione dei rischi. Aiuta inoltre le PMI nel processo di individuazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.
Valutazione dei rischi per PMI con OiRA
Come anticipato in premessa il Ministero del lavoro ha adottato e reso disponibile sul proprio portale un nuovo toool gratuito per la redazione del DVR per Piccole e Medie Imprese. Si tratta cioè di un nuovo applicativo online creato dall’Agenzia Europea OIRA e serve per la valutazione dei rischi nelle PMI.
Con questo software si consente alle PMI di valutare e predisporre il DVR, documento di valutazione rischi. La norma D. lgs 81/08 prevede che il DVR vada necessariamente redatto entro 90 giorni dalla costituzione di una impresa. Questo va altresì aggiornato in caso di variazioni significative dell’organizzazione del lavoro o a seguito di infortuni gravi o a seguito di segnalazione da parte del medico competente.
A cosa serve lo strumento OiRA?
OiRA può essere utilizzato per valutare i rischi per la salute e la sicurezza presenti sul luogo di lavoro. Si rivolge prevalentemente alle piccole e medie imprese ed è stato progettato per supportare il datore di lavoro nella valutazione dei rischi, nella redazione del relativo documento (DVR) e del piano di miglioramento.
La valutazione dei rischi e la redazione del DVR con OiRA si divide in 4 fasi:
· Presentazione: descrizione dello strumento e personalizzazione della valutazione in base alla propria realtà aziendale;
· Identificazione: OiRA presenta una serie di potenziali pericoli per la salute e la sicurezza presenti sul luogo di lavoro. Si procede quindi rispondendo alle domande proposte in modo affermativo o negativo.
· Valutazione: La vera e propria fase di valutazione del rischio; il tool permette di determinare il livello di rischio connesso a ciascun pericolo identificato;
· Misure/programma: nell’ultima fase vanno indicate le misure necessarie per gestire i rischi e le eventuali risorse economiche e/o umane da impiegare a tal fine.
Concluso il processo sarà possibile stampare il report finale.
Si può provare OiRA eseguendo una sessione di prova oppure ci si può registrare per iniziare a usare il Tool. A breve comunque l’INAIL predisporrà un accesso diretto a questo utile strumento e rilascerà una circolare esplicativa.
Da PensioniOggi:
Tassazione TFS, Anche per i dipendenti pubblici c'è la clausola di salvaguardia
· Fonte:pensionioggi Scritto da Davide Grasso
Anche l'erogazione del trattamento di fine servizio per i dipendenti pubblici beneficia, al pari dei lavoratori in regime di TFR, della tassazione fiscale più favorevole perchè calcolata sulla base dei precedenti scaglioni Irpef.
Ancora oggi i lavoratori del pubblico impiego possono beneficiare della tassazione del TFS nella misura più favorevole prevista prima dell'introduzione dei nuovi scaglioni irpef in vigore dal 1° gennaio 2007. L'articolo 1, co. 9 della legge 296/2006 riconosce, infatti, anche nei confronti del personale del pubblico impiego in regime di TFS (cioè il personale a tempo indeterminato assunto entro il 31 dicembre 2000 ed il personale non contrattualizzato come i militari, la magistratura, i professori universitari) una clausola di salvaguardia consistente nella possibilità di mantenere in vigore il vecchio e più favorevole criterio di tassazione vigente al 31 dicembre 2006 anche con riferimento alla buonuscita maturata successivamente alla predetta data. Nonostante diversi tentativi maldestri di abrogarla la clausola di salvaguardia è riuscita a giungere sino ai giorni nostri.
Come si intuisce la clausola consente di tassare il Tfs con le aliquote e gli scaglioni in vigore nel 2006 se più favorevoli rispetto a quelli in vigore nell'anno di maturazione del diritto alla percezione del Tfs stesso. La norma si traduce, pertanto, in un vantaggio fiscale per i redditi più bassi, perché fino al 31 dicembre 2006 i redditi fino a 26mila euro erano sottoposti ad un prelievo fiscale del 23 per cento. Dal 1° gennaio 2007, invece, il prelievo del 23% è stato mantenuto sui redditi fino a 15mila euro mentre su quelli superiori alla predetta cifra e sino a 28mila il prelievo è schizzato al 27 per cento.
Anche il raffronto con gli scaglioni successivi è diverso. Se sino al 2006 i redditi compresi tra 26mila euro e 33.500 euro pagavano un'aliquota fiscale del 33%, del 39% per la quota superiore a 33.500 e sino a 100 mila e del 41% per quella superiore a 100mila la normativa oggi in vigore prevede un'aliquota del 38% per la fascia di reddito superiore ai 28mila e sino a 55mila euro che passa al 41% per la quota che splafona i 55mila e sino a 75mila e del 43% per quella eccedente i 75mila euro.
In definitiva la clausola consente un risparmio fiscale praticamente per tutti i dipendenti pubblici in regime di TFS in proporzione però superiore per i redditi che si collocano tra i 15 e i 26 mila euro annui. L'agevolazione è stimolata anche dal fatto che il regime del TFS prevede una serie di abbattimenti e riduzioni dell'imponibile fiscale che tengono il reddito di riferimento, cioè quel reddito "virtuale" sul quale si applica la tassazione per scaglioni, spesso su importi inferiori a 26mila euro. Si comprende, pertanto, come per molti dipendenti pubblici la norma consente un risparmio anche di migliaia di euro rispetto ad una tassazione con le aliquote vigenti.
Pensioni, Ok alla riliquidazione all'età di vecchiaia se più favorevole per l'assicurato
La Corte di Cassazione precisa i contorni della facoltà riconosciuta dalla Sentenza della Corte Costituzionale numero 428/1992. Ricalcolo possibile all'età di vecchiaia se il trattamento è più favorevole per l'assicurato.
I pensionati hanno diritto alla riliquidazione della pensione di anzianita' al raggiungimento dell'età di vecchiaia neutralizzando le settimane di contribuzione presenti nell'ultimo quinquennio se l'operazione porti ad un risultato più favorevole. E' il principio ribadito, tra l'altro, nella sentenza della Cassazione numero 11649 del 14 maggio 2018 in cui i giudici erano stati chiamati ad esaminare alcuni contorni applicativi della facoltà di neutralizzazione dei periodi di retribuzione ridotta collocati negli ultimi anni prima della decorrenza della pensione.
La questione
La questione verteva, in particolare, sulla facoltà per il pensionato di conseguire - ai sensi di quanto riconosciuto dalle pronunce della Corte Costituzionale numero 428/1992, 264/1994, 388/1995 - la riliquidazione del trattamento di anzianita' al raggiungimento dell'età di vecchiaia neutralizzando le contribuzioni acquisite nella fase successiva al perfezionamento del requisito contributivo minimo per la pensione di vecchiaia (20 anni di contributi), qualora essa porti un risultato più favorevole rispetto alla pensione liquidata considerando la contribuzione complessivamente maturata.
Il ricorrente aveva, infatti, ottenuto la pensione di anzianita' nel 1997 raggiunti i 35 anni di anzianità contributiva, grazie alla somma dell'intera contribuzione obbligatoria e volontaria versata tra il FPLD e la gestione speciale degli artigiani. Al compimento del 65° anno di età, aveva chiesto all'Inps la neutralizzazione sia di parte della contribuzione obbligatoria che di quella volontaria in ossequio alla pronuncia della Corte Cost. 428/1992, non necessaria ai fini del requisito contributivo per la pensione di vecchiaia; la cui detrazione era idonea a garantire un trattamento di pensione più elevato perchè avrebbe impedito la svalutazione delle quote retributive dell'assegno a causa della minore retribuzione percepita in quel periodo temporale.
La Corte d'Appello aveva respinto la domanda del pensionato indicando che tale contribuzione era necessaria per il conseguimento della pensione di anzianita' (35 anni di versamenti) e che, pertanto, la neutralizzazione non era possibile essendo limitata solo ai periodi non necessari all'acquisizione del diritto a pensione. Da qui il ricorso del pensionato in Cassazione.
La decisione
La Corte di Cassazione nel respingere la tesi della Corte d'Appello offre due importanti precisazioni. In primo luogo i giudici di Piazza Cavour ribadiscono che in forza delle pronunce della Corte Cost. n. 428 del 1992 e 264/1994 il pensionato ha diritto, dopo il raggiungimento dell’età pensionabile, al ricalcolo della pensione di anzianita' (ora pensione anticipata) qualora porti ad un risultato più favorevole escludendo la contribuzione non utile al fine del pensionamento di vecchiaia. Nel caso di specie, pertanto, il pensionato avrebbe potuto neutralizzare le contribuzioni non necessarie al raggiungimento del requisito contributivo per la pensione di vecchiaia ove queste avessero determinato un detrimento nella misura della pensione.
I limiti alla neutralizzazione
La seconda precisazione riguarda il numero massimo di settimane sterilizzabili. Il pensionato chiedeva, infatti, la neutralizzazione non solo delle 260 settimane contributive collocate nella parte finale del rapporto contributivo ma anche di parte dei periodi precedenti all'ultimo quinquennio in quanto rilevanti anch'essi nella determinazione della misura della quota B di pensione a seguito della Riforma Amato del 1992 che, come noto, ha esteso il periodo di ricerca delle medie pensionabili all'ultimo decennio.
Secondo la Cassazione tale assunto non è, invece, condivisibile. I giudici giustificano la decisione rinviando a quanto recentemente stabilito dalla stessa Corte delle Leggi con la sentenza numero 82 del 2017. In tale pronuncia è stato fissato il principio secondo il quale non è possibile estendere la neutralizzazione dei contributi oltre i limiti dell'ultimo quinquennio antecedente la decorrenza della pensione essendo questa "una scelta eminentemente discrezionale del legislatore, volta a contemperare le esigenze di certezza con le ragioni di tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori".
Fatte queste premesse i giudici hanno però bocciato il ricorso del pensionato in quanto non era stata fornita la prova dell'incremento della pensione fermo il limite quinquennale per la neutralizzazione dei periodi contributivi.