Dipendenti pubblici, calano i giorni di malattia. Ma nella Pa i lavoratori rimangono anziani e con poca formazione
Fonte:repubblica
Forum Pa parla dei primi effetti della linea dura contro l'assenteismo, confermati dai dati Inps. Prende piede il lavoro "agile"
- I dati dell'Inps e un'analisi condotta da FPA, società del gruppo Digital360, nell'ambito del Forum PA 2018 segnalano "i primi effetti della linea dura sull'assenteismo" nella Pubblica amministrazione adottata con la riforma Madia.
Il Forum mette in evidenza come siano scesi del 10,6% in un anno dei giorni di malattia e siano parimenti diminuiti i certificati medici (da 7 ogni 10 lavoratori del 2016 ai 6 certificati ogni 10 del 2017), "soprattutto per il calo delle assenze brevi di un giorno, mentre si riduce di 4 punti percentuali la percentuale di lavoratori con almeno un giorno di malattia sul totale (dal 33% del 2016 al 29% del 2017)".
Numeri corroborati dalla dinamica tracciata dall'Inps (che dallo scorso settembre è il Polo unico di tutela della malattia) per il primo trimestre del 2018. Tra gennaio e marzo i lavoratori privati hanno inviato 4,68 milioni di certificati medici (+12,4% tendenziale) per oltre 28 milioni di giorni di malattia con un aumento dei giorni del 5,6% sullo stesso periodo del 2017. Per i lavoratori pubblici sono stati inviati 1,89 milioni di certificati medici nel periodo (+3,1%), ma con un calo dei giorni complessivi di malattia dell'1,1%.
F PA ricorda come gli impatti completi della riforma "hanno ancora bisogno di tempo per diventare visibili" e che "al momento nei dati del pubblico impiego non c'è alcuna rivoluzione". Ma intanto inizia a farsi strada il lavoro agile: già 4210 dipendenti pubblici operano in telelavoro (800 in più in un anno), per lo più negli enti locali, e oggi il 5% delle pubbliche amministrazioni ha progetti strutturati di Smart Working, un altro 4% lo pratica informalmente e quasi il 48% è interessata a una prossima introduzione.
Quanto alla consistenza, i dipendenti pubblici italiani sono 3,2 milioni, "ancora in calo perché gli effetti dei piani di assunzione inizieranno a dispiegare i loro effetti solo nel 2018, con 246 mila persone uscite e non rimpiazzate dal 2008. Oggi la PA italiana può contare su 70% in meno di dipendenti rispetto alla Germania, il 65% rispetto all'Inghilterra e il 60% della Francia. Pochi i volti nuovi, con appena 64 mila "nuovi dipendenti pubblici", mentre aumentano i precari, che raggiungono quota 314mila, 25.000 in più rispetto al 2015, su cui ancora non si vedono gli effetti delle recenti politiche di stabilizzazione".
Il personale è anziano, con un'età media di 50,34 anni che cresce di 6 mesi ogni anno, oltre 450.000 over 60 -, per il 62% costituito da diplomati, che fa sempre meno formazione (6/7 ore di media ogni anno). Ancora: lo stipendio medio è di 34.500 euro, sostanzialmente lo stesso dal 2009, con molte differenze tra i comparti, dai 138 mila euro della magistratura ai 28,4 mila del personale della scuola. Ma la spesa per la collettività è sempre di meno: ammonta a 160 miliardi di euro il costo per tutto il personale della PA, 10 miliardi in meno rispetto al 2009, un risparmio che porta l'Italia in linea con i principali Paesi europei. E ciascun cittadino italiano spende per il lavoro dei dipendenti pubblici 2.632 euro l'anno".
Pa: -10,6% giorni malattia
Fonte:ADNKRONOS
Emergono i primi effetti della linea dura sull’assenteismo, con una riduzione del 10,6% in un anno dei giorni di malattia e la diminuzione dei certificati medici (da 7 ogni 10 lavoratori del 2016 ai 6 certificati ogni 10 del 2017) soprattutto per il calo delle assenze brevi di un giorno, mentre si riduce di 4 punti percentuali la percentuale di lavoratori con almeno un giorno di malattia sul totale (dal 33% del 2016 al 29% del 2017). Sono i risultati dell'indagine sul lavoro pubblico, presentata oggi da FPA, società del gruppo Digital360, al convegno di apertura di Forum Pa 2018.
Sono già 40 i licenziamenti disciplinari avviati ai sensi della nuova norma introdotta con la riforma Madia, considerando che nel 2017 complessivamente nella Pa sono stati licenziate 324 persone, il 62,8% in più rispetto 5 anni prima, di cui quasi metà per assenze. Inizia a farsi strada il lavoro agile: già 4.210 dipendenti pubblici operano in telelavoro (800 in più in un anno), per lo più negli enti locali, e oggi il 5% delle pubbliche amministrazioni ha progetti strutturati di smart working, un altro 4% lo pratica informalmente e quasi il 48% è interessata a una prossima introduzione.
Queste, si legge nell'indagine, le prime tracce della riforma Madia sulla pubblica amministrazione, i cui impatti hanno ancora bisogno di tempo per diventare visibili. Ma al momento nei dati del pubblico impiego non c’è alcuna rivoluzione. I dipendenti pubblici italiani sono 3,2 milioni, ancora in calo perché gli effetti dei piani di assunzione inizieranno a dispiegare i loro effetti solo nel 2018, con 246 mila persone uscite e non rimpiazzate dal 2008.
Oggi la Pa italiana può contare sul 70% in meno di dipendenti rispetto alla Germania, il 65% rispetto all’Inghilterra e il 60% della Francia. Pochi i volti nuovi, con appena 64 mila 'nuovi dipendenti pubblici', mentre aumentano i precari, che raggiungono quota 314mila, 25.000 in più rispetto al 2015, su cui ancora non si vedono gli effetti delle recenti politiche di stabilizzazione.
Un personale vecchio, età media di 50,34 anni che cresce di 6 mesi ogni anno, oltre 450.000 over 60, per il 62% costituito da diplomati, che fa sempre meno formazione (6/7 ore di media ogni anno). Lo stipendio medio è di 34.500 euro, sostanzialmente lo stesso dal 2009, con molte differenze tra i comparti, dai 138 mila euro della magistratura ai 28,4 mila del personale della scuola.
Ma la spesa per la collettività è sempre di meno: ammonta a 160 miliardi di euro il costo per tutto il personale della Pa, 10 miliardi in meno rispetto al 2009, un risparmio che porta l’Italia in linea con i principali Paesi europei. E ciascun cittadino italiano spende per il lavoro dei dipendenti pubblici 2.632 euro l’anno.
"La Pa italiana - commenta Carlo Mochi Sismondi, presidente di FPA- si trova oggi sull’orlo del cambiamento possibile: l’ultima stagione di riforma ha posto le basi per ridefinire i tratti e il profilo della Pa, ma al momento, almeno stando alle ultime rilevazioni disponibili, non si sono modificati i dati strutturali relativi al pubblico impiego: il numero dei dipendenti e la spesa per redditi di lavoro si riducono, anche se meno velocemente del passato, sono stazionarie le condizioni di invecchiamento, i divari retributivi le condizioni di precariato di migliaia di persone che lavorano nel pubblico".
"E' ancora irrisorio -sottolinea- l’investimento in formazione, pochissime sono le 'facce nuove' e permangono gli interrogativi sulla tenuta strutturale del sistema del pubblico impiego alle sfide del cambiamento e alla crescita dei fabbisogni di cittadinanza e imprese. All’Italia serve oggi una Pa diversa in grado di ‘governare con la rete’, ossia uscire dal palazzo e interagire con i diversi soggetti attraverso una governance collaborativa. Servono profili diversi, in grado di adattarsi al cambiamento e alla trasformazione digitale in atto".
"Ora -auspica Mochi Sismondi- tocca al futuro governo proseguire la strada della riforma, non con nuove leggi, ma applicando quelle che ci sono e senza perdere quanto di buono è stato impostato in questi anni. Non ci serve una nuova riforma da chiamare con il nome di un nuovo ministro, ma cura, accompagnamento e formazione. Non è più tempo di norme: comincia il tempo dei manuali e delle cassette degli attrezzi".
P.A: 'Io', la app per i servizi pubblici
L'annuncio del Team digitale. Al via progetto, test in estate
ANSA - Nasce l'app che consentirà ad ogni italiano di raggiungere la P.A dal suo smartphone. Per ora la novità è ancora in una fase preparatoria, c'è il progetto, chiamato 'Io', e la determinazione ad avviare i primi test in estate. L'annuncio arriva dal Team per la trasformazione digitale della presidenza del Consiglio, che sta sviluppando la app con l'Agid. Si tratta di un progetto per mettere a punto "un'applicazione sperimentale che permetterà ai cittadini di gestire direttamente dal proprio smartphone i rapporti con la P.A e l'accesso ai servizi pubblici".Ognuno potrà chiedere e conservare documenti e certificati, accettare ed effettuare pagamenti, ricevere comunicazioni, messaggi e promemoria. "L'app permetterà di ridurre drasticamente i tempi degli adempimenti", dice il commissario straordinario per l'attuazione dell'Agenda Digitale, Diego Piacentini. "Con un sistema di notifiche, pagamenti e scadenze, in pochi minuti si potranno svolgere operazioni che prima richiedevano molto più tempo".Ecco 'Io'
Indagine. Pubblica amministrazione, primi effetti della riforma
FONTE:AVVENIRE
Calo del 10,6% nei giorni di malattia, già 40 licenziamenti disciplinari. Inizia l’introduzione del lavoro agile
Si notano i primi effetti della linea dura sull’assenteismo, con una riduzione del 10,6% in un anno dei giorni di malattia e la diminuzione dei certificati medici (da sette ogni dieci lavoratori del 2016 ai sei certificati ogni 10 del 2017) soprattutto per il calo delle assenze brevi di un giorno, mentre si riduce di quattro punti percentuali la percentuale di lavoratori con almeno un giorno di malattia sul totale (dal 33% del 2016 al 29% del 2017). Sono già 40 i licenziamenti disciplinari avviati ai sensi della nuova norma introdotta con la riforma Madia, considerando che nel 2017 complessivamente nella Pubblica amministrazione sono stati licenziate 324 persone, il 62,8% in più rispetto cinque anni prima, di cui quasi metà per assenze. Inizia a farsi strada il lavoro agile: già 4.210 dipendenti pubblici operano in telelavoro (800 in più in un anno), per lo più negli enti locali, e oggi il 5% delle pubbliche amministrazioni ha progetti strutturati di lavoro agile, un altro 4% lo pratica informalmente e quasi il 48% è interessata a una prossima introduzione .
Ecco le prime tracce della riforma Madia sulla Pubblica amministrazione, i cui impatti hanno ancora bisogno di tempo per diventare visibili. Ma al momento nei dati del pubblico impiego non c’è alcuna rivoluzione. I dipendenti pubblici italiani sono 3,2 milioni, ancora in calo perché gli effetti dei piani di assunzione inizieranno a dispiegare i loro effetti solo nel 2018, con 246mila persone uscite e non rimpiazzate dal 2008. Oggi la Pa italiana può contare su 70% in meno di dipendenti rispetto alla Germania, il 65% rispetto all’Inghilterra e il 60% della Francia. Pochi i volti nuovi, con appena 64mila “nuovi dipendenti pubblici”, mentre aumentano i precari, che raggiungono quota 314mila, 25mila in più rispetto al 2015, su cui ancora non si vedono gli effetti delle recenti politiche di stabilizzazione. Un personale vecchio - età media di 50,34 anni che cresce di sei mesi ogni anno, oltre 450mila over 60 - per il 62% costituito da diplomati, che fa sempre meno formazione (6/7 ore di media ogni anno). Lo stipendio medio è di 34.500 euro, sostanzialmente lo stesso dal 2009, con molte differenze tra i comparti, dai 138mila euro della magistratura ai 28,4 mila del personale della scuola. Ma la spesa per la collettività è sempre di meno: ammonta a 160 miliardi di euro il costo per tutto il personale della Pa, dieci miliardi in meno rispetto al 2009, un risparmio che porta l’Italia in linea con i principali Paesi europei. E ciascun cittadino italiano spende per il lavoro dei dipendenti pubblici 2.632 euro l’anno.
Sono i risultati dell’indagine sul lavoro pubblico presentata questa mattina da Fpa, società del gruppo Digital360, al convegno di apertura di Forum Pa 2018, che si è aperto con la lectio magistralis di Stephen Goldsmith. Il direttore del Programma di innovazione delle amministrazioni presso la Harvard University Kennedy School of Government ha presentato la sua visione di “governo con la rete”, per una Pa che deve aprirsi alla collaborazione con soggetti pubblici, privati e non-profit. «La Pa italiana si trova oggi sull’orlo del cambiamento possibile - commenta Carlo Mochi Sismondi, presidente di Fpa -. L’ultima stagione di riforma ha posto le basi per ridefinire i tratti e il profilo della Pa, ma al momento, almeno stando alle ultime rilevazioni disponibili, non si sono modificati i dati strutturali relativi al pubblico impiego: il numero dei dipendenti e la spesa per redditi di lavoro si riducono, anche se meno velocemente del passato, sono stazionarie le condizioni di invecchiamento, i divari retributivi le condizioni di precariato di migliaia di persone che lavorano nel pubblico. È ancora irrisorio l’investimento in formazione, pochissime sono le “facce nuove” e permangono gli interrogativi sulla tenuta strutturale del sistema del pubblico impiego alle sfide del cambiamento e alla crescita dei fabbisogni di cittadinanza e imprese. All’Italia serve oggi una Pa diversa in grado di ‘governare con la rete’, ossia uscire dal palazzo e interagire con i diversi soggetti attraverso una governance collaborativa. Servono profili diversi, in grado di adattarsi al cambiamento e alla trasformazione digitale in atto. Ora tocca al futuro Governo proseguire la strada della riforma, non con nuove leggi, ma applicando quelle che ci sono e senza perdere quanto di buono è stato impostato in questi anni. Non ci serve una nuova riforma da chiamare con il nome di un nuovo ministro, ma cura, accompagnamento e formazione. Non è più tempo di norme: comincia il tempo dei manuali e delle cassette degli attrezzi».
Come verificare i contributi per la pensione ALLEGATO*
FONTE:LEGGE PER TUTTI
*Estratto conto contributivo Inps: come controllare i contributi versati per la pensione, a quanto ammontano e quanti anni sono accreditati.
Reintegra della dipendente licenziata per superamento comporto Allegata sentenza
FONTE: diritto - lavoro
La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 12437 del 2018, ha reso il seguente principio di diritto: “sì alla reintegra del dipendente licenziato per superamento del periodo di comporto se la crisi depressiva che lo ha costretto alle ripetute assenze è dipesa dal mobbing del datore” (dal Quotidiano del Diritto del Sole 24 Ore del 22.5.2018).
Vediamo insieme i fatti di causa di cui alla sentenza 12437/2018.
Con sentenza 14 gennaio 2016, la Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari dichiarava illegittimo il licenziamento intimato da … s.p.a. con lettera 8 ottobre 2004 alla dipendente … per superamento del periodo di comporto, condannando la società datrice alla sua reintegrazione nel posto di lavoro in mansioni equivalenti a quelle svolte prima del maggio 2001 e al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, di una indennità pari alla retribuzione globale di fatto dalla data di licenziamento a quella di effettiva reintegrazione, oltre accessori di legge, delle somme, già rivalutate e comprensive di interessi legali, a titolo di danno biologico, di Euro 29.340,00 per invalidità temporanea (per i periodi dal 22 aprile al 3 ottobre 2003 e dal 20 marzo al 30 settembre 2004) e di Euro 15.709,78 per invalidità permanente nella misura del 6%: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato le domande della lavoratrice.
In esito a diffusa ed argomentata ricostruzione del quadro probatorio, la Corte territoriale riteneva un comportamento mobbizzante da parte datoriale per lo svuotamento progressivo delle mansioni di più elevato contenuto professionale svolte dalla lavoratrice fino al mese di maggio 2001, in un clima di sua crescente ed afflittiva emarginazione: determinate l’insorgenza in … secondo un nesso eziologico verificato (e stimato nelle sue conseguenze di danno) sulla base della rinnovata C.t.u. medico-legale criticamente valutata, di una sindrome depressiva persistente, giustificante le numerose assenze dal lavoro e comportante l’illegittimità del licenziamento e le pronunce sopra indicate.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la società datrice di lavoro che veniva rigettato dalla Corte Suprema con il principio di diritto sopra enunciato.
Retribuzione in contanti, da 1° luglio sarà vietato per l’obbligo di tracciabilità dei pagamenti
Fonte: diritto - lavoro
In base alle disposizioni dell’art. 1, commi 910-914, della L. n. 205 del 2017, a partire dal prossimo 1° luglio sarà proibito pagare la retribuzione in contanti direttamente ai lavoratori, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato, fatti salvi i compensi per lavori occasionali (v. anche la circolare n. 2 del 2018 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro).
I datori di lavoro o i committenti, pertanto, dovranno versare ai lavoratori la retribuzione o gli eventuali anticipi esclusivamente attraverso tali sistemi:
· bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
· strumenti di pagamento elettronico;
· emissione di un assegno (consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, ad un suo delegato. L’impedimento si intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a 16 anni)
· pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento.
Tuttavia la retribuzione può essere percepita in contanti soltanto nel caso in cui il pagamento avvenga presso lo sportello bancario o postale ove il datore di lavoro abbia aperto il conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento.
Il divieto di pagare in contanti la retribuzione, naturalmente, prescinde dal suo ammontare poiché la finalità di tale normativa è proprio quella di reprimere comportamenti elusivi delle norme a tutela del lavoro.
Poiché la norma in questione fa esplicito riferimento alla retribuzione, in prima battuta sembrerebbero esclusi da tale obbligo i tirocini, le borse di studio e i rapporti autonomi di natura occasionale. Sicuramente interverrà sul punto, nel prosieguo, qualche chiarimento ministeriale anche relativamente alla possibilità di continuare a versare in contanti eventuali anticipi di cassa per sostenere, ad esempio, le spese relative all’attività lavorativa (prassi di solito utilizzata dalle piccole aziende). Tuttavia appare corretto presumere che tali anticipi in contanti restino consentiti proprio perché non costituiscono parte di retribuzione ed essendo supportati da idonea documentazione.
In vigore resta anche il divieto di effettuare trasferimenti in contanti per importi pari o superiori ai 3mila euro.
Il divieto di retribuzione in contanti, quindi, riguarderà sia i rapporti di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. (indipendentemente dalla durata o modalità di svolgimento della prestazione) che i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e qualsiasi forma di contratto di lavoro stipulati tra le cooperative e i soci.
Sono invece esclusi da tale obbligo i rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni e quelli con i domestici.
Il datore di lavoro che viola tali obblighi incorrerà in una sanzione amministrativa pecuniaria da 1000 a 5000 euro, che si andrà ad aggiungere ad eventuali altre condotte penalmente rilevanti.
La norma di cui sopra, infine, stabilisce che la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.
IN SINTESI
METODI DI PAGAMENTO CONSENTITI:
· bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
· strumenti di pagamento elettronico;
· emissione di un assegno (consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, ad un suo delegato. L’impedimento si intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a 16 anni)
· pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
RAPPORTI ESCLUSI DALL’OBBLIGO DI PAGAMENTO IN CONTANTI DELLA RETRIBUZIONE:
· rapporti di lavoro instaurati con le Pa (articolo 1, comma 2, del Dlgs 165/2001): e cioè amministrazioni dello Stato (compresi istituti e scuole di ogni ordine e grado e istituzioni educative), aziende e amministrazioni dello Stato a ordinamento autonomo, Regioni, Province, Comuni, Comunità montane, loro consorzi e associazioni, istituzioni universitarie, Istituti autonomi case popolari, Camere di commercio e così via;
· ai rapporti di lavoro domestico che rientrano nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici
SANZIONI AL DATORE DI LAVORO IN CASO DI VIOLAZIONE:
Al datore di lavoro o committente che dal prossimo 1° luglio violerà il divieto di corrispondere le retribuzioni in contanti, verrà applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5mila euro;
Sarà l’Ispettorato nazionale del lavoro, attraverso la collaborazione con il sistema bancario o postale, ad effettuare accertamenti rapidi ed efficaci a scovare i trasgressori.
SITUAZIONI ESCLUSE DAL DIVIETO:
Nell’attesa di un chiarimento del Ministero, tale divieto di pagamento in contanti parrebbe non coinvolgere:
· gli anticipi per fondo spese (poiché non rientrano nella nozione di retribuzione);
· le borse di studio;
· i tirocini;
· i rapporti autonomi di natura occasionale
FIRMA DELLA BUSTA PAGA:
La norma precisa, infine, che la firma del lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.
Part-time verticale ciclico: validità per la pensione dei mesi non lavorati
Ai fini dell’anzianità contributiva utile per la determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione, non vi è alcuna differenza tra lavoratori con part-time verticale ciclico e lavoratori a tempo pieno.
Fonte: https://www.lavoroediritti.com
La Cassazione è intervenuta recentemente in tema di part-time verticale ciclico relativamente alla utilità dei periodi non lavorati ai fini pensionistici. I lavoratori titolari di un contratto di lavoro in regime di part-time verticale ciclico, possono godere dell’anzianità contributiva ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione, anche per il periodo non lavorato, posto che gli stessi discendono dalla normale esecuzione del rapporto a tempo parziale e non dalla sua sospensione.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, sentenza n. 10526 del 03.05.2018, precisando che si applica il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno. Atteso che il lavoro a tempo parziale costituisce un modo particolare di esecuzione del rapporto di lavoro, caratterizzato dalla mera riduzione della durata normale del lavoro.
Part-time verticale ciclico: la vicenda
Una lavoratrice ricorre in giudizio contro l’INPS, al fine di vedersi riconosciuta l’anzianità contributiva per 52 settimane per tutti gli anni durante i quali aveva lavorato in regime di part-time verticale, con accredito dei soli contributi effettivamente versati distribuiti nell’arco dell’anno secondo un regime di continuità del rapporto.
Validità dei periodi non lavorati nel part-time: la decisione della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso dell’INPS, ha precisato che – sempre con riferimento ai lavoratori part-time – la questione del minimale contributivo (e in generale quella del numero dei contributi settimanali da accreditare ai dipendenti) è questione distinta dall’anzianità previdenziale tout court. Va distinta quindi dalla relativa durata, anche ai fini previdenziali, dell’attività lavorativa. Il nostro ordinamento la svincola in più occasioni dall’effettiva prestazione lavorativa ed anche dalla misura dei contributi versati (Cass. nn. 23948 del 2015 e 8565 del 2016).
A venire in rilievo, infatti, non è già la questione relativa al numero dei contributi da accreditare al lavoratore in regime di part-time. Ma è importante la possibilità che essi, quale che ne sia l’ammontare determinato D.L. n. 463 del 1983, ex art. 7, siano riproporzionati sull’intero anno cui si riferiscono, ancorché siano stati versati in relazione a prestazioni lavorative eseguite in una frazione di esso.
La Cassazione ha richiamato una sentenza della Corte di Giustizia Europea (CGE). La stessa aveva evidenziato come la normativa italiana in materia contrastasse con la Direttiva n. 97/81.
Principio di non discriminazione fra part-time e tempo pieno
La Cassazione afferma quindi che, il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale ed a tempo pieno, implica che:
l’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore con rapporto a tempo parziale ciclico come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati
Ciò in quanto il lavoro a tempo parziale costituisce un modo particolare di esecuzione del rapporto, caratterizzato dalla mera riduzione della durata normale del lavoro.
Conseguentemente i periodi non lavorati discendono dalla normale esecuzione di tale contratto e non dalla sua sospensione. Questi periodi infatti corrispondono alla riduzione degli orari di lavoro contrattualmente prevista nel part-time. Diversamente, secondo i Giudici di legittimità, si finirebbe per porre in essere una discriminazione.
Infatti, a fronte di una durata equivalente del proprio contratto di lavoro, il prestatore a tempo parziale maturerebbe l’anzianità contributiva utile ai fini della pensione con un ritmo più lento del collega a tempo pieno; con un trattamento deteriore e discriminatorio per i dipendenti part-time che, per il solo fatto di lavorare a tempo parziale, vedrebbero differire nel tempo la data di acquisizione del loro diritto alla pensione.
Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dall’INPS. Si afferma quindi la sussistenza del diritto della lavoratrice, con contratto part-time ciclico, all’inclusione anche dei periodi non lavorati nell’anzianità contributiva. Incidendo pertanto la contribuzione ridotta sulla misura della pensione e non sulla durata del rapporto di lavoro.
Sicurezza sul lavoro: Testo Unico 81/2008 aggiornato a maggio 2018
L'Ispettorato Nazionale del Lavoro ha rilasciato il Testo Unico 81/2008 lavoro aggiornato a maggio 2018 in materia di Salute e Sicurezza sul Lavoro con le ultime novità normative e di prassi.
Fonte: Fonte: https://www.lavoroediritti.com
L’INL, Ispettorato Nazionale del Lavoro, ha pubblicato l’annuale aggiornamento del Testo Unico 81/2008 in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il Testo Unico quest’anno compie 10 anni, in quanto il D.lgs. 81/08 è entrato in vigore il 9 aprile del 2008.
La nuova versione del T.U. edizione maggio 2018 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro con tutte le disposizioni integrative e correttive è stata pubblicata come di consueto sul sito dell’Ispettorato Nazionale.
Novità versione Testo Unico 81/08 Sicurezza sul lavoro aggiornato a maggio 2018
L’Ispettorato fa una raccolta di tutte le novità su normativa e prassi in materia di salute e sicurezza sul lavoro uscite nell’ultimo anno, l’ultimo aggiornamento del Testo Unico 81/08 infatti risale a maggio 2017.
In questa versione aggiornata troviamo ad esempio le novità in materia di sanzioni per omessa sorveglianza sanitaria dei lavoratori, oppure gli ultimi interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro (n. 1 e n. 2 del 13/12/2017, n. 1 del 14/02/2018 e n. 2 del 05/04/2018).
Questo l’elenco delle ultime novità in materia così come riportato nel Testo Unico 81/2008 aggiornato a maggio 2018:
· circolare INL n. 1 dell’11/01/2018 contenente le indicazioni operative sulla corretta applicazione della disposizione di cui all’articolo 34, comma 1, del decreto legislativo n. 81/2008 relativa allo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di primo soccorso prevenzione incendi e di evacuazione;
· lettera circolare INL del 12/10/2017 prot. 3 avente ad oggetto le indicazioni operative sulle sanzioni da applicare in caso di omessa sorveglianza sanitaria dei lavoratori;
· Decreto Direttoriale n. 2 del 16/01/2018 – Elenco dei soggetti abilitati e dei formatori per l’effettuazione dei lavori sotto tensione;
· Sostituito il decreto dirigenziale del 9 settembre 2016 con il Decreto Direttoriale n. 12 del 14 febbraio 2018 – Diciassettesimo elenco dei soggetti abilitati per l’effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’art. 71 comma 11;
· interpelli n. 1 e n. 2 del 13/12/2017, n. 1 del 14/02/2018 e n. 2 del 05/04/2018;
· Corretto all’art. 3 comma 12-bis il riferimento alla legge 16 dicembre 1991, n. 398 (associazioni sportive dilettantistiche);
· infine inserisce il riferimento all’interpello 8/2014 del 13/03/2014 al termine dell’art. 3 comma 12-bis.
Testo Unico 81/2008 aggiornato a maggio 2018
Qui di seguito rilasciamo quindi in allegato il PDF del Testo Unico 81/2008 aggiornato a maggio 2018.
Link:
T.U. 81/08 aggiornato a maggio 2018
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Da PensioniOggi:
Visite Fiscali, Crescono i certificati di malattia nel I trimestre del 2018
· Fonte:pensionioggiScritto da Davide Grasso
Ma calano i giorni di malattia. I dati dell'osservatorio statistico Inps sul nuovo Polo unico di tutela della malattia. Cresce anche la percentuale dei lavoratori con almeno un giorno di malattia sul totale dei lavoratori.
Cresce il numero dei certificati di malattia nel primo trimestre del 2018, anche se cala il numero medio di giorni di malattia richiesti dai lavoratori. E' la fotografia che scatta l'Osservatorio sul Polo unico di tutela della malattia diffuso oggi dall'Inps.
Nel primo trimestre 2018 i lavoratori privati hanno inviato 4,68 milioni di certificati medici per oltre 28 milioni di giorni di malattia con un aumento dei giorni del 5,6% sullo stesso periodo del 2017 e con un aumento del 12,1% dei certificati; mentre i lavoratori pubblici hanno inviato 1,89 milioni di certificati medici nel periodo con un incremento del +3,1% rispetto al 2017 e con una riduzione dei giorni complessivi di malattia dell'1,1% rispetto all'anno precedente.
In pratica in entrambi i comparti è diminuito il numero medio di giorni di malattia chiesto nei certificati segno che sono aumentati i certificati di breve durata. A livello territoriale l'Inps evidenzia una differenziazione per entrambi i settori con maggiore aumento al Nord (4,7% del pubblico rispetto al 14,2% del privato). Il trend che vede crescere il numero dei certificati e diminuire i giorni di malattia è confermato anche dall'incremento della percentuale dei lavoratori con almeno un giorno di malattia sul totale dei lavoratori: nel I trimestre il valore passa, nel settore privato, dal 23% del 2017 al 26%, con un incremento di tre punti percentuali, mentre nel settore pubblico passa dal 35% del 2017 al 36% del 2018.
L'Inps ricorda, inoltre, che dal 1 settembre 2017 è entrato in vigore il Polo unico per le visite fiscale che attribuisce all'Istituto la competenza esclusiva a gestire le visite mediche di controllo anche sull'82% dei lavoratori pubblici in malattia. Da questa data, come già avviene per i lavoratori privati assicurati, l’Istituto effettua visite mediche sia su richiesta delle pubbliche amministrazioni, in qualità di datori di lavoro, sia d’ufficio. Resta fermo che, su richiesta del datore di lavoro, l'Istituto può effettuare i controlli di malattia anche sui lavoratori privati non assicurati e sui lavoratori pubblici non appartenenti al Polo Unico.
Attività Ispettiva
Infine i dati relativi all'attività ispettiva. Nel primo trimestre 2018 il numero di visite è risultato di 53 ogni mille certificati per il settore pubblico del Polo unico rispetto alle 26 visite del settore privato (lo scorso anno erano 29 nel settore privato). L'esito delle visite fiscali è che ogni cento visite effettuate nel pubblico, 35 risultano con esito di conferma della prognosi con idoneità al lavoro, contro 37 nel privato. L'Inps osserva tuttavia che nel settore pubblico la maggior parte delle visite sono effettuate su richiesta dei datori di lavoro, solo il 7 % sono disposte d’ufficio e il tasso di idoneità è molto diverso nelle due fattispecie: 37 ogni 100 visite richieste dal datore di lavoro contro 10 ogni 100 disposte d’ufficio.
Questo fenomeno, comunica l'Inps, non si verifica per il settore privato per il quale il tasso di idoneità delle visite mediche d’ufficio risulta più elevato di quello delle visite datoriali ( rispettivamente 40 per quelle d’ufficio e 32 per quelle datoriali ). Tale risultato si spiega con l’esperienza accumulata dall’Istituto nella selezione delle visite mediche di controllo d’ufficio nel settore privato.
Pensioni, Ok alla Commissione per ampliare i Lavori Gravosi
· Fonte:pensionioggiScritto da Vittorio Spinelli
Palazzo Chigi ha approvato il decreto che istituisce la Commissione Tecnica formata da esperti designati dal Governo e dalle parti sindacali. I lavori dovranno concludersi entro il 30 Settembre 2018.
Ok alla Commissione tecnica di studio per ampliare i lavori gravosi. Palazzo Chigi ha pubblicato oggi il DPCM 28 Aprile 2018 previsto dalla recente legge di bilancio che istituisce la Commissione incaricata di studiare la gravosità delle occupazioni, anche in relazione all'età anagrafica ed alle condizioni soggettive dei lavoratori, al fine di acquisire elementi conoscitivi e metodologie scientifiche a supporto della valutazione delle politiche statali in materia previdenziale ed assistenziale. La Commissione dovrà anche studiare le condizioni soggettive dei lavoratori e delle lavoratrici, derivanti dall'esposizione ambientale o diretta ad agenti patogeni.
Obiettivo della Commissione è verificare la possibilità di estendere il perimetro di applicazione dei benefici previsti per i lavoratori addetti alle mansioni gravose (accesso all'ape sociale e al beneficio per i lavoratori precoci, sospensione dell'adeguamento all'aspettativa di vita Istat) ad ulteriori professioni al di fuori delle 15 già riconosciute con l'ultima legge di bilancio. L'istituzione della Commissione era stata concordata tra Governo e parti sociali lo scorso novembre.
La Commissione è presieduta dal Presidente dell'ISTAT e composta da 2 componenti in rappresentanza del Ministero dell’economia e delle finanze; da 2 componenti in rappresentanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; da 2 componenti in rappresentanza del Ministero della salute ; da 1 componente in rappresentanza del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri; da 2 componenti in rappresentanza dell’ISTAT, INPS ed INAIL ciascuno e da 1 componente in rappresentanza del Consiglio Nazionale degli Attuari. Entro 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta del Decreto saranno designati, inoltre, sei esperti in materie economiche, statistiche e attuariali dalle organizzazioni dei lavoratori e altri quattro esperti dalle organizzazioni dei datori di lavoro. La Commissione dovrà concludere i propri lavori entro il 30 settembre 2018, consegnando al Governo, entro il medesimo termine, un rapporto finale.
In definitiva l'istituzione delle Commissioni potrà aiutare a inquadrare meglio le possibili modifiche per lenire i disequilibri dell’attuale modello pensionistico. Ci sono in particolare gli effetti del brusco innalzamento dell'età pensionabile a cui solo in parte è stata data una risposta (con le salvaguardie e gli anticipi pensionistici), le rigidità legate alle riforme che hanno caratterizzato in passato il sistema previdenziale italiano, il ruolo della previdenza complementare, la tutela del lavoro di cura per dare una risposta alla scarsa occupazione femminile e le pensioni delle donne, da ultimo la possibilità di aprire un ragionamento serio sulla pensione di garanzia per le future generazioni. Questioni che dovranno essere affrontate nei prossimi mesi.
Pensioni, i benefici previdenziali per i lavoratori invalidi nel 2018 [Guida]
I Benefici previdenziali per i lavoratori invalidi
Il dizionario di Pensioni Oggi
L'ordinamento riconosce alcune particolari agevolazioni previdenziali nei confronti degli invalidi. Oltre alle prestazioni strettamente legate all'invalidità (si pensi ad esempio all'assegno ordinario di invalidità o alla pensione di inabilità introdotte dalla legge 222/1984 oppure alle prestazioni in favore degli invalidi civili) la Riforma Fornero ha lasciato intatti due istituti già in vigore prima del 2011 che consentono di agguantare la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata con un anticipo rispetto alla normativa generale che, com'è noto, chiede 66 anni e 7 mesi di età per la vecchiaia oppure 42 anni e 10 mesi di contributi per il trattamento anticipato (41 anni e 10 mesi le donne). A questi benefici si sono aggiunti dallo scorso 1° maggio 2017 ulteriori due novità introdotte dalla legge 232/2016. Vediamoli.
Pensione di Vecchiaia Anticipata
In particolare i lavoratori con una invalidità non inferiore all'80% possono ottenere il trattamento di vecchiaia a 60 anni se uomini e a 55 anni se donne purchè in possesso di almeno 20 anni di contributi ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1, comma 8 del Dlgs 503/1992 (cfr: Circolare Inps 35/2012). Dal 2013 i predetti requisiti si adeguano alla stima di vita e pertanto nel triennio 2016-2018 risulta necessario raggiungere 60 anni e 7 mesi per gli uomini e 55 anni e 7 mesi per le donne. Questi lavoratori devono inoltre attendere l'apertura di una finestra mobile di 12 mesi per ottenere il primo rateo pensionistico a differenza di quanto accade attualmente nella normativa generale che ha soppresso le finestre annuali.